COLONNA, Ludovico
Figlio naturale di Giovanni di Stefano (Stefanello) del ramo palestinese della famiglia, cominciò la sua carriera come soldato di ventura al servizio di Braccio da Montone. La prima notizia di una certa importanza, che le fonti riportino sul suo conto, è relativa al 5 ag. 1416, quando a Foligno uccise proditoriamente Paolo Orsini, un condottiero allora assai noto. I cronisti coevi concordano nell'affermare che il C. fu istigato al delitto da un altro condottiero, Angelo Broglio detto il Tartaglia da Lavello; tuttavia non manca chi accusa anche lo stesso Braccio. La Cronaca senese aggiunge alle informazioni fornite dalle altre fonti il particolare che il C. si impadronì delle armi e della corazza dell'Orsini. Non abbiamo ragione di respingere la notizia: è probabile infatti che il giovane mercenario, ritenendo di aver eseguito ordini superiori, pensasse di avere il diritto di appropriarsi anche dell'equipaggiamento dell'uomo da lui ucciso, così come non avrebbe mancato di fare se lo avesse vinto in battaglia. L'anno seguente, quando Muzio Attendolo Sforza venne a Roma con le sue bande (28 ag. 1417), il C., che serviva ancora nell'esercito di Braccio attestato a difesa della città, fu riconosciuto da un antico soldato di Paolo Orsini, che militava allora al soldo dello Sforza: sarebbe stato ucciso, se un suo cugino, Giovanni di Antonio Colonna, non si fosse interposto fra il mercenario, che intendeva vendicare il suo antico comandante, ed il C., rimanendo ferito a morte nel tentativo di difendere quest'ultimo. Dopo tale episodio, temendo per la sua vita, il C. fuggì da Roma su una piccola barca trovata sulle rive del Tevere.
Passato nel Napoletano, militando sempre al servizio di Braccio da Montone si guadagnò la fama di valoroso combattente e di buon capitano. Quando fu innalzato al soglio pontificio, col nome di Martino V, il card. Oddone Colonna, che era un suo parente, il C. passò al servizio della Chiesa: il 17 sett. 1421, a Roma, ottenne dal papa una condotta per 34 lance e il 28 di quello stesso mese lasciò la città per unirsi con i suoi armati ad Angelo Broglio, il quale, passato anch'egli con le sue bande agli stipendi del papa, era allora impegnato nella riconquista dei territori di dominio pontificio nell'Italia centrale. Per qualche tempo operò di conserva con il condottiero lucano; poi, in seguito all'improvvisa scomparsa del Broglio, arrestato, e fatto giustiziare dallo Sforza sotto l'accusa di alto tradimento (1421), venne nominato l'anno successivo commissario pontificio col compito di recuperare alla Chiesa i territori di cui essa aveva infeudato il Tartaglia nell'alto Lazio e nel ducato di Spoleto: nel corso delle operazioni il C. conquistò, fra l'altro, il castello di Montefalco. Il 20 ag. 1423, insieme con Marino di Tocco vescovo di Recanati, soffocò la rivolta di Spoleto contro il governo della Chiesa; fu quindi creato vicario pontificio di Stroncone e di Bassanello (Viterbo) per un periodo di tre anni (13 e 23 settembre), e il 14 ottobre procuratori del C. prestarono giuramento di fedeltà e di obbedienza per i due vicariati. Ignoriamo se rientrasse nella giurisdizione del nuovo vicario anche la fortezza di Stroncone.
