FALIER, Ludovico
Nacque a Venezia, a S. Aponal (S. Apollinare), sestiere di S. Croce, nel 1478, da Tommaso di Pietro e da Orsa Duodo di Pietro di Cristoforo. Aveva appena dieci anni quando il padre morì per una caduta da cavallo, lasciando peraltro i numerosi figli ben provveduti e solidamente inseriti nell'ambito della mercatura: i loro nomi compaiono infatti di frequente, nei primi decenni del XVI secolo, tra quelli dei "pieggi" e dei proprietari di galere che costituivano le "mude" di Fiandra, Beirut, Alessandria.
Quasi nulla sappiamo della giovinezza del F.: ci informa il Sanuto che nel carnevale del 1503 era tra i patrizi che animavano la compagnia dei Fausti: certo non si sposò (ma nel testamento, dettato il 10 apr. 1544, lasciò una cospicua parte dei propri beni al figlio naturale Camillo, "al qual fin hora non gli sono sta per me manchato, anci procurato con ciascun mio sforzo di adornarlo di virtù et buoni costumi", raccomandandogli di vivere "havendo sempre davanti gli occhi il timor de l'onnipotente Iddio, l'honor della sua patria et l'honor della nostra famiglia"), né pare abbia esercitato direttamente la mercatura - come, ad esempio, il fratello Pietro Antonio, annegato nel 1510 con - nell'ambito della "fraterna", il la sua galera -, suo compito fu piuttosto quello di fornire alla famiglia le coperture e le garanzie che potevano derivare dall'esercizio della politica.
Nel 1505 ottenne il saviato agli Ordini per il semestre aprile-settembre, che ricoprì per lo stesso periodo anche nel 1506 e 1509; in quell'epoca la magistratura non aveva ancora la funzione di semplice tirocinio politico per i giovani esponenti delle primarie casate, quale avrebbe assunto in seguito, ma si occupava attivamente di questioni marittime: si spiega così come il più delle volte gli interventi del F. abbiano riguardato l'organizzazione dei convogli di galere, spesso sollecitando significativi incrementi delle sovvenzioni erariali.
Lo stato di guerra che per diversi anni fece seguito alla sconfitta di Agnadello non risparmiò il F., che il 5 febbr. 1510 si trovò eletto commissario pagatore in campo; rifiutò, ma poi si vide costretto ad accettare e per tutta la seconda parte dell'anno seguì le truppe veneto-pontificie che operavano in Emilia e nel Padovano agli ordini del provveditore Federico Contarini.
Partecipò cosi alla vittoria di Concordia, presso Modena, che descrisse in termini euforici in una lettera al fratello Lorenzo, riportata dal Sanuto sotto la data del 19 dic. 1510: "A stà veramente una expugnatione bellissima... Io son facto soldato grande; et la ragion è, perché patimo gran sinistri. È XV giorni, che non mi ho dispogliato, et la nocte dormo in paglia, et qualche volta con le "arme indosso".Il F. fu poi con l'esercito alla Mirandola, dopo di che gli fu concesso il rimpatrio, alla fine di gennaio del 1511.
II periodo che seguì non è di quelli che usualmente si ritrovano scorrendo biografie di patrizi: sulla scorta del Segretario alle Voci e del Sanuto si desume che nel decennio 1512-21 il F. non rivestì alcuna carica, pur avendo mancato di poco quattordici importanti elezioni; si trattava di altrettante ambascerie (tre in Inghilterra e a Roma, due in Ungheria, Francia e Spagna, una a Genova ed un'altra presso l'imperatore Carlo V), alle quali il censo ed il prestigio lo rendevano idoneo (in questo stesso torno di anni gli furono affidate numerose incombenze di carattere diplomatico o di rappresentanza: nel giugno del '19 fu tra i nobili inviati sul Bucintoro ad incontrare il cardinale Egidio da Viterbo, e ancora nel giugno del '21 partecipò all'elezione ducale), ma che egli riuscì puntualmente ad evitare. Soltanto il 13 ott. 1521 gli venne offerta una carica congeniale ai suoi interessi famigliari, e infatti l'accettò: provveditore sopra il Cottimo di Alessandria.
