CALDA, Ludovico
Nacque a Parma il 9 luglio 1874 da Giacomo ed Erminia Bosi. Quando il padre, maestro elementare, nel 1887 prese servizio a Licciana (Massa-Carrara), egli aveva già lasciato la famiglia. Giovane irrequieto, abbandonò ben presto gli studi, per cercarsi un lavoro come tipografo, prima nella città natale, poi a Borgotaro, dove entrò in contatto con l'associazione tipografica, che, nel gennaio '93, gli rifiutava un articolo, "per irruenza del linguaggio". Fu ancora a La Spezia e, alla fine del '93, approdò a Genova dove nel luglio '94 veniva licenziato dall'atenda presso la quale lavorava, per aver cercato di organizzare gli operai. Iscrittosi all'associazione tipografica, divenuta Federazione del libro, e al Partito socialista, figurava tra i sottoscrittori per De Felice e i fasci siciliani.
Lavorando saltuariamente nella tipografia del Secolo XIX, diviene l'animatore della sezione genovese della Federazione del libro, che lo manda al congresso di Bologna del marzo '98: quando, nel maggio dello stesso anno, il prefetto ordina lo scioglimento dell'organizzazione, il C. viene deferito all'autorità giudiziaria.
Coopera con Leone Ricciotti e Giovanni Lerda alla ricostituzione della sezione tipografica sotto veste di Società di mutuo soccorso e di quella del Partito socialista come circolo Pisacane; subisce una condanna pecuniaria nel gennaio '99. Nuovo decreto di scioglimento, nel maggio '900, e nuova condanna questa volta a un mese di carcere. Quando esce si affianca a Pietro Chiesa, nell'opera di ricostruzione della Camera del lavoro. Collabora all'Avanti! e al Giornale del Popolo, ad Era nuova, periodico diretto dal Canepa. Sul giornale Il Tipografo si batte per una maggiore qualificazione politica degli organismi di categoria. Viene rapidamente acquisito nel gruppo dirigente del sindacalismo ligure: in ottobre, a Sampierdarena, è relatore al congresso regionale delle mutue, cooperative e Camere del lavoro, ed estensore dell'ordine del giorno in favore della Federazione nazionale delle Camere del lavoro. È tra gli animatori dello sciopero con cui la Camera del lavoro di Genova riconquista la legalità, e fornisce l'occasione alla svolta giolittiana: parla alla imponente assemblea del teatro Carlo Felice, il 23 dicembre, a nome della nuova commissione esecutiva, della quale diventa primo segretario, in sostituzione del panettiere A. Benatti. Della triade del riformismo genovese, di cui Chiesa rappresentava la voce in Parlamento e Canepa il teorico ufficiale, il C. diviene la pedina più preziosa, il momento imprescindibile, assolutamente prezioso, dell'organizzazione, dell'imbrigliamento e della regolamentazione delle energie spontanee, di categorie che avevano ancora evidenti caratteri corporativistici e che, come i lavoratori portuali, divennero le sezioni portanti della versione riformista della Camera del lavoro genovese. Questo prezioso lavoro, fatto di assidua presenza nelle lotte sindacali negli anni cruciali 1901-1902, di una sapiente opera di freno e di mediazione, sfocia, agli inizi del 1903, nell'operazione in virtù della quale la Camera del lavoro di Genova si afferma come la roccaforte del riformismo, ligure e il perno della sua presenza nella regione. Messi in minoranza nella sezione socialista - il C. non fu delegato a Imola (1902), come non lo sarà a Bologna (1904) - il 26 febbr. 1903 i riformisti lanciavano la proposta, nell'assemblea della sezione socialista genovese, di un organo coordinatore di tutte le associazioni operaie del Genovesato.
Cinque associazioni aderiscono, e danno vita a un comitato provvisorio in cui entra anche il C., che in tempi brevi prepara un congresso costitutivo per il 26 aprile; congresso dal quale esce legittimata l'Unione regionale ligure fra le associazioni operaie. In quella stessa sede il C., che con Chiesa e Muraldi viene chiamato a dirigere l'Unione, propone la pubblicazione di un quotidiano: è Il Lavoro che, subentrando al periodico Era nuova, inizia le pubblicazioni il 7giugno, sotto la direzione del Canepa.
Il C. coopera con la presidenza del Consorzio del porto, a fine giugno, per convogliare all'interno di quell'organismo, da lui stesso propugnato, gli interessi dei lavoratori portuali dei quali dirige la Federazione nazionale che ha sede in Genova, e vive quasi esclusivamente degli iscritti genovesi. Alle elezioni amministrative del giugno 1902, intanto, il C. era entrato nel Consiglio comunale, una esperienza che si chiude con le elezioni del 1906; è ormai un uomo influente anche su scala nazionale. Nel 1904, grazie alle sue pressioni, Chiesa, sconfitto a Genova, viene eletto nel collegio di Budrio, lasciato libero da Bissolati, e il riformismo genovese può continuare a usuftuire del suo rappresentante a Genova.