Il 1° dic. 1423 ottenne dalla Chiesa un nuovo contratto di condotta, questa volta per cinquanta lance: tale rinnovo è da porsi in relazione con la politica di sostegno del regime angioino in Napoli allora seguita dal pontefice. L'importanza del C. come capo militare è comunque dimostrata dal fatto che nella primavera del 1424 le forze da lui comandate si portarono, attraverso Rieti e Cicolano, ad Alba Fucense, dove si attestarono probabilmente col compito di rifornire o in ogni caso di soccorrere il presidio dell'Aquila, città di dominio napoletano assediata da Braccio da Montone. Martino V aveva infatti deciso di portare aiuto agli assediati, valutando il pericolo che la conquista dell'Aquila da parte del condottiero perugino poteva rappresentare per Roma, e per i territori sottoposti allo Stato della Chiesa. Sotto le mura della città abruzzese si trovarono allora uniti, con le loro truppe, i maggiori condottieri del tempo: il C., Francesco Sforza e Giacomo Caldora, il capitano generale dell'esercito napoletano. Appunto questi affidò al venturiero romano il comando dell'avanguardia dei collegati in quella che fu una delle più dure e cruente battaglie dell'epoca. Il 2 giugno il C. diede inizio allo scontro caricando il nemico nella piana di Aspreto, sulla riva destra dell'Aterno. Ben diretti dal Caldora, che seppe sfruttare gli errori tattici del nemico, gli eserciti dei collegati riuscirono ad infliggere ai Bracceschi una completa disfatta. Lo stesso condottiero umbro fu fatto prigioniero e morì per le ferite riportate in battaglia: il C. ebbe l'incarico di trasportare il corpo del suo antico comandante a Roma, dove fu seppellito, in terra non consacrata, presso la basilica extramuranea di S. Lorenzo. Dopo il successo dell'Aquila, il C. fu creato capitano delle milizie pontificie nelle Marche, col compito di collaborare all'assoggettamento della regione. Pur avendo attestato, il 14 luglio, a Iesi, che i da Carrara di Ascoli avevano versato a Braccio da Montone, in epoca precedente alla guerra aquilana, i diritti di tallia e di census che essi dovevano alla Sede apostolica, contribuì in modo determinante alla rovina politica di quella famiglia, la quale perdette - fra l'altro - il vicariato papale. Nell'agosto l'ambasciatore fiorentino riferì che il pontefice aveva ordinato al C. di portarsi con le sue truppe in Romagna; questa disposizione, tuttavia, o fu revocata o non fu mai eseguita, perché le rate dovute all'uomo d'arme romano per la condotta continuarono ad essergli pagate dal tesoriere papale delle Marche. Aveva già posto, l'8 maggio 1425, l'assedio ad Arquata, possesso dei da Carrara d'Ascoli, quando lo raggiunse l'ordine del papa di alzare bastite contro quella città; il 16 luglio si trovava a Piri, nelle Marche, dove dal governatore papale ricevette disposizioni di tenersi pronto a marciare su Teramo. Quest'ultimo provvedimento è forse da connettersi con la caduta di alcune fortezze pontificie delle Marche (in particolare, quelle di Macchia e di Colonnello), conquistate da Antonio Colonna, principe di Salerno, allora luogotenente della regina Giovanna II in Abruzzo.
Il 3 genn. 1426 il C. stipulò con la Sede apostolica un nuovo contratto di condotta per sé e per cento lance. La convenzione prevedeva un soldo di 9 fiorini al mese per ciascuna lancia, ed una provvisione mensile di 100 fiorini per il C. nella sua qualità di condottiero. Il contratto conteneva una clausola, che prevedeva l'impiego in Romagna del C. e della sua compagnia. Effettivamente nel marzo il condottiero ricevette l'ordine di ricongiungersi alle forze papali operanti in Romagna, e fu sostituito nelle Marche dalle bande di Giacomo Caldora. Non risulta, tuttavia, che si sia effettivamente trasferito nella zona di operazioni assegnatagli, perché la sua presenza in Romagna non ha lasciato traccia alcuna nei documenti a noi noti. Quella del marzo 1426 è l'ultima informazione che noi abbiamo sul C. come condottiero al soldo della Chiesa. Scaduti i termini della condotta, essa non venne rinnovata, ignoriamo se per volontà dello stesso C. - e in questo caso dovette pesare la disputa sorta in seguito alla conquista di Macchia da parte del principe di Salerno - o per decisione del pontefice (ma è stata avanzata anche l'ipotesi che il mercenario romano sia stato licenziato per ragioni di economia). È comunque strano che non sia stato arruolato più tardi, in occasione della guerra di Bologna: ciò ha fatto pensare ad un'inimicizia sorta tra il C. ed il Caldora.
