MAZZOLINO, Ludovico
MAZZOLINO (Mazzolini, Mazulini), Ludovico. – Fu figlio di Giovanni; in assenza di fonti documentarie che ne accertino la data e il luogo di nascita, convenzionalmente si conviene che nacque a Ferrara intorno agli anni 1480-81.
Questa data si ricava considerando che gli affreschi di S. Maria degli Angeli, oggi distrutti, ma documentati come eseguiti dal M. a partire dal 1504, debbano ritenersi opera di un artista giunto all’età adulta. Inoltre Baruffaldi lo dice morto a quarantanove anni; e si sa che la scomparsa dovette avvenire tra il 1528, anno in cui redasse un testamento, e il 1530, anno in cui risulta già defunto. Quanto alla città natale, egli stesso si definì «ferrariensis» firmandosi nella pala bolognese per Francesco Caprara (Baruffaldi; Cittadella).
L’analisi delle sue opere giovanili rende possibile l’ipotesi che abbia avuto un apprendistato presso il maestro ferrarese Ercole Roberti; è probabile che alla morte di quest’ultimo avvenuta nel 1496, abbia trascorso un periodo a Bologna presso la bottega di Lorenzo Costa, visto che già Vasari lo dichiarava suo discepolo e visti anche taluni tratti della sua pittura (Baruffaldi; Zamboni, 1968).
Il primo documento relativo al M. è il pagamento del 20 maggio 1504 per la decorazione ad affresco nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Ferrara che gli fu commissionata dal duca Ercole I e per la quale continuò a ricevere pagamenti fino al 1508 (Venturi, 1889, p. 86).
Gli affreschi andarono perduti nel 1604 quando la chiesa fu colpita da un fulmine; ma dai pagamenti risulta che si trattò di una decorazione piuttosto estesa che comprendeva ben otto cappelle, le navate laterali in corrispondenza di esse e i pilastri della navata centrale con i rispettivi sottarchi, nei quali erano raffigurati alcuni santi e le armi ducali. Non vi sono informazioni circa gli altri soggetti rappresentati né circa il linguaggio pittorico dell’opera; ma sicuramente un’impresa di questo impegno non era consona a un esordiente.
Si è cercato di ricostruire la produzione del M. fin dai primissimi anni del Cinquecento, quando presumibilmente egli iniziò la sua attività autonoma, attraverso confronti stilistici con la sua prima opera datata e ancora oggi visibile, cioè il piccolo trittico con la Madonna e i ss. Antonio e Maddalena datato al 1509 e conservato a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie).
Nel trittico il M. mostra una pluralità di influenze: un elegante classicismo visibile, per esempio, nei volti femminili, che sembra essere stato desunto da Costa e dal Boccaccino (Boccaccino Boccacci); elementi derivanti da Roberti, come le quinte architettoniche; influenze nordiche evidenti nel volto di s. Antonio, assimilate attraverso artisti veneziani, conosciuti forse durante un suo viaggio a Venezia prima dell’esecuzione del dipinto (Zamboni, 1968, p. 36). Nello sfondo della tavola centrale è visibile un bassorilievo con una scena di battaglia, una citazione di carattere antiquariale che diverrà un elemento costante nell’opera del Mazzolino.
Intorno al piccolo trittico berlinese si è tentato quindi di riunire un gruppo di opere affini nel linguaggio, di piccole dimensioni e di soggetto sacro, attribuibili al M. nel periodo compreso tra il 1500 e il 1505. Si tratta per lo più di dipinti conservati in collezioni private o, perfino, oggi di ubicazione sconosciuta, com’è il caso della Presentazione al tempio riprodotta da Zamboni (1978, p. 54) o della Madonna con Bambino, già nella collezione Costabili (Pattanaro), e della Madonna con Bambino della collezione Canessa.
Queste opere mostrano affinità anche con L’adorazione dei magi conservata al Musée du Petit-Palais di Avignone e presentano tutte elementi stilistici che rimandano all’opera del Boccaccino, tanto da far supporre una frequentazione da parte del M. della bottega che questi aveva probabilmente organizzato a Ferrara durante gli anni della sua permanenza in città, tra il 1497 e il 1500 (Pattanaro).
