TREVISAN, Ludovico
– Nacque a Venezia nel 1401 dal medico Biagio Trevisan. Nessuna notizia sembra finora emergere della madre.
Lo si trova talvolta associato ai cognomi Scarampo e Mezzarota, ma viene usualmente designato con il cognome assegnatogli dal suo biografo moderno, Pio Paschini.
Conseguì la laurea in medicina a Padova attorno al 1425, anno in cui compare quale medico del cardinale veneziano Gabriele Condulmer. Della laurea – in continuità, almeno all’inizio, con gli intendimenti familiari – si ha notizia dall’Oratio in funere, scritto inedito, conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana (Barb. lat. 1952, cc. 178r-182v), che riporta, specie per il periodo antecedente l’ingresso in Curia, alcuni dati biografici significativi e verificabili: l’apprendimento di base, in grammatica e retorica, condotto a Venezia, quindi un periodo di studi filosofici a Padova nella facoltà di arti e il conseguente passaggio a quella di medicina.
La prima formazione veneziana non è stata finora confermata da documenti diretti, ma è ben sostenibile anche per i rapporti di amicizia con il compagno di studi e pressoché coetaneo Francesco Barbaro. Invece un atto di licenza universitaria, redatto a Padova il 9 luglio 1425 e intestato a Ludovico da Venezia, comprova la formazione padovana e la associa a professori medici ben noti, due dei quali appartenenti alla celebre famiglia dei Santasofia, eredi padovani del monarcha medicum Marsilio, morto a Bologna nel 1405.
E proprio a seguito della brillante conclusione degli studi medici, Trevisan, secondo l’orazione funebre, sarebbe approdato nella casa del cardinalis Senensis, cioè di Gabriele Condulmer, nipote dell’ultimo papa di obbedienza romana, Gregorio XII. Egli era dunque già tra i suoi familiares, quando Condulmer, il 30 marzo 1431, fu eletto pontefice con il nome di Eugenio IV, che nominò presto Trevisan cubiculario segreto; già il 31 giugno 1431 è attestato con i suoi titoli dottorali («artium et medicinae doctor»: Archivio apostolico Vaticano, Cam. Ap., Div, cam. 22, f. 34, cit. in Paschini, 1939, p. 9) nella cappella papale fra i testimoni di un documento sottoscritto dai cardinali Antonio Casini e Giordano Orsini. Gli furono affidati incarichi amministrativi, insieme ai cubicularii Pietro da Monza e Fancesco dal Legname (oppure de Lignamine). Trevisan ottenne anche la sede vescovile di Traù, città dalmata dominata da Venezia, che amministrava per procura a partire dal 1435.
Trevisan aveva seguito il papa al Concilio di Ferrara come amministratore: lui e il cardinale Giuliano Cesarini furono mediatori del trasferimento del Concilio a Firenze.
Continuava intanto a operare accanto al papa in esilio a Firenze, dopo che fuggì da Roma il 4 giugno 1434 (e in concomitanza con la tensione con il Concilio di Basilea). Abile in amministrazione e diplomazia, Trevisan fu affiancato al cardinale Giovanni Vitelleschi, riferimento nelle attività militari del pontefice: presto lo sopraffece, tanto da succedergli come arcivescovo di Firenze il 6 agosto 1437 (mentre a Vitelleschi fu assegnata in commenda la sede di Traù) e a prenderne il posto nelle altre mansioni, quando Vitelleschi morì il 2 aprile 1440.
I risultati immediati del Concilio fiorentino del 1439 e l’avvio della stagione di consolidamento del papato in Italia videro Trevisan in primo piano. L’11 gennaio 1440 fu promosso patriarca di Aquileia e poco dopo divenne camerlengo di Santa Chiesa. Di lì a sei mesi, il 12 luglio, fu creato cardinale di S. Lorenzo in Damaso (ma volle che la città patriarcale fosse associata nel suo nome al titolo cardinalizio e da allora divenne Ludovicus cardinalis Aquilegeinsis). Negli anni successivi la sua posizione si rafforzò ulteriormente grazie anche all’attivismo diplomatico e militare: sotto il governo di papa Condulmer, Trevisan partecipò a legazioni di nomina pontificia e a operazioni militari, come quando fu tra i vincitori della battaglia di Anghiari (29 giugno 1440). Così egli si impegnò con l’esercito e con la diplomazia nel recupero sotto più stretto dominio papale di molti territori nel Lazio settentrionale, in Romagna, nelle Marche, dopo diversi anni di minor cura nell’amministrazione degli Stati pontifici, specie durante lo scisma.
