D'ARAGONA, Ludovico
Nacque a Cernusco sul Naviglio (Milano) il 23 maggio 1876 da Salvatore e Francesca Lepori.
Di famiglia agiata, abbandonò a dieci anni la casa paterna e "si avviò a percorrere le dure vie del mondo, a cominciare da quelle dell'America Latina, maturando, da autodidatta, nel sudato lavoro subalterno, nel volontario sacrificio di ogni comodo familiare, nel dolore anche, nelle privazioni, una profonda esperienza delle condizioni di vita degli operai e dei contadini, del proletariato insomma, del quale, per elezione, volle essere parte" (Cossu). Tornato in Italia e iscrittosi al partito socialista fin dal 1892, divenne rapidamente un noto esponente del movimento operaio milanese e fu più volte soggetto a provvedimenti giudiziari, tanto da dover emigrare in Francia nel 1895 ed in Svizzera nel 1898. Collaboratore de La Lotta (1898-1900), importante settimanale socialista di Milano, fu gerente nel 1899 de Il Treno, giornale della categoria dei ferrovieri. Nel 1900 fu eletto consigliere comunale a Milano.
È comunque all'attività sindacale che avrebbe dedicato il massimo delle sue energie, anche se col tempo la sua influenza sarebbe diventata estremamente rilevante non solo sul movimento operaio ma pure sul partito socialista. Fra i pionieri del movimento camerale, fu segretario della Camera del lavoro di Milano ed, in seguito, di Pavia, Brescia e Genova-Sampierdarena (a Genova avrebbe risieduto fino al 1909); fu inoltre fra i fondatori della Federazione italiana operai metallurgici (F.I.O.M.).
Nei primi dieci anni dei secolo, che videro l'elaborazione dei principi e la fondazione dell'organizzazione sindacale, prese parte da protagonista al complesso dibattito sull'organizzazione del movimento operaio, dando un rilevante contributo in idee e in capacità operativa al superamento della frammentarietà organizzativa e ideologica del proletariato. Il culmine di questo processo di ricomposizione del movimento di classe sarebbe stata la fondazione della Confederazione generale del lavoro (C. G. d. L.).
Nel 1903 il D. risultava già figura di rilievo del movimento sindacale; tenne la relazione sulla disoccupazione al II congresso nazionale della F.I.O.M. (Milano, 17-20 maggio), mostrando già alcuni dei principali motivi informatori di tutta la sua attività di sindacalista: un'attenta consapevolezza delle condizioni di vita dei lavoratori, una radicale sfiducia nei movimenti spontanei ed una continua ricerca nello Stato di una mediazione tra gli interessi del proletariato e i generali interessi della società.
Alla disoccupazione, generata dall'uso capitalistico delle macchine e dall'immigrazione, il D. sosteneva si dovesse porre rimedio - sul solco di esperienze svizzere e tedesche - con una legge che istituisse un fondo di solidarietà per i disoccupati, finanziato da lavoratori, imprenditori e Stato. Nel frattempo, avrebbe dovuto essere l'organizzazione sindacale a dare l'esempio facendo obbligo a tutti i propri organizzati di "pagare un premio in modo che, trovandosi disoccupati, abbiano a percepire un sussidio".
Sul problema del rapporto tra federazioni di categoria e Camere del lavoro, nella stessa assise, il D. si espresse in favore del reciproco obbligo di iscrizione, sostenendo però la netta prevalenza del momento federale in ambito rivendicativo.
Negli anni fino al 1906, la sua presenza viene segnalata in più occasioni su tutto il territorio nazionale, (vertenze, organizzazione di federazioni, leghe, Camere del lavoro, ecc.), finché il VI congresso della resistenza (Milano, 29 sett.-1º ott. 1906) diede vita alla C.G.d.L. e il D. venne eletto nel comitato direttivo. In quell'assise, destinata a gettare le basi del sindacato moderno, l'intervento del D. fu rivolto in favore dell'eliminazione di ogni discriminazione di carattere politico, ideologico o religioso nell'adesione dei lavoratori alla C.G.d.L. e il suo atteggiamento fu di radicale difesa delle posizioni riformiste. Al III congresso nazionale della F.I.O.M. (Bologna, 29 sett.-2 ott. 1907) svolse importanti relazioni sulla disoccupazione, l'ufficio di collocamento e la coercizione contro i disorganizzati.
