LUDOVICO da Strassoldo (da Cividale, da Forum Iulii, da Udine)
Nacque in Friuli probabilmente alla fine del XIV secolo. Le notizie sulla sua vita, frammentarie e confuse, si basano in parte sui pochi cenni autobiografici che L. ha lasciato nelle sue opere, in parte sull'identificazione di L. con Ludovico da Udine o da Forum Iulii (toponimo tradotto ora con "Friuli", ora con "Cividale del Friuli").
Nella sua edizione del Dialogus de papali potestate, ritenuto dallo Sbaraglia opera del vescovo di Forlì Ludovico da Pirano, Ziliotto metteva in evidenza come l'incipit dell'opera, Dialogus fratris Ludovici de Foro Iulii(, indicasse chiaramente un autore diverso il cui nome si ripete anche nell'explicit, ma con una correzione a margine, più tarda, di Forum Iulii in Forum Livii ("Forlì"), che egli pone alla base dell'errata attribuzione dello Sbaraglia. Nel 1951 Campana dimostrò come fosse molto probabile l'ipotesi, avanzata in studi precedenti, di identificare l'autore del Dialogus con L., di cui Liruti nel 1780 compose una breve biografia, priva però di ogni riferimento alla sua attività letteraria. Campana infatti individuava l'opera De regia et papali potestate, a cui nel suo Dialogus L. aveva dichiarato di voler al più presto mettere mano, nel trattato De regia ac papali potestate, che visionò nel codice conservato nel fondo Chigi della Biblioteca apostolica Vaticana (D.VI.97), in cui l'autore nominava se stesso come L. "de Strasoldo" e il proprio fratello come "Franciscus Foriiuliensis".
Non è noto quando L. entrò nell'Ordine francescano e in quali anni intraprese il corso di studi per diventare magister in teologia. Il primo dato biografico certo, che risale probabilmente al 1421 (Paschini - Mercati, 1939-40), si trova nel Dialogus, in cui L. racconta che, imbarcatosi a Venezia su una nave da carico con l'intenzione di raggiungere la Grecia, arrivò dopo quattro giorni di navigazione ad Ancona, dove conobbe il cardinale Gabriele Condulmer, il futuro Eugenio IV, presso il quale restò per quattro mesi con il compito di insegnargli i primi rudimenti di lingua greca. Ebbe in seguito modo di incontrare nuovamente il cardinale a Roma, poco prima di partire, nel 1431, alla volta di Zara per un ciclo di prediche in occasione della quaresima. Mentre soggiornava nella città dalmata, giuntagli la notizia dell'elezione a pontefice del Condulmer, decise di intraprendere la stesura del Dialogus per farne omaggio al nuovo papa.
L'opera è nota dall'unico codice, datato marzo 1431, conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat., 4143) e che si trova citato nell'inventario dei libri appartenuti a Eugenio IV. Si tratta certamente della copia che L. inviò al pontefice, fatta esemplare da un copista e revisionata dall'autore come dimostrano alcune sue aggiunte autografe in greco e latino. L'opera, preceduta da una lettera dedicatoria a Eugenio IV, è suddivisa in due giornate e si svolge all'interno del convento di Zara alla presenza di alcuni frati, di Ludovico Marcello, nipote di Eugenio IV e suo principale interlocutore, e di Luca Venier, custode della rocca dalmata. Dopo la descrizione di un sogno profetico in cui Gabriele Condulmer, quando era ancora cardinale, gli sarebbe apparso in abiti pontificali, esortandolo a tornare in Grecia per predicare l'unione della Chiesa di Oriente e della Chiesa di Occidente, inizia il dialogo vero e proprio volto a dimostrare la necessità che all'interno della Chiesa vi sia un solo capo, il pontefice, e che questi debba risiedere a Roma. Nella seconda giornata, dopo una requisitoria contro la corruzione del clero e contro la pratica delle commende ecclesiastiche, L. passa a dimostrare la superiorità del papa sui concili generali e i limiti ai quali la stessa autorità pontificia deve sottostare, indicando nel Collegio cardinalizio l'istituto più adatto a prendere provvedimenti qualora il pontefice venisse meno ai suoi compiti. Il dialogo si conclude con le lodi a Eugenio IV e con l'esortazione alla Grecia a unirsi alla Chiesa di Roma.
Nel luglio del 1431 Eugenio IV si rivolse al ministro generale dei francescani, Guglielmo da Casale, per esortarlo a inviare L. nella provincia francescana di Romania, che comprendeva anche la Grecia, indicandolo come persona a lui vicina e conoscitore della lingua e dei costumi degli abitanti di quella regione. Non è noto se L. ebbe modo di recarsi in Grecia, certo è che dal febbraio 1432 al novembre 1433 si trovava a Ragusa (l'odierna Dubrovnik) in Dalmazia come vicario del generale, come attestano tre missive inviate a Guglielmo da Casale dal rettore e dalla comunità del convento di S. Francesco nelle quali si lodano la sua azione di riforma e la sua profonda dottrina.
