BUONVISI, Ludovico
Nato a Lucca nel 1494da Benedetto e da Filippa di Martino Cenami, gli venne imposto il nome di uno zio paterno già titolare della compagnia Buonvisi di Lione nella seconda metà del Quattrocento, e fu posto formalmente a capo della compagnia lionese fin dal 1507, quando, ancora minorenne, era rappresentato dal padre.
La ditta si chiamava "Ludovico Buonvisi, Bonaventura Micheli e C." e ne era "socius, gubernator et institor" Urbano di Iacopo Parensi; a Lione, fra il personale della ditta, erano nel 1511Giovanni Parensi, Ludovico e Tommaso Penitesi e Andrea da Collodi. L'intitolazione della compagnia lionese dei Buonvisi rimase la medesima fino al 1521; la sua stessa organizzazione non dovette conoscere molti mutamenti perché Benedetto Buonvisi aveva raccomandato di conservare il Parensi (cui poi si aggiunse Girolamo Arnolfini) alla guida della società, il che avvenne, anche se il B. soggiornò più d'una volta a Lione. Le attività bancarie e commerciali dei Buonvisi di Lione erano, già prima del 1522, fiorentissime e abbiamo sparse notizie dei cambi e dei prestiti da essi effettuati: fra i clienti troviamo i Cenami, la Giano Grillo e C. di Genova, la Signoria di Venezia (per un pagamento di 20.000 scudi alla corona di Francia nel 1517) e lo stesso Francesco I.
Per le attività commerciali si può segnalare il traffico del guado: Urbano Parensi e Girolamo Arnolfini ne ottenevano la tratta illimitata da Bordeaux nel 1513. Le lettere dei Buonvisi di Lione che corrono per l'Italia e per l'Europa sono la migliore testimonianza dell'ampiezza delle relazioni della compagnia e della rapidità dei suoi collegamenti. Con l'inizio del 1522 Bonaventura Micheli uscì dalla compagnia e costituì una nuova società con Urbano Parensi; la ditta dei Buonvisi, anche se perse il suo miglior collaboratore, rimase la più importante delle banche lucchesi in Francia e si intitolò da quel momento "Antonio, Ludovico Buonvisi e C.", per poi divenire "Antonio, eredi di Ludovico Buonvisi e C." dal 1550 e "Eredi di Antonio e Ludovico Buonvisi" dal 1559 al 1564.
Nel 1564 la compagnia di Lione si aprì con la nuova intitolazione "Eredi di Ludovico, Benedetto Buonvisi e C.": ne erano soci Alessandro e Girolamo di Ludovico Buonvisi, Benedetto, Lorenzo, Paolo e Bernardino di Martino Buonvisi e Michele Diodati; la direzione era affidata a Girolamo e Bernardino Buonvisi. Oltre alla scomparsa del nome di Antonio Buonvisi dalla ragione sociale il fatto di maggior rilievo era il ritiro di Vincenzo di Benedetto Buonvisi, così che soltanto agli eredi di due dei quattro figli di Benedetto restava la responsabilità dell'ormai forse centenaria società lionese dei Buonvisi. Alla compagnia gli eredi del B. partecipavano con una "missa" di 10.600 scudi, 250 dei quali per "un amico di Giuseppe Buonvisi". Oltre a questa "missa" gli eredi del B. ne fecero un'altra di 4.000scudi, 2.000 dei quali per Ferrante Sbarra (che nel 1560 aveva sposato una figlia del B.), 1.000 per Paolo Bertolani (marito d'una figlia naturale del B.), 500 per Cesare Sbarra (marito d'una figlia naturale di Vincenzo Buonvisi) e 500 per la compagnia dei lucchesi Orsucci e Sbarra di Napoli. Non conosciamo l'ammontare del capitale sociale della compagnia lionese del 1564-69, ma se gli eredi del B. partecipavano nella stessa misura della precedente compagnia (20% circa), esso probabilmente si aggirava sui 70.000 scudi. La compagnia di Lione del 1564-69 fu socia, non sappiamo con quale apporto di capitale, della "Alessandro, Giuseppe e Lorenzo Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1565-69; della "Paolo Buonvisi, Alessandro di Michele Diodati e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1565-69.
