FREGOSO (Campofregoso), Ludovico
Figlio di Bartolomeo e di Caterina Ordelaffi di Antonio (II) di Forlì, nacque, forse a Genova, intorno al 1415. Secondo la tradizione della famiglia, la sua educazione venne affidata a un umanista, Bartolomeo Ivani. La sua giovinezza, come anche quella degli altri nipoti di Tommaso venne profondamente segnata dalle continue lotte che opposero la sua famiglia al dominio instaurato su Genova nel 1421 da Filippo Maria Visconti.
Il ritorno al potere di Tommaso Fregoso, nel 1436, segnò per il F. l'inizio dell'attività politica. Nel 1437 egli venne inviato ad appoggiare Giano e Spinetta (II) Fregoso, impegnati nella difesa di Sarzanello contro i Milanesi. Il 28 ag. 1437 sostituì il cugino Nicolò a Voltaggio nella direzione delle operazioni militari nell'Oltregiogo. Scoppiata in settembre la guerra del Finale, vi prese parte come luogotenente del capitano generale Giovanni Fregoso, affiancando nel comando Tommaso Doria, e fu presente con lui alla conquista di Stellanello.
Distintosi nel 1438-39 nell'assedio di Pieve di Teco, nel 1441, di fronte ai continui attacchi di ribelli e fuorusciti, venne mandato a presidiare il castello di Levanto. Incaricato con il cugino Spinetta di raccogliere truppe fedeli da inviare a Genova, riportò in obbedienza Voltri e Busalla insieme con l'altro cugino, Nicolò Fregoso. Nel 1442 fu mandato a combattere contro i ribelli comandati da Giovanni Antonio Fieschi, stipulando, l'8 marzo di quell'anno, una tregua con alcuni di questi. Nominato vicario di Chiavari, riuscì a occupare Sestri.
Caduto il dogato di Tommaso, nel dicembre del 1442, il F. raggiunse il fratello Giano in Corsica, mentre la moglie, Ginevra Gattilusio, si recò a Sarzana grazie a un salvacondotto del nuovo doge Raffaele Adorno. Posto da Giano alla difesa di San Colombano, il F. venne catturato, insieme con la madre Caterina, in seguito al tradimento operato, contro accordi stipulati in precedenza, da Giovanni Montaldo, mandato come governatore sull'isola da Raffaele Adorno. Liberato, ritornò a Genova con il fratello e il resto della famiglia, ma la abbandonò ben presto, unendosi al partito dei fuorusciti.
Il F. rientrò a Genova solo nel 1447, a seguito dell'ascesa al dogato del fratello Giano. Il 27 febbraio a palazzo ducale, insieme con la moglie, nominò un procuratore per recuperare i proventi dei luoghi delle Compere del Comune di Genova e ogni sua spettanza trattenuta dal Comune. Nel successivo mese di marzo, in seguito all'elezione a pontefice del suo amico di infanzia Tommaso Parentucelli, che assunse il nome di Nicolò V, venne scelto per una solenne ambasceria insieme con Andrea Bartolomeo Imperiale, Pietro di Montenegro, Giacomo Fieschi e Brancaleone Grillo. Incaricato di manifestare la gioia della cittadinanza per l'elezione di un concittadino, chiese al pontefice la conferma dei possessi in Corsica e di altri privilegi. A Napoli, dove si recò dopo un breve periodo di permanenza a Roma, ribadì ad Alfonso d'Aragona l'intenzione di Giano di ratificare la pace del 1444, ma si impegnò anche per ottenere soddisfazione in merito ai numerosi attacchi di pirateria da parte dei Catalani, che minacciavano gli interessi genovesi nel Mediterraneo.
Ottenuta l'investitura pontificia della Corsica e una pensione annua dal re d'Aragona, il F. si recò sull'isola per contrastare la ribellione capitanata da Mariano da Gaggio e prese quindi parte alla guerra del Finale, in qualità di capitano, insieme con i cugini Pietro e Nicolò. La morte di Giano, avvenuta il 16 dic. 1448, lo lasciò erede, insieme con il nipote Tommasino, del feudo di Sarzana e, grazie al voto di maggioranza espresso dal Gran Consiglio, subentrò al fratello nel governo della Repubblica.