Entrato così a far parte del gruppo dirigente della C.G.d.L. - insieme a Rinaldo Rigola, Felice Quaglino, Ettore Reina, Carlo Dell'Avalle, Ludovico Calda ed altri - avrebbe partecipato della direzione confederale fino alla sua dissoluzione. Se si tiene conto dei saldissimi legami politici che univano il gruppo - tali che impedirono un sostanziale ricambio al vertice - si comprende come risulti arduo attribuire specifici ruoli e responsabilità per una gestione dell'organizzazione che fu essenzialmente collegiale, data anche la mancanza di una personalità politicamente prevalente (il gruppo che diede vita alla C.G.d.L. fu, nel complesso, lo stesso che la sciolse nel 1927). Si può comunque affermare che la funzione sempre più rilevante che il D. svolse nella Confederazione si spiega con le eccezionali doti di energia e capacità organizzative, con la chiarezza del suo linguaggio oratorio, con la sua rara vis polemica.
Al II congresso confederale (Modena, 6-9 sett. 1908) tenne la relazione sulla legge sugli infortuni del lavoro e divenne membro dell'esecutivo, assumendo prima la carica di segretario amministrativo e poi, dal gennaio 1909, su pressante invito del segretario generale Rigola, quella di ispettore propagandista, funzione particolarmente delicata perché destinata a risolvere i problemi organizzativi legati all'insorgere del movimento sindacalista rivoluzionario all'interno del sindacato (in questa veste svolse, ad esempio, un'inchiesta sulla scissione del sindacato ferrovieri). Il D. fu inoltre più volte delegato dall'organizzazione a curare i rapporti con varie istituzioni - tra le quali la Società umanitaria di Milano -, il governo e organizzazioni sindacali straniere.
La nascita del sindacalismo rivoluzionario e, ancor più, la rottura del patto giolittiano tra: socialisti e governo, iniziarono a mettere in crisi il riformismo confederale. Senza diminuire la presa di massa della C.G.d.L., il sindacalismo rivoluzionario fu espressione e guida di pulsioni rivendicative in nuovi strati sociali, e ciò non poteva restare privo di effetti sia sul ruolo e lo spazio della Confederazione sia sul proletariato in essa tradizionalmente organizzato. A questa crisi, più che una riflessione, il gruppo dirigente confederale contrappose un irrigidimento organizzativo ed una sostanziale chiusura alle nuove tematiche, puntando a rafforzare sul piano organizzativo il legame col proletariato socialista. Queste scelte diedero ancor più spazio alla figura del D., divenuto ormai la personificazione di una strategia politica - quella del riformismo sindacale - nata nel contesto non più attuale della prima metà del decennio 1900-1910.
Quegli anni e quelli successivi - che iniziarono la pur lenta parabola discendente del movimento sindacale organizzato - furono caratterizzati per la C.G.d.L. da una costante tensione con i sindacalisti rivoluzionari, l'emergere dei contrasti con il P.S.I. e il dibattito sulla guerra. Rispetto ai sindacalisti rivoluzionari, l'atteggiamento di sostanziale chiusura fu anche esplicitamente teorizzato dal D. in un ordine del giorno presentato al congresso socialista di Firenze del settembre 1908, che sanciva l'incompatibilità "con i principi e i metodi" del sindacalismo rivoluzionario, condannando come "arma pericolosa" lo sciopero generale e come illecito quello nei servizi pubblici. In concomitanza con la guerra - che avrebbe aperto una frattura rilevante nell'ambito del sindacalismo -, la polemica avrebbe assunto toni anche più aspri.