La successiva compagnia di Lione dei Buonvisi si aprì con la medesima ragione sociale nel 1569. I soci erano gli stessi della ditta precedente ma con l'aggiunta di Alessandro di Michele Diodati e Pandolfo di Andrea Cenami che tennero la direzione della compagnia con Bernardino e Girolamo Buonvisi. La compagnia lionese del 1569-74 partecipava alla "Alessandro, Giuseppe e Lorenzo Buonvisi e C." di Lucca (arte della seta) aperta nel 1570 e poi rinnovata sotto la stessa intitolazione il 1º genn. 1573 per cinque anni; alla "Alessandro di Michele, Nicolao Diodati e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1570-77; alla "Alamanno e Bartolomeo Orsucci di Napoli" del 1573-76 (con una accomandita di 3.000 ducati del Regno, pari al 15% del capitale complessivo) e alla "Santi del Duca e Cosimo Orsucci e C. di Monteleone di Calabria" del 1573-76 (con una accomandita di 1.500 ducati del Regno, pari all'8,1% del capitale complessivo).
La "Eredi di Ludovico, Benedetto Buonvisi e C. di Lione", rinnovata per l'ultima volta sotto questa ragione sociale nel 1575 "per essercitarsi in Lione et Ciamberì" e destinata a chiudersi nel 1580, comprendeva tutti i soci della precedente società ad esclusione di Michele Diodati e di Pandolfo Cenami; erano entrati come nuovi soci Lorenzo Cenami e Andrea Massei; quest'ultimo andò al governo della compagnia insieme con Alessandro di Michele Diodati, mentre conservavano la firma anche Bernardino e Girolamo Buonvisi. La compagnia fu socia della "Alessandro di Michele, Nicolao Diodati e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1578-1582.
Oltre che nella compagnia di Lione il B. fu socio "nominatus" nella compagma del banco di Lucca: agli inizi tuttavia pare che il suo nome non fosse il primo nella ragione sociale ma seguisse quello del fratello Martino; dopo la sua morte, e certamente dal 1545, la ditta si intitolò "Ludovico Buonvisi, Michele Diodati e C." e durò fino al 1554 dopo aver cambiato la ragione sociale in "Eredi di Ludovico Buonvisi, Michele Diodati e C." nel 1550. Essa aveva un capitale di poco superiore agli 8.500 scudi, 4.000 dei quali versati dal B. (ma soltanto 3.200 erano suoi; 500 gli vennero affidati dalla vedova di Martino Buonvisi e 300 da sua moglie). La ripartizione degli utili cominciò nel 1555 ed era praticamente conclusa nel 1559: complessivamente la compagnia guadagnò il 69,2% della "missa" iniziale.
La successiva compagnia del banco di Lucca, sotto l'intitolazione "Eredi di Ludovico Buonvisi, Benedetto di Martino Buonvisi, Michele Diodati e C." si aprì il 1º marzo 1555 con un capitale di 10.000 scudi. Ne erano soci Alessandro e Girolamo di Ludovico Buonvisi, Benedetto e Lorenzo di Martino Buonvisi, Michele di Alessandro Diodati (che del B. era cognato) e gli eredi di Niccolò Diodati; l'amministrazione toccava a Michele Diodati, Benedetto Buonvisi e Giuliano Calandrini, ma avevano diritto alla firma anche Alessandro, Girolamo e Lorenzo Buonvisi. Gli eredi del B. partecipavano con 2.500 scudi (di cui 500 della madre), che fruttarono, attraverso ripartizioni prolungatesi dal 1560 al 1567, 2.082 scudi; la compagnia realizzò cioè un utile dell'83,2%.
Nel 1560 si aprì, sotto la medesima ragione sociale, una compagnia il cui capitale era stato portato a più di 30.000 scudi. Ne erano soci, oltre a quelli della ditta precedente, Vincenzo di Benedetto Buonvisi, Paolo e Bernardino di Martino Buonvisi, Pompeo di Niccolò Diodati (per la metà dell'eredità del padre) e Baldassarre Cittadella. Dal gruppo degli amministratori erano usciti Giuliano Calandrini e Benedetto Buonvisi cui era subentrato Lorenzo Buonvisi. Erano ammessi alla firma tutti i Buonvisi ad eccezione di Vincenzo. I 6.000 scudi di "missa" degli eredi del B. (900 dei quali appartenenti alla madre) fruttarono 2.450 scudi fra il 1564 e il 1567; a quest'ultima data la compagnia aveva dunque già realizzato un utile del 45%.
