BRUNO, Ludovico
Nato ad Acqui il 31 ott. 1434, studiò legge e si addottorò in diritto civile e canonico. Ebbe anche cultura umanistica e fu poeta laureato. In data imprecisata si trasferì nei Paesi Bassi e ai primi del 1477 risulta presente a Lovanio, dove il 31 luglio s'immatricolò all'università. Nel novembre successivo pubblicò per le stampe di Johann von Paderborn alcuni carmi latini per solennizzare il matrimonio di Massimiliano d'Asburgo con Maria di Borgogna e il suo ingresso nei domini ereditari della moglie (Carmina gratulatoria in adventu et coniugio Maximiliani). L'opuscolonon dovette dispiacere al giovane arciduca, notoriamente sensibilissimo alla celebrazione letteraria, e giovò sicuramente al B. per accreditare la sua fama di poeta laureato e il prestigio umanistico del suo stesso cognome che evocava oltr'alpi la gloria letteraria del cancelliere della Repubblica fiorentina Leonardo Bruni. Il 19 genn. 1478 fu nominato così lettore di poetica all'università di Lovanio per un anno, con uno stipendio di cinquanta corone. Il 3 febbr. 1479 fu riconfermato nella cattedra con un aumento di stipendio, visto il grande successo che riscuoteva il suo insegnamento. Restò a Lovanio ancora per alcuni anni: il 22 dic. 1485 chiese di essere incorporato nel Senato accademico per potere insegnare così anche giurisprudenza. Onde eludere il decreto del 19 ag. 1457 che ne impediva l'insegnamento ai professori che non si fossero addottorati a Lovanio e non risultassero in possesso di altri determinati requisiti, il 13 dicembre e nei giorni successivi tenne pubbliche lezioni di diritto all'università. Ma questo accorgimento non gli valse e la sua richiesta fu respinta. In conseguenza decise di abbandonare l'insegnamento: l'11 giugno 1486 percepì l'ultimo stipendio e il 17 luglio abbandonò Lovanio. Durante gli anni del suo insegnamento non aveva tralasciato di richiamare l'attenzione della corte di Massimiliano con l'offerta di una celebrazione letteraria, che, se non fu richiesta, risultò tuttavia certamente assai gradita. Nell'agosto del 1479 aveva pubblicato, sempre a Lovanio e per le stampe dello stesso Johann von Paderborn, una Gratulatio ad Maximilianum de victoria Morinensi triumphantem e nell'aprile del 1486 per le cure dello stesso tipografo un altro panegirico in occasione dell'incoronazione di Massimiliano a re dei Romani avvenuta il 9 aprile (De Maximiliani coronatione gratulatio). Queste profferte encomiastiche non restarono senza risultato: il 28 maggio 1486 fu nominato conte palatino e nello stesso anno entrò al servizio di Massimiliano.
Dei suoi primi anni di attività alla corte del re dei Romani non si hanno molti particolari. È noto che fu impiegato nelle vicende della guerra contro l'Ungheria, ma non si sa con quali compiti. Certo è solo che il 1º ott. 1495 Massimiliano gli concesse in riconoscimento dei meriti acquistati nel corso della guerra ungherese un nuovo stemma con l'aquila reale. Notizie più precise sono attestate a partire dall'anno 1493: il 16 marzo Ferrante d'Aragona, re di Napoli, si rivolse a lui, qualificandolo di segretario e ambasciatore del re dei Romani, e il 23 ottobre dello stesso anno lo ringraziò per la benevola accoglienza riservata all'ambasciatore napoletano. Nel maggio dello stesso 1493 il B. era a Roma come ambasciatore di Massimiliano e, coinvolto in una controversia protocollare, compilò una dissertazione storico-giuridica sui diritti di precedenza riservati al rappresentante diplomatico del re dei Romani. Consigliere reale almeno a partire dal 1494, il B. esercitava ormai una notevole influenza sulla politica italiana di Massimiliano, presso il quale soleva patrocinare gli interessi dell'uno o dell'altro principe italiano. Nella primavera del 1494 fu la volta del duca di Ferrara, Ercole I d'Este, che aveva inviato un'ambasceria per sollecitare la conferma del titolo ducale e l'investitura di tutte le città e terre del suo dominio. All'intervento del B. si dovette il successo della richiesta ferrarese. I rapporti con il duca restarono i migliori, se ancora il 22 genn. 1497 l'inviato estense Pandolfo Collenuccio, poteva riferirgli da Innsbruck di averlo "salutato e visitato e facto l'officio in nome di Vostra Excellentia", giudicandolo ancora un "vostro fedele servitore". L'influenza del B., che verso la metà del 1495 comincia a figurare nella cancelleria in veste di segretario della corrispondenza latina, si veniva intanto estendendo sempre di più, allargandosi ben oltre i confini della sola politica italiana della corte. Con lui in effetti trattavano abitualmente gli ambasciatori inglesi accreditati presso il re dei Romani. Egli sembrava capeggiare un influente partito di corte che appoggiava le rivendicazioni del presunto duca di York, Perkins Warbeck.