Da Ragusa L. si recò a Venezia, dove nel giugno del 1434 si incontrò con l'umanista e senatore della Repubblica Francesco Barbaro che tornava da un'ambasciata presso Sigismondo di Lussemburgo, appena incoronato imperatore a Roma. I due erano legati da un'amicizia di vecchia data risalente almeno al 1422, anno in cui L. donò al Barbaro i Quodlibeta di Enrico di Gand. Il viaggio in Italia di Sigismondo, e forse anche le onorificenze che questi era solito conferire ai letterati che ne elogiavano le gesta (lo stesso Barbaro aveva ricevuto il titolo di cavaliere per un discorso encomiastico tenuto a Ferrara) lo spinsero a compilare in gran fretta nell'arco dell'estate il De regia ac papali potestate. Si tratta di un dialogo dedicato all'imperatore i cui interlocutori sono il Barbaro, che ha il compito di porre le domande, e l'autore, le cui tesi sono prontamente lodate dall'amico. A questi in un secondo momento si aggiungono, come uditori, Pietro Loredan, suocero del Barbaro, il dotto Marco Lippomano e un certo numero di frati. È stato in realtà evidenziato come il dialogo, che si svolge nella stanza di L. nell'arco di tre giorni suddivisi in cinque riprese, non sia altro che un plagio mascherato del Tractatus de potestate regia et papali scritto nei primi anni del XIV secolo dal domenicano Giovanni Quidort di Parigi, che peraltro non è mai citato. Il dialogo rimane comunque una testimonianza della nuova fortuna di cui godette il trattato del Quidort durante le dispute tra conciliaristi e papalisti nella prima metà del XV secolo.
Il già citato esemplare del De regia ac papali potestate conservato nel fondo Chigi della Biblioteca apostolica Vaticana è stato fino a tempi recentissimi l'unico conosciuto ed è noto agli studiosi soprattutto perché porta la firma, vergata in lettere d'oro, del copista veneto Michele Salvatico, notaio dei Capi di sestiere e calligrafo prediletto di Francesco Barbaro. Studi più recenti hanno portato alla conclusione che il codice fosse destinato non all'imperatore, come aveva ipotizzato Campana, ma alla biblioteca di Francesco Barbaro o a quella personale di L. dalla quale, dopo la sua morte, sarebbe stato prelevato e portato alla Biblioteca Vaticana. Nuove acquisizioni sulle vicende legate all'opera sono venute dalla scoperta di un altro codice presso la British Library di Londra (Add. Mss., 19063) in cui si è riconosciuta la mano del medesimo copista Michele Salvatico, ma con una evidente minor cura calligrafica (Figliuolo). Esso non presenta significative varianti testuali, ma in calce al manoscritto si trovano due lettere di accompagnamento, non presenti nel codice chigiano, l'una dedicata a Sigismondo di Lussemburgo, la seconda al diplomatico genovese Battista Cicala al quale L. rivolge la preghiera di presentare la propria opera all'imperatore, rammaricandosi di non averlo potuto conoscere di persona in occasione del suo viaggio in Italia. Si tratta presumibilmente di una copia che l'autore fece esemplare per la propria biblioteca e per uso personale. È stata riconosciuta la mano dello stesso L. nel frontespizio, in alcune note di lettura e in alcune correzioni di passi trascritti erroneamente dal Salvatico. Di pugno di L. è anche l'integrazione, nella lettera all'imperatore, del nome di colui che avrebbe portato materialmente il manoscritto in sostituzione del fratello Francesco che, come si è detto, era stato precedentemente incaricato. Si tratta di un tal "frater Jacobus", di cui è stata ipotizzata l'identificazione con Giacomo della Marca, il quale, dopo essere stato nominato vicario in Bosnia per la seconda volta ed essersi incontrato a Venezia con L., avrebbe raggiunto Sigismondo nell'estate del 1435 in Slovacchia (Figliuolo).
Nominato inquisitore nelle diocesi di Aquileia e Concordia nel 1434, come attestano le due lettere citate in cui L. si definisce "hereticae pravitatis inquisitoris", nel 1438 riuscì finalmente a ottenere l'incarico di vicario della provincia di Romania dopo la morte del confratello Giovanni da Negroponte, nomina a cui fa cenno anche il Liruti ma datandola al 1446 (difficile dire se si tratti di un secondo mandato o di un errore di datazione). L'ultima notizia biografica è fornita da una lettera inviata da Francesco Barbaro il 25 marzo 1451 al generale dell'Ordine Angelo da Perugia per raccomandargli di aver cura di L., che presto si sarebbe recato presso di lui, ormai vecchio e infermo e diffamato da ingiuste accuse, non esplicitate e di cui non è quindi noto il tenore, di alcuni confratelli. In realtà tale viaggio non ebbe mai luogo perché L. morì a Portogruaro in data precedente all'aprile di quell'anno, come si evince da una nota del Libro delle spese del convento di Udine, citata dal Liruti.
La sua ingente biblioteca, formata da codici latini e greci - tra i quali il celebre Codex Rehdigerianus dei Vangeli del VII-VIII secolo, conservato a Tubinga -, per larga parte frutto dei suoi numerosi viaggi in Oriente, fu dapprima affidata al convento di S. Francesco di Udine e successivamente, due anni dopo la sua morte, venduta almeno in parte al vescovo Antonio da Fabriano, che agiva come emissario di Giovanni Tortelli bibliotecario pontificio.
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