Lasciata la madre a governare Sarzana, il F. la sostenne nei contrasti che la opponevano, con il cugino Galeotto, ai marchesi Malaspina di Ponzano e di Lusuolo. In tal modo estese il proprio dominio in Lunigiana ai territori di Riccò, Giovagallo, Tresana, Monte di Vai, Aulla, Ponzano. Si occupò inoltre della difesa dei diritti della Comunità di Lerici contro le ingerenze di Spinetta Fregoso. Nello stesso tempo cercò di stringere alleanze matrimoniali con altri rami della sua famiglia, avviando trattative con il suocero Palamede Gattilusio per le nozze tra due figlie di quest'ultimo e i suoi cugini Gian Galeazzo e Antonio.
L'8 sett. 1450 la grave situazione nella quale la Repubblica si era venuta a trovare, a causa delle continue sconfitte militari, portò alla deposizione del F. a vantaggio del cugino Pietro Fregoso. Presentata dalla tradizione come un moto spontaneo della popolazione e delle magistrature di governo contro la decisione di papa Nicolò V di infeudare la Corsica direttamente al F., invece che alla Repubblica, questa deposizione venne più probabilmente provocata dall'iniziativa di Pietro, in accordo con il cugino Nicolò.
Esautorato e, forse, imprigionato il F., sua moglie Ginevra si insediò nella rocca di Lerici. A risolvere la delicata questione fu Marzia Manfredi, moglie di Tommaso, che, ottenuta la cessione del castello, lo affidò finalmente al nuovo doge. Ritiratosi a Sarzana, il F. condusse da questa località una continua attività di opposizione contro il doge, sostenuto dalla madre Caterina, alleatasi con i Fiorentini. Nell'ottobre del 1453 la cattura di un messaggero latore di alcune sue lettere rivelò senza possibilità di equivoco i suoi progetti di congiura contro Pietro; mentre nel marzo del 1454 fallì un suo tentativo di sedizione contro Genova, condotto con la collaborazione dei cugini Lazzaro, Paolo Benedetto e Martino.
L'appoggio dei Fiorentini e, talora, quello di Venezia e Milano, ciascuna per proprie ragioni interessata a contrastare le ambizioni di Pietro Fregoso, protessero peraltro il F. da ogni possibile attacco da parte del doge. Anche i tentativi di pacificazione condotti dal cardinale Domenico Capranica fallirono, poiché le pretese avanzate dal F. contrastavano con gli accordi già stipulati tra il doge e il conte di Lavagna, Giovanni Filippo Fieschi.
Tra il 1454 e il 1455 il F. tentò di suscitare la ribellione della Riviera di Levante, in particolare di Sestri; unitosi con i ribelli Fieschi e Adorno, non esitò ad allearsi con Alfonso d'Aragona, il più potente nemico del doge, e a dargli in ostaggio il proprio figlio. Nel giugno 1455, quando Genova sembrava finalmente al sicuro, in seguito alla stipulazione di una tregua tra Pietro e Alfonso d'Aragona, giunse al doge la notizia di nuovi armamenti di truppe da parte del Fregoso. Il 4 ag. 1455 i due rivali stipularono una convenzione che assegnava al F. il vicariato di Spezia e tutti i luoghi a esso collegati, esclusi quelli già assegnati a Giovanni Filippo Fieschi e i territori di Lerici e Portovenere, in mano al doge. In cambio il F. si impegnava a non contrastare più il doge e a fornirgli assistenza in caso di necessità.
