URBANI, Ludovico
– Non è nota la data di nascita di questo pittore originario di San Severino Marche, operoso nella seconda metà del XV secolo. I dati biografici che lo riguardano sono stati segnalati già nel XIX secolo (Ricci, 1834; Aleandri, 1894), ma in seguito arricchiti dagli spogli archivistici svolti da Anselmo Anselmi (1907), Raoul Paciaroni (1982) e Andrea Trubbiani (2015), cui si fa riferimento in questa voce.
La prima notizia che riguarda «Ludovicus Iohannis Urbani Marcutii de Sanctoseverino» (come è designato in un atto del 1484) risale al 1460, quando egli venne processato per ingiurie nella sua città natale; analoghi procedimenti per risse e percosse sono documentati nel 1462, nel 1465 e nel 1466, anno, quest’ultimo, in cui il litigioso pittore si scontrò con il collega Bartolomeo Friginisco. A queste date l’attività artistica di Ludovico era già in essere: nel 1465 dipinse un’arma nel torrione di porta S. Lorenzo a San Severino e quattro anni più tardi uno stendardo (perduto) per il Comune di Treia, mentre nel 1462 era ricordato un Lorenzo da Tolentino, «famulum dicti Lodevici», a conferma dell’esistenza della bottega sanseverinate del pittore. Nel 1472 Urbani affittava un appezzamento di terra, ma nel 1475 otteneva la cittadinanza recanatese e nel 1477 sottoscriveva il contratto per l’esecuzione della «cona» che nel 1474 il Comune aveva deciso di destinare all’altare maggiore della chiesa di S. Maria in Piazza. Anche se in seguito egli non è più specificatamente attestato a Recanati, il legame con tale città sembra essere stato duraturo, giacché nel 1492, a Montecassiano, viene menzionato come «de Sancto Severino habitator civitatis Recanati», e dopo la sua morte, nel 1498, si fa riferimento alla sua operosità svolta «tam in terra Sancti Severini quam in civitate Rachaneti». Significativo, in tal senso, è il fatto che i dipinti d’altare sopravvissuti conducano tutti a questa località, mentre nulla dell’operosità di Ludovico è rimasto a San Severino.
È incerto se sia Urbani il Ludovico pittore pagato nel 1477 dal Comune di Macerata per la pittura di alcune armi (Spadoni, 1906). A partire dal 1480 l’artista è nuovamente documentato a San Severino, in relazione ad affari di natura per lo più patrimoniale (acquisti, vendite e affitti di case e terreni, fino al 1493), indice di una condizione economica piuttosto agiata, ribadita da altri dati: la possibilità di mantenere il beneficio, in condivisione con il fratello Urbano, di un altare dedicato al santo omonimo nella chiesa di S. Lorenzo in Doliolo, di cui si ha notizia nel 1484; l’ingente somma concessa in dote alla figlia Bartolomea all’atto delle nozze, in data 1490, con Francesco di Cola Sassolini, rampollo di una prestigiosa famiglia sanseverinate; la cospicua eredità lasciata in seguito ai due figli. Quanto alle cariche pubbliche ricoperte a San Severino, nel 1488 l’artista figura quale priore municipale; nel 1493 e di nuovo tre anni più tardi fu nominato console delle arti; nel 1494 fece il suo ingresso nel consiglio di Credenza per il quartiere di S. Lorenzo, in cui egli abitava, insieme al pittore Lorenzo d’Alessandro e all’intagliatore Domenico Indivini.
Alcuni atti (1460, 1476, 1494), che lo vedono coinvolto con sellai, lasciano ipotizzare che, a fianco del mestiere di pittore, Urbani esercitasse questa seconda professione (Paciaroni, 1982), proseguita poi dal figlio Mariangelo, ovvero che si dedicasse al commercio di selle. Quanto all’attività artistica, essa proseguì a Montecassiano. Un’iscrizione letta nel XIX secolo informa che nell’altare di S. Francesco della locale pieve di S. Maria era un affresco firmato dal pittore e datato 1490, commissionato dall’eminente Nicolò Cecchini. Nello stesso anno veniva richiesta a Ludovico, per volontà di un gruppo di devoti, una «picturam» (probabilmente un altro affresco) da eseguirsi nell’altare di S. Antonio abate nella chiesa di S. Marco e raffigurante il santo taumaturgo, che veniva saldata nel 1492. Entrambe le opere sono andate perdute, al pari di una terza commissione, attestata nel 1491, relativa ad alcuni affreschi nella cappella di S. Veneranda in S. Francesco a Potenza Picena.