Sulle polemiche interne al P.S.I., il D. - che nel citato congresso socialista del 1908 aveva appoggiato la lista maggioritaria riformista - dinanzi alla crisi socialista ed alla conquista da parte dei massimalisti della maggioranza e della direzione, giunse a parlare, attorno al 1910, del P.S.I. come di un "ramo secco" i cui interessi erano spesso estranei a quelli del proletariato, contribuendo al raffreddamento dei rapporti tra partito e sindacato ed al rinfocolarsi della polemica riformista. Non abbandonò però il partito allorché alcuni deputati (Bissolati, Cabrini, ecc.) ruppero non solo con la nuova direzione massimalista ma col partito stesso (il D. si era però schierato contro l'ordine del giorno Mussolini che nel congresso socialista di Reggio Emilia del luglio 1912 aveva chiesto l'espulsione del gruppo). Partecipò così alla riunione delle direzioni congiunte C.G.d.L.-P.S.I. per ridefinire i reciproci rapporti (marzo 1913) e tenne la relazione di parte confederale risolvendo, con la stipula di un patto di alleanza, almeno gli aspetti più vistosi del contrasto.
Nel 1912 aveva vivacemente osteggiato l'impresa libica sostenendo che questa avrebbe ritardato le riforme, inasprito la condizione operaia e assorbito quella "forza finanziaria e quelle energie di cui il paese aveva estremo bisogno per il suo progressivo sviluppo industriale, economico e morale".
La sua attività restò comunque principalmente rivolta alla cura dell'organizzazione della C.G.d.L.; tenne, infatti, al III congresso confederale (Padova, 24-28 maggio 1911) la relazione sul riordinamento delle strutture e sulla modifica dello statuto, ed al IV congresso (Mantova, 5-9 maggio 1914) fu nuovamente relatore su problemi statutari. Ma già il profilarsi della guerra spostava l'attenzione su nuovi e decisivi temi. Fu questo un momento difficile per il sindacato, stretto tra le posizioni interventiste di parte dei sindacalisti rivoluzionari, la diminuzione dei margini di contrattualità, nonché il restringimento delle libertà democratiche; tutto ciò indebolì la carica pacifista della C.G.d.L. e lo stesso D. - che era schierato per la neutralità assoluta - scontò, per questi motivi, il carcere dal giugno 1914 all'aprile 1915. Lo scoppio delle ostilità ridusse, nella sostanza, all'ordinaria amministrazione l'attività dei dirigenti e il D. fu sottoposto nuovamente a provvedimenti restrittivi quali il ritiro del passaporto. Rimase comunque su posizioni internazionaliste e rifiutò, a nome della C.G.d.L. nel convegno socialista del febbraio 1917, l'invio di una delegazione per una conferenza dei partiti socialisti dell'Intesa, conferenza organizzata dai socialisti francesi.
L'impetuoso rinascere del movimento operaio all'indomani dell'armistizio poneva nuove questioni e la fase politica che si apriva avrebbe visto il D. fra i massimi protagonisti; nel settembre 1918, infatti, a seguito delle dimissioni di R. Rigola dalla segreteria generale - legate ad una vivace polemica con la direzione socialista -, il D. fu eletto alla carica di segretario generale della C.G.d.L.; egli ereditò, data la sostanziale continuità con il Rigola, anche le tensioni col P.S.I., per cui si addivenne ad un nuovo accordo, siglato a fine settembre, che affermava l'autonomia e l'indipendenza delle due organizzazioni nei rispettivi campi d'azione economico e politico e sanciva un patto di consultazione in caso di divergenze di vedute.
Convinto che senza mutamenti profondi nell'ambito politico-istituzionale non vi sarebbero state le necessarie trasformazioni delle strutture economiche, propose al partito ed al gruppo parlamentare un programma di riforme democratiche aventi per condizione la richiesta di una Costituente, accompagnando la proposta con la minaccia di denunciare il patto d'alleanza tra socialisti e C.G.d.L. qualora questi avessero insistito col proporre il programma rivoluzionario. Ma ciò non fece che aumentare i contrasti in seno all'area socialista: la direzione massimalista non avrebbe rinunciato ad una opzione rivoluzionaria e il gruppo parlamentare, nel gennaio 1919, approvò a maggioranza la mozione Prampolini-Turati che escludeva sia la rivoluzione sia la richiesta della Costituente; in ultimo, fu il congresso socialista di Bologna dell'ottobre 1919 a respingere la proposta di Modigliani - in sostanziale sintonia col D. - per la Costituente.