Dal 13 giugno 1505 al 19 sett. 1507, il M. ricevette pagamenti per alcune decorazioni (perdute) nel Guardaroba estense e nei camerini della duchessa Lucrezia Borgia, all’interno del castello di Ferrara (Venturi, 1890, p. 447). Nel 1508 stimò con Domenico Panetta e Bartolomeo Veneto alcuni affreschi nel duomo di Ferrara eseguiti da Gabriele Bonaccioli; e, tra il 1508 e il 1509, ricevette dei pagamenti per alcuni lavori (non ancora identificati) nel palazzo di Gerardo Sacrati, sempre a Ferrara (Zamboni, 1968, p. 32).
Viene datata al 1508-09 circa la Sacra Famiglia con i ss. Bernardo e Alberico proveniente dalla chiesa cistercense di S. Bartolomeo fuori le Mura a Ferrara, dipinto di notevoli dimensioni.
L’opera (firmata), che associa eleganti citazioni antiquariali con influenze nordiche, è oggi conservata nella Pinacoteca nazionale di Ferrara (Milanesi, in Vasari, 1878, p. 139).
Nel 1511 il M. firmò e datò la Sacra Famiglia con i ss. Sebastiano e Rocco, già nella collezione Costabili e oggi di ubicazione sconosciuta (Zamboni, 1968) e, nel 1512, la Pietà conservata alla Galleria Doria Pamphili di Roma.
Quest’ultimo dipinto fu eseguito per Lucrezia Borgia ed è opera di grande drammaticità in cui ancora echeggia la tensione religiosa di un Roberti; sono evidenti anche le citazioni dall’arte nordica, soprattutto da A. Dürer, nelle fattezze dei personaggi, mentre il paesaggio è vicino a suggestioni veneziane.
Viene collocata intorno al 1512 anche la tavoletta con Sacra Famiglia, s. Elisabetta, s. Anna e s. Giovannino (Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie), in cui ricompare lo stesso sarcofago già citato nel trittico del 1509 e in cui spicca l’interessante gruppo formato dal s. Giovannino con l’agnello, che appare aggiornato sulle analoghe tipologie di Leonardo e di Raffaello. Tra il 1512 e il 1513 sarebbero da porre anche la Natività con figura di pellegrino della Galleria Borghese di Roma, in cui si fondono armoniosamente accenti nordici e paesaggismo veneto, e la Natività della National Gallery di Londra.
Nel 1516 il M. datò la Sacra Famiglia con ciliegie, oggi conservata alla Alte Pinakothek di Monaco, in cui è visibile l’influenza di Dosso Dossi soprattutto nella maggior morbidezza coloristica. Il successo professionale che il M. raggiunse in questi anni è suffragato anche dall’acquisto di una casa nella parrocchia di S. Gregorio a Ferrara, che egli fece a partire dal 14 giugno 1518 e che completò nel 1522 (Zamboni, 1968, p. 32).
Il 26 genn. 1520 il M. ricevette un pagamento da Sigismondo d’Este per due dipinti, un Presepio e una Disputa nel tempio (Venturi, 1890, p. 450).
Il secondo dipinto viene da alcuni identificato con la Disputa di Gesù nel tempio conservata alla Galleria Doria Pamphili di Roma; e in tal caso esso sarebbe stato eseguito presumibilmente nel 1519 e verrebbe a essere il primo esemplare di tutta una serie di «Dispute» raffigurate dal M. (Zamboni, 1968). La Disputa della Doria Pamphili presenta inoltre nelle colonne tortili del ciborio, interessante citazione di un motivo architettonico assai divulgato dagli arazzi vaticani di Raffaello; e a questo proposito ci si è interrogati su un possibile soggiorno romano del M., peraltro non confermato né dalle fonti né dai documenti (ibid.). A questa Disputa è stata accostata la tavoletta con analogo soggetto conservata a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie), in cui tra la folla dei grotteschi dottori spicca il gruppo del bimbo che protegge la civetta, simbolo di vera sapienza, dalle insidie della scimmia, emblema di sciocca imitazione.
Porta la data del 19 giugno 1521 la tavola raffigurante il Passaggio del Mar Rosso conservata alla National Gallery di Dublino.