I 6.000 scudi di "missa" (nulla sappiamo del capitale sociale e degli utili) furono mantenuti dagli eredi del B. anche nella cempagnia aperta nel 1564 sotto la medesima precedente intitolazione. Non comparivano più fra i soci gli eredi di Niccolò Diodati, Pompeo Diodati e Vincenzo Buonvisi; ai precedenti si era aggiunto il solo Ferrante Sbarra (cognato di Alessandro e Gerolamo Buonvisi) che era anche divenuto governatore della società insieme con Baldassarre Cittadella. Tutti i soci erano ammessi alla firma.
Intitolazione, soci e governatori rimasero immutati nella compagnia del banco di Lucca del 1570-74. Ancora "Eredi di Ludovico Buonvisi, Benedetto Buonvisi, Michele Diodati e C." si chiamò la società del 1575-80: ne fu confermato governatore il solo Ferrante Sbarra, mentre ai soci si aggiunsero Niccolò Gigli e GiovanniCarli che tuttavia non furono ammessi alla firma.
Il 1º ag. 1580 la compagnia venne rinnovata sotto la medesima intitolazione per cinque anni; non erano più fra i soci Lorenzo e Paolo Buonvisi, mentre si aggiunsero Mario di Vincenzo Buonvisi e Benedetto de' Nobili; a Michele Diodati, morto nello stesso 1580, si sostituì il figlio Alessandro. La compagnia ebbe una partecipazione in accomandita di 500 once (su 7.000) nella "Paolino Santini e C. di Palermo e Paolino Santini, Marcantonio Franciotti e C. di Messina"apertasi il 12 giugno 1585 per tre anni.
Il 1º genn. 1586 la compagnia del banco di Lucca venne rinnovata fino a tutto il 1590 sotto l'intitolazione "Eredi di Ludovico Buonvisi, Benedetto Buonvisi, Alessandro Diodati e C.". Alla direzione, accanto a Ferrante Sbarra, era stato chiamato Giovanni Carli; nessun mutamento era intervenuto fra i soci. La compagnia ebbe una partecipazione in accomandita di 2.000 ducati del Regno (il 20% del capitale sociale) nella "Giuseppe Benassai e C." di Reggio Calabria.
La successiva compagnia del banco di Lucca, apertasi il 1º giugno 1591 e destinata a durare 5 anni, registrò, dopo quasi un cinquantennio di collaborazione, il distacco dei Diodati dai Buonvisi: fin dal 30 marzo 1588 si era infatti costituito il banco di Lucca "Francesco [di Gerolamo] Arnolfini, Girolamo [di Michele] Diodati e C." di cui erano soci Alessandro di Michele Diodati e i suoi fratelli. La compagnia Buonvisi del banco di Lucca assunse la denominazione "Eredi di Ludovico, Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C."; governatore della società era il solo Ferrante Sbarra; i soci, oltre a quelli nominati nella ragione sociale, erano Girolamo e Alessandro Buonvisi, Baldassarre Cittadella, Giovanni Carli e Ferrante Sbarra.
Ancora sotto la precedente intitolazione la compagnia del banco di Lucca venne rinnovata, con i medesimi soci e con lo stesso governatore, il 1º giugno 1596 per cinque anni: ma nel 1599 essa fu interrotta e, con l'uscita di Alessandro e Girolamo Buonvisi assunse la denominazione "Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C.": soltanto dopo cinquant'anni dalla morte del B., il suo nome cessava di figurare nella ragione sociale del banco lucchese.