L'offensiva generale dell'ala rivoluzionaria del Partito socialista ha successo anche localmente. I riformisti, che perdono il controllo della Camera del lavoro di Sampierdarena, rispondono dichiarando la Camera del lavoro di Genova autonoma dal Segretariato nazionale della resistenza e, dopo averla epurata di alcuni iscritti, fondano una Federazione autonoma socialista, di cui il C. è tra i dirigenti. Nell'agosto 1906, il C. partecipa alla riunione di Milano, indetta da Cabrini, in cui i riformisti predispongono i tempi e i modi del congresso costitutivo della Confederazione generale del lavoro, che si tiene due mesi dopo. Al congresso il C., per il gruppo genovese, appoggia l'ordine del giorno Reina sulla cui base, con l'emarginazione dei sindacalisti rivoluzionari, si struttura la nuova organizzazione sindacale centralizzata. Nel novembre, il C. viene cooptato nel comitato direttivo della C.G.d.L., in sostituzione di un membro, dimessosi per incompatibilità. Negli anni pieni dell'età giolittiana sempre mantenendo la segreteria della C.d.L. di Genova, mette al servizio della Confederazione del lavoro tutte le sue capacità di paziente elaboratore di tecniche sindacali, interessandosi di infartunistica del lavoro, di disciplina degli appelli nazionali ed internazionali durante gli scioperi, di rapporti tra resistenza e cooperazione e tra diverse categorie di lavoratori. Il compito più delicato gli viene affidato nel 1911: è quello di svolgere, con la Bonetti Altobelli, l'inchiesta sui fatti di Romagna per la questione delle trebbiatrici; sua la relazione conclusiva, approvata al Consiglio direttivo del 31 marzo-1º apr. 1912, e presentata al Consiglio nazionale del 2-5 aprile per il conferimento delle trebbiatrici "alle organizzazioni collettivamente interessate".
Intanto una nuova crisi matura nel Partito socialista, di fronte alla quale la triade riformista genovese pare seguire vie diverse: in seguito al congresso di Reggio Emilia, mentre la sezione socialista di Sampierdarena, con P. Chiesa, resta nel partito, la sezione di Genova, con Canepa, si organizza in gruppo autonomo, riesumando l'organo ufficiale Era nuova.Il C. invece, "posponendo la passione politica a quella sindacale" (Bettinotti), si dimette dal partito senza però aderire ufficialmente al gruppo. La ritrosia del C. a impegnarsi in una attività più squisitamente politica si riscontra anche sul terreno della battaglia elettorale: candidato nel III collegio a sua insaputa, e senza successo, alle elezioni del 1913, declinerà poi la proposta di ripresentarsi e nel 1919 e nel 1921.
La rottura col Partito socialista ufficiale è, comunque, rinviata di poco. Decisamente contrario alla politica dineutralità, allo scoppio della I guerra mondiale si pronuncia per la partecipazione accanto agli Stati dell'Intesa, facendosi portavoce di questa linea assieme al Canepa, dalle pagine de IlLavoro, mentre, nell'agosto 1914, la Camera del lavoro di Genova fa proprie le posizioni ufficiali della C.G.d.L., pur lasciando ai suoi soci libertà di opinione e azione. Nell'ottobre è tra quelli che simpatizzano con il gesto di Mussolini, che provoca l'espulsione e il passaggio dello stesso nello schieramento interventista. è l'unico a votare contro la blanda mozione neutralista del direttivo della C.G.d.L. del 5 genn. 1915, voto che ha la debolezza di giustificare, in privato, a Rigola, come espressione della maggioranza dei socialisti genovesi. Il che non lo esime, in vista della "probabilissima partecipazione dell'Italia al conflitto", nell'aprile del '15, dal presentarsi dimissionario dalla segreteria della Camera del lavoro: dimissioni ripetute nell'ottobre (assieme a quelle da consigliere della C.G.d.L.), sempre respinte e rientrate definitivamente con la clausola, voluta dal C., che avrebbe riassunto, a partire dal 1º dicembre, la segreteria fino a non più di quattro mesi dopo la fine della guerra.