Date le premesse - che avevano spinto la direzione confederale a lasciar cadere le proposte unitarie dei sindacalisti rivoluzionari e ad incentrare il programma rivendicativo sulla giornata lavorativa di otto ore -, è comprensibile che il dispiegarsi delle grandi lotte proletarie dell'estate del 1919 trovasse impreparata la direzione riformista della C.G.d.L. (gli scioperi di luglio in solidarietà delle rivoluzioni ungherese e russa, per il senso "di rottura" che da ampi settori operai fu loro attribuito, già prefiguravano lo iato tra il sogno rivoluzionario e la Realpolitik riformista). Il D. in particolare tese a dare un'immagine riduttiva dell'impetuoso movimento rivendicativo e politico che scuoteva le fabbriche e l'intera società e che assunse rapidamente una fisionomia fortemente radicale. Nel maggio 1919, infatti, descrisse il movimento per il controllo della produzione semplicemente come possibilità per comprendere i meccanismi dell'industria e un anno dopo equiparava i nascenti consigli di fabbrica, tendenziali organi di contropotere, alle tradizionali commissioni interne.
Ma la coerenza riformistica del D. non fu priva di cedimenti, anche rilevanti. Egli - che pur avrebbe preso nette distanze dalla rivoluzione sovietica, di cui ebbe diretta conoscenza perché membro della delegazione confederale che si recò a Mosca dal maggio all'agosto 1920 - allorché nel luglio assistette ai lavori del II congresso del Comintern, firmò, insieme ai delegati socialisti, un appello in favore della dittatura del proletariato e per "il trionfo della rivoluzione socialista e della repubblica internazionale dei Soviet".
Le intense giornate del settembre 1920, con l'occupazione delle fabbriche, posero finalmente al dibattito tra riformisti e massimalisti un oggetto concreto di polemica: si doveva o meno trasformare in insurrezione l'ampio e unitario movimento che si andava sviluppando? Indubbiamente la pulsione operaia superava per intensità e obiettivi la linea confederale, cionondimeno i massimalisti erano lungi dall'esser preparati per organizzare uno sbocco rivoluzionario della crisi. Il D. - che non credeva nella potenzialità rivoluzionaria del movimento e paventava il blocco economico dall'estero in caso di una vittoriosa insurrezione proletaria - pose radicalmente il problema alla direzione socialista: "Voi credete che sia questo il momento di far nascere un atto rivoluzionario, ebbene assumetevi la responsabilità. Noi che non ci sentiamo di assumere questa responsabilità di gettare il proletariato al suicidio, vi diciamo che ci ritiriamo e diamo le nostre dimissioni... Prendete voi la direzione di tutto il movimento". Egidio Gennari, segretario socialista, non avrebbe accettato e al consiglio nazionale della C.G.d.L. del 10-11 settembre la posizione riformista espressa dal D. - che indicava come obiettivo della lotta "il riconoscimento da parte del padronato del principio del controllo sindacale delle aziende" - sarebbe risultata maggioritaria; egli ebbe così modo di dirigere autorevolmente le trattative, con industriali e governo, che si sarebbero svolte a metà settembre e che avrebbero condotto, con l'accordo del 19, alla smobilitazione dell'occupazione.
Rispetto alle critiche che da più parti sarebbero venute al comportamento confederale - sintetizzate nel luogo comune secondo cui la rivoluzione aveva inciampato nelle barbe di Turati e del D. - questi avrebbe anche in seguito strenuamente difeso la linea seguita dalla C.G.d.L.; comunque, il rientro degli operai in fabbrica segnava la fine del biennio rosso e l'inizio di una dura controffensiva politica e sociale che avrebbe visto il D. e il gruppo dirigente confederale spostarsi sempre più su posizioni "conciliatorie".
