CASELLA (Caselle), Ludovico
Nacque alle Caselle presso Gaiba (nel Polesine di Rovigo) nel 1406 o nel 1407 da Antonio, uno dei più stimati notai di Ferrara.
Forse era suo antenato un Pellegrino delle Caselle, che in una nota di beni afiodiali della casa d'Este, redatta nel 1258, appare come castaldo. Il nonno del C., Pietro, fu dottore di leggi e giudice curiale del marchese Niccolò III.
Il C. fu alla scuola di Guarino Veronese e si formò una buona cultura classica mentre, al tempo stesso, apprendeva l'arte notarile per seguitare la professione del padre. Il fattore generale Bartolomeo Pendaglia prese a proteggerlo e nel 1436 egli doveva essere notaio della Camera marchionale giacché "rogatus fuit de instrumento absolutionis" di un certo Giovanni de Saleta, debitore della Camera stessa. Nel 1437 entrò a far parte della Cancelleria, dove ebbe colleghi Francesco Libanori, Agostino, Villa e Costantino de Lardis, sotto la direzione di Uguccione dell'Abbadia. Ben presto ottenne la stima e il favore di Niccolò III: più volte lo accompagno nel suoi viaggi e fu inviato in diversi luoghi per trattare affari politici.
Dai registri camerali risulta che fu mandato più volte a Firenze e che nell'agosto 1441 andò in missione presso il conte Francesco Sforza. Non sappiamo con quale compito; ma quasi certamente doveva trattarsi della mediazione che il marchese stava conducendo tra il duca di Milano e la Signoria veneta e in particolare tra il duca e lo Sforza, che militava per i Veneziani. La giovinetta Bianca Maria Visconti, che il duca prometteva in moglie allo Sforza nel tentativo di separarlo dai Veneziani, fu effettivamente, nel settembre, condotta a Ferrara e data in custodia al marchese Niccolò.
Con Leonello d'Este, suo coetaneo e condiscepolo alla scuola di Guarino, il C. fu in relazione d'amicizia: nelle lettere che il principe scrisse al maestro ricorre molto spesso il suo nome. Perciò durante la signoria di Leonello la posizione dei C. nell'amministrazione estense si fece sempre più importante. Quando Uguccione dell'Abbadia fu chiamato ad altro ufficio, il C. divenne capo della Cancelleria. Nei registri di mandati e negli altri documenti che lo riguardano egli è detto fino al 1447 "cancellarius", poi "secretarius" e finalmente "referendarius". Anche per Leonello il C. fece parecchi viaggi e lo assistette nelle faccende politiche. Così quando la mediazione del marchese portò alla pace e all'alleanza tra il re Alfonso d'Aragona e i Veneziani, fu il C. a stendere i capitoli del trattato, firmato a Ferrara il 2 luglio 1450 da Luigi Chiavero e Iacopo Costanzo per il re e da Pasquale Malipiero per la Repubblica veneta, presenti il vescovo di Modena Giacomo Antonio Della Torre e il C. medesimo.
Ma l'epoca in cui l'attività del C. fu più intensa e memorabile è quella di Borso. Già durante la signoria di Leonello egli soleva scrivere a Borso, che era spesso lontano da Ferrara, informandolo di ciò che accadeva a corte e in città. Divenuto marchese (1450) Borso gli conservò la carica di referendario, e con gli anni gli accrebbe sempre più la sua fiducia sino a fare di lui il più ascoltato dei suoi consiglieri e, si potrebbe dire, il suo alter ego.
Quando era fuori di Ferrara, Borso mandava al C. le lettere che gli pervenivano, anche da principi, accompagnandole con un biglietto in cui quasi sempre diceva: "respondi come te parerà". Lo lasciava decidere a suo giudizio della maggior parte degli affari amministrativi; si giovava di lui, spesso lasciandogli carta bianca, per le incombenze più disparate, anche per gli acquisti di manoscritti.