Il 9 maggio 1458, al momento di siglare l'accordo con il quale Genova veniva ceduta al re di Francia Carlo VII, Pietro Fregoso ottenne per sé un credito di 10.000 ducati e per il F. uno di 9.000. Come garanzia, il nuovo governatore Giovanni d'Angiò conferì a quest'ultimo il vicariato di Spezia e le castellanie di Lerici, Trebbiano, Arcola, Vezzano, Tivegna e relativi stipendi. Il ritardo nel loro pagamento provocò presto una situazione di contrasto tra il F. e Giovanni d'Angiò. Il 7 ott. 1458 il governatore ordinò agli uomini di Spezia, soprattutto a quelli sottoposti all'autorità del F., di prestare giuramento di fedeltà a Domenico Dentuto, ma di restare sotto il governo del Fregoso.
Nel luglio 1460 il F. fomentò nuovi disordini ordinando la cattura di una sagitta proveniente da Pisa con merci di proprietà di genovesi e manifestando la propria intenzione di continuare in tali azioni fino alla piena soddisfazione del suo credito. Nello stesso periodo, contravvenendo al proclama di Giovanni d'Angiò contro Galeotto Fregoso, ribelle al governo, iniziò ad arruolare truppe per sostenerlo nella sua lotta.
Nel marzo 1461 Genova si ribellò contro la guarnigione francese, costretta a rifugiarsi nel Castelletto. Le diverse fazioni cittadine si scontrarono allora sulle candidature di Paolo Fregoso e Prospero Adorno, finché quest'ultimo risultò vincitore. Il F., che in un primo tempo era intervenuto in aiuto dei Francesi, forse al solo scopo di opporsi al partito degli Adorno, giunse in seguito a un accordo con il nuovo doge e acconsentì a ritirarsi. Il 18 luglio successivo, appresa la notizia dell'elezione al dogato del cugino Spinetta, partì per Genova via mare con le sue truppe e, sbarcato in città di notte, ottenne dal governatore Ludovico La Vallée la consegna del Castelletto. Il 24 luglio, costretto Spinetta ad abdicare, il F. lo sostituì nel dogato, conferendogli a titolo di compensazione il vicariato di Spezia, trattenendo, però, nelle proprie mani, il territorio di Lerici, come compensazione del vecchio credito.
Deposto e sostituito da Paolo Fregoso il 14 maggio 1462, il F. si accordò con il rivale con la mediazione del cugino Spinetta e ritornò al potere il successivo 8 giugno. Malgrado le lotte interne avessero condotto alla rovina le finanze dello Stato, non esitò, il 26 giugno 1462, a convocare un Consiglio per riproporre la questione del credito a lui spettante e a minacciare nuovi disordini qualora la sua richiesta non venisse accolta.
Nel gennaio 1463 Paolo Fregoso, nuovamente asceso al dogato, risolse il lungo contrasto trascinando il F. dinanzi al Castelletto, dove, minacciandolo di morte, lo costrinse a ordinare la resa della fortezza. Qui prigioniero, il F. ratificò una convenzione con il nuovo doge nella quale rifiutava peraltro di cedere Lerici fino alla piena soddisfazione del suo credito, ritirandosi solo allora nel suo feudo di Sarzana.
Il 1° ag. 1463 il doge intervenne presso il duca di Milano e il governo di Firenze perché fosse restituita al F. la città di Ponzano, occupata da Giacomo di Ambrogio Malaspina. La causa per la restituzione del castello venne trattata a Firenze e a Milano prima da Antonio Ivani, poi da Nicolò Castagna. Passata Genova in signoria a Francesco Sforza, nel 1464, il F. si vide ratificare, ma non saldare, il credito per il quale aveva sollevato tanti contrasti con la Repubblica.
Alla morte di sua madre, Caterina Ordelaffi (1466), si affiancò al F., nel governo di Sarzana, il nipote Tommasino. Nel 1467, sospettando preparativi di guerra nei suoi confronti, il F. affidò ai Sarzanesi la difesa della rocca contro l'offensiva condotta dalle truppe di Galeazzo Maria Sforza, nuovo duca di Milano; attaccato dagli eserciti milanesi nei suoi possessi in Lunigiana, riuscì a resistere nel castello di Lerici, ma non poté impedire la devastazione del territorio circostante. Il 27 febbr. 1468, disperando di poter resistere più a lungo, il F. e Tommasino vendettero Sarzana e i territori annessi - Sarzanello, Castelnuovo, Ortonuovo - ai Fiorentini.