Generalmente ben disposto verso i potentati italiani, il B. osteggiava però quella politica di intervento massiccio in favore del duca di Milano sulla quale puntava sempre Ludovico il Moro per scongiurare la minaccia francese sul suo Stato. Un tentativo milanese di farlo cadere in disgrazia non ebbe successo, ma riuscì solo a ottenere il suo allontanamento dalla corte con una missione diplomatica. Nel luglio del 1496 fu inviato a Firenze insieme a Walter von Stadion per indurre la Signoria a desistere dall'impresa di Pisa e ad entrare nella lega antifrancese patrocinata da Massimiliano. I due inviati del re giunsero a Firenze il 19 agosto e il 20 furono ricevuti dal Consiglio degli ottanta appositamente convocato. Ebbero una risposta evasiva che celava solo il proposito di attenersi allo statu quo e di respingere la richiesta di Massimiliano. Ai primi di settembre i due ambasciatori poterono riferire al re dei Romani, disceso nel frattempo in Italia, del sostanziale insuccesso della missione fiorentina. Nello stesso settembre il B. partecipò, al seguito di Massimiliano, alle conferenze di Vigevano con Ludovico il Moro e successivamente si recò nel Monferrato per ammonire il marchese, feudatario dell'Impero, ad impedire il passaggio previsto delle truppe francesi che puntavano su Milano.
Nel corso di questa missione si ammalò e dovette restare per qualche mese a Casale, senza poter seguire Massimiliano in Toscana. In questo periodo intrattenne una fitta corrispondenza diplomatica, in particolare con l'arcivescovo Bertoldo di Magonza, nell'interesse del marchese del Monferrato. Nel dicembre era già guarito e il 12 risulta a Genova. Nel gennaio rientrò a Innsbruck, dove nel frattempo si era trasferita la corte del re. Per i due anni successivi le notizie su di lui mancano di nuovo: il 6 febbraio del 1499 fu nominato da Alessandro VI vescovo di Acqui. Raggiunse la diocesi nell'agosto dello stesso anno e vi convocò un sinodo, nel corso del quale confermò la prescrizione per i confessori di attenersi al confessionale di AntonioPierozzi o al Manipulus curatorum di Guido di Monrocher. Dopo questo rapido soggiorno non risiedette che assai di rado nella sua diocesi, distratto dall'attività pastorale dai suoi impegni diplomatici sempre rilevanti.
Nell'aprile del 1499 si fece il suo nome per un'ambasceria presso il duca di Savoia al quale occorreva intimare di impedire il passo all'esercito francese diretto su Milano. L'ambasciatore di Ludovico il Moro chiese che la stessa intimazione fosse fatta contemporaneamente al marchese del Monferrato. Ai primi di maggio il B. sembrava pronto a partire: il ministro imperiale Matteo Lang rifece però per ben tre volte il testo dell'istruzione, senza decidersi neanche per la terza redazione. La corte di Massimiliano non era disposta in effetti a compromettersi eccessivamente contro la Francia e l'ambasceria del B. non ebbe luogo, a dispetto dell'insistenza dei diplomatici milanesi che nel luglio ripiegarono su altra persona, ma senza ottenere maggiore successo.
Dopo questa data le sue tracce si perdono di nuovo fino al 1502, quando riappare attivo nel servizio diplomatico di Massimiliano. All'inizio di quest'anno si recò insieme a Giovanni Francesco delli Monti come ambasciatore reale a Venezia, nel novembre sollecitò Massimiliano in Augusta, alla presenza degli ambasciatori veneziani, a porsi alla testa della lega contro Cesare Borgia. Il 1º ott. 1503 il re, in riconoscimento deilunghi servizi da lui prestatigli, gli confermò i privilegi della chiesa di Acqui. Nel luglio del 1504 fu inviato a Venezia, insieme a Bartolomeo Firmiano, per appoggiare la richiesta pontificia di restituzione delle città e terre romagnole occupate dopo la morte di Alessandro VI. Il governo della Serenissima fece forti resistenze rifiutandosi di consegnare le città occupate. La trattativa condotta dal B. non ebbe quindi risultato positivo. Il suo stile di abile negoziatore gli conquistò però le simpatie di entrambi i contendenti: dei Veneziani che incaricarono il loro ambasciatore presso Massimiliano di "laudar grandemente a la Cesarea Maestà l'uno et l'altro de dicti oratori de gravità, prudentia, facundia, modestia et dexterità", di Giulio II che indirizzò il 1º ottobre un breve ai due diplomatici per significare loro tutta la sua gratitudine per l'opera svolta a Venezia. Fallita la missione veneziana, nel novembre il B. si trasferì a Roma, dove restò come ambasciatore di Massimiliano fino all'aprile del 1506. In seno al corpo diplomatico accredidato presso la Santa Sede godeva di incontestato prestigio e in occasione delle solenni cerimonie per la morte della regina Isabella di Castiglia, celebrate a Roma il 26 febbr. 1505, fu scelto per recitare l'orazione funebre. Da questo incarico si schermì però adducendo a pretesto le cattive condizioni di salute. I suoi rapporti con la Curia erano divenuti intanto così stretti da indurlo ad abbandonare il servizio di Massimiliano per entrare in quello di Giulio II. Così lascia supporre almeno la circostanza che nei mesi di settembre e ottobre dell'anno 1506 si recò a Milano per sollecitare, su incarico del papa e previa concessione di una forte somma, l'intervento militare francese nell'impresa di Bologna. All'inizio del 1507 risulta in Francia in qualità di oratore pontificio. Di ritorno a Roma vi morì improvvisamente il 6 febbraio 1508.
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