BORROMEO, Ludovico
Nacque intorno al 1460 da Giovanni, dei conti di Arona, e da Cleofe Pio contessa di Carpi; sposò Bona Maria da Longhignana, figlia del condottiero Ambrogio da Longhignana e vedova di Bartolomeo Trivulzio, dalla quale ebbe Carlo, Camillo e Vitaliano. I Borromeo, feudatari del duca di Milano, erano imparentati per più versi con i Trivulzio e tra la fine del sec. XV e i primi anni del successivo ne seguirono le sorti politiche, passando dal servizio di Gian Galeazzo e Ludovico Sforza a quello di Luigi XII.
Il B. partecipò insieme con il fratello Giberto alla campagna di Lombardia del 1499 nell'esercito di Gian Giacomo Trivulzio e, dopo la conquista di Milano, mentre il fratello, l'11 nov. 1499, era nominato senatore, ottenne dal re di Francia l'investitura del castello di Trezzo. Negli anni successivi prese parte alla campagna contro Ludovico Sforza, contro Genova e contro Venezia, guadagnandosi numerosi attestati di stima e premi da Luigi XII, sino ad essere chiamato nel 1505 a succedere al fratello Giberto nella carica di senatore di Milano.
Pare tuttavia che sin dal 1500 il B. fosse entrato in contatti clandestini con gli Svizzeri e con Massimiliano d'Asburgo, partecipando ai maneggi politici di Gian Giacomo Trivulzio sin da quando questi, entrato in contrasto con la Francia, era stato privato del governo di Milano. Sembra che il B. si fosse offerto, tramite il vescovo di Sion Matteo Schiner, di sostenere una spedizione dell'imperatore contro il ducato di Milano mettendogli a disposizione le fortezze controllate dalla sua famiglia nella regione del Lago Maggiore: i Francesi catturarono infatti un messaggero che recava lettere compromettenti dello Schiner e del B. a Massimiliano. Dichiarato colpevole di fellonia il B. fu proclamato decaduto da tutti i suoi feudi; invano egli cercò di discolparsi affermando che le lettere erano state abilmente falsificate da alcuni suoi nemici. Catturato dai Francesi, insieme con i propri figli e con altri familiari, fu sottoposto a un processo nel quale le accuse andarono progressivamente moltiplicandosi e aggravandosi, sino ad affermare che egli aveva consegnato alcune terre ai Veneziani e aveva tentato di avvelenare il "gran maître" di Milano Carlo d'Amboise di Chaumont. Senonché i legami dei Borromeo con la Confederazione elvetica si risolsero a loro favore, giacché gli Svizzeri intervennero presso i Francesi in difesa dei potenti feudatari confinanti. Si tennero due incontri a Keufbeureu e a Zurigo nel novembre e nel dicembre del 1507 tra inviati francesi e magistrati svizzeri e, Borromeo furono prosciolti dalle accuse e reintegrati nei loro feudi, sebbene non si sappia come si arrivasse a questo risultato.
Da questo momento il B. si allontanò progressivamente dai Francesi, ricercando sempre più assiduamente la protezione della Confederazione elvetica, dalla quale sperava di essere sostenuto nel disegno, già da gran tempo delineatosi nella sua famiglia, di costituire sulle rive del Lago Maggiore una grande signoria indipendente dal ducato di Milano. Questo disegno non si realizzò a causa delle ulteriori vicende, che dimostrarono l'intrinseca debolezza politica e militare dei Borromeo, sicché anche gli Svizzeri, pur interessati alla costituzione di uno Stato cuscinetto tra la Confederazione e il ducato, finirono per abbandonare il feudatario al suo destino. Inizialmente, però, non gli lesinarono il loro aiuto: lo pacificarono con Massimiliano Sforza, che lasciò cadere le vecchie accuse di fellonia contro di lui e lo autorizzò ad acquistare beni a Monza e nel 1514 lo nominò castellano e governatore di questa città; lo sostennero contro le genti della Val d'Ossola, di Locarno e di Domo che nel settembre del 1514 erano giunte a occupare alcuni suoi domini per protesta contro le gabelle che il B. imponeva alle merci in transito nel suo territorio e soprattutto lo appoggiarono nei suoi contrasti con la Francia. Dopo aver combattuto nell'esercito di Massimiliano Sforza contro Francesco I, il B. si vide nuovamente in pericolo di perdere beni e fortezze ad opera dei vincitori; chiese perciò e ottenne la protezione degli Svizzeri che nella pace di Gallarate, nel successivo trattato di Ginevra del 29 ott. 1515 e in quello di alleanza perpetua stipulato nel settembre dell'anno successivo, pretesero che il Valois rinunziasse a ogni rappresaglia contro il B. e riconoscesse i suoi domini.