Al V congresso confederale (Livorno, 26 febbr.-3 marzo 1921), il D. svolse una relazione che fu anche il bilancio di un periodo estremamente travagliato: "Dopo questi due anni dall'armistizio ... dopo grandi scioperi politici e economici, si deve constatare che non si è effettuato né il programma minimo, né il programma intermedio, né il programma massimo.... Non è qui il caso di fare recriminazioni: dobbiamo però francamente dire che se certi eccessi non sempre spontanei fossero stati evitati, forse le conquiste operaie sarebbero molto maggiori oggi di quanto effettivamente non siano e le velleità reazionarie non avrebbero preso le proporzioni che hanno avuto in questi ultimi tempi" (si veda l'importante volumetto documentario R. Rigola-L. D'Aragona, La Confederaz. generale del lavoro nel sessennio 1914-1920, Milano 1921).
Non fu particolarmente rilevante la sua attività alla Camera dei deputati. Eletto nel collegio di Milano nel novembre 1919, fu membro della Commissione per l'estero e le colonie nella XXV legislatura. Rieletto nel giugno 1921 lavorò alla Commissione permanente lavoro e previdenza sociale e al disegno di legge per i provvedimenti contro la disoccupazione.
Il V congresso della C.G.d.L. - come quello socialista che, sempre a Livorno, un mese prima aveva dato vita al partito comunista - segnava il punto di non ritorno delle tendenze centrifughe in seno al movimento operaio. Con la sostanziale sconfitta del movimento dell'occupazione delle fabbriche, i giochi erano ormai fatti e si avvicinava per il socialismo l'ora della resa dei conti, con l'aggravante che - nella condizione in cui l'iniziativa era ormai tutta nelle mani della reazione - il movimento operaio non sarebbe riuscito a superare la propria crisi nel breve periodo. Va inoltre segnalato il rapido calo di prestigio e di adesioni che la Confederazione subì a partire dal 1921. Senza più alcuna tendenza alla mediazione, il D. - che già nel settembre 1920, con Turati, Buozzi, Prampolini, Treves e altri, aveva aderito alla concentrazione socialista in funzione antimassimalista e che in ottobre aveva partecipato al convegno riformista di Reggio Emilia - scelse decisamente una posizione centrista nel complessivo quadro politico. Si impegnò in un'aspra polemica, apertamente ricambiata, col partito comunista, si batté affinché la C.G.d.L. restasse nell'Internazionale sindacale di Amsterdam (consiglio nazionale del novembre 1921) e nell'ottobre 1922 aderì al Partito socialista unitario. Va qui menzionato un tentativo estremo, ma inutile e non privo di ambiguità, cui il D. pose mano per ricucire l'unità sindacale in funzione antifascista con D'Annunzio e i sindacalisti rivoluzionari (maggio 1922).
Neanche nella nuova formazione politica la presenza del D. sarebbe stata priva di contrasti. E in effetti, dopo la formazione del primo governo Mussolini, pur rimanendo vincolato al P.S.U. nelle votazioni alla Camera dei deputati, iniziò da parte sua e della direzione confederale una manovra volta a limitare i danni che la nuova situazione politica avrebbe potuto arrecare, e già stava arrecando, al movimento operaio organizzato; in buona sostanza si trattava di scendere a patti col fascismo come, nella tradizione del sindacalismo confederale, si era sempre contrattato con i dirigenti dello Stato liberale (un primo abboccamento tra la direzione confederale e il capo del governo si ebbe all'indomani della marcia su Roma). Se Mussolini da parte sua avrebbe avuto modo di sottolineare la differenza tra l'"infame" atteggiamento dei socialisti nei riguardi del movimento e del governo fascisti e la maggior disponibilità della C.G.d.L. al dialogo, il D. e il gruppo dirigente confederale avrebbero ventilato la possibilità della costituzione di un "partito del lavoro" che avesse contribuito a liquidare la radicata inconciliabilità tra il fascismo e il movimento sindacale socialista. Questa linea - che se non ebbe esplicite opposizioni in seno alla direzione sindacale, era però osteggiata dal P.S.I. e dal dirigente riformista Giacomo Matteotti - ebbe un primo sbocco in alcuni incontri (luglio e ottobre 1923) tra Mussolini e delegazioni della C.G.d.L. guidate dal D., e si parlò allora addirittura dell'entrata di dirigenti confederali nella compagine governativa.
