SARDI, Ludovico
SARDI, Ludovico. – Nacque a Ferrara sul finire del XIV secolo, figlio di un Paolo da identificare probabilmente con il notaio Paolo Sardi, estensore di molti rogiti tra l’ultimo decennio del XIV secolo e i primi due del successivo. Le fonti d’archivio, censite da Giulio Bertoni (1921), attestano che ebbe un fratello di nome Niccolò.
La prima notizia documentaria su Sardi risale al 1423, anno in cui, già dottore in legge, fu inviato a Foligno dal marchese di Ferrara Niccolò III come proprio vicario.
I suoi primi biografi (Panciroli, 1637; Borsetti, 1735) riferiscono che Sardi fu lettore di diritto presso l’Università di Bologna, dove compose il trattato De naturalibus liberis, de legitimatione et successione eorum. Lorenzo Barotti collocò tale attività nel terzo decennio del Quattrocento, in quanto il trattato contiene nel Proemio una dedica al cardinale Louis Aleman, arcivescovo di Arles e legato in Bologna dal 1425 al 1428. Si può precisare, però, che il titolo di cardinale attribuito al dedicatario sposta il primo termine a giorni successivi al 24 maggio 1426; e più ancora, che il colophon dell’editio princeps, prima delle note tipografiche (Brescia, A. Britannico, 1499), riporta una nota dell’autore chiusa dalla data: «Bononie, anno a Nativitate 1426, die VII Iulii».
Già in questo stesso anno, tuttavia, i documenti noti tornano ad attestare una ininterrotta presenza di Sardi in ambito estense. Nel 1426, infatti, Sardi e il fratello riscossero la decima nella frazione di Salvatonica, per conto del vescovato di Ferrara; l’anno successivo ai due fu assegnata, iure feudi, un’area di terreno nel fondo di Curli. Dal 1° marzo 1429, Ludovico fu per un anno vicario generale di Reggio Emilia; nel 1432 vendette a Giovanni Romei l’usufrutto di una proprietà ubicata in Salvatonica. Al 1434 risalgono i primi documenti della sua attività di promotore presso lo Studio di Ferrara. Il marchese, tuttavia, continuò a valersi dei suoi servizi anche in seguito: nel 1435, lo inviò come proprio fiduciario a Padova, «pro negotiis pertractandis»; nel 1439, lo incaricò di amministrare, a Rovigo, alcuni terreni di sua proprietà.
Proprio il soggiorno rodigino rappresentò per Sardi l’occasione per dedicarsi con impegno a quella passione per la poesia, in lingua latina, da cui la professione giuridica lo aveva sempre forzatamente distolto, come egli stesso confessò nei suoi versi. Questo mutamento fu probabilmente favorito dalla lunga ospitalità che Sardi poté riservare al grande umanista Guarino Veronese, allontanatosi da Ferrara per sfuggire alla pestilenza che vi era divampata. Tuttavia, in un’epistola metrica indirizzata a Francesco Marescalchi non oltre il dicembre del 1441 (Guarino Veronese, Epistolario, 1916, pp. 392-395), Guarino riferì che durante la lunga coabitazione Sardi non gli aveva fatto alcun cenno dei versi che andava elaborando: di qui lo stupore suscitatogli dai carmi nel frattempo resi pubblici dall’amico, che egli lodò come evento culturale di grande rilevanza e prestigio per l’intera città di Ferrara. E come tali è giusto considerarli, in quanto essi rappresentano i primi versi latini di un autore non immigrato nella città estense, come già altri, ma propriamente ferrarese, per nascita e per formazione.
