MAGISTRETTI, Ludovico
(detto Vico)
Nacque a Milano il 6 ottobre 1920, primogenito di Pier Giulio e Luisa Tosi.
Il padre, architetto, si affermò negli anni Trenta in Lombardia come un raffinato progettista di opere private e pubbliche di carattere novecentista. In uno di questi edifici dove stabilì lo studio, all’angolo tra via Conservatorio e via Bellini, si trasferì con la famiglia nel 1934.
Dopo aver frequentato il liceo classico Parini, Magistretti si iscrisse, nel 1939, alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano.
Richiamato alle armi durante la guerra, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si rifugiò in Svizzera. Esule a Losanna fu internato assieme ad altri architetti italiani, tra i quali Giulio Minoletti, Paolo Chessa, Luigi Frattino, Angelo Mangiarotti. Qui ebbe modo di seguire i corsi di Ernesto Nathan Rogers al Champ universitaire italien (CUI) diretto da Gustavo Colonnetti e di partecipare alle attività del Centre d’étude pour le bâtiment (Centro di studi in Svizzera per la ricostruzione italiana) che, sotto la guida di Rogers, elaborò una serie di proposte per la ricostruzione che spaziavano dall’urbanistica all’arredamento.
Rientrato a Milano alla fine della guerra, nell’agosto del 1945 si laureò in architettura. Iniziò allora la sua attività professionale nello studio lasciatogli dal padre, morto il 15 febbraio di quell’anno, collaborando inizialmente con Chessa. Nel gennaio del 1946 si sposò con Paola Rejna, da cui ebbe Stefano (1947) e Susanna (1951).
Partecipò attivamente, negli anni del dopoguerra, alle riunioni del Movimento studi per l’architettura (MSA) che riuniva architetti già attivi negli anni Trenta, come Rogers, Ignazio Gardella, Franco Albini, e giovani neolaureati come Giancarlo De Carlo e Marco Zanuso, tutti accomunati da istanze antitradizionaliste dell’architettura italiana e, prima che da modalità operative e disciplinari, da un orientamento etico.
Nel 1946, alla prima mostra del RIMA (Riunione Italiana Mostre Arredamento) al Palazzo dell’arte della Triennale di Milano, dedicata all’arredamento popolare per la ricostruzione, Magistretti presentò alcuni mobili essenziali pensati per forme di produzione seriale. Con questi oggetti – assieme ai tavolini sovrapponibili e alla libreria presentati nella mostra Il mobile singolo, organizzata da Fede Cheti nel 1949, e a un tavolo circolare-ovale trasformabile, progettato nel 1951 per l’azienda Tecno – fece il suo esordio nel mondo del design di cui fu, in ambito italiano, uno dei maggiori protagonisti. Nel 1947 Magistretti fu tra i curatori della Mostra dell’industrializzazione edilizia alla VIII Triennale. Alla IX Triennale del 1951, dove vinse la medaglia d’oro per l’architettura, organizzò e allestì, con Gabriele Mucchi, la mostra Architettura del lavoro e nel 1954 (X Triennale) curò, assieme a Gardella, Luigi Caccia Dominioni e altri, la Mostra dello standard. Nel 1956 fu tra i fondatori dell’Associazione per il disegno industriale (ADI), che organizzò le prime iniziative volte a promuovere la formazione e lo statuto professionale dei designer italiani, tra cui il premioCompasso d’oro (nato due anni prima da un’idea di Gio Ponti in collaborazione con La Rinascente), il più prestigioso riconoscimento italiano nell’ambito del design. Magistretti fu membro di giuria del premio per le edizioni del 1959 e del 1960.