Il prezzo della contrattazione era però insostenibile per un partito democratico (allorché, nel luglio 1923, il governo propose la legge elettorale Acerbo, il D. dichiarò di non votarla solo per disciplina di partito e in ogni caso non come segretario della C.G.d.L.) e fu lo stesso Matteotti a tentare di imprimere - con alcuni espliciti interventi - un brusco colpo di freno al tentativo confederale. La stessa tragica scomparsa di Matteotti liquidò per vari mesi ogni possibilità di intesa tra C.G.d.L. e fascismo, ma la mancata proclamazione dello sciopero generale da parte della C.G.d.L. in questa occasione lascia intendere come il gruppo dirigente confederale considerasse l'operazione di integrazione nel regime soltanto interrotta. Ciò non evitò comunque che la ripresa della conflittualità degli operai metallurgici lombardi del marzo del 1925 vedesse un certo impegno della C.G.d.L., della F.I.O.M. e degli stessi D. e Buozzi.
Lo spazio politico per il D. si andava sempre più riducendo: apertamente accusato di tradimento dai comunisti e da ampi settori socialisti - anche l'VIII congresso della F.I.O.M. (Milano, aprile 1924) si era svolto all'insegna, della polemica per la mancata rivoluzione - e privato della forza contrattuale col governo a seguito della crisi Matteotti, rassegnò le dimissioni dalla carica di segretario generale della C.G.d.L. nelle mani di Buozzi (ottobre 1925), pur restando nei vertici sindacali. Il 4 genn. 1927, a conclusione della parabola collaborazionista, firmò - con il Rigola, Carlo Azimonti, Ludovico Calda, Emilio Colombino, Gian Battista Maglione ed Ettore Reina - un documento che dichiarava esaurita la funzione della C.G.d.L. e scioglieva il sindacato con la motivazione, resa pubblica il giorno 16, che andavano accettati la legislazione fascista del lavoro e il sindacato giuridico e corporativo ("Siamo tenuti a contribuire con la nostra azione e con la nostra critica alla riuscita di tale esperimento…").
La sortita - che fornì al fascismo un pericoloso alibi - suscitò le aspre critiche di Buozzi che sull'Avanti! (ed. parigina) definì i firmatari "raffinati professionisti del tradimento" e con lo stesso Buozzi e gli altri esuli socialisti, il D. si incontrò a Parigi, nel febbraio 1927, ricevendone un'accoglienza gelida e sdegnata. A questo incontro si può forse far risalire un timido dietro-front rispetto ai documenti di gennaio, del quale però i giornali italiani non fecero parola.
Nel marzo successivo fu presente a Milano alla costituzione dell'Associazione nazionale studio (A.N.S.), nata per ottemperare all'impegno preso dagli ex dirigenti confederali col documento del 16 gennaio, L'A.N.S., che pubblicò la rivista I Problemi del lavoro ed una collana editoriale, vide la collaborazione del D. solo in un primo periodo. Stabilitosi a Pallanza (Novara) nel 1928, per tutto il periodo fascista non diede luogo a particolari rilievi e rimase sostanzialmente isolato sia dal gruppo di Buozzi, che a Parigi tentava di ritessere le fila dell'organizzazione confederale, sia dall'A.N.S., diretta dal vecchio Rigola, sia dal fascismo.
Anziano, tornò alla vita politica all'indomani della Liberazione. Eletto nel giugno 1946 membro dell'Assemblea costituente nelle liste socialiste, ormai libero da impegni sindacali, svolse un'intensa attivita parlamentare: si schierò contro le limitazioni del diritto di sciopero proposte dai cattolici e nel secondo governo De Gasperi (luglio 1946-gennaio 1947) divenne ministro del Lavoro e della Previdenza sociale ("con molti contrasti - ricorda Lizzadri, p. 53 - perché non era stato dimenticato il manifesto da lui sottoscritto con altri sindacalisti di adesione al corporativismo fascista").