Declinato verbalmente un incarico a metà dicembre, gli si apriva quello, vacante per la morte di Chiesa, di consigliere della Cassa di previdenza per l'incolumità e vecchiaia degli operai (istituita nel 1898), di cui tre anni dopo diveniva vicepresidente, subentrando a Leopoldo Torlonia: nel 1920 l'ente, con l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria, si trasformava in Cassa nazionale per le assicurazioni sociali e il C. ne assumeva una delle due vicepresidenze (quella di parte operaia).
Nei primi due anni di guerra, in assenza di Giulietti, arruolatosi, fu delegato della direzione della Federazione dei lavoratori del mare. Ai primi di luglio del 1916, nonostante il parere contrario della C.G.d.L., con Cabrini e Bonfiglio, della Lavoratori del mare, si reca alla conferenza di Leeds che lo nomina nell'ufficio centrale. Agli inizi del '17 viene richiamato nella milizia territoriale, in un battaglione di stanza a Genova, in sostituzione del secondo segretario della Camera del lavoro Ancillotti, e presenta ancora le dimissioni da consigliere della C.G.d.L.; in sostituzione, ora, di Cabrini, nell'agosto, entra nel Comitato per la mobilitazione industriale, presieduto dal gen. Dallolio. Dopo Caporetto, si mette a disposizione del gen. Pellegrini, capo dell'ufficio propaganda e collabora al giornale per la truppa, Resistere ("si prodiga in mille modi nei comitati assistenziali"). Senza darlo a vedere, a passi lenti ma metodici, sia pure su posizioni di rincalzo, in pieno conflitto, il C. si trova inserito in due tra gli organi più delicati (propaganda tra le truppe e mobilitazione industriale) della macchina bellica italiana.
Nel primo dopoguerra, il movimento operaio gli appare investito da un "vento di follia": di fronte alle lotte contro il carovita dell'estate 1919 dichiara, che il problema deve essere affrontato nella "più fraterna solidarietà". Anche il movimento operaio genovese ha cambiato volto: ai primi del '20 la Camera del lavoro si scinde in due. Nel giugno il C. si dimette da segretario. Gli resta la segreteria del Sindacato nazionale delle organizzazioni portuarie, carica che in agosto assomma a quella di direzione dell'Ufficio tecnico di assistenza e di coordinamento del movimento operaio di Genova, vecchio organo di collegamento, riesumato dai riformisti, per ridare vigore alla loro azione nel Genovesato.
Il pragmatismo del primo decennio si va stemperando in un arido e incolore tecnicismo, in un possibilismo molto lato, che non si arresta né si sconcerta dinanzi all'azione politica del vecchio amico Mussolini. Nel settembre del '21, avendo raccolto voci di una prossima spedizione fascista a Genova, scrive a Canepa per consigliarlo di recarsi presso il prefetto, e insieme, per scongiurare la cosa, di intervenire sui fascisti locali.
Sul finire dell'anno Canepa lascia la direzione de Il Lavoro e viene temporaneamente sostituito dal C.; dimessosi da quell'incarico, il consiglio d'amministrazione del giornale lo coopta alla propria presidenza. Nel gennaio del '22, con l'aiuto di Giulietti, blocca l'azione rivendicativa del sindacato dei portuali, di cui è sempre segretario; nel luglio si dichiara contro lo sciopero generale; nel settembre è tra i primi a pronunciarsi per la rottura del patto d'unità col Partito socialista. Il C., con tutto il gruppo di quadri, soprattutto sindacali, che si è aggregato nel decennio giolittiano, pensa probabilmente di salvare la "sua" organizzazione, ritirandola dalla mischia, sottraendola allo scontro. Ma sotto la cenere della problematica sindacale cova una molla più profonda, un vecchio motivo corporativo, residuato degli anni della sua formazione, che è quello che gli fa dire, d'accordo con i fascisti, che "la produzione non è il fatto del solo lavoro manuale, e che pertanto esiste una solidarietà fra i diversi fattori della produzione socialmente utili" (Bettinotti). Non a caso perciò, ai primi del '27, all'interno di un regime che si va consolidando, con la "vecchia scuola confederale" si raccoglie nella Associazione nazionale studi (A.N.S.) "Problemi del lavoro", riesumando una rivista e una tematica, già sperimentata dai riformisti con ben altra vitalità, venticinque anni prima. L'operazione, in realtà, serve al regime, in un momento in cui, auspice Cabrini, con la Carta del lavoro, mira ad avere udienza presso gli organismi internazionali di Ginevra. Le stesse intenzioni ("non chiudere gli occhi dinanzi alla realtà") presiedono alla ripresa della pubblicazione de IlLavoro nel maggio (dopo una sospensione di sei mesi), giornale nel quale il C. mantiene la presidenza del consiglio di amministrazione. La politica corporativa è occasione perché il primitivo atteggiamento di "studio e interessamento" si trasformi in una manifestazione di "simpatia e adesione" da parte del gruppo della rivista, che progressivammte langue e si spegne (con l'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale). Nonostante sia un "ammiratore e devoto di S. E. Mussolini" (come sostiene il ministro degli Interni, in una lettera al prefetto di Genova: cfr. Arch. Centr. d. Stato), nel corso degli anni '33-35, il C. deve lamentare alcune fastidiose attenzioni degli organi di polizia. Nel marzo del '38 assume anche la direzione de IlLavoro, che continua ad uscire fino al 1944. Dopo il '42 scende progressivamente il silenzio su di lui.