La morte colse l’artista tra il 1° luglio 1496 e il 18 ottobre 1498, allorché Cesare e Mariangelo, nati dal matrimonio con Gentilesca di Nicola di Matteo, si divisero l’eredità, incluse le masserizie di cui il padre si era servito per l’esercizio della propria attività.
Sul piano figurativo, perno dell’operosità di Ludovico è il trittico già nella chiesa silvestrina di S. Maria in Piazza a Recanati (oggi ospitato nel locale Museo diocesano), la cui realizzazione, come accennato sopra, venne stabilita dal Comune nel 1474, quando la città, in occasione di una pestilenza, si votò a s. Sebastiano. La risoluzione, nella quale non compare il nome del pittore, precisava che l’opera avrebbe dovuto raffigurare la Vergine e i ss. Benedetto e Sebastiano, a fianco di storie di quest’ultimo. Tre anni più tardi la comunità religiosa commissionava la «conam» al sanseverinate, con la specifica che essa fosse condotta a termine entro il 15 agosto (Gianuizzi, 1895). Il trittico, firmato «Opus Ludovici de Urbanis de Sa(nc)to Severeno», era ancora in loco nel XVIII secolo (D. Calcagni, Memorie istoriche della città di Recanati nella Marca d’Ancona, Messina 1711, p. 346), prima di essere trasferito nella sagrestia del duomo verso il 1810. Coerentemente con l’atto del 1474, raffigura la Madonna col Bambino in trono e angeli, tra i ss. Benedetto e Sebastiano, storie del santo martire nella predella (tra figure di profeti); nei pilieri, tra gli apostoli e i santi, figurano gli stemmi del Comune di Recanati e del monastero silvestrino, mentre la rigogliosa cornice intagliata di gusto adriatico (per la quale è stato fatto il nome di Giovanni di Stefano da Montelparo: Raffaelli, 1873, p. 185) culmina nelle immagini dell’Annunciazione e del Cristo in pietà. A livello formale l’opera è il manifesto del forte ascendente esercitato da Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno, sul linguaggio del pittore. Il gruppo principale deriva puntualmente dal polittico licenziato nel 1468 dal folignate per San Severino Marche, e quella è parimenti la fonte della tensione patetica, accentuata sino a sfiorare la caricatura, dei personaggi di Ludovico. A monte di tale influenza è possibile risalire a quel filone linguistico aspramente caratterizzato che fa capo a un altro maestro folignate della precedente generazione, Bartolomeo di Tommaso (Zeri, 1961). Benché i ritmi ondivaghi dei contorni e le sinuose curvature del paesaggio indichino una formazione in linea con gli ultimi sviluppi della cultura tardogotica nelle Marche appenniniche, manca qualsiasi continuità con la stagione inaugurata a San Severino dai fratelli Iacopo e Lorenzo Salimbeni, visibile piuttosto nel conterraneo Lorenzo d’Alessandro. Un precedente per Urbani è invece costituito da alcuni affreschi staccati, esposti nella Pinacoteca comunale di San Severino, che hanno in nuce l’acribia espressiva che lo distingue (Minardi, 2005, p. 24 nota 37). Sebbene Ludovico venisse in contatto con la cultura crivellesca diffusa negli anni Settanta – abbandonandosi a ritmi più nervosi e a una più incisiva azione della linea, nonché caricando ulteriormente la cifra espressiva –, non si trattò mai di una conversione radicale, diversamente da quanto la critica, da Filippo Raffaelli (1873, pp. 7 s.) in poi, ha spesso affermato. Federico Zeri (1948, p. 168) ha altresì rilevato l’influsso dell’artista che oggi viene identificato in fra Carnevale.