De Gasperi, davanti alle pulsioni ancor vive della Resistenza della classe operaia del Nord, si era impegnato ad introdurre una legge che prevedesse la partecipazione operaia alla gestione delle aziende, valorizzando le strutture dei consigli di gestione. A questo fine il D. e Rodolfo Morandi, ministro dell'Industria, elaborarono un progetto di legge che prevedeva che i consigli di gestione partecipassero a determinare l'indirizzo generale dell'azienda, contribuissero al mutamento tecnico e ambientale, creassero gli strumenti della ricostruzione industriale e predisponessero l'attuazione dei piani adottati dagli organi dello Stato. Non era certo un progetto eversivo, ma l'opposizione della Confindustria, la scarsa compattezza della compagine governativa e la politica degasperiana del rinvio fecero sì che il progetto venisse in effetti lasciato cadere.
A seguito della scissione socialdemocratica di palazzo Barberini (gennaio 1947), che appunto aveva causato la crisi di governo, aderì al Partito socialista dei lavoratori italiani (P.S.L.I.) e ne divenne presidente del gruppo parlamentare. Dopo la rottura dell'unità nazionale, fu nuovamente ministro, alle Poste, dalla fine del 1947 (quarto ministero De Gasperi), e senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana (1948-1953) nella quale resse il dicastero dei Trasporti dal gennaio 1950 all'aprile 1951 (sesto ministero De Gasperi).
Svolse in questi anni anche una certa attività pubblicistica per il suo partito. Nel 1946 condiresse Il Lavoro socialista; nel 1947-48 fu direttore, insieme con A. Simonini, del rinato Battaglie sindacali e nel 1949, con G. Saragat, M. Longhena e G. Ghirardi, fu direttore del settimanale Democrazia socialista. Rilevante la sua battaglia per un sindacato autonomo dai partiti e la sua partecipazione all'Assemblea costituente del lavoro (10 apr. 1949), convegno che ebbe un certo peso nella scissione sindacale del giugno successivo.
Ritiratosi a vita privata, si spense a Roma il 17 giugno 1961.
Fonti e Bibl.: Manca a tutt'oggi una monografia sul D., né si è mai acceduto al suo archivio personale - la cui esistenza è stata peraltro solo supposta (L. Valiani, Questioni di storia del socialismo, Torino 1958, p. 105) - e, pertanto, la sua intensa partecipazione agli eventi della prima metà del secolo va ricostruita sulla base di una grande quantità di fonti e studi disparati. Le esili fonti docum. sono: l'Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 1619, ad nomen, utile per il periodo 1910-1928 (scarsamente utili, invece, i fondi finora accessibili della serie Presidenza del Consiglio dei ministri 1944-1947) e il Fondo Rigola dell'Archivio della Fondazione Feltrinelli di Milano, contenente sedici sue lettere del periodo 1908-1921. Per una bibliografia dei suoi scritti si vedano: Biblioteca G. Feltrinelli, I periodici di Milano. Bibliografia e storia, 2 voll., Milano 1961, ad Indicem; Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Bibliografia del socialismo…, II, Libri, 4 voll., Milano-Roma 1962-1968, ad nomen e ad Indicem, nonché il Supplem. 