Il 25 maggio 1428 si trovava al servizio del marchese del Monferrato; sappiamo tuttavia che in quello stesso anno passò agli stipendi di Filippo Maria Visconti, dato che il 6 ottobre compare fra i capitani del duca di Milano che trattarono in Liguria con i procuratori di Giovanni Grimaldi. Nella primavera del 1431 fu inviato a combattere sotto Cremona, e quindi in Toscana, dove operò sinché rimase al servizio del Visconti. Il 26 agosto lasciò il territorio di Pisa per portarsi in Lucchesia: questa è la prima notizia in nostro possesso relativa alla lunga campagna da lui combattuta durante la guerra contro la Repubblica di Firenze e nel corso della quale egli si batté accanto a condottieri come Antonio da Pisa, Alberico Cunio da Lugo, Berardo degli Ubaldini, Ardizzone da Carrara. Le truppe fiorentine cercarono di impedirgli l'ingresso nel Senese sbarrandogli l'attraversamento dell'Arno presso Bientina, dove si attestarono; ma il C. volse con le sue bande verso Nord, conquistando Castiglione di Garfagnana senza però riuscire ad impadronirsi della cittadella. Nel settembre operava con i suoi armati nei pressi di Pietrasanta; l'11 dicembre ricevette l'ordine di consegnare la fortezza di Mortone, perché fosse trasferita al governo genovese. Nei primi mesi dell'anno successivo gli fu affidato l'importante compito di proteggere i convogli dei rifornimenti tra Pietrasanta e Lucca (scontro di Ponte San Pietro: inizi di marzo del 1432). Ai primi di aprile, per quanto non fosse stata prevista alcuna offensiva generale, il C., che aveva allora ai suoi comandi una forza di quattrocento cavalli, ricevette l'ordine di prepararsi a riprendere l'attività bellica in Lunigiana ed in Garfagnana: nei mesi successivi, infatti, combatté sotto le fortezze fiorentine di Marti e di Castelfranco nel Valdarno.
In questa fase delle operazioni l'obiettivo principale della strategia viscontea in Toscana era quello di effettuare il congiungimento tra le forze che scortavano Sigismondo del Lussemburgo nella sua discesa in Italia ed il corpo d'esercito cui era aggregato, con le sue milizie, il Colonna. Il 16 febbraio, e poi di nuovo ancora il 16 aprile l'imperatore ottenne assicurazione che il condottiero romano ed Ardizzone da Carrara stavano marciando con le loro truppe per unirsi a lui. Il comando fiorentino cercò di impedire la manovra inviando un esercito ad affrontare le forze del C. e di Ardizzone da Carrara, prima che potessero unirsi a quelle imperiali: a Colle si ebbe il primo scontro, che però non fu risolutivo. Nel consiglio di guerra, che si tenne subito dopo il combattimento, il C. mise in dubbio la bontà delle direttive impartite dal duca di Milano, il quale aveva vietato tassativamente ai due condottieri di accettare battaglia sino a quando non fosse stato compiuto il congiungimento delle truppe viscontee con le milizie imperiali. Ciononostante si decise, in quella occasione, di iniziare il ripiegamento di fronte alle forze avversarie: il movimento venne tuttavia bloccato dai Fiorentini, che il 1° giugno affrontarono e disfecero i Viscontei a Montepopoli nel Valdarno.