Rifugiatosi come esule a Napoli, presso Ferdinando d'Aragona, il F. ne ottenne l'aiuto allorché, nel 1478, Genova si ribellò contro le milizie sforzesche. Sbarcato a Piombino con sette galee, raggiunse Genova via terra e si unì al governatore Prospero Adorno. Il 18 luglio 1478 entrambi presiedettero un Gran Consiglio al quale presero parte i capitani del Popolo, Simonetto di Belprato, commissario del re di Napoli, Giovanni Ludovico Fieschi e Gian Galeazzo Fregoso. Il 29 luglio 1478 il F. acconsentì alla nomina di Roberto di Sanseverino a capitano generale dei Genovesi. Il successivo 28 settembre fu presente al Gran Consiglio che rinnovava gli eletti alla carica di capitani del Popolo. Il 28 ottobre il Gran Consiglio lo affiancò a Prospero Adorno nel governo della città, mentre Gian Luigi Fieschi venne nominato ammiraglio dei Genovesi. Il 25 novembre dello stesso anno, però, una congiura organizzata dalla fazione dei Fregoso, alla quale partecipò il suo stesso figlio, Agostino, pose fine al governo del F. e di Prospero Adorno e innalzò al dogato Battista Fregoso.
Approfittando dei disordini avvenuti a Firenze in seguito alla congiura dei Pazzi, il F. e Agostino riuscirono, il 5 dic. 1479 a introdursi in Sarzana con l'aiuto della popolazione, e si impadronirono della roccaforte, il 3 febbr. 1480 Battista Fregoso e il Consiglio degli anziani lo nominarono capitano generale della Repubblica, con pieni poteri, ordinando a tutti gli ufficiali e sudditi di considerarlo come tale e di obbedirgli. Il 20 ott. 1480 Battista e gli Anziani deliberarono di nominare Agostino Fregoso capitano generale, senza che ciò costituisse una deroga ai patti stipulati con il Fregoso. Il 18 nov. 1481 Agostino richiedeva dinanzi al doge, al Consiglio degli anziani e all'ufficio di Moneta, a nome del F., il pagamento dello stipendio per il capitaneato di Spezia.
Mentre i Fregoso estendevano il loro controllo sulla Lunigiana impossessandosi di Avenza, a Firenze venne allestito un esercito per riprendere Sarzana. Vista l'impossibilità di difendere validamente il feudo, il F. e Agostino cedettero, il 24 apr. 1484, i territori di Sarzana, Sarzanello, Castelnuovo, Ortonuovo, e Falcinello al Banco di S. Giorgio. Come ritorsione per la questione di Sarzana il F. subì da parte dei Fiorentini la confisca della contea di Calcione e Palagio in Val di Chiana nel territorio di Arezzo, che aveva acquistato dai Tolomei di Siena.
Nonostante l'età avanzata, il F. continuò, per lo più insieme con il figlio Agostino, a ricoprire importanti incarichi di governo. Il 23 luglio 1484 era ancora capitano di Spezia; mentre nel novembre dello stesso anno, quando i Fiorentini presero Pietrasanta, fu eletto capitano generale della guerra in luogo di Agostino, fino all'arrivo di quest'ultimo, e invitato a risiedere a Sarzana. Nell'aprile 1487, in carica come capitano generale dei Genovesi, giunse a una composizione con i commissari Costantino Doria e Pasquale Sauli, e acconsentì a consegnare Spezia ad Agostino Doria di Brancaleone, che agiva in nome di Genova.
La morte del figlio Agostino, avvenuta in quello stesso anno, indusse probabilmente il F. a ritirarsi dalla scena politica.
Egli morì a Nizza nel 1498.
Dall'unione con Ginevra di Palamede Gattilusio signore di Enos, sposata intorno al 1442, aveva avuto i figli Agostino; Battistina, sposatasi con Ambrogio di Uguccione Contrari di Ferrara; Leonarda, andata in sposa a Scipione di Meliaduce, marchese d'Este; Antoniotto e Novella.
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