Quando, nel 1463, Borso istituì il Consiglio segreto, a capo del quale mise il giovane Niccolò di Leonello d'Este, il C. fu dei primi chiamati a farne parte e ne fu forse l'effettivo dirigente, giacché era anche il principale consigliere politico di Borso.
Una testimonianza di ciò vien data dalle lettere che il C. e Borso si scambiarono tra il maggio e l'agosto 1468. L'impresa del Colleoni, "longa manus" di Venezia, contro la lega formata dai Fiorentini, dal duca di Milano e dal re Ferdinando di Napoli, era fallita con la sconfitta di Molinella, in cui era rimasto ferito Ercole d'Este; papa Paolo II era riuscito a imporre la pace ai contendenti. Borso, deluso dall'insuccesso del suo tentativo di porsi come mediatore della contesa, era incerto se gli convenisse o no dichiararsi collegato dei Veneziani, e il C. gli scrisse replicatamente mostrandogli con grande lucidità i vantaggi e gli svantaggi che potevano derivare da tale dichiarazione.
Ma ciò che più dogni altra cosa caratterizza la personalità del C. è la sua opera in favore della cultura letteraria umanistica. Leonello era stato un uomo di lettere e un poeta; era direttamente in relazione con moltissimi letterati, poeti ed artisti; era personalmente al centro di quell'ambiente d'alta cultura umanistica, che è rievocato nella Politia letteraria di Angelo Decembrio, e ne era il promotore e il protettore. Il C., letterato anche se non scrittore, restava, per così dire, quasi nell'ombra. Borso invece era stato educato più per le armi che per le lettere, non conosceva il latino, aveva altri gusti ed altre inclinazioni. Perciò sotto di lui emerse la figura del C. come influentissimo intermediario tra i letterati e il principe, promotore e protettore della cultura umanistica a Ferrara, prosecutore, per quanto gli era possibile, dell'opera di Leonello. Oltre che a Guarino (ai funerali del quale egli volle, nonostante la sua altissima posizione sociale, essere tra coloro che ne portarono a spalle il feretro) fu particolarmente legato a Francesco Fileffio, a Pier Candido Decembrio e a Niccolò Leoniceno. Il Filelfo, da Milano, gli mandava da leggere la sua Sforziade, lo pregava di chiedere al duca un contributo per il riscatto di alcuni letterati greci fatti schiavi dai Turchi, e, in altra occasione, di ottenergli un sussidio di 200 scudi per completare la dote di una sua figlia. Il Decembrio gli chiedeva consiglio circa la sua intenzione, rimasta inattuata, di scrivere la vita di Borso, e dovette a lui la sua chiamata a Ferrara, dove dimorò per circa otto anni. Ludovico Carbone riconosceva in lui il principale suo protettore, lo introdusse come interlocutore col duca Borso, Niccolò di Leonello, Teofilo Calcagnini ed altri nel suo dialogo De domo impetranda (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 8618) e ne riferì alcuni detti arguti nelle sue Facezie. Versi latini o volgari in sua lode, in vita o in morte, scrissero lo stesso Carbone, Raffaele Zuvenzoni, Pietrobono Citarista, Ugo Caleffini, Iacopo Belleato, Francesco Pieri, Matteo Canale, Niccolò Leoniceno, Filippo Parrasio, Lippo Platesi, Antonio Faentino, Antonio Urceo, Battista Guarino, P.C. Decembrio ed altri. Il Filelfo scrisse per lui una poesia in greco. Testimonianza della intensa partecipazione del C. alla vita intellettuale della città è anche il Declaratorio, dialogo del domenicano ferrarese Tommaso dei Liuti (conservato a Siviglia, Biblioteca Colombina) nel quale l'autore e Prisciano Prisciani, discutendo di molti argomenti morali e teologici, riferiscono le opinioni espresse in proposito in diverse conversazioni da molti lettori dello Studio, religiosi, uomini di governo, d'armi e dì corte: il C. è il personaggio di cui più spesso sono citate le opinioni.