Parallelamente a queste iniziative, Magistretti sviluppò la propria attività di architetto nello studio di via Conservatorio con un unico collaboratore, il geometra Franco Montella, che sarebbe rimasto con lui per cinquant’anni. La sua iniziazione all’architettura avvenne con i complessi residenziali per l’INA-Casa, compresi nel piano di sviluppo per l’edilizia pubblica, realizzati in Lombardia negli anni 1949-53 e 1957-59, e con le sedi del Credito varesino in Piemonte. Il carattere minimalista di questi progetti, coerente con la limitatezza delle risorse economiche, fu accompagnato da uno studio accurato della composizione planimetrica e da una ricca elaborazione di dettagli costruttivi. Ma fu a Milano che Magistretti realizzò, negli anni Cinquanta, alcune opere destinate a metterlo in luce nell’ambiente dell’architettura italiana del dopoguerra, accomunandolo a figure di primo piano come Caccia Dominioni e Gardella. Dopo il complesso di case in via Santa Marta (1952), nel quale comparve uno dei suoi motivi ricorrenti nel disegno dell’architettura residenziale urbana – la modulazione dei corpi di fabbrica attraverso volumi aggettanti –, progettò, insieme a Mario Tedeschi, la chiesa di S. Maria, nel nascente QT8 a San Siro. In questo edificio, realizzato nel 1955 come parte del quartiere modello della ricostruzione italiana, Magistretti diede forma a uno spazio aereo a pianta centrale poligonale, nel quale una fessura sul coronamento, disposta lungo tutto il perimetro, permette l’ingresso della luce naturale radente sul soffitto. Nel progetto del 1953 per la Torre del parco in via Revere, ultimata nel 1956, affrontò il tema del grattacielo, oggetto in quegli anni, a Milano, di varie e discusse interpretazioni. Nell’edificio, disegnato con Franco Longoni, i fronti della Torre vengono differenziati attraverso la diversa configurazione e accentuazione degli aggetti delle terrazze panoramiche che ne sottolineano, in contrasto con il carattere 'brutalista' della struttura in calcestruzzo, l’aspetto residenziale. Nel 1956 venne ultimato anche il Centro ricreativo a Rescaldina (Milano), connotato dalla originale soluzione della copertura della sala cinematografica a porzioni di volta degradanti e dal rivestimento in mattoni. Nell’edificio per uffici in corso Europa, completato nel 1957, Magistretti, partendo dall’organizzazione interna degli spazi di lavoro, disegnò una facciata che frammenta la compattezza del fronte costruito, attraverso l’iterazione di moduli nei quali i pieni e i vuoti sono composti in modo asimmetrico.
Una menzione a parte merita Casa Arosio, realizzata sulla pineta di Arenzano (Genova) tra il 1956 e il 1959 e caratterizzata da un'articolata composizione di volumi sovrapposti in intonaco bianco, sagomati dai rivestimenti della copertura in ardesia, che si guadagnò la copertina della rivista Casabella continuità (diretta da Rogers) e che divenne, di lì a poco, uno dei casus belli della querelle tra la cultura razionalista italiana e quella europea. Nel 1959, infatti, all'XI congresso dei CIAM (Congressi Internazionali di Architettura Moderna) di Otterlo (Paesi Bassi), l’opera, per la caratterizzazione data dall’uso dei materiali e delle imposte in legno a persiana (assieme ad altre opere come la Torre Velasca, la mensa Olivetti di Ivrea di Gardella, le case a Matera di De Carlo), fu al centro di un'aspra critica che rimproverava all’architettura italiana di tradire, con una sorta di neorealismo vernacolare, le matrici più pure dell’architettura razionalista di matrice centroeuropea.
Negli anni Sessanta l’attività di progettazione in ambito architettonico proseguì con numerosi interventi relativi a residenze, complessi turistici, edifici industriali e uffici.
All’articolazione espressionistica dei volumi, funzionale alla creazione di spazi interni continui ad altezza differenziata di ville extra urbane come quelle del 1962 – casa Bassetti ad Azzate (Varese) o casa Il Roccolo a Ello (Lecco) –, fa da contrappunto, a Milano, la scomposizione asimmetrica della massa attraverso ballatoi aggettanti, come nell’edificio per uffici e abitazioni in via Leopardi (1961), in quello per abitazioni in piazzale Aquileia (1964), o ancora nell’intervento in via Conservatorio (1963-66), attiguo allo studio Magistretti nel quale, nel prospetto su strada, le balconate sono scavate nel volume in intonaco rosso, mentre diventano verande aggettanti nel lato interno che affaccia sul giardino.
Nella sezione trapezioidale dei volumi in mattoni a vista, il progetto per il municipio di Cusano Milanino, realizzato tra il 1966 e il 1969, chiarisce il debito di Magistretti nei confronti delle architetture di Alvar Aalto e Arne Jacobsen: il riferimento è ripreso anche in casa Muggia a Barzana (Bergamo) del 1973. Risale al 1969 la realizzazione del quartiere residenziale San Felice a Segrate (Milano). In un’epoca di grande conflitto sociale e ambientale, il progetto urbanistico ed edilizio, messo a punto assieme a Caccia Dominioni, ripropose l’utopia antiurbana della città giardino, con le abitazioni disposte a schiere basse e sinuose, immerse nel verde, e dieci torri ispirate alla configurazione a terrazze aggettanti del progetto di piazzale Aquileia.
