GALLINA, Ludovico
Nacque a Brescia il 25 ag. 1752, quinto figlio di Giacomo Antonio e di Oliva Tamagna. Di famiglia molto modesta, il G. in giovanissima età, grazie alla raccomandazione dei padri dell'oratorio della chiesa della Pace, fu accolto "per carità" (Paratico, c. 1r) nella bottega del pittore Antonio Dusi dove restò per un anno e mezzo circa. Qui il G. ebbe modo di conoscere l'ambiente pittorico bresciano, caratterizzato da un "linguaggio classicista e formalizzante, culturalmente legato alle accademiche scuole bolognesi, romane, veronesi" (Guzzo, p. 62) e in particolare l'opera di Sante Cattaneo, formatosi nella medesima bottega. Nel 1770, aiutato da due facoltosi concittadini, Luigi Chizzola e Faustino Lecchi, e da un anonimo padre dell'oratorio (forse lo stesso Marco Antonio Paratico autore della biografia del G.), venne affidato al pittore Francesco Zugno e da lui accompagnato a Venezia per completare gli studi. Nella città lagunare il G. cominciò a frequentare con successo i corsi dell'Accademia.
Dopo pochi mesi il G. partecipò a uno dei concorsi interni: non ottenne il premio per problemi di salute ma ricevette molte lodi. L'anno successivo, secondo quanto racconta il Paratico, il premio "gli fu nuovamente tolto da un maneggio di un suo compagno" (c. 4v), ma il terzo anno si aggiudicò la vittoria.
Nello stesso anno del suo arrivo a Venezia il G. divenne curatore della raccolta Farsetti (Ravà), incarico che gli diede modo di esercitarsi con assiduità nella copia dei celebri modelli di statue antiche e dei quadri conservati nella collezione. A quest'esercizio il G. unì un periodo di alunnato presso Domenico Maggiotto. Nel 1774 si aggiudicò il primo premio di un concorso di pittura organizzato dagli studenti dell'Accademia con una "copia in piccolo chiaroscuro" (Paratico, c. 4v) del quadro di Tiziano con S. Giovanni Battista nel deserto. Al 1775 risale la prima commissione importante, la pala con i Ss. Ignazio di Loyola e Filippo Neri che adorano la Vergine per la parrocchiale di S. Bernardino ad Acquafredda presso Brescia.
Giudicata dalla maggior parte della critica mediocre, l'opera rappresenta una corretta messa a punto degli insegnamenti accademici con particolare riferimento, secondo il Passamani (1981, p. 177), ai principî di correttezza formale e di decoro appresi nello studio del Maggiotto, già indirizzati verso stilemi protoneoclassici.
Nell'autunno del 1776, gravemente ammalato, il G. tornò a Brescia, dove, stando alla testimonianza del Paratico, una volta ristabilitosi eseguì cinque ritratti che gli permisero di "respirare dalla sua indigenza" (c. 7v) e di tornare nuovamente a Venezia. Da questo momento cominciò per il G. una serie quasi ininterrotta di commissioni costituita per la maggior parte da pale d'altare eseguite per le parrocchiali di Venezia e dei dintorni di Brescia. Al 1777 risalgono la tela con i Ss. Barbara, Luigi Gonzaga e Vincenzo Ferrer per la chiesa di S. Lio a Venezia e la Disputa di Gesù al tempio per la chiesa parrocchiale di Bedizzole. Quest'ultima, esposta in piazza S. Marco, suscitò commenti entusiasti. Stando a quanto si desume dal Paratico (c. 13r), a questa data il G. possedeva una propria bottega formata da circa sei allievi. Tra il 1779 e il 1782 eseguì la pala con il Martirio di s. Lorenzo per la chiesa di Quinzanello (poi nella parrocchiale di Carzago) un modello della quale si trova nella Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia (n. inv. 213). Anche questa tela venne esposta con successo in piazza S. Marco. Tra i lavori di questi anni si ricordano anche le pale d'altare con la Vergine Assunta e ss. Pietro e Paolo (1781: Castrezzato, parrocchiale), con S. Giorgio e il drago (1782: Capriolo, parrocchiale), e con il Martirio di s. Cristina (1782: Calvisano, parrocchiale), nonché quattro affreschi nella parrocchiale di Artogne (volta e catino absidale: Assunzione della Vergine, Apoteosi e Martirio dei ss. Cornelio e Cipriano; sopra il portale principale: i Profanatori del tempio). Nella volta della parrocchiale di S. Maurizio a Breno dipinse la Legione tebea e la Gloria di s. Maurizio.
La qualità cromatica delle tele del G. sembra orientarsi progressivamente verso una gamma coloristica caratterizzata da tinte fredde, brillanti, armonizzate tra loro con delicatezza; mentre la struttura compositiva assume caratteri sempre più scenografici e teatrali.
Oltre alla pittura di carattere sacro il G. si dedicò alla ritrattistica, divenendo uno dei più ricercati rappresentanti del genere. Tra il 1776 e il 1780 eseguì i ritratti di Francesco Pisani, di Almorò III Pisani, della moglie di questo Paolina Gambara e dei loro figli Alvise, Francesco, Elena, Elisabetta, Marina, Giustiniana (Angarano, villa Michiel). Nel 1777 eseguì il ritratto a figura intera del doge Paolo Renier (Padova, Musei civici agli Eremitani, n. inv. 640) cui fece seguito nel 1779 quello a mezzo busto del medesimo doge (Venezia, Civico Museo Correr, n. inv. 1437). Allo stesso periodo risale anche il ritratto del procuratore Giovanni Francesco Querini (Venezia, Galleria della Fondazione Querini Stampalia) e quello di Alvise Contarini, noto attraverso un'incisione di A. Baratti.