Il C. ebbe da Borso molti donativi in denaro ed in immobili, che gli permisero di vivere più che agiatamente; a detta dei contemporanei fu assai disinteressato e rifiutò doni che avrebbero potuto farlo ricchissimo. Aveva sposato Giacoma de Caligiis. Quando costei morì, il duca avrebbe voluto dargli in sposa una donna di grande nobiltà e ricchezza; ma egli volle una donna della sua condizione e sposò Costanza dei Novelli. Non ebbe figli.
Il Frizzi raccolse, senza citame la fonte, una tradizione secondo la quale il C. sarebbe stato nel 1469 accusato da un nipote di Borso, Giovanni Lodovico Pio (che pochi mesi dopo fu decapitato per aver congiurato contro lo zio), di avere offeso l'onore di una sua sorella. Il duca lo avrebbe fatto imprigionare, ma poi, riconosciutane l'innocenza, lo avrebbe liberato.
Il C. morì a Ferrara il 16 apr. 1496.
Il giorno seguente il duca ordinò che fossero tenute chiuse per lutto l'università, i tribunali e le botteghe degli artigiani; egli stesso (che non andava mai a cerimonie funebri) venne da Consandolo a Ferrara per accompagnare il feretro alla chiesa di S. Domenico dove il C. fu sepolto. C'era tutta la casa d'Este, il visdomino di Venezia, tutta la corte e la nobiltà, tutto il clero e un'immensa folla di popolo. Fece l'orazione funebre Ludovico Carbone. Un'altra orazione funebre fu composta da Battista Guarino, ma non si sa se e dove sia stata recitata.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Modena, Archivio Estense, Carteggio di referendari, ecc., bb. 1, 2; Registri di mandati dal 1435 al 1469 (la serie è molto lacunosa); Registri dei decreti di Niccolò III, Leonello e Borso;Modena, Biblioteca Estense, ms. Lat. 174: L. Carbone, Oratio in funere L. C. (contiene anche vari epitaffi scritti per il C. da diversi poeti. Nel ms. It. 96 si ha il volgarizzamento della stessa orazione, fatto dall'autore e dedicato a Ercole d'Este); Ibid., ms. Lat. 1669: B. Guarino, In cl. virum L. C. funebris oratio; Diario ferrarese, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 7, a cura di G. Pardi, ad Indicem; F. Filelfo, Epistolarum libri, Venetiis 1498, cc. 51v, 56v, 57r, 61v, 64v, 65r, 67v, 68r, 73rv, 78r, 87v; L. Carbone, Facezie, a cura di A. Salza, Livorno 1900, pp. 46, 47, 74; Guarino Veronese, Epistolario, a cura di R. Sabbadini. Venezia 1916-19, ad Indicem;G. Tribraco, Satirarum liber, a cura di G. Venturini, Ferrara 1972, pp. 105-107; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VI, Venezia 1795, pp. 27 s.; L. Ughi, Dizion. stor. degli uomini illustri ferraresi, Ferrara 1804, I, p. 118; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, IV, Ferrara 1848, pp. 58, 65; M. Borsa, P. C. Decembrio e l'umanesimo in Lombardia, in Archivio storico lombardo, XX (1893), pp. 372, 377, 409, 413; C. Cessi, Bricciche rodigine, in Ateneo veneto, XXIII (1900), pp. 279 s.; Id., Ricordi polesani nelle opere di L. Carbone, ibid., XXIV (1901), pp. 171 s.; A. Della Guardia, La "Politia litteraria" di A. Decembrio, Modena 1910, pp. 28, 29; G. Bertoni, Guarino da Verona tra letterati e cortigiani a Ferrara, Ginevra 1921, ad Indicem;Id., Di Battista Guarino e di una sua orazione, in Giorn. stor. della letter. ital., C (1932), pp. 32 s.; T. Kaeppeli, Tommaso dei Liuti da Ferrara, in Arch. fratrum Praedicatorum, XX (1950), p. 210; W. L. Gundersheimer, Ferrara: the style of a Renaissance despotism, Princeton, New Jersey 1973, ad Ind.;P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.