Creato poco dopo capitano generale dell'esercito senese, il C. si diresse con i suoi contingenti verso Pisa: contava infatti di raggiungere il territorio della Repubblica passando per Librafatta. Il 1° luglio era ad Asciano, alla testa delle truppe senesi; il 5, a Ponsacco, si ricongiunse finalmente con il sovrano lussemburghese, e lo scortò fino a Siena. Il 29 Sigismondo gli concesse un privilegio, con cui gli demandava il compito di recuperare in suo nome le terre di dominio imperiale comprese nel distretto di Roma; un secondo privilegio dello stesso tenore gli venne accordato il 21 agosto. I due documenti, che erano in realtà semplici licenze di razzia e di saccheggio dei territori papali, debbono considerarsi come i necessari presupposti giuridici dell'attacco, che il nobile romano si accingeva a portare contro il Patrimonio. Secondo il cronista Niccolò della Tuccia, l'11 agosto il C. si sarebbe inteso con il governo e con il prefetto di Vico per attaccare le terre della Chiesa, ed aggiunge anche che il condottiero romano cenò insieme con i capi suoi alleati prima di muovere con le sue truppe verso Grosseto. Con l'aiuto degli alleati si impadronì di Vetralla di Bieda, di Casamala, di Caprarola, di Carbognano, di Vignanello e di Valleranno; non riuscì tuttavia, nel prosieguo di tempo, a conservare a lungo le conquiste fatte, che dovette cedere nuovamente di fronte agli attacchi abilmente diretti dal condottiero pontificio Niccolò della Stella. L'azione del C. provocò lo scoppio della guerra di Vetralla, che tanto contribuì a rendere più difficile il pontificato di Eugenio IV. Sebbene il 5 marzo 1433 messi senesi avessero presentato al papa le scuse del loro governo per i guasti che il C., nella sua qualità di capitano generale della Repubblica, aveva compiuto nei territori di dominio pontificio, il condottiero romano continuò a mantenere il suo alto incarico: sino all'inverno del 1434, infatti, continuò a dirigere le operazioni militari nel Senese e in Lucchesia.
È significativo il fatto che, quando il 3 maggio 1433 gli fu chiesto di trasferirsi insieme con le sue bande nella Campagna romana per difendere le terre di Stefano Colonna, il quale era stato assassinato qualche tempo prima, il C. si sia rifiutato di farlo, affermando che, nella sua qualità di capitano generale dell'esercito senese, non poteva accettare un incarico del genere. L'episodio sta probabilmente a significare che il C. si considerava innanzi tutto un capitano di ventura tenuto al rispetto del contratto di condotta che lo legava a chi lo aveva assoldato, e solo in linea subordinata un barone romano obbligato, nei confronti della sua consorteria, da vincoli di solidarietà. Questo atteggiamento è forse spiegabile con i suoi natali illegittimi.
Nel 1435 lasciò il servizio presso la Repubblica di Siena per passare al soldo di Alfonso d'Aragona, militando fra gli armati del principe di Salerno, Antonio Colonna. Durante l'assedio di Gaeta, insieme con Francesco Orsini e con Cristoforo Caetani, ebbe l'incarico di guidare, da parte di terra, l'attacco contro la città, mentre Alfonso d'Aragona ne avrebbe tentato la conquista dal mare. Dopo la sconfitta e la cattura dell'Aragona, il C. si ritirò da quel teatro di guerra per tornare ad agire nella zona di Roma. Alcuni studiosi hanno pensato che egli fosse allora rientrato al servizio della Chiesa; tale ipotesi, peraltro non confermata dai documenti pontifici coevi, appare poco verosimile, data la tenace inimicizia che il condottiero romano nutrì sempre nei confronti di Eugenio IV.
Il 12 ott. 1436, nella fortezza di Ardea, il C. venne assalito ed ucciso da Giovanni (Gian) Andrea Colonna di Riofreddo, suo cognato.