Il B. fu anche interessato alla compagnia Buonvisi di Anversa, la cui precisa intitolazione, fra il 1529 e il 1544 non ci è nota; è certo comunque che vi partecipavano sia il B. sia Martino Buonvisi e che nel 1544 vigeva ad Anversa la "Ludovico Buonvisi, Nicolao Diodati e C." diretta da Girolamo Diodati. Il B. e Niccolò Diodati sono compresi, ad esempio, fra gli assicuratori, ad Anversa, di due navi cariche di guado noleggiate da Giovan Battista e Lorenzo Guicciardini, e gli eredi del B. sono elencati nel 1551 fra i membri delle nazioni italiane di Anversa. Nel marzo del 1549, ancor vivente il B., era stata infatti aperta la "Ludovico Buonvisi, Michele e Girolamo Diodati e C." che durò probabilmente fino al 1556 quando le successe la "Alessandro Buonvisi e C.". Il B. partecipò alla compagnia che a lui si intitolava con una "missa" di 3.000 scudi, 1.000 dei quali toccavano al fratello Vincenzo: tutta la cifra venne anticipata al 6,5% annuo da Antonio Buonvisi, fratello dei due. In un conto "Spese, profitti, interessi e danni" del 1569 gli eredi del B. annotavano fra i danni 908 scudi "per tanto si perdé della missa havevamo in ditta ragione" (Casali, cc. 160 s.): la compagnia di Anversa del 1549-56 si sarebbe dunque conclusa con una perdita di poco più del 30%.
Il B. fu legato anche alle aziende dell'arte della seta di Lucca e alle ditte di Napoli e di Palermo, delle cui attività non abbiamo peraltro che frammentarie informazioni. Fu aperto dal B., purtroppo soltanto un anno prima della morte, e continuato dai suoi eredi l'unico grande libro contabile dei Buonvisi che ci sia giunto per il Cinquecento. Si tratta d'un libro personale di oltre 200 carte scritte di grande formato attraverso il quale è possibile risalire, almeno per sommi capi, alla struttura e all'attività delle aziende Buonvisi e alle forme d'impiego dei capitali. Appunto con un conto capitali si apre il libro e ne ricaviamo che nel 1549 il patrimonio del B. ascendeva a 31.200 scudi, di cui 23.000 (76,9%) rappresentati da beni immobili e 8.200 (23,1%) dal liquido investito o depositato presso le aziende Buonvisi. Nel 1549 il B. valutava in 2.500 scudi la sua quota parte dei beni (il palazzo Buonvisi e pochi altri annessi) che erano rimasti indivisi nel 1520 quando i quattro figli di Benedetto avevano provveduto alla ripartizione del patrimonio immobiliare paterno. Il valore della parte toccata al B. ascendeva nel 1549 a 4.964 scudi (la stessa cifra del 1520 quando era stata espressa in ducati): essa comprendeva "le posissioni d'Orbicciano e tutto quello habbiamo là intorno" (2.864 ducati), "la possissione di Forci" (750 ducati) e altri possessi per 1.350 ducati: questi beni rendevano annualmente 282 staia di grano, 331 some di vino, 272 libbre d'olio e 60 ducati d'oro. Il B., che in un primo tempo aveva scelto la parte poi toccata al fratello Antonio (sottoscrivendo l'accettazione a Bruges l'8 nov. 1520), optò per i beni sopra elencati il 4 febbr. 1521, quando si trovava a Lione.
Fra il 1520 e il 1549 il B. comprò poi beni per 3.116 scudi in varie zone del contado lucchese e spese altri 1.000 scudi per migliorie: "2.000 calculo vaglino le muraglie fatte a Forci, e 500 i menaggi miei particulari di Forci e di Lucca, e 500 le muraglie fatte al mulino di Piazzano su la Freddana".
La spiccata inclinazione del B. per l'investimento immobiliare è confermata dall'accordo stretto nell'agosto 1549 fra il B., il fratello Vincenzo e i nipoti eredi del fratello Martino. Vi si ricordava che dopo la morte di Martino, avvenuta nel 1538, il B., che era stato "quasi sempre" a Lucca, aveva avuto cura del patrimonio immobiliare della famiglia, aveva mantenuto "la casa aperta" e aveva amministrato i capitali liquidi investiti da Vincenzo Buonvisi e dagli eredi di Martino, nel banco di Lucca, nelle compagnie dell'arte della seta e nelle "ragioni di Palermo, Napoli et Anversa". Il B. vantava un credito di 4.471 scudi nei confronti di Vincenzo e di 4.949 scudi nei confronti degli eredi di Martino e si fece cedere a saldo, con patto di retrocessione, le parti loro spettanti del palazzo Buonvisi e vari altri beni stabili.
I notevoli investimenti immobiliari del B., se da un lato sembrano coincidere con una contrazione di traffici mercantili e bancari che avrebbe colpito (ma non è più d'una impressione) le aziende della famiglia fra il 1530 e il 1550, dall'altro sono rivelatori della tendenza dei Buonvisi a porsi come "principes civitatis", sia pure senza alcun privilegio politico, a partire dalla "gloriosa entrata" dell'aprile 1532 che soffocò il moto degli straccioni. Il B. succedette infatti al fratello maggiore Martino alla guida della famiglia nel 1538, quando aveva alle spalle una già lunga carriera politica.