Il complesso per abitazioni, uffici e negozi, in un isolato tra piazza San Marco, via Pontaccio e via Solferino a Milano, rappresentò un punto di crisi nell'attività architettonica di Magistretti. Progettato nel 1966 e realizzato tra il 1970 e il 1973, l’edificio fu il frutto di un accurato lavoro 'a levare', con le bucature irregolari delle finestre rettangolari e la struttura portante che emerge a tratti, come una bianca ossatura, dalla massa compatta in intonaco rosso. La sensibilità ambientale e storica nei confronti del costruito, lascito della lezione di Rogers, sembra qui scontrarsi con le geometrie minimali e scevre di dettagli del Magistretti industrial designer.
Nel corso della sua attività architettonica, la necessità di completare l’arredo degli edifici – stante la carente offerta di prodotti di serie da parte della nascente industria – offrì a Magistretti l’occasione per sperimentare le prime forme di produzione a serie limitata. Nel 1959 progettò, con Guido Veneziani, la Club House del circolo del golf di Carimate (Como). Per l’arredo della sala ristorante disegnò una sedia con braccioli e sedile impagliato, ispirata alla tradizione contadina e in sintonia con il filone europeo (William Morris, Adolf Loos, Kaare Klint) che identificava il gusto moderno con la semplicità e autenticità degli oggetti di fattura artigianale.
Presentata alla Triennale di Milano del 1960 la sedia, denominata Carimate, con le parti in legno tornito dal caratteristico colore rosso laccato, rappresentò l’inizio di una intensa attività di collaborazione con il dinamico e illuminato imprenditore brianzolo Cesare Cassina, che la mise in produzione nel 1962. Per Cassina Magistretti progettò, per trent’anni, innumerevoli oggetti di serie tra cui sedie, letti e imbottiti. Nel 1958, dal disegno di alcuni arredi per il grande albergo Roma a Piacenza, nacque il tavolo in ferro e vetro Amaja, prodotto da Gavina nel 1960, azienda per la quale, negli stessi anni, Magistretti disegnò il divano e la poltrona Loden e il tavolino Caori. Contemporaneamente (1961), con la lampada a stelo Omicron e la lampada Lambda, iniziò la sua collaborazione con Artemide, l’azienda fondata da Ernesto Gismondi.
Alla base del disegno delle lampade (sia di quelle sviluppate per Artemide, sia di quelle disegnate a partire dagli anni Settanta per l’azienda Oluce) stava la generazione di forme per sezionamento o giustapposizione di solidi geometrici elementari, in particolare sfera, cono e cilindro. Un procedimento che, come egli stesso dichiarò, mirava alla definizione di un archetipo dell’oggetto, nel disegno del quale la geometria, limitando le possibilità d’invenzione, permetteva un controllo razionale degli esiti formali. Le lampade Omega, Erse, Clitunno, e la serie dei Clinio, sono caratterizzate da una parabola diffusore ottenuta dal sezionamento di una sfera; la Cirene (1965) da porzioni di sfera sovrapposte; la lampada da parete Mania (1963) è formata da due quarti di sfera, di dimensioni diverse, sovrapposti e contrapposti. Sulla sfera come generatrice di forme sono basate anche due lampade da tavolo del 1965: l’Eclisse e la Dalù, entrambe prodotte da Artemide. La prima, divenuta presto un’icona del design, è composta da tre semisfere cave in metallo: una funziona da base d’appoggio, mentre le altre due (sovrapposte e concentriche a questa) contengono la sorgente luminosa e regolano l’intensità della luce attraverso l’occultamento progressivo della sorgente. La lampada, che rappresentò uno dei primi prodotti di massa nel campo dell’illuminazione domestica, fu premiata, nel 1967, nella IX edizione del Compasso d’oro, anno nel quale Magistretti fu insignito del titolo di accademico di San Luca.
Il rapporto con Artemide, che in quegli anni intendeva dedicarsi oltre che all’illuminazione, anche alla produzione di mobili in serie, si fece più intenso a partire dal 1964, con il disegno di Demetrio, un tavolino sovrapponibile ideato sezionando i lati di una bacinella per fotografi in polietilene. Questo progetto diede inizio a una sperimentazione sull’oggetto d’arredo in materiale plastico che portò Magistretti ad affiancare le coeve e pionieristiche esperienze di Zanuso e Joe Colombo per Kartell. La lampada da terra Chimera (1966), costituita da un foglio di metacrilato opalino curvato e corrugato, fornì la soluzione per la realizzazione della sedia impilabile Selene (1967). In questa seduta, realizzata in un unico stampaggio di reglar (resina stampata rinforzata), come nella successiva variante a poltroncina Vicario (1970), la conformazione sinusoidale della sezione delle gambe conferì all’oggetto quei caratteri di rigidità e leggerezza che ne permisero l’utilizzo in un’ampia gamma di situazioni.