Due testi sardiani possono essere identificati con quelli lodati da Guarino: il «Carmen oratorium pro vidua ac bellis afflicta Italia» (incipit «Aurea si magni totiens tibi munera reges»), indirizzato al marchese Niccolò III d’Este, nei cui 360 esametri l’Italia personificata, dopo aver lamentato le guerre che la tormentano da secoli, ottiene da Giove e Apollo la promessa di un operatore di pace (il signore di Ferrara); e l’epistola metrica Somnia si simili mentis causata dolore, diretta allo stesso Guarino, i cui 183 esametri presentano, attraverso scene allegoriche di matrice classica (incontri con una Musa, con Astrea, Apollo, Cupido, Polimnia), il dissidio interiore vissuto dall’autore fra inclinazione per la poesia e missione giuridica: quest’ultima tanto povera di soddisfazioni quanto assillante, al punto da aver impedito all’altra di esprimersi.
L’incoraggiamento di Guarino indusse tuttavia Sardi a un’immediata inversione di rotta. Morto Niccolò III il 26 dicembre 1441, egli non si limitò a onorarlo con l’epitaffio Qui per lustra fere iam dena hanc rexerat urbem (ancora lodandone l’impegno per la pace); l’evento infatti gli ispirò un rilevante «carme consolatorio» di 519 esametri (Dive pii cordis qui tot, Leonelle, dolores), indirizzato al nuovo marchese Leonello, e articolato su una rievocazione delle imprese compiute dal defunto per la città e per la pace in Italia, e su un lucido quadro della situazione politica ormai stabilizzatasi. Dopo tanta poesia civile esametrica, infine, Sardi volle sperimentare il distico elegiaco: con i 68 versi del carme Ad Musas («Quis putat, o Musae, pugnam laudesque Dianae») e con i 44 di un’epistola metrica indirizzata al poeta Enrico Ila da Prato (Effodisse doles oculos, Henrice, puellam). Il primo testo, in realtà, è più allegorico che elegiaco: l’amata s’identifica infatti con la musa Polimnia che, dopo l’iniziale ritrosia, ricambia il poeta, rivelandosi simbolo dell’ispirazione donata da Amore; analogamente, invitando l’amico Ila ad affrontare con speranza le pene d’amore, Sardi ricorda le sofferenze che anch’egli ha provato, annullate però dalla gioia che ora Polimnia gli dona, ricambiando il suo affetto.
Questi testi non colpirono solo Guarino. Segnalato quale autore della consolatoria a Leonello, Ludovico figura nella Politia litteraria (1443-47) di Angelo Decembrio, come partecipante a una delle colte conversazioni ambientate presso la corte estense: non a caso quella più direttamente dedicata all’arte della scrittura in versi (pars 69). Perfino Leonardo Bruni, del resto, volle rivolgere a Sardi parole incoraggianti sul difficile contemporaneo esercizio di poesia e professione giuridica, dichiarandogli (in una lettera non molto anteriore all’8 marzo 1444, data della sua morte) che di un uomo come lui, così abile nei due campi, non aveva notizia dai tempi di Solone. «Ad gravissimum iurisconsultum et poetam clarum Ludovicum Sardum», infine, Francesco Peregrino Ariosto inviò nel 1443 un compianto in morte di Giovanna Costabili e un encomio di Leonello d’Este.
Nonostante questa sempre più intensa attività letteraria, negli anni 1440, 1444 e 1445 Sardi continuò a svolgere attività di promotore nello Studio di Ferrara. Nel 1443 sposò Costanza di Francesco di Montecuccolo, da cui ebbe un figlio, Francesco.
Una morte prematura lo colse il 13 luglio 1445, come registrava l’epitaffio in prosa composto da Guarino e inciso sulla tomba, oggi perduta, che si trovava nell’attuale basilica di S. Francesco, a Ferrara.
Sempre elogiativi della duplice attività di Sardi, giurista e poeta, sono gli epitaffi in versi a lui dedicati: quello ugualmente inciso sulla tomba, e forse anch’esso di Guarino (Qui patriae vivens famam super astra tulisti) e quello composto dal letterato fiorentino, ma ferrarese di adozione, Niccolò Casciotti (Defleat alma suum lacrimis Ferraria civem).