Il dipinto mostra alcune caratteristiche specifiche del M. in questi anni: una messa in scena concitata in cui i gesti e i movimenti dei personaggi comunicano dinamismo e drammaticità e in cui spicca l’uso di colori smaglianti, con un esito elegante e insolito che lo avvicina ad alcuni artisti nordici, come Luca di Leida.
Per affinità stilistiche con la tavola di Dublino si data al 1520 circa anche la Strage degli innocenti della Galleria Doria Pamphili di Roma.
Si tratta di un dipinto dalle dimensioni maggiori (cm 135 x 112) rispetto a quelle solitamente predilette dall’artista eseguito per Lucrezia Borgia. In primo piano è descritta con particolari realistici e tragici la strage voluta da Erode; mentre in secondo piano, con efficace e poetica sintesi, trova posto l’episodio del riposo dalla fuga in Egitto. L’effetto di caotico affollamento dei personaggi travolti dal dramma è accresciuto dai colori accesi e brillanti; ma il dolore delle madri è analizzato con una puntualità psicologica e con una conoscenza dei modelli classici desunta probabilmente proprio da quei bassorilievi antichi che così sovente il pittore citava nelle sue opere.
Negli anni successivi, quelli della sua maturità, il M., pur mantenendo ben distinguibile la sua sigla personale, accolse sempre di più le suggestioni che gli provenivano dagli artisti della fiorente scuola ferrarese, quali G.B. Benvenuti detto l’Ortolano, B. Tisi detto il Garofalo e soprattutto Dosso Dossi; e i suoi dipinti acquisirono morbidezza coloristica e maggiore delicatezza negli sfondi paesaggistici, sempre più ricchi di nebulose sfumature azzurrine, mentre i corpi e i panneggi furono improntati a una maniera meno asciutta. Queste caratteristiche sono ravvisabili, per esempio, nella tavoletta conservata alla Galleria Borghese di Roma e raffigurante l’Incredulità di s. Tommaso, datata solitamente al 1520-21 circa, in cui il M. ha compiuto la scelta insolita di collocare l’episodio in una cornice naturale.
Da un rogito del 21 nov. 1521 riguardante l’acquisizione di un’ultima parte di dote, si apprende che il M. aveva contratto matrimonio, probabilmente diversi anni prima, con Giovanna figlia di Bartolomeo Vacchi, pittore veneziano (Zamboni, 1968, p. 32).
Del 1522 è il dipinto con Cristo e l’adultera della National Gallery di Londra, al quale è stato avvicinato come datazione anche il dipinto con la Disputa di Gesù nel tempio, conservato nello stesso museo.
Entrambe le opere sono di piccolo formato e hanno una impaginazione verticale nella quale spicca la suddivisione tra la folla di astanti collocata in primo piano e l’architettura che campeggia nello sfondo. In particolare nella Disputa si ritrova l’inserimento di bassorilievi con scene dell’Antico Testamento e soggetti antiquariali; mentre la scelta di una architettura cupolata mostra un’ardita fantasia.
Il successo che il M. raggiunse nei suoi ultimi anni è pienamente confermato dall’importanza di una commissione esterna alla città di Ferrara, quella del nobile bolognese Francesco Caprara che volle una pala per la sua cappella in S. Francesco a Bologna.
La tavola principale con la Disputa di Gesù nel tempio, firmata e datata al 1524, è oggi conservata a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie) e costituisce una delle opere di maggiori dimensioni eseguite dal M. (cm 255 x 179). La cimasa raffigurante Dio Padre e lo Spirito Santo e una tavoletta con l’Adorazione dei pastori, parte della predella, si conservano nella Pinacoteca nazionale di Bologna. Alcuni disegni preparatori si trovano presso l’Albertina di Vienna e la Pierpont Morgan Library di New York.
L’opera destò l’ammirazione dei contemporanei, come ricorda Vasari, e raffigura con maggior monumentalità un tema già trattato più volte dall’artista. Anche in questo caso emerge soprattutto il confronto tra la caotica schiera dei grotteschi dottori dai lineamenti adunchi e la figuretta esile e bianca del Cristo fanciullo, che nella sua innocente semplicità incarna la vera sapienza. Domina la scena una architettura fiorita di ornamenti e arricchita dalle iscrizioni ebraiche e dai bassorilievi con scene dell’Antico Testamento. Spicca nella densa folla di astanti sul lato sinistro il ritratto del committente, colto in un atteggiamento devoto, quasi a pendant della figura di Maria, posta sul lato destro, poiché come la Vergine anche Francesco Caprara proclama così la sua assoluta fede nella unica vera sapienza, quella del Cristo. L’opera quindi articola, con un linguaggio non privo di venature satiriche, un messaggio profondamente cristologico aderente alla purezza delle fonti evangeliche che, nel contesto bolognese, si sposava anche con la realtà dei dibattiti teologici che si svolgevano nella chiesa di S. Francesco.