Nel 1443, con la pace di Terracina, che mise fine al conflitto tra Eugenio IV e Alfonso d’Aragona per il Regno di Napoli e alle cui trattative Trevisan prese parte come legato pontificio, si spalancò per il papa la possibilità del ritorno definitivo a Roma. Il cardinale di Aquileia, vicario del pontefice per l’Urbe, gli aprì la strada verso un rientro trionfale. Recuperata la sede romana, il camerlengo divenne il primo consigliere papale, quasi una sorta di segretario di Stato ante litteram negli ultimi anni di vita di Eugenio IV. Trevisan, forte della gestione delle finanze curiali, coordinava di fatto la politica papale e fu artefice di scelte a tratti rischiose, come la guerra contro Francesco Sforza e il rivolgimento di fronte che vide siglata, dal 1443 al 1445, l’alleanza di Eugenio IV con Filippo Maria Visconti, avversario del pontefice per tutto il decennio precedente, quando sosteneva il Concilio di Basilea. Fu vero plenipotenziario papale nella guerra con lo Sforza, conclusa con la Pace di Perugia del 1444 e la ratifica della Lega santa da parte di Eugenio IV.
Alla morte del pontefice veneziano, nel 1447, il cardinale di Aquileia era il porporato più in vista del Sacro Collegio, tuttavia non fu mai ritenuto candidato ideale al soglio di Pietro, anche per la sua condotta morale non sempre ineccepibile, a tratti davvero spregiudicata. Tutti i papi di cui fu al servizio in seguito dovettero però tenere conto della sua posizione influente in Curia. Niccolò V (1447-55), personalità di qualità e indole diverse, era stato per un breve periodo luogotenente della Camera apostolica e quindi diretto collaboratore di Trevisan; eletto papa, Tommaso Parentucelli cercò di limitare il potere del camerlengo, controllandone l’ufficio con vicari e luogotenenti di propria fiducia e avviando una riforma della Camera già a partire dal 1450, l’anno giubilare decisivo per il pontificato niccolino e per le sue strategie di pace. A Trevisan furono sottratte di fatto anche le truppe pontificie, ridotte drasticamente da papa Parentucelli. Gli fu tolta anche la legazione delle Marche, che gli era stata conferita nel 1445 e che venne affidata (1449) a Filippo Calandrini, fratellastro di Niccolò V; in cambio Trevisan ricevette una sorta di esilio dorato nell’abbazia di S. Paolo ad Albano, nei Castelli romani, avuta i commenda, luogo che trasformò in una delle più sontuose ville umanistiche del tempo, pur non cessando mai di impegnarsi in Curia.
Nel 1451 si recò per la prima volta a visitare la propria diocesi aquileiese, passando per Milano e per Padova. Il viaggio avvenne durante l’estate, quando il papa risiedeva a Fabriano a causa di una epidemia di peste a Roma. Per Trevisan fu un momento di decisivo consolidamento delle sue prerogative episcopali, dopo una serie di delicati passaggi istituzionali.
La gestione della prestigiosa sede aquileiese era giunta infatti al Trevisan in un momento di profondo mutamento politico ed ecclesiale: egli riuscì a reggerla nonostante l’ostilità aperta da parte dei padri di Basilea alla sua nomina e l’attendismo prudente della Repubblica di Venezia, che temeva di perdere il controllo di parte della terraferma. Eppure, Trevisan non sdegnava i lunghi e complessi conflitti di potere e si impegnò negli anni Quaranta in una sorta di recupero dell’integrità diocesana, aprendo una lunga partita con chi dominava la sede aquileiese e, muovendosi sia contro Basilea sia, con accorte trattative, verso Venezia, ove godeva di appoggi significativi. La Serenissima era infatti disponibile ad accogliere il patriarca nelle sue prerogative spirituali, ma non in quelle feudali, particolarmente sul Friuli. Il camerlengo, con l’appoggio papale, aveva ottenuto un trattato (10 giugno 1445) che gli garantiva un’abbondante congrua in liquidi (5000 ducati), i diritti feudali su alcune città (Aquileia, San Vito, San Daniele) e la difesa da parte di Venezia del dominio patriarcale. Trattative e amministrazione del patriarcato erano state condotte per procura: la vicaria in spiritualibus fu detenuta a lungo dal chierico umanista Guarnerio d’Artegna, suo fiduciario che si dimise dall’incarico nel 1456 senza esplicite motivazioni, sostituito da Fortunato Pellicani, vescovo di Sarsina, e poi, dal 1463, da Antonio Feleto, vescovo di Concordia. Trevisan si occupò direttamente del controllo dei benefici maggiori e di alcune questioni specifiche, unioni di chiese e titoli: la sua posizione in Curia favorì il disbrigo di affari con diretto appello alla S. Sede. Tuttavia, il patriarca non accolse friulani o chierici diocesani tra i suoi familiares.