Non conosciamo il movente di questo delitto. Secondo la Mesticanza di Paolo di Lello Petrone, esso sarebbe stato ispirato dagli Orsini di Tagliacozzo (di cui appunto Gian Andrea Colonna era un "raccomandato"), i quali avrebbero così voluto vendicare l'uccisione di Paolo Orsini compiuta dal C. nel 1416. L'assassinio dell'Orsini, comunque, gettò un'ombra sulla persona e sulle gesta del condottiero romano: Paolo di Lello Petrone parla infatti di lui come di "poco leale ma valiente homo di soa persona", mentre Flavio Biondo lo ricorda come "speculi militum, ut constans erat fama, ferocissimus". Eppure il C. ebbe qualità intellettuali ed una preparazione culturale tali, che gli permisero di mantenere rapporti stretti ed amichevoli con i letterati del suo tempo, se il Panormita poté definirlo "il suo Ercole", et Antonio Cremona poté chiamarlo "precator et patronus" del poeta umanista siciliano.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Reg. Vat. 349, c. 287v;Ibid., Introitus et Exitus, 382, C. 99; Ibid., Div. Cam. 8, f. 26;Ibid., Arm. XXIX, vol. 15, c. 41; Firenze, Bibl. Nazionale, ms. XIX, 82, cc. 32, 59; Blondi Flavii Historiarum Decades ab inclinatione Romanorum, Basileae 1531, dec. III, lib. 7, f. 497; L. Bonincontri, Chroniconsive Annales, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXI, Mediolani 1732, col. 139; Neri di Gino Capponi, Commentari, ibid., XVIII, ibid. 1731, coll. 1175 ss.; Cronaca senese di Paolo Tommaso Montauri, ibid., 2 ed., XV, 6, a cura di A. Lizio - F. Iacometti, p. 786; Petri Candidi Decembri Opuscola historica, ibid., XX, 1, a cura di A. Butti, p. 125; I Diurnali del duca di Monteleone, ibid., XXI, 5, a cura di M. Manfredi, p. 92; La Mesticanza di Paolo di Lello Petrone, ibid., XXIV, 2, a cura di F. Isoldi, p. 33; Il Diarioromano di Antonio di Pietro dello Schiavo, ibid., XXIV, 5, a cura di F. Isoldi, p. 103; Docum. diplom. tratti dagli arch. milanesi, a cura di L. Osio, Milano 1864-72, II, p. 372; Commiss. di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, dal 1399 al 1433, a cura di C. Guasti, Firenze 1867-1873, II, p. 157; Cronaca di Niccolò della Tuccia, in Cronache e stat. della Città di Viterbo, a c. di I. Ciampi, Firenze 1872, p. 119; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tomassini, Roma 1892, p. 21; J. F. Böhmer, RegestaImperii, XI, Die Urkunden Kaiser Sigmundus (1410-1437), a cura di W. Altmann, Innsbruck 1896, II, pp. 219 n. 9207, 220 n. 9216; Deutsche Reichtstagsakten unter Kaiser Sigmund, 1431-1433, a cura di H. Heere, Gotha 1906, pp. 279, 334, 339, 342, 463 s., 754; R. Archivio di Stato di Lucca, Regesti, IV, Lucca 1907, n. 113, 121, 123, 125, 128, 133, 144, 146 s., 152, 163 s., 169, 171 s., 175, 182 ss., 191, 193, 197, 203 s., 216, 228, 232, 238 s., 350, 612; R. Sabbadini, Ottanta lettere ined. del Panormitatratte dai codici milanesi, in Arch. stor. per la Sicilia Orientale, VII (1910), pp. 89-92; Gli atti cancellereschi viscontei, a cura di G. Vittani, II, Milano 1929, pp. 67, 71, 78 s., 83; Cantari sullaguerra aquilana di Braccio di anonimo contemporaneo, a cura di R. Valentini, in Fonti per la storiad'Italia…, LXXV, Roma 1935, pp. 132, 156, 189 s. 192; M. C. Mancia, Il primo registro della tesoreria di Ascoli, Roma 1974, pp. 11 s., 84, 166 e ad Indicem; R. Valentini, Lo Stato di Braccio e laguerra aquilana, in Arch. d. R. Società romana distoria patria, LII (1929), p. 313; P. Partner, ThePapal State under Martin V. …, London 1958, pp. 74, 76, 82 s.; F. Gregorovius, Storia della cittàdi Roma nel Medioevo, III, s. l. né d. [ma Torino 1973], pp. 1836, 1857.