Il C. morì a Genova il 15 giugno 1947.
Fonti e Bibl.: Archivio Centrale dello Stato, Casellario polit. centrale, busta 691, fasc. 9193. Apologetico, ma tanto utile quanto significativo, il libro di M. Bettinotti, Vent'anni di movim. operaio genovese: P. Chiesa, G. Canepa, L. C., Milano 1932, passim;nutrito di riferimenti il lungo saggio di G. Perillo, Socialismo e classe operaia nel Genovesato dallo sciopero del 1900 alla scissione sindacalista, in Movimento operaio e socialista in Liguria, VI(1960), n. 4, pp. 103-121; n. 5, pp. 155-179; n. 6, pp. 183-203; VII (1961), n. I, pp. 37-56; n. 3-4, pp. 285-333 passim;ed ancora di G. Perillo, Icomunisti e la lotta di classe in Liguria negli anni 1921-22,ibid., VIII (1962), n. 3-4, pp. 223-294; IX (1963), n. 2-3, pp. 189-244 passim. Cfr. inoltre: A. Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra, Milano 1926, p. 46; R. Rigola, Storia delmovimento operaio italiano, Milano 1946, pp. 198, 315; G. Zibordi, Storia del Partito socialistaitaliano attraverso i suoi congressi, Reggio Emilia s.d., p. 89; L. Albertini, Vent'anni di vitapolitica, II, L'Italia nella guerra mondiale, Bologna 1951, I, p. 419; S. Merli, Corporativismo fascista e illusioniriformistiche nei primi anni del regime. L'attività dell'A.N.S. - Problemi del lavoro nelle carte di R. Rigola, in Riv. stor. del soc., II(1959), n. 5, p. 136; Il delitto Matteotti tra Viminale e Aventino, a cura di G. Rossini, Bologna 1961, p. 968; L. Ambrosoli, Néaderire né sabotare, Milano 1961, pp. 60, 104, 137; F. Pedone, IlPartito socialista italiano nei suoi congressi, Milano 1961, II, pp. 125, 162, 168, 180, 188, 216; Lo Stato Operaio (1927-1939), I, a cura di F. Ferri, Roma 1962, ad Indicem; La Confederazione generale del lavoro, negli atti, nei documenti, nei congressi (1906-1926), a cura di L. Marchetti, Milano 1962, ad Indicem; Quarant'anni di politica italiana, II(1901-1909), a cura di G. Carocci, Milano 1962, ad Indicem;R. Zangrandi, Illungo viaggio attraverso il fascismo, Milano 1962, pp. 64 s.; L. Valiani, IlPartito socialista ital. nel periodo della neutralità (1914-15), Milano 1963, ad Indicem; Documenti inediti dell'Archivio A. Tasca. La Rinascita del socialismo ital. e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939, a cura di S. Merli, Milano 1963, pp. 96 s.; G. Trevisani, Storia del movim. operaio italiano, Milano 1965, II, p. 310; III, pp. 129 s., 345; A. Gramsci, Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo (1921-1922), Torino 1966, ad Indicem;A. L. Horowitz, Storia del movim. sindacale in Italia, Bologna 1966, p. 117; A. Bertondini, La vita politica e sociale in Ravenna e in Romagna dal 1870 al 1910, in N. Baldini nella storia della cooperazione, Milano 1966, p. 387; E. Santarelli Storia del movim. e del regime fascista, Roma 1967, I, p. 431; R. De Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione dello Stato fascista (1925-29), Torino 1968, p. 456; G. Mammarella, Riformisti e rivoluzionari. Il Partito socialista italiano: 1900-1912, Padova 1968, ad Indicem;P.Spriano, Storia del Partito comunista ital., II, Gli anni della clandestinità, Torino 1969, p. 97; F. Fabbri, L'azione polit. di G. M. Serrati nella neutralità, in Riv. stor. del socialismo, X(1969), n. 32, p. 127; G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, Roma 1970, ad Indicem.