Con la sedia Golem, disegnata nel 1968 per Poggi, Magistretti dimostrò la sua capacità di reinterpretazione in chiave espressiva del linguaggio protomoderno di Charles RennieMackintosh. Lo schema elementare, già adottato nel 1957 da Tobia Scarpa con la Pigreco, di una seduta imbottita sostenuta da tre appoggi a terra in tavole di legno, è in contrasto con il carattere ieratico che Magistretti conferì alla conformazione dell’appoggio posteriore, che si prolunga oltre la posizione della testa sino a diventare un sinuoso schienale.
Da una rinnovata collaborazione con Cassina nacque, nel 1973, la poltrona e divano Maralunga, che ripropose uno dei temi costanti della ricerca di Magistretti: la modificabilità dell’oggetto da parte del fruitore. Divenuto rapidamente un best seller nell’ambito del design dell’imbottito (e premiato con il Compasso d’oro nel 1979), era caratterizzato dallo schienale pieghevole, che nella posizione di riposo fa da cuscino, mentre rialzato diventa un ergonomico appoggio per schiena e testa.
Negli anni Settanta disegnò una vasta serie di lampade, la maggior parte delle quali prodotte dall’azienda Oluce. Con sistematica semplicità, sulla scia delle precedenti esperienze, egli spaziò dalla semisfera della lampada a sospensione Sonora (1974), delle dimensioni di una cupola luminosa domestica, all’articolata geometria della Atollo (1977), premiata con il Compasso d’oro sempre nel 1979: lampada da tavolo con base cilindrica sormontata da un cono, su cui è sospesa una calotta semisferica contenente le sorgenti luminose. Altri esemplari significativi furono la lampada da tavolo e parete Porsenna (1976), una parabola-diffusore generata da una sagoma tronco-conica tagliata a metà, e la Nemea (1979), che gioca sul rapporto tra un disco circolare e una piccolissima calotta semisferica contenente una sorgente alogena.
Sebbene il disegno di sedie, imbottiti e lampade, conferisse grande visibilità internazionale al lavoro di Magistretti, la sua versatilità progettuale si indirizzò, in questo periodo, anche al disegno di sistemi per cucine componibili e per letti. A partire dal 1970, e nell’arco di tre decenni, interpretò per l'azienda Schiffini l’evoluzione del gusto e sperimentò innovazioni tecnologiche, passando dalle ante semitrasparenti in cristallo serigrafato della cucina Dama (1976), alla laccatura rossa in poliestere della Cina (1986), alle doghe in noce della Solaro (1995), all’uso totale dell’alluminio nella Cinqueterre (1999). Per Flou, l’azienda fondata da Rosario Messina per sfruttare la rivoluzione introdotta dal piumone, Magistretti inventò un letto composto unicamente da parti in tessuto. In analogia con alcune ricerche sviluppate per sistemi di imbottiti, come il divano Tenorio e il sistema Davis, nel 1978 nacque il letto Nathalie, in cui la morbidezza è resa visivamente dalla continuità tra il rivestimento tessile della struttura, la coperta in piume e la testiera concepita come un doppio cuscino rigonfio.
Con la libreria Nuvola rossa per Cassina del 1977 e in forma più complessa con il sistema Broomstick per Alias del 1979, Magistretti riprese il filo della sperimentazione sui mobili 'poveri' degli anni Quaranta. Nella libreria Nuvola rossa, sottili profili in legno a sezione rettangolare generano due scale a pioli inclinate e contrapposte su cui poggiano le mensole. In Broomstick impiegò un profilo utilizzato per la produzione di manici di scopa (broomstick) come struttura per la realizzazione di varie tipologie d’arredi a basso costo: una libreria, un tavolo, un tavolino, un letto, una poltrona, un appendiabiti. Questa collezione di oggetti fu originariamente autoprodotta per arredare l’appartamento che il celebre Royal College of art di Londra gli mise a disposizione come visiting professor nei corsi di product-design; incarico che – mantenuto da Magistretti per molti anni – gli valse, nel 1990, il titolo di honorary professor e, nel 1996, quello di senior fellow. Si trattò di un’attività didattica che, oltre a dare riconoscimento internazionale al suo lavoro, come attesta, nel 1986, la medaglia d’oro della Society of industrial artists and designers (SIAD), ne fece il punto di riferimento culturale per la nuova generazione di designer, formata tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta nel College londinese.
