QUARONI, Ludovico
QUARONI, Ludovico. – Nacque a Roma il 28 marzo 1911, figlio di Giuseppe, ingegnere, e di Sofia Pia Seitz. I Seitz erano un’antica famiglia di pittori e incisori tedeschi che avevano aderito al movimento dei nazareni. Sofia Pia era figlia di Ludovico (Roma, 11 giugno 1844-Albano Laziale, 11 settembre 1908), autore della cappella dei Tedeschi nella basilica di Loreto e dell’affresco della chiesa di S. Maria dell’Anima a Roma; fu anche direttore della Pinacoteca Vaticana. A sua volta Ludovico era figlio di Alexander Maximilian, un allievo di Peter von Cornelius, al seguito del quale, nella prima metà dell’Ottocento, si era trasferito in Italia con tutta la famiglia.
Quaroni ebbe due fratelli maggiori, Pietro (1898-1971), diplomatico e politico, presidente della RAI tra il 1964 e il 1969, e Giorgio (1907-1960), pittore e scultore, esponente della corrente artistica del muralismo nella sua declinazione italiana, che vide come massimo esponente Mario Sironi. Giorgio e Ludovico ebbero un ruolo importante nelle opere romane per l’E42, il quartiere pianificato da Marcello Piacentini per l’Esposizione universale del 1942, che non ebbe luogo a causa della guerra; i due fratelli collaborarono anche alla realizzazione della chiesa per la messa al campo nel foro Mussolini a Roma (1937), all’allestimento del padiglione delle Conquiste alla Mostra d’Oltremare di Napoli (1940) e al progetto della chiesa del Prenestino di Roma (1947).
Dopo aver frequentato il liceo classico Ennio Quirino Visconti ottenendo il diploma nel 1928, Quaroni intraprese gli studi di architettura, come dichiarò in alcune interviste, per seguire le orme del padre. L’altro suo grande interesse fu la musica, che aveva cominciato a studiare fin da giovane frequentando i corsi di violoncello presso il conservatorio di Roma e giungendo alle soglie del diploma.
La musica fu una passione che lo accompagnò per tutta la vita, diventando il centro di lunghe dissertazioni con alcuni suoi collaboratori, convinti che per parlare di architettura si dovesse anche parlare d’altro, mantenendo alta la tensione intellettuale, tra analisi sistematica, confronti, metafore.
Nel 1934 si laureò con lode a Roma, con un progetto per il ministero degli Esteri. La laurea concludeva un percorso di studi di eccellenza in tutte le materie, coronato dall’assegnazione della medaglia d’oro come miglior laureato, che gli valse una borsa di studio della Fondazione Mario Palanti intitolata a Manfredo Manfredi. In seguito, ottenuta l’abilitazione all’esercizio della professione, aprì uno studio con Francesco Fariello e Saverio Muratori, con i quali partecipò ai concorsi di architettura della metà degli anni Trenta, che furono, a Roma in particolare, campo di sperimentazione per un’architettura nuova. È del 1935 il progetto di concorso per il nuovo auditorium di Roma, per il quale successivamente, nel 1937, i tre elaborarono una versione ideale da inserire nel parco di villa Borghese; del 1936 è quello per il piano regolatore di Aprilia e quello per la pretura unificata di Roma. Nel 1937 i tre risultarono vincitori ex aequo con Luigi Moretti del concorso per la piazza Imperiale dell’E42, uno dei complessi del quartiere romano destinato all’esposizione universale, la cui costruzione cominciò prima della guerra per concludersi tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del 1960, in occasione delle Olimpiadi romane.
La grande piazza è perimetrata da quattro edifici che ospitano i Musei delle scienze, etnografico, dell’arte antica e dell’arte moderna. Il gruppo di Quaroni è autore degli ultimi due.
In questo primo periodo di attività, molto intenso sotto il profilo culturale, Quaroni proseguì il suo percorso di formazione frequentando da neolaureato la scuola di perfezionamento in urbanistica di Roma e nel 1936 il corso di scenografia presso il Centro sperimentale di cinematografia. Strinse legami con l’ambiente intellettuale romano, entrando in contatto con figure di spicco quali Massimo Bontempelli, Giuseppe Capogrossi, Cipriano Efisio Oppo. Gli anni della formazione si svolsero in un clima culturale contraddittorio. A Roma, la tensione verso il rinnovamento dell’architettura affondava le radici nella retorica nazionalista; timidi tentativi di aprirsi al dibattito internazionale erano soffocati all’interno dello scontro tra modernisti e conservatori, tra MIAR (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale) e RAMI (Raggruppamento Architetti Moderni Italiani), alla ricerca di un bilanciamento fra tradizione, modernità e stile.