Di lì a poco, tuttavia (7 genn. 1522) ancora una volta fu designato ad una legazione di grande rilievo, al termine di una votazione combattuta, segnata da intensa partecipazione: ambasciatore presso la corte di Enrico VIII, in un momento caratterizzato da una difficile congiuntura politico-religiosa, resa ancor più delicata dal recente avvicinamento tra la Corona inglese e quella imperiale. Dovette accettare la nomina, ma intanto, nelle more dei preparativi per la partenza, fu eletto ai Dieci uffici; cercò di guadagnare tempo, al punto che a metà settembre gli venne intimato di intraprendere il viaggio entro venti giorni. Il Sanudo annota alla data del 6 nov. '22: "Havendo refutado [il F.] ... orator in Ingaltera, da poi che havia acceptado, fu terminato far hozi in loco suo".
Riprese così, per alcuni anni, l'incalzante alternarsi di elezioni sfiorate, ma non conseguite, alcune probabilmente con soddisfazione dell'interessato, altre forse no: ambasciatore al viceré di Napoli e poi al duca di Milano (1523), quindi in Inghilterra e ancora a Milano (1525), nuovamente in Inghilterra (1526); savio di Terraferma (1524 e 1526). La svolta decisiva nella carriera del F. sopravvenne con l'aprirsi dell'anno 1527: nel marzo fu eletto savio alle Decime, e in luglio senatore ordinario; poi (28 apr. 1528) fu votato per l'ennesima volta ambasciatore in Inghilterra, e questa volta accettò, senza riserve di sorta.
In quei difficili primi decenni del secolo l'emergenza politica sembrava essere divenuta una costante storica: in particolare, era di vitale importanza per la Repubblica conservare l'adesione di Enrico VIII - che peraltro aveva già in animo di ripudiare la consorte Caterina d'Aragona, zia di Carlo V - alla Lega di Cognac, nonostante il disastro patito dagli alleati in occasione del sacco di Roma, nel maggio '27; le nuove clausole prevedevano la liberazione dell'Italia dalle armi imperiali, il ripristino dello Sforza nel Ducato milanese, la restituzione dei figli di Francesco I, prigionieri in Spagna, una rendita di 30.000 ducati sul Regno di Napoli riservata al re d'Inghilterra, designato protettore della Lega.
Il F. partì da Venezia il 16 sett. 1528, conducendo per segretario Gerolamo Moriani; a Pavia, il 3 ottobre, gli pervennero le commissioni: in sostanza - riferisce il Sanuto - doveva "tenir ben edificado quel serenissimo re". Di lì raggiunse Alessandria, con una robusta scorta fornitagli dal provveditore veneziano che partecipava alle operazioni militari contro gli Imperiali, quindi Chambéry e Parigi, dove ottenne da quel sovrano le più ferme assicurazioni che egli stava per muovere "grandissima guerra per mare e per terra" al comune nemico, una volta - beninteso - che la Repubblica gli avesse fornito le galere promesse. Arrivò a Londra alla metà di dicembre, e qualche giorno dopo fu ammesso all'udienza del sovrano.
Il F. recitò, come d'uso, "l'oration latina in laudar el regno... La qual Maestà con tanta atentione udite, che mai se mosse, né etiam alcun altro, che ne la sala era infiniti duchi, marchesi, prelati, baroni, signori et altre persone. Et compita, Sua Maestà chiamò el magnifico dottor et cavalier domino Tomà Moro a sé, al qual li commise mi facesse risposta" (Sanuto). Pur iniziata sotto favorevoli auspici, la missione del F. dovette tuttavia registrare un sostanziale processo involutivo nei rapporti anglo- veneti: la pace di Cambrai, del 5 ag. '29, pose infatti le premesse per la generale pacificazione dell'Italia, quale si sarebbe verificata a Bologna qualche mese dopo; a fine anno la disgrazia del cardinale T. Wolsey sottrasse alla Repubblica un amico certamente interessato, ma influente e sicuro; soprattutto il mancato assenso del governo marciano alla richiesta del re di ottenere un giudizio a lui favorevole, da parte dello Studio patavino, sul punto del desiderato divorzio (estate del '30), venne a sanzionare l'ineluttabile divario tra gli interessi delle due potenze.Nonostante ciò, la relazione che il F. - sostituito nella legazione da Carlo Cappello nell'agosto 1531 - lesse in Collegio il 10 novembre dello stesso 1531, e che è sostanzialmente ritenuta come uno dei primi e più interessanti documenti concernenti non solo la corte inglese, ma anche le strutture, i costumi, l'indole di quel popolo, ci propone un quadro nettamente positivo del re e del paese.