La critica non ha mancato di rilevare (Irace - Pasca, 1999) che il contributo di Magistretti nel campo del design è stato principalmente di tipo ideativo: il disegno del concetto o archetipo ha rappresentato il tratto costante della sua ricerca, accompagnato da un interesse specifico (di matrice razionalista) per la produzione in serie. Ne è derivata un’interpretazione del ruolo del designer come figura di relazione, nel quale l’oggetto, delineato solo nei suoi tratti fondamentali, nasce da un dialogo pragmatico e serrato con i committenti, le maestranze e i tecnici. Questo ha permesso una chiara distinzione tra il ruolo ideativo (designer) e tecnico-produttivo (azienda), che – nel clima di rinnovamento del design italiano degli anni Ottanta – si tradusse in una prolifica e variegata attività di collaborazione.
Fatta eccezione per alcune importanti architetture, come il Dipartimento di biologia dell’Università statale di Milano (1981) e la casa Tanimoto a Tokyo (1986), dove riprese, in chiave giapponese, la doppia inclinazione delle falde di copertura di casa Cassina a Carimate del 1965, negli anni Ottanta e Novanta l’attività creativa e professionale di Magistretti si focalizzò sul disegno di prodotti industriali identificabili in due categorie: invenzioni tipologiche e re-design di pezzi classici. Esempi significativi del primo gruppo sono la poltrona Sindbad, progettata per Cassina nel 1981, basata su una coperta da cavallo colorata, di tradizione inglese, gettata sopra un imbottito-struttura; il tavolo regolabile Vidun (1987), vorticoso ed espressivo assemblaggio di segmenti in legno naturale o colorato attorno a una grande vite da torchio in legno; l’appendiabiti Spiros (1987), frutto di un’aggregazione casuale di pioli su un manico appoggiato al muro; il lampadario Morocco (1998), che come diffusore presenta una serie di calici da vino appesi a stelo in giù e illuminati da piccole sorgenti alogene. Nel re-design Magistretti si pose l’obiettivo di riattualizzare modelli tradizionali e pezzi storici del design europeo. In questo egli riproponeva un atteggiamento già sottolineato dalla critica negli anni Cinquanta, quando rilevava la sua propensione per un oggetto «la cui aspirazione è di sembrare come se già fosse stato» (Gregotti, 1956, p. 33). Nella sedia Marocca (1987), ripresentò il procedimento di recupero delle sedute contadine già adottato con la Carimate; con la sedia Silver (1989) rielaborò, invece, utilizzando una struttura in alluminio con sedile e schienale in plastica, il modello con braccioli n. 811 della Thonet; con la Maui (1996) riattualizzò la storica sedia 'formica', realizzata negli anni Cinquanta in compensato curvato da Arne Jacobsen. Una collezione ricchissima di oggetti nacque dal rapporto con Maddalena De Padova, imprenditrice attenta a cogliere l’evoluzione del gusto internazionale: tra questi alcuni arredi disegnati reinterpretando i mobili Shakers. Con la tradizione utopica del design americano ottocentesco, oggetto in quegli anni di rivisitazione attraverso mostre e pubblicazioni, Magistretti stabilì una spontanea sintonia, basata sul carattere minimal e understatement di oggetti estremamente semplici e funzionali e, per la maggior parte, realizzati in legno di ciliegio. Gli armadi e librerie su ruote Shigeto (1988), il pouff Rocking (1991), la sedia Maine (1992), costruiti da De Padova, come anche la serie di contenitori a cassetti Spigo (1990) e i tavolini Spigolini (1992), prodotti da Flou, sono riconducibili a questa ispirazione.
Un altro rapporto che, nel corso degli ultimi anni di attività, stimolò Magistretti all’invenzione di nuove tipologie di seduta fu quello con l’azienda Campeggi, per la quale disegnò diversi oggetti caratterizzati dalla trasformabilità. Kenia (1995) è una poltrona pieghevole con due impugnature da manubrio che alludono alla trasportabilità; Ospite (1996) è un letto pieghevole; Africa una poltrona pieghevole in tessuto con risvolti poggiatesta e un’esile struttura in tubo d’alluminio; Samarcanda e Distesa, entrambe del 2001, giocano sull’elemento delle ruote e della facile trasportabilità.