Per stringere ulteriormente i propri legami con la Confederazione il B. decise nel 1518 di chiedere la cittadinanza svizzera, salva facendo la propria dipendenza feudale dal re di Francia: ottenne infatti, per sé e per i propri discendenti, la cittadinanza di Lucerna il 10 sett. 1518 e quella di Berna il 4 dicembre seguente; l'importante limitazione da lui posta fu però sfavorevolmente valutata dalle magistrature degli altri cantoni, i quali respinsero per il momento la richiesta.Il B. iniziò frattanto a Cannero, sul Lago Maggiore, la costruzione di una grande fortezza, che denominò Vitaliana: essa avrebbe dovuto essere il centro strategico della grande signoria che il B. aspirava a costituire e nel frattempo fu messa a disposizione degli alleati svizzeri. I legami sempre maggiori del B. con la Confederazione tornarono nel 1519 ad attirargli l'ostilità dei Francesi, i quali, dimentichi degli accordi, misero a sacco i suoi beni di Monza e il suo palazzo di Milano, procurandogli un danno di 10.000 scudi, e finalmente invasero il suo territorio, costringendolo a rifugiarsi a Locarno. Sembra anche che le autorità francesi meditassero di sbarazzarsi definitivamente dello scomodo feudatario, come parve provato dall'arresto a Locarno di un agente del Lautrec, il quale confessò di aver avuto incarico dal governatore di Milano di avvelenare il Borromeo. Le autorità dei cantoni di Lucerna e Berna intervennero a favore del B. inviando al Lautrec una ambasceria incaricata di richiedere la reintegrazione del feudatario nei suoi domini ed il pagamento dei danni cagionatigli e i Francesi, nel quadro dei nuovi accordi per una lega con la Confederazione, finirono per accogliere la richiesta nel febbraio del 1520.
In questo stesso anno il B. cercò di ottenere anche il sostegno dei cantoni democratici, facendo richiesta della cittadinanza di Uri: questa gli fu accordata il 6 maggio 1520, mentre già dall'aprile la Dieta dei confederati riunita a Lucerna gli aveva concesso ufficialmente la sua protezione. Un tentativo della Confederazione di ammettere il B. nella lega con la Francia falli invece nei negoziati di Digione del luglio 1521, per il rifiuto di Francesco I di concordare un'alleanza politica e militare con un proprio vassallo: il re però acconsentì a riconoscere la cittadinanza svizzera del B. e lo confermò in tutti i suoi domini.
La difficile situazione del B. non migliorò tuttavia per questi riconoscimenti svizzeri e francesi: cominciato nel 1521 il conflitto tra Spagna e Francia, egli si trovò subito esposto agli attacchi di Francesco II Sforza sostenuto dagli Spagnoli, prova definitiva che il progetto di una signoria a ridosso del ducato di Milano era del tutto anacronistico e velleitario nel momento in cui l'Italia era divenuta il terreno di scontro delle maggiori potenze europee. Francesco II Sforza aprì contro il B. un processo per tradimento e inviò le milizie spagnole a occupare i suoi domini di Arona, mentre nei due anni seguenti Prospero Colonna portava la guerra nei possessi del B. in territorio svizzero. Il B. si rifugiò a Locarno, riorganizzò le proprie forze e, ottenuto qualche aiuto militare dalle autorità cantonali e una sovvenzione dal banchiere di Lucerna Pietro Nix, si volse ad una lenta riconquista dei suoi domini, riuscendo a recuperare Cannobio, Pallanza e altri territori nei dintorni di Arona; dovette arrestarsi però innanzi a quest'ultima città e finalmente ripiegare di fronte ad una controffensiva spagnola. Rifugiatosi nella sua fortezza di Cannero vi sostenne un lungo assedio, durante il quale chiese ripetutamente, ma con scarsi risultati, l'aiuto degli Svizzeri. Dopo la sconfitta francese nella battaglia di Pavia, dovette rinunziare definitivamente a recuperare i territori occupati dagli avversari. Ridotto nella sua rocca Vitaliana, definitivamente convinto ormai della vanità del suo sogno di grandezza, nel febbraio del 1526 si rifiutò però di consegnare la rocca agli Svizzeri che nella Dieta di Einselden cercarono invano di convincerlo a cedere gli ultimi frantumi della sua signoria.
Morì alla fine del febbraio del 1527.
Bibl.: T. di Liebenau, L. B., in Boll. stor. della Svizzera italiana, VI (1884), pp. 2-10, 41-44, 65-69, 97-100, 137-139, 182-186, 208-211, 243-245, 275-278.