Opere. Gli scritti di Sardi non sono ancora totalmente editi. L’editio princeps del De naturalibus liberis, di cui era nota una copia manoscritta (Barotti, 1793, p. 7), apparve a Brescia, per Angelo Britannico, il 14 marzo 1499, con il titolo Tractatus de legitimatione (Incunabula short title catalogue, n. 154500; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, a cura di T.M. Guarnaschelli et al., I-VI, Roma 1943-1981, n. 8662; disponibile nel sito web: https:// bildsuche.digitale-sammlungen.de/index. html?c=viewer&lv=1&bandnummer=bsb 00069432&pimage=00069432&suchbegriff=&i=.it (13 ottobre 2017), e fu poi ripubblicato più volte, in raccolte di trattati giuridici. Della produzione in versi sardiana, invece, fino a pochi anni fa erano a stampa soltanto l’epitaffio in morte di Niccolò III, edito già da Borsetti (1735, p. 42), Bertoni (1921, p. 46) e da L. Capra, Gli epitafi per Nicolò III d’Este, in Italia medioevale e umanistica, XVI (1973), pp. 219 s.; pochi versi dell’epistola «ad Henricum Hylam» (1-4, 39-44), pubblicati da R. Sabbadini, Henricus Hylas Pratensis, in Reale Istituto lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, s. 2, 1910, vol. 43, pp. 260 s.; e il carme Ad Musas, edito (non bene) da S. Pasquazi, Poeti estensi del Rinascimento, Firenze 1966, pp. 185 s. Oggi si possono leggere in testo critico: il «carmen oratorium» a Niccolò III, tratto da Padova, Biblioteca universitaria, Provvisorio, 196, cc. 95r-102r; l’epistola metrica a Guarino da Verona, da Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, 100.42, cc. 269r-272v; l’elegia «Ad Musas», da Ferrara, Biblioteca Ariostea, I.240, cc. 4v-5v; l’epistola a Enrico Ila, dal citato ms. Estense lat. 1080, cc. 161r-162r (Pantani, 2006, pp. 105-125). Ancora inedito è il «consolatorium carmen» indirizzato a Leonello d’Este, tradito dal citato codice di Toledo (cc. 253r-265v), e parzialmente (i soli vv. 1-19) dal ms. Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat., XIV.218 (= 4677).
Fonti e Bibl.: Madrid, Biblioteca nacional, Mss., 3520 (M 15), c. 201r (il più corretto nel riportare l’esatta data di morte di Sardi); Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Mss., J.5.15 (Lat. 1080), cc. 10r-11r, 159v-160r (per i due carmi di F.P. Ariosto); G. Panciroli, De claris legum interpretibus, II, Venezia 1637, p. 213; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrara 1735, pp. 15 s.; L. Barotti, Memorie istoriche di letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, pp. 7-9; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secoli XV e XVI, Lucca 1901, pp. 17, 19; Guarino Veronese, Epistolario, a cura di R. Sabbadini, II, Venezia 1916, pp. 392-395; G. Bertoni, Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara (1429-1460), Ginevra 1921, pp. 45-47 (con rinvio alle fonti archivistiche); L. Bruni, Humanistisch-philosophische schriften, Leipzig 1928, pp. 144 s.; A.C. Decembrio, De politia litteraria, a cura di N. Witten, München-Leipzig 2002, pars 69, p. 444; I. Pantani, «La fonte d’ogni eloquenzia», Roma 2002, pp. 233-237; Id., Nascita della poesia latina ferrarese: il ruolo e i versi di Ludovico Sardi, in Filologia e interpretazione, a cura di M. Mancini, Roma 2006, pp. 81-125; Id., Responsa poetae, Roma 2012, pp. 73-111 (nei due ultimi studi, rispettivamente a pp. 84 s. e a p. 77, si ripubblicano gli epitaffi dedicati a Sardi da Guarino e Casciotti, già editi da Borsetti, 1735, Barotti, 1793, e Bertoni, 1921).