Insignito di numerosi premi nazionali e internazionali, la fama di Magistretti venne riconosciuta e celebrata anche a Milano, dove nel 1988 gli fu conferito l’Ambrogino d’oro, nel 1995 il premio Compasso d’oro alla carriera e nel 2002 la laurea ad honorem in disegno industriale al Politecnico.
Nel 1997, in occasione del XXXVI Salone del mobile a Milano, fu allestita da Achille Castiglioni una mostra sul suo lavoro curata da Vanni Pasca. Nel 2003 a Genova, promossa dalla Fondazione Schiffini, fu realizzata a Palazzo Ducale la mostra V. M.. Il design dagli anni ’50 ad oggi. Nel 2005 ricevette il premio speciale Abitare il tempo.
Magistretti morì a Milano il 19 settembre 2006.
Nel 2010 i figli Stefano e Susanna hanno istituito la Fondazione Vico Magistretti allo scopo di preservare e rendere disponibili al pubblico e agli studiosi il ricchissimo archivio e lo studio di via Conservatorio.
Una descrizione dell’archivio di L. M. relativa all'attività professionale nei settori dell’architettura e del design (1947-2003) è disponibile all’indirizzo http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodpersona&Chiave=19464 (23 dicembre 2014). L’archivio – conservato a Milano presso la stessa Fondazione – è ordinato secondo un criterio che ha privilegiato un’organizzazione 'per progetto' per le unità di condizionamento che contengono progetti di architettura, 'per produttore' per quelle dei progetti di design e 'per committenza' per la parte gestionale e amministrativa. Alcuni materiali, già digitalizzati, sono disponibili sul sito della Fondazione all'indirizzo http://www.vicomagistretti.it (23 dicembre 2014).
Le due monografie fondamentali sul lavoro di L. M. come designer e come architetto sono: V. M. L’eleganza della ragione, a cura di V. Pasca, Milano 1991; F. Irace - V. Pasca, V. M. Architetto e designer, Milano 1999.
Una selezione antologica dei progetti di design è in: B. Finessi, V. M., Mantova 2003. Per un'analisi delle architetture realizzate a Milano: M. Biagi, V. M. Architetture milanesi, Milano 2010. Per i primi lavori di architettura e la loro accoglienza da parte della critica vedi: Chiesa al quartiere QT8 a Milano, in Casabella continuità, 1955, n. 208, pp. 42-48; V. Gregotti, Un centro ricreativo in Lombardia dell’architetto V. M., ibid., 1956, n. 213, pp. 33-41; Palazzo per uffici nel centro di Milano, ibid., 1957, n. 217, pp. 29-33; Una torre per abitazioni al Parco di Milano (relazione al progetto), ibid., pp. 37-41; E.N. Rogers, Casa Arosio nella pineta di Arenzano, ibid., 1959, n. 234, pp. 4-11; R. Pedio, Linea Lombarda: opere di V. M., in L’architettura, cronache e storia, 1960, n. 57, pp. 149-163; Casa nella pineta di Arenzano, in Domus, 1960, n. 363, pp. 13-28; E.N. Rogers, Country club a Carimate, in Casabella continuità, 1961, n. 255, pp. 32-41.
Approfondimenti sulla sua figura di progettista, anche in forma d’intervista, sono in: S. Giacomoni - A. Marcolli, Designer italiani, Milano 1988, pp. 184-211; V. M.: l’eleganza di un’idea, in Maestri del design. Castiglioni, Magistretti, Mangiarotti, Mendini, Sottsass, conversazioni a cura di D. Duva et al., Milano 2005, pp. 34-69; V. M. Il segreto della semplicità, in è De Padova. 50 anni di design. Intuizioni, passioni, incontri, a cura di D. Gnocchi, Milano 2006, pp. 117-123; La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano, a cura di G. Castelli - P. Antonelli - F. Picchi, Milano 2007, pp. 380-383; F. Bulegato - E. Dellapiana, Il design degli architetti italiani 1920-2000, Milano 2014, pp. 160-167.
Per una collocazione del suo lavoro nel contesto del design italiano: V. Gregotti, Il disegno del prodotto industriale. Italia 1860-1980, Milano 1982; A. Pansera, Il design del mobile italiano dal 1946 a oggi, Roma-Bari 1990; M. Vercelloni, Breve storia del design italiano, Roma 2008, 20142, pp. 131-134.