In questo contesto nel 1936 ebbe inizio anche l’impegno di Quaroni nella didattica universitaria: fu assistente di Enrico Del Debbio nel corso di disegno architettonico e rilievo dei monumenti, e di Piacentini nel corso di urbanistica. In seguito, dal 1939 fu assistente di Plinio Marconi e nel 1940 ottenne la libera docenza in composizione architettonica.
Sia l’impegno accademico sia quello professionale si interruppero quando, il 31 maggio 1940, fu chiamato alle armi: sbarcato a Tripoli, in Libia, l’8 giugno di quell’anno, fu impegnato in azioni di guerra a Bengasi dall’11 giugno al 6 febbraio 1941; disperso nella battaglia di Agedabia in Cirenaica, fu fatto prigioniero dagli inglesi il 7 febbraio 1941 e portato prima in Egitto e da lì in India, ove scontò una lunga prigionia durante la quale trovò conforto alla privazione della libertà impegnandosi nell’organizzazione di concorsi di architettura, mostre, corsi di urbanistica per gli architetti, gli ingegneri e i geometri che con lui condividevano la reclusione.
Per riempire le lunghe giornate di prigionia disegnava progetti ideali: al centro, il tema della residenza unifamiliare, ma anche dell’abitare collettivo, frutto della riflessione sull’esperienza personale del «vivere insieme», che sarebbe diventata materia di lavoro nell’immediato dopoguerra. E durante questo periodo elaborò anche alcuni progetti per il maragià dello Stato di Dewas.
Dopo quasi cinque lunghi anni di prigionia in India, ritornò in patria sbarcando a Taranto il 2 gennaio 1946. Nel 1949 sposò Marcella Coromaldi, dalla quale ebbe una figlia cui fu dato il nome della madre di Ludovico, Sofia.
Il ritorno all’attività fu segnato dal coinvolgimento nell’opera di rinnovamento dell’architettura italiana a più livelli: nella didattica, all’interno dell’APAO (Associazione Per l’Architettura Organica) di Bruno Zevi e dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), del quale fu vicepresidente dal 1947 al 1951 e presidente del consiglio direttivo per il Lazio dal 1949 al 1951, ma soprattutto nell’attività progettuale. Con Mario Ridolfi inaugurò la stagione neorealista dell’architettura italiana, partecipando ai due progetti-manifesto della ricostruzione del Paese: il concorso per il fabbricato viaggiatori della stazione Termini (1947) e il progetto per il quartiere Tiburtino, entrambi a Roma.
Il primo progetto, sviluppato con Ridolfi, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino, Arrigo Carè, Giulio Ceradini, è considerato il vincitore morale del concorso, anche se l’edificio realizzato è il frutto della collaborazione dei due primi classificati ex aequo, il raggruppamento composto da Leo Calini e Eugenio Montuori e quello formato da Massimo Castellazzi, Vasco Fadigati, Achille Pintonello, Annibale Vitellozzi. Per il secondo, il Tiburtino, Ridolfi e Quaroni furono capigruppo di uno dei principali interventi di ricostruzione nati con la legge n. 43 del 28 febbraio 1949, ideata da Amintore Fanfani per realizzare alloggi a basso costo e favorire l’impiego di massa di lavoratori non specializzati nel settore edilizio.
A Roma, insieme al Tuscolano e a Valco San Paolo, l’esperienza del Tiburtino (1950-56) fu terreno di sperimentazione delle ricerche sull’abitazione per giovani architetti che si affacciavano alla professione, guidati dai maestri della generazione precedente, tra i quali Quaroni, delusi dall’esperienza dell’architettura come arte di Stato, che aveva loro fornito occasioni progettuali di grande respiro, ma li aveva anche condotti a discutibili compromessi tra metafisiche astrazioni e monumentali neoclassicismi.
I quartieri INA-Casa, in tutta Italia, furono una sorta di laboratorio per le ricerche sull’abitazione. In particolare, il Tiburtino accoglie gran parte delle ricerche svolte da Ridolfi presso il CNR (Centro Nazionale delle Ricerche) ed esemplifica la proposta culturale veicolata dalla pubblicazione del Manuale dell’architetto (1945). Il quartiere è composto di diversi tipi di edifici (a torre, a schiera, in linea), collocati in modo da ricreare la contiguità spaziale propria delle città, secondo un nuovo modello – quello che documentò la posizione presa da Quaroni sul disegno della città – poi sviluppato nel decennio successivo e che ritenne l’impegno sociale la via del riscatto del Paese dalle ferite della guerra. Una sorta di responsabilità morale del progettista che condusse il Quaroni degli anni Cinquanta a produrre un’architettura anonima, quella che fu appunto collocata dalla critica all’interno del movimento neorealista, ma che Quaroni stesso, nel 1957, immediatamente dopo la conclusione dell’esperienza della ricostruzione, disconobbe e definì «Paese dei barocchi»: architettura degli stati d’animo, prodotto di un’urgenza da una parte, e dall’altra di una revisione e di una rinuncia al dibattito sulla modernità.