Nella "sublime altezza" di Enrico VIII, infatti, "Iddio insieme congiunse la bellezza del corpo con quella dell'animo, che rende stupore non che meraviglia ad ognuno ... Egli è di faccia angelica non che bella, ha la testa cesarina e calma, usa la barba contro il costume inglese ...; è affabile, grazioso, pien di umanità e di cortesia liberale"; pur nella disgrazia, anche la regina è ricca di doti: ella "è da bene, giusta, piena di bontà e di religione"; strani contrasti presentano invece le tre parti che costituiscono il Regno, "di nome e di lingua tanto differenti, che l'una non intende l'altra", ed il carattere degli abitanti, ad un tempo violenti e cordiali, materialisti eppure appassionati di teologia, "della quale fanno oggidì professione non picciola, avendo opinioni totalmente contrarie alla Romana Chiesa, ed alla giornata s'augumenterebbero, se non fussero purgati col ferro e fuoco, spesso da' prelati esercitato". Scontata la conclusione, nella sua lapalissiana sincerità: "Con questo Eccellentissimo Senato il [re] mostra di continuare nell'amicizia, dalla quale facilmente si scosterebbe per non aver voluto assentire all'inchiesta del divorzio".
L'ambasceria londinese fruttò al F. il titolo di cavaliere e dischiuse un periodo caratterizzato dalla sua intensa partecipazione all'attività politica: savio alla Tansazione nell'aprile del '32, capitano di Verona dall'agosto del '34 al settembre 35, quindi savio sopra le Leggi (1536) e capitano a Padova dal settembre '37 al gennaio del '39, dove - come aveva fatto in precedenza a Verona - badò soprattutto a riparare la cinta muraria e le altre strutture difensive. Nuovamente tansador nel '41-'42 e nel '43-'44 (carica che alternò con quella di provveditore sopra le Fortezze), nella primavera del 1543 fu incaricato, insieme con Vittore Grimani, con il procuratore Carlo Mocenigo e Gabriele Venier, di scortare Carlo V nel suo passaggio attraverso il territorio della Repubblica, allorché da Genova l'imperatore risalì sino alla Germania; infine fu consigliere ducale per il sestiere di Santa Croce nel '42 e per quello di Castello quattro anni più tardi; proprio in questo frattempo egli mutò residenza: morì infatti a S. Ternita (Trinità), appunto nel sestiere di Castello, il 14 genn. 1548.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea codici I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori dei patritii..., III, p. 450; Ibid., Segretario alle Voci. Misti, reg. 7, c.47r; Ibid., Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 1, cc. 107- 117; reg. 2, cc. 1 s.; Ibid.. Elezioni dei Pregadi, reg. A, cc. 25v, 26v, 62r, 85r; reg. I, cc. 25, 36, 62, 65, 82, 85; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 179: Prove di età per patroni di galere, c. 206v; Ibid., Savi ed esecutori alle Acque, b. 559, sub 11 febbr. 1543 more veneto; Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 1210/643; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159: Necrologi di nobili, sub 14 genn. 1547 more veneto; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti, II, c. 12r; Ibid., Archivio Zen, bb. 313-314 (si tratta di un processo del 1540 con Pietro Cappello per questioni di eredità). La principale fonte sul F. è costituita dai Diarii di M. Sanuto, IV, VI, VIIIIX, XI, XV, XIX, XXIII, XXV-XXVII, XXIXXXXIX, XLI, XLIV-XLV, XLVII-LVIII, Venezia 1880-1903, ad Indices; cfr. inoltre: G. Priuli, I diarii, a cura di R. Cessi, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXIV, 3, p. 412 e specie per l'ambasceria in Inghilterra, Calendar of State Papers... relating to English affairs, exisiting inthe Archives ... of Venice, a cura di R. Brown, III-V, London 1869-1873, ad Indices; la relativa relazione in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, I, Inghilterra, Torino 1965, pp. XIV, 209-236 (ristampa anastatica dalle Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Alberi, s. 1, III, Firenze 1853, pp. 1-28).
Hieronymi Atestini [Girolamo da Este] Ad Ludovicum Faletrum epygramma, Venetiis 1503; P. Paruta, Historia vinetiana, in Degli storici delle cose veneziane..., Venezia 1718, I, p. 558; II, p. 151; A. Morosini, Historiae venetae, ibid., V, ibid. 1719, pp. 320, 595; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori viniziani..., II, Venezia 1754, p. 565; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, p. 281; L. Einstein, Il Rinascimento italiano in Inghilterra, Siracusa 1969, pp. 285, 293; Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, Roma 1975, p. 770 (sub voce Cappello, Carlo).