Il viaggio a Padova del 1451 fu occasione dunque di ingresso sicuro nel patriarcato e di fitti contatti con il mondo veneziano, che contava di averlo favorevole presso Niccolò V, il quale a sua volta nel 1454 gli conferì la commenda dell’abbazia di Montecassino.
Sotto Callisto III, da lui sostenuto in conclave, Trevisan ricevette la legazione delle crociate: allestì la flotta pontificia e si diresse con essa verso Rodi, riprendendo così il suo attivismo militare dopo la parentesi niccolina. Ma Pio II, eletto in sua assenza, gli si mostrò da subito e apertamente avversario e – dopo la dieta di Mantova (1459), cui il camerlengo aveva partecipato di malavoglia, essenzialmente rappresentando gli interessi di Venezia – avocò a sé il comando dell’impresa contro il Turco; nonostante ciò papa Piccolomini volle fargli visita ad Albano, lasciandone memoria nei suoi scritti.
Decisiva per Trevisan fu l’elezione papale nel 1464 dell’altro pupillo di Eugenio IV, il nipote Pietro Barbo, che assunse il nome Paolo II, con cui il patriarca ebbe rapporti sempre difficili. Il nuovo papa da una parte mostrò favore all’anziano porporato, conferendogli tra l’altro la diocesi suburbicaria di Albano, il più prestigioso titolo cardinalizio di rango vescovile e sua dimora vicino a Roma; dall’altra sottrasse però al volere del camerlengo morente, nel 1465, la cospicua eredità economica, venuta anche da un lussuoso elenco di prebende, tra cui appunto il patriarcato, che sarebbe passato alla morte di Trevisan a un altro porporato di spicco tra i veneziani in Curia, Marco Barbo, il colto nipote di Paolo II che pure assunse il camerlengato.
Morì il 22 marzo 1465.
Personalità forte e determinata, come bene lo raffigura Andrea Mantegna in un celebre ritratto a mezzo busto con il cipiglio di un console romano (Berlino, Gemäldegalerie, inv. n. 9), Trevisan mantenne rapporti con il movimento umanistico. Il palazzo di S. Lorenzo in Damaso e la villa di Albano furono sedi di incontri fastosi; le abbondanti disponibilità economiche gli permisero di raccogliere antichità preziose e attirarono su di lui l’attenzione dei dotti presenti in Curia: Lorenzo Valla, Francesco Filelfo e Pier Candido Decembrio cercarono in lui appoggio autorevole, Francesco Barbaro e Poggio Bracciolini mantennero invece un rapporto epistolare costante. Si conservano cinquanta lettere che Barbaro gli inviò e una sola di Trevisan al suo interlocutore: cinquantuno documenti composti per la maggior parte tra il 1436 e il 1440, diminuendo negli anni successivi. Meno consistente fu il rapporto epistolare con Poggio, che pure gli dedicò uno dei libri delle sue lettere e che, prima, era stato segretario dello stesso papa di cui Trevisan fu cubiculario. Anche Giovanni Tortelli, cubiculario e bibliotecario di Niccolò V, ebbe con lui rapporti diretti e gli è stata attribuita l’Oratio in funere: in effetti l’ultima notizia certa che abbiamo di Tortelli è la presenza ai funerali di Trevisan, celebrati a Roma.
Appassionato raccoglitore di antichità, ebbe anche a disposizione manoscritti di ottimo livello, ma che forse andarono dispersi con l’eredità: due soli ne sono stati finora riconosciuti, il De civitate Dei di Agostino (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 436), e una silloge di vite plutarchee in versione latina (Pal. lat., 918). I volumi sono entrambi contrassegnati, in calce al foglio iniziale, dallo stemma cardinalizio e patriarcale. Non è da escludere che abbia influenzato la ricca raccolta di libri medici disponibile presso Eugenio IV, collegata alla famiglia dei Santasofia e assorbita poi, tramite Niccolò V, nella prima collezione vaticana. Inoltre, la memoria del suo legame con Padova si associa al patriarcato aquileiense nell’epigrafe incisa sul monumento funebre in S. Lorenzo in Damaso, eretto diversi anni dopo la sua morte, nel 1505; il porporato, inoltre, vi compare sdraiato sul sarcofago circondato da libri, secondo un uso in quegli anni già presente in altri sepolcri cardinalizi.