«Il paese dei barocchi non è il risultato di una cultura solidificata, di una tradizione viva: è il risultato di uno stato d’animo. Lo stato d’animo che ci sosteneva in quei giorni, nei quali, per ognuno di noi, qui a Roma, interessava solo fare qualche cosa che fosse distaccato da certi errori di un certo passato al quale rimproveravamo la sterilità e il fallimento sul piano umano» (Quaroni, in Casabella Continuità, 1957, n. 215, p. 24).
Fu con la costruzione del villaggio operaio della Martella (Matera, 1951) che Quaroni mise definitivamente al centro del progetto la questione sociale. La vicenda ebbe inizio nell’ambito degli studi dell’UNRRA-Casas (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), sostegno economico che l’amministrazione delle Nazioni Unite elargì per favorire la ricostruzione italiana. Nel 1949 Quaroni, con Piero Maria Lugli, Michele Valori, Federico Gorio e Luigi Agati, fece parte della commissione incaricata della realizzazione di alloggi per la comunità contadina che viveva nei Sassi. Questa esperienza fu l’occasione dell’avvio di un sodalizio duraturo con Adriano Olivetti, che all’epoca era commissario dell’UNRRA-Casas e presidente dell’INU. Quaroni avrebbe partecipato al movimento olivettiano e alla rivista Comunità e sarebbe stato redattore del piano regolatore di Ivrea (1952).
Se nell’esperienza del Tiburtino erano le «case con il tetto» a definire la figura urbana, laconica, del dopoguerra come antitesi alle architetture con la copertura piana, icone del moderno, alla Martella si rileva la pressoché totale assenza di ricerca figurativa a favore di una perentoria opzione per il valore del vicinato. Unica concessione all’immagine neorealista, la chiesa del villaggio, posta in cima all’altura, con la parete di fondo in vetro perché le celebrazioni fossero aperte a tutti.
Appartiene al complesso di opere che Quaroni realizzò nel dopoguerra anche la chiesa di Francavilla al Mare (1949-58), un’architettura semplice, frutto della collaborazione con Pietro Cascella, costruita sulle ceneri della precedente chiesa settecentesca, distrutta durante il secondo conflitto mondiale. Il progetto vincitore del concorso, indetto nel 1948, affrontava il tema dell’edificio sacro come occasione per riflettere sul «moderno misticismo» (Tafuri, 1964, p. 84), vicina allo spirito della gente nella scelta dell’impianto, variazione ottagonale allungata dell’aula basilicale, anticipatrice dello stile post-antico che Quaroni espresse nelle sue ultime opere per il riuso di alcuni elementi del lessico storico.
Gli anni Sessanta furono caratterizzati da progetti sulla grande scala. Quaroni fu interprete della rinascita del town design, anticipando già nel 1954, con la redazione del piano di Ivrea e con gli studi per quello di Roma, il suo interesse per il progetto urbano, sviluppato poi nel piano di Ravenna (1956-57), di Cortona (1957) e di Bari (1965), messo in pratica nelle proposte per il centro direzionale di Torino e per l’asse attrezzato di Roma. Fu però con il progetto di concorso per il quartiere CEP (Coordinamento dell’Edilizia Popolare) alle Barene di San Giuliano (1958), un’area compresa tra Marghera, Mestre e Venezia, che Quaroni, coordinatore di un gruppo composto da Massimo Boschetti, Adolfo De Carlo, Gabriella Esposito, Luciano Giovannini, Aldo Livadotti, Luciana Menozzi, Alberto Polizzi e Ted Musho, aprì nuovi orizzonti operativi per il progetto a scala urbana.
Recuperava la dimensione utopistica e visionaria nel disegno di grandi piazze circolari che raggiungevano ampiezze di 400 m di diametro, delimitate da edifici, adibiti a centro direzionale, alti fino a 16 piani.
Importante si rivelò l’impegno di Quaroni nella pubblicistica negli anni Sessanta e Settanta: dal 1972 fu curatore della collana Planning & design, per i tipi di Mazzotta editore, e dal 1977 fece parte del comitato di redazione della rivista Parametro.
Con La Torre di Babele (Padova 1967), su suggerimento di Aldo Rossi, raccolse in un unico libro gli scritti sulla città, affrontando il problema del disegno per la città moderna, cioè della necessità e della possibilità di ridare figura alla metropoli attraverso nuovi strumenti progettuali.
Dieci anni dopo Quaroni diede alle stampe Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura (1977).