1953-1967, 2 voll., Roma 1975-1980, ad nomen, ad Indicem. Suoi importanti interventi sono riportati in La F.I.O.M. dalle origini al fascismo 1901-1924, a cura di C. Antonioli-B. Bezza, Bari 1978, ad Indicem; Socialisti riformisti, a cura di C. Cartiglia, Milano 1980, pp. 269-75. Per la sua attività parlamentare cfr. gli Atti e le Discussioni della Camera dei deputati per la XXV e XXVI legislatura del Regno, gli Atti dell'Assemblea Costituente e della prima legislatura repubblicana (Senato). Relativamente all'attività sindacale in età giolittiana ed oltre, si vedano: G. Castagno, B. Buozzi, Milano-Roma 1955, ad Indicem; A. Gradilone, Storia dei sindacalismo, III (Italia), II, Milano 1959, ad Indicem; La Confederazione generale del lavoro negli atti, nei docum., nei congressi (1906-1926), a cura di L. Marchetti, Milano 1962, ad Indicem; D. Horowitz, Storia del movim. sindacale in Italia, Bologna 1966, ad Indicem; A. Pepe, Storia della C.G.d.L. dalla guerra di Libia all'intervento 1911-1915, Bari 1971, ad Indicem; Id., Storia della C.G.d.L. dalla fondazione alla guerra di Libia 1906-1911, Bari 1972, ad Indicem; I.Barbadoro, Storia del sindacato ital. dalla nascita al fascismo, II (La C.G.d.L.),Firenze 1973, ad Indicem; C.Cartiglia, R. Rigola e il sindacalismo riformista in Italia, Milano 1976, ad Indicem; C.Antonioli-B. Bezza, cit., ad Indicem; G. Perillo-C. Gibelli, Storia della Camera del Lavoro di Genova. Dalle origini alla seconda guerra mondiale, Roma 1980, pp. 146, 149, 295, 297 s., 339 s., 345 s., 369, 397. Sulla partecipazione agli eventi dal biennio rosso allo scioglimento della C.G.d.L., cfr.: P. Spriano, L'occupaz. dellefabbr., Torino 1964, ad Ind.; S.Cannarsa, Il social. in Parlamento. Il biennio nero, Roma 1965, ad Ind.; A. Landuyt, Le sinistre e l'Aventino, Milano 1973, ad Indicem; F.Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Bari 1974, ad Indicem; G.Maione, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920, Bologna 1975, ad Indicem; I.Barbadoro, Biennio rosso: lotte sociali e direzione socialista, in Storia della società ital.,XXI,Milano 1982, ad Indicem. Sul D. e il movimento socialista, si vedano: A. Malatesta, I socialisti ital. durante la guerra, Milano 1926, ad Indicem; Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, a cura di F. Pedone, 3 voll., Milano 1956-1963 ad Indicem; L. Ambrosoli, Né aderire né sabotare, Milano 1961, ad Indicem; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 2 voll., Bari 1965, ad Ind.; G. Arfè, St. del social. ital. (1892-1926), Torino 1965, ad Indicem; G. Manacorda, Il socialismo nella storia d'Italia, 2 voll., Bari 1966, ad Indicem; L. Cortesi, Le origini del Partito comunista italiano, Bari 1972, ad Indicem; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, a cura di A. Schiavi, III-VI, Torino 1977, ad Indices; G. Galli, Storia del socialismo ital., Roma-Bari 1980, ad Ind. Sulproblema dei consigli di gestione e la sua ultima attività politica e parlam., cfr.: M. La Torre, Cento anni di vita politica e amministr. in Italia, III,Firenze 1954, ad Indicem; O.Lizzadri, Il socialismo italiano dal frontismo al centro sinistra, Roma 1969, pp. 37, 53, 123, 177; Storia del Parlamento italiano, XIV,Palermo 1971, ad Indicem; S. Turone, Storia del sindacato in Italia 1943-1969, Bari 1973, ad Indicem; P.Moretti, I due socialismi. La scissione di Palazzo Barberini e la nascita della socialdemocrazia, Milano 1975, ad Indicem; L. Lanzardo, I consigli di gestione nella strategia della collaborazione, in Annali della Fondazione G. Feltrinelli, XVI (1976), p. 328; G. Averardi, I socialisti democratici. Da Palazzo Barberini alla scissione del 4 luglio 1969, Milano 1977, ad Indicem; P.Craveri, Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Bologna 1977, ad Indicem; P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Milano 1981, ad Indicem. Specificamente sul D., si v.: E. Cossu, L. D.,in Critica sociale, LIII (1961), 13, pp. 323 ss.; A. Andreasi, L. D.,in Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, II, Roma 1976, ad nomen.