Figura di primo piano nella corte papale, seppur circondata di un’aura piuttosto sinistra, Trevisan fu abile gestore dei suoi ruoli e delle sue cariche, uomo di comando e di politica, tra vittorie e sconfitte personali, fu sempre capace di rapportarsi alla pari con i quattro pontefici con cui ebbe a che fare, primo tra tutti Eugenio IV, che servì per venticinque anni; ben provveduto anche di risorse intellettuali e materiali, egli seppe rapportarsi con il movimento di punta della cultura del tempo, l’umanesimo italiano, divenendone uno dei più prestigiosi protettori in Curia. In tal modo rappresenta bene un tipo di forte e colto esponente del Sacro Collegio d’età umanistica.
Fonti e Bibl.: Archivio mediceo avanti il principato. Inventario, I, Roma 1951, pp. 169, 178, 207, 227, II, 1955, pp. 455 s., IV, 1963, p. 453; Laurentii Valle Epistole, a cura di O. Besomi - M. Regoliosi, Patavii 1984, pp. 19, 84, 118, 228 s., 246-249, 257, 303; P. Bracciolini, Lettere, III, Epistolarum familiarium libri secundum volumen, a cura di H. Harth, Firenze 1987, pp. 93 s., 252 s., 305 s., 358-361, 394 s., 398; L. Casarsa - M. D’Angelo - C. Scalon, La libreria di Guarnerio D’Artegna, Tavagnacco 1991, pp. 20 s., 26 s., 29, 89, 102, 211, 214-217, 237, 326, 331, 336 s., 390, 397s.; F. Barbaro, Epistolario, I, La tradizione manoscritta e a stampa, a cura di C. Griggio, Firenze 1991, pp. 20, 90-92, 111-114, 116-121, 126-128, 131, 135, 152, 157, 159 s., 269, 272, 275 s., 278-280, II, La raccolta canonica delle «Epistole», 1999, pp. 105, 125, 127, 130, 143, 146, 165, 175, 179, 186, 191, 202, 210, 217, 231, 243, 249, 324, 330, 338, 353, 356, 391, 393, 445, 678, 758, 767, 775, 779.
P. Paschini, Lodovico cardinal camerlengo (†1465), Romae 1939 (fondamentale; in partic. sulla designazione del cognome v. p. 7 nota 2); M.L. King, Venetian Humanis in an Age of Patrician Dominance, Princeton 1986, pp. 272, 325, 407, 419, 437, 448; Mandati della Reverenda Camera Apostolica (1418-1802), a cura di P. Cherubini, Roma 1988, p. 77; A. Manfredi, Per la formazione di L. T., in In uno volumine. Studi in onore di Cesare Scalon, a cura di L. Pani, Udine 2009, pp. 371-382; I Libri dei Patriarchi. Un percorso nella cultura scritta del Friuli medievale, a cura di C. Scalon, Pasian di Prato 2014 (in partic. A. Manfredi, I libri dei principi, pp. 393-402; Id., schede XIII.4-5, pp. 410-413). Per l’Oratio in funere: Città del Vaticano, Bibliografia apostolica Vaticana, Barb. lat., 1952, cc. 178r-182v, testo unico e adespoto, attribuito a Tortelli da Paschini, 1939, p. 7 n. 4, «secondo una plausibile ipotesi di mons. Giovanni Mercati» e sempre sulla scorta di Mercati da G. Mancini, Giovanni Tortelli cooperatore di Niccolò V nel fondare la Biblioteca Vaticana, in Archivio storico italiano, LXXVIII (1920), pp. 161-282 (in partic. pp. 265 s.); rifiuta invece l’attribuzione M. Regoliosi, Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli. 2. La vita di Giovanni Tortelli, in Italia medioevale e umanistica, XII (1969), pp. 129-196 (in partic. p. 191); di parere diverso M. Cortesi, Giovanni Tortelli alla ricerca dei padri, in Tradizioni patristiche nell’Umanesimo. Atti del Convegno..., a cura di M. Cortesi - C. Leonardi, Firenze 1997, pp. 231-272 (in partic. p. 243 n. 32), che sembra voler riaprire la questione, fin ora mai risolta definitivamente.