Era stato degli Anziani per la prima volta nel 1518; era tornato a ricoprire la carica nel 1522, 1523, 1533 e 1537 ed era stato eletto gonfaloniere nel 1527 e nel 1530. Nel luglio del 1522, insieme con il fratello Martino, fu degli undici cittadini che si fecero mallevadori delle taglie da pagare a chi avesse ucciso o fatto arrestare i poggeschi. Nel 1530 era stato uno dei tre fideiussori per il riscatto di Gian Paolo da Ceri fatto prigioniero dal Maramaldo, e dovette sborsare 1.500 ducati per liberare la Repubblica dalla minaccia di saccheggio del contado. Appena scoppiato il moto degli straccioni il B., "molto amato dal Populo", secondo il commissario estense in Garfagnana, insieme con Francesco Burlamacchi era accorso fra i primi a parlamentare con i tumultuanti. Nell'aprile del 1532 aveva organizzato i gruppi di armati che i Buonvisi, con altri nobili, diressero poi contro gli straccioni domandone la rivolta. Pochi mesi prima, nell'ottobre del 1531, aveva sposato Caterina di Alessandro Diodati, aprendo la via all'alleanza familiare e mercantile delle due più ricche famiglie lucchesi.
Dopo la morte di Martino il B. fu estratto gonfaloniere nel 1540 (ma era assente da Lucca), nel 1542 e nel 1547, e tra gli Anziani nel 1544 e nel 1551, quando "era morto". Il 19 nov. 1542 fu eletto per un anno alla magistratura dei Segretari, "organo di polizia politica dotato di larghissimi e discrezionali poteri".
Celebre fu la sua villa di Forci dove riunì con larga ospitalità una piccola corte di letterati lucchesi e forestieri. Al soggiorno nella villa del B. (ricordata, fra gli altri, anche dal Varchi) sono legate le Forcianae Quaestiones di Ortensio Lando che in questa, come in altre opere, non mancò di citare onorevolmente il suo ospite. Anzi, nelle Miscellaneae Quaestiones (dedicate al lucchese Pietro Vanni, ambasciatore inglese a Venezia, di cui per primo il B. aveva parlato all'autore) il Lando definisce il B. "compater meus", probabilmente per essersi trovato a battezzare una delle sue figlie. Particolarmente legato al B. si dice Aonio Paleario in una commendatizia per suo figlio Alessandro; la circostanza sembra confermata anche dal processo che il Paleario subì: il B. era fra le persone che egli dichiarava di aver più assiduamente frequentato durante il soggiorno lucchese.
Nella villa di Monte San Quirico il B. ospitò infine nel 1541 Paolo III e Carlo V in occasione del loro incontro lucchese: a Carlo V il B. era stato inviato come ambasciatore della Repubblica già nel 1533.
Il B. fece testamento il 4 nov. 1550 ed era già morto il 1º dicembre, quando nel suo stesso libro si annotava in un conto "spese e danni" il pagamento effettuato per un lascito allo Spedale degli Incurabili.
Il B. lasciò eredi i suoi due unici maschi Alessandro e Girolamo. Delle sue figlie, Caterina nel 1555 sposò con 2.000 scudi di dote Giuseppe Arnolfini, probabilmente già suo stretto parente se si dovettero spendere 26 scudi per ottenere a Roma la dispensa; Chiara avrebbe sposato Giuliano Arnolfini; Maria, nel 1560, Bernardino Arnolfini (e ad uno dei loro figli venne imposto il nome di Ludovico); Angela nello stesso anno portò i suoi 2.000 scudi di dote a Ferrante Sbarra, uno dei più fedeli collaboratori dei Buonvisi; una figlia naturale, Lucrezia, venne sposata a Paolo Bertolani, altro dipendente, e talora anche associato, dei Buonvisi: per fare entrare in convento le sue due figlie gli eredi del B. sborsarono 200 scudi nel 1558. Lo stesso B., nel 1549. aveva assegnato a Lucrezia una dote, in denari e in corredi, di 500 scudi.
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