Coevo alla Disputa di S. Francesco è un altro dipinto che il M. eseguì per un committente bolognese, Girolamo Pandolfi più noto come Girolamo Casio, eclettica figura di poeta e mercante che appartenne alla cerchia dei Caprara e dei Bentivoglio. Si tratta di un’opera di piccole dimensioni raffigurante il Tributo della moneta e datata al 1524, conservata al Museo nazionale di Poznan (ibid., p. 51). Forse coeve o di poco successive sono anche le due versioni dell’Ecce Homo, conservate rispettivamente al Musée Condé di Chantilly e alla Gemäldegalerie di Dresda.
Sono due opere di formato verticale e di medie dimensioni, nelle quali il M. riprese in tono ancor più drammatico il tema del confronto fra l’innocente e salvifica figura del Cristo e la folla inconsulta e grottesca, simbolo di una umanità incapace di riconoscere il divino. Il Musée Condé di Chantilly conserva del M. anche una Madonna con Bambino e s. Antonio datata al 1525.
Nel 1526 il M. eseguì la Circoncisione, oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, un dipinto che si caratterizza per un’ampia architettura con un loggiato nel fondo e per un folto gruppo di astanti in primo piano nel quale le figure di Maria e Giuseppe quasi si perdono. Nel 1527, infine, l’artista apportò una ulteriore modifica al suo linguaggio pittorico, ben visibile nella Lavanda dei piedi (Filadelfia, J.G. Johnson Collection) e nella Resurrezione di Lazzaro (Milano, Pinacoteca di Brera).
Entrambi i dipinti adottano un formato orizzontale e una composizione più ampia e ariosa in cui i personaggi si dispongono in pose semplici e pacate, quasi con una sorta di ritorno alle forme leggibili e armoniose del classicismo di primo Cinquecento. Nella Lavanda dei piedi, per esempio, colpisce la disposizione a semicerchio degli apostoli di fronte ai quali il Cristo si inginocchia in posizione quasi centrale, avvolto da un manto rosato, con accanto un vaso cesellato dalla foggia tipicamente manierista. I colori sono più caldi e naturali e nel tranquillo paesaggio trova posto nello sfondo la scena dell’orazione nell’orto mentre, da una loggia in secondo piano, si affacciano alcuni servitori, aggiungendo una nota di più rustico realismo.
Nella Resurrezione di Lazzaro, se nello sfondo trova posto una versione quasi fiabesca di Castel Sant’Angelo, in primo piano le figure del Cristo, di Marta e di Maria mostrano una nuova monumentalità e una posa più statica; mentre il corpo seminudo di Lazzaro evidenzia perfino un’anatomia muscolosa piuttosto insolita nella produzione del M., quasi un tardivo accoglimento di cauto michelangiolismo.
Se la Strage degli innocenti conservata al Museo nazionale di Amsterdam fosse veramente del 1528 come è stato suggerito, sarebbe tra le ultime opere del M. (Zamboni, 1968). Troverebbe così conferma una adesione del M. ad alcuni moduli del linguaggio manierista, nonché una interessante eco delle opere cremonesi di Altobello Meloni (ibid., pp. 35 s.).
Il 27 sett. 1528 il M., ammalato di peste, redasse un testamento dal quale si apprende l’esistenza di due figlie, Claudia e Cornelia, e di due fratelli del M., Niccolò e Ventura, e si ha la certezza che la moglie Giovanna era ancora in vita. Il M. chiese di essere sepolto nella chiesa ferrarese di S. Gregorio nella cui parrocchia egli aveva abitato.
Il M. morì con ogni probabilità a Ferrara, sicuramente nel lasso di tempo intercorso tra la data del testamento e il 22 dic. 1530, quando un documento relativo alla dote della figlia Claudia lo dichiara già morto (ibid., p. 33).
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