Questa volta il testo era rivolto agli studenti di architettura, scritto come dispensa per il corso di progettazione architettonica nell’anno accademico 1974-75: ancora oggi esso è ritenuto testo fondamentale per la didattica della progettazione, adottato in tutta Italia nei corsi universitari.
In questi anni Quaroni sposò in seconde nozze Gabriella Esposito, dalla quale ebbe un figlio, Massimiliano Emilio.
Se gli anni Sessanta furono caratterizzati da studi alla grande scala, quelli dell’ultimo periodo di attività ebbero come tema la grande forma. Mentre nasceva il postmoderno, Quaroni proponeva una sorta di architettura post-antica. Gli elementi architettonici (colonna, basamento, attacco a terra e attacco al cielo) divennero elementi archetipici, geometrici o iconici.
Ne sono esempi la sfera della chiesa di Gibellina (concorso del 1970, con Luisa Anversa, Giangi D’Ardia, Livio Quaroni) e il colonnato del progetto per l’ampliamento del teatro dell’Opera a Roma (1983), che doveva essere formato da ottantadue colonne di granito rosa scuro legate da una trabeazione di derivazione industriale.
Quaroni è autore di più di 340 tra progetti e realizzazioni e fu per tutta la vita un grande didatta.
A Roma tra il 1949 e il 1951 fu incaricato di storia della critica urbanistica, e di urbanistica a Roma e Napoli tra il 1951 e il 1955. Nel 1955 vinse il concorso per la cattedra di urbanistica a Firenze, dove insegnò, svolgendo anche il compito di direttore dell’istituto di urbanistica, fino al 1964, quando fu chiamato a Roma a coprire il ruolo di ordinario nella cattedra di composizione architettonica rimasta vacante per la morte improvvisa di Adalberto Libera. A Roma insegnò dal 1965 al 1981, anno del pensionamento, ricoprendo anche il ruolo di direttore dell’istituto di progettazione.
Fu visiting professor presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology), responsabile per le relazioni culturali tra le Università di Roma e di Teheran, vicepresidente dell’Accademia di S. Luca dal 1981 al 1982, presidente nel biennio successivo e membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Risultò vincitore di numerosi premi, tra i quali il Diplome de Grand Prix all’Exposition internationale de l’urbanisme et de l’habitation nel 1947, e ricevette più volte la targa IN/Arch (Istituto Nazionale di Architettura), oltre a riconoscimenti in sei edizioni della Triennale di Milano (1936, 1940, 1947, 1951, 1954 e 1960).
Agli studenti dedicò un documento in 42 punti, esposto nella sua ultima lezione presso la facoltà di architettura e pubblicato postumo sulla rivista Domus (dicembre 1987, n. 689), dove, come in un testamento, tocca tutti i temi relativi al progettare, alla conoscenza, alla città e alla storia.
Morì a Roma il 22 luglio 1987.
Fonti e Bibl.: L’Archivio Ludovico Quaroni è conservato presso la Fondazione Adriano Olivetti, http://www.fondazioneadrianolivetti.it/lafondazione_speciali.php?id_speciali=16 (18 marzo 2016).
R. Crespi, Profili di architetti: Q., in Comunità, novembre 1957, n. 54, pp. 52-59; M. Tafuri, L. Q. e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia, Milano 1964; A. Quistelli, Progetti dello studio Quaroni. Dieci anni di esperienze didattiche e professionali, in Controspazio, luglio-agosto 1973, n. 2, pp. 8-42; L. Q. Architetture per cinquant’anni, a cura di A. Terranova, Roma-Reggio Calabria 1985; L. Q.: dieci quesiti e cinque progetti, a cura di A. Orlandi, Roma 1986; L. Q., in Lezioni di progettazione. 10 maestri dell’architettura italiana, a cura di M. Montuori, Roma 1988, pp. 182-217; L. Barbera, Cinque pezzi facili dedicati a L. Q., Roma 1989; P. Ciorra, L. Q. 1911-1987. Opere e progetti, Milano 1989; C. Conforti, L. Q., in Dizionario dell’architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo - M.L. Scalvini, V, Torino 2001, pp. 177-180; Il moderno attraverso Roma: guida alle opere romane di L. Q., a cura di A. Greco - G. Remiddi, Roma 2003; ModernoContemporaneo. Scritti in onore di L. Q., a cura di F. Toppetti - O. Carpenzano, Roma 2006; P. Bonifazio, Fondo L. Q., in Bollettino AAA/Italia, 2010, n. 9, p. 42; Intervista a L. Q., Ivrea 2011; A. Riondino, L. Q. e la didattica dell’architettura nella Facoltà di Roma tra gli anni ’60 e ’70, Roma 2012; L’architettura delle città - The Journal of the scientific society L. Q., 2013, nn. 1-2, monografico: L.Q. l’Architetto/L.Q. the Architect, a cura di A. Del Monaco et. al.