Tali ritratti, "d'impostazione aulica" (Donzelli), furono molto apprezzati dalla committenza e contribuirono in maniera decisiva al successo del pittore. Importante in tal senso fu anche l'appoggio di influenti personaggi, quali il conte Vincenzo Gambara e il nobile Pietro Barbarigo, in casa del quale il G. sistemò il proprio studio.
Oltre alla nobiltà lagunare il G. ritrasse anche personaggi originari o comunque legati alla sua città natale. Si ricordano il Ritratto di un giovane gentiluomo (Brescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo, n. inv. 198), di Francesco Grimani (1780), del cardinale Ludovico Calini (1781: Brescia, duomo nuovo, sala dei Canonici) e un ritratto di Alvise Zusto Savio rimasto incompiuto; il ritratto del Grimani, in particolare, procurò al G. l'aggregazione per sé e per la sua famiglia alla cittadinanza bresciana.
L'attento studio dei personaggi, ritratti per la maggior parte in vesti ufficiali, e la minuziosa capacità di resa dei singoli particolari - dai tratti somatici, alle acconciature, all'abbigliamento - pongono il G. "tra i non molti efficaci interpreti" della ritrattistica ufficiale settecentesca (Passamani, 1981, p. 178). La severa impronta accademica tuttavia sembra come frenare il fare pittorico del G. i cui modi appaiono "di una genericità senz'anima", "inerti e raggelati" (Pallucchini, 1960, p. 219; 1995, p. 461).
Agli ultimi anni della vita del G. risale la pala per la chiesa parrocchiale di Verolanuova rappresentante Il Golgota condotta a termine dall'allievo Pietro Tantini. Nell'opera, per la quale il G. preparò un ingente numero di abbozzi (Paratico, c. 55r), i modelli delle grandi crocifissioni del Tintoretto e di Paolo Veronese vengono interpretati secondo un'impostazione drammatica e teatrale, forse enfatizzata dall'intervento dell'allievo.
Nel settembre del 1784 il G. entrò a far parte dell'Accademia di Venezia (insieme con Francesco Guardi) con nove voti favorevoli e due contrari e qui insegnò fino alla morte. Ammalatosi di tisi, nel dicembre del 1786 fece testamento, nominando suo erede, oltre ai famigliari ancora in vita, l'allievo Pietro Tantini, al quale lasciò la maggior parte degli strumenti di lavoro (Ravà, p. 267).
Morì a Venezia il 4 genn. 1787.
Fonti e Bibl.: Brescia, Archivio della Parrocchia di S. Giovanni Evangelista, Registro dei battesimi dal 1735 al 1758, c. 248v; Ibid., Biblioteca civica Queriniana, Mss. De Rosa, n. 3: M.A. Paratico, Memoria storica della vita di L. G. (1787); G.B. Calabi, Le scelte pitture di Brescia. Notizie istoriche delli pittori, scultori ed architetti bresciani (1776), a cura di C. Boselli, Brescia 1962, pp. 31, 71, 83-85; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana…, Venezia 1792, p. 632; G. Fogolari, Domenico Pellegrini, ritrattista veneziano, in L'Arte, XII (1909), p. 96; A. Ravà, L. G. ritrattista veneziano 1752-1787, ibid., XIII (1910), pp. 259-267; G. Fogolari, L'Accademia di pittura e scultura del Settecento, ibid., XVI (1913), p. 393; A. Moschetti, Il busto del doge Paolo Renier opera di Antonio Canova, in Belvedere, IV (1923), pp. 142 s.; G. Damerini, I pittori veneziani del '600 e '700, Bologna 1928, p. 216; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario. Guida storica e artistica, Venezia 1928, pp. 130, 314, 356; E. Calabi, La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento (catal.), Brescia 1935, pp. 41-45; A. Moschetti, Il Museo civico di Padova, Padova 1938, p. 164; G. Panazza - C. Boselli, Pitture in Brescia dal Duecento all'Ottocento (catal.), Brescia 1946, p. 173; C. Donzelli, I pittori veneti del Settecento, Firenze 1957, pp. 95 s.; F. Muratelli, I e II Supplemento alla pittura a Brescia nel Seicento e Settecento, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CLVII-CLVIII (1958-59), p. 125; R. Pallucchini, La pittura veneziana del '700, Venezia-Roma 1960, pp. 218 s.; Il Museo Correr di Venezia. Dipinti del XVII e XVIII secolo, a cura di T. Pignatti, Venezia 1960, pp. 84 s.; B. Passamani, La pittura dei secoli XVII e XVIII, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, p. 649; Id., L. G., in Brescia pittorica1700-1760 (catal.), Brescia 1981, pp. 177-180; E.M. Guzzo, Brescia pittorica nel Settecento. Religiosità ed arte nella città del cardinal Querini, in Arte cristiana, 1982, n. 70, pp. 62, 65; B. Passamani - V. Volta, La basilica di Verolanuova, Verolanuova 1987, pp. 84 s.; B. Passamani, Guida alla Pinacoteca Tosio - Martinengo di Brescia, Brescia 1988, pp. 115 s.; M. Carminati, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, II, p. 725; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, II, Milano 1995, pp. 459-461; M. De Grassi, in Da Padovanino a Tiepolo…, Milano 1997, p. 300 n. 251; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 125.