Gli altri pochi risultati che compongono il catalogo del pittore ribadiscono come l’Alunno restò il maggior referente della poetica di Urbani. A un momento di poco precedente il trittico di S. Maria in Piazza si possono datare una Madonna col Bambino in trono e angeli (già Bergamo, collezione privata; Todini, 2004), che nuovamente si appoggia sullo scomparto centrale del polittico sanseverinate dell’Alunno, e una tavola raffigurante S. Francesco che riceve le stimmate (già Bergamo, galleria Lorenzelli; Zeri, 1983), pervasa da una gracile grafia di reminiscenza gotica, che diventa più tagliente nei dipinti recanatesi. Segue nel 1477 un trittico costituito, secondo la proposta di Zeri (1948, p. 169), dalla Madonna col Bambino in trono e angeli (Avignone, Musée du Petit Palais) e dagli scomparti raffiguranti S. Francesco e S. Ludovico di Tolosa (Recanati, Museo diocesano), riferiti al pittore da Lionello Venturi (1915). Come lasciano intendere le peculiarità della carpenteria superstite, si trattava in origine di un trittico a due registri, cui sottostava probabilmente, quale elemento di predella, l’Adorazione dei Magi della Pinacoteca Vaticana (Minardi, 2005, pp. 11 s.). La presenza di due esponenti dell’Ordine dei minori suggerisce la provenienza da una chiesa francescana (Coltrinari, 2004, p. 164), ma occorre ricordare che in duomo (nella cui canonica si trovavano i laterali agli inizi del XX secolo) esisteva un altare dedicato a s. Ludovico di Tolosa (D. Calcagni, Memorie, cit., pp. 139, 289). In questo secondo trittico le morfologie si fanno più puntute, la piega sentimentale ancor più svenevole e il chiaroscuro contrastato, mentre le propensioni decorative sono rese evidenti dall’esibizione di tessuti resi illusivamente in pastiglia rilevata e dorata, secondo il gusto crivellesco. Prossima a questo punto di stile, o al più in lieve anticipo, è una Madonna col Bambino (già Roma, collezione privata), resa nota da Zeri (1948, p. 169), mentre un’ultima tavola devozionale che potrebbe appartenere alla produzione degli anni Settanta è, a giudizio di chi scrive, la Madonna col Bambino già nel Columbus Museum of art (inv. 31.44; poi New York, Sotheby’s, 22 maggio 1997, lotto 37). Chiude l’operato sinora conosciuto la pala raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Antonio abate e Nicola di Bari (Aleandri, 1894), firmata «Ludo[vicus] pinsit» e proveniente dalla chiesa di S. Maria in Castelnuovo a Recanati, poi confluita in varie raccolte private (l’ultima nota è la collezione Caltagirone a Roma). Un’iscrizione perduta, ma decifrata nel XVIII secolo, attesta come la sua commissione fosse avvenuta nel 1480 grazie a Giliotto Petrucci, capitano al servizio delle milizie recatanesi (Patrizi, 1932). L’adozione del formato della pala quadra in luogo del polittico a scomparti e il venir meno delle divaganti ondulazioni lineari visibili nel trittico di S. Maria in Piazza confermano una gestazione dell’opera posteriore a quest’ultimo.
Altre attribuzioni hanno cercato di arricchire il corpus di Urbani, ed è possibile che questi si sia spinto fino a Fermo, nella cui chiesa di S. Agostino sopravvive un affresco che gli è stato riferito (Marcelli, 1993-2000). Si segnalano altresì alcuni affreschi nell’ex convento di S. Francesca Romana a Roma, riferiti all’artista da Zeri (1948, pp. 167 s.), che poco dopo (1955) li restituì ad Antonio da Viterbo, e un trittico (Crocifissione e quattro santi) diviso tra il Musée du Petit Palais di Avignone e la chiesa di S. Teresa a Matelica, attribuito a Urbani da più parti, anche se gli studi più aggiornati ne rivendicano la paternità a Lorenzo d’Alessandro, cui l’opera veniva collegata già a metà Ottocento (cfr. Minardi, 2005, p. 21 nota 15) e nel primo Novecento (Esposizione Regionale Marchigiana. Catalogo della Mostra di Belle Arti, Macerata 1905, p. 44). Esso testimonia nondimeno le convergenze formali ravvisabili nel corso degli anni Settanta tra i due sanseverinati, di cui sono documentate le relazioni sul piano personale (Paciaroni, 2001). Un «estro così vivace come quello dell’Urbani» (Zeri, 1948, p. 169) non trovò seguaci diretti, e maggior fortuna incontrò a San Severino lo stile luminoso ed elegante del sodale Lorenzo d’Alessandro.
Entrato nella storiografia marchigiana con le Memorie storiche di Amico Ricci (1834), il nome di Urbani era già noto e apprezzato dall’erudizione sanseverinate di primo Ottocento (cfr. Paciaroni, 1982, p. 187 nota 14). Le forzature del suo linguaggio furono fonte di riprovazione per i primi commentatori della sua opera (Crowe - Cavalcaselle, 1866), ma vennero riabilitate nel pieno Novecento con l’approfondimento delle vicende peculiari del primo Rinascimento marchigiano.
Fonti e Bibl.: A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, I, Macerata 1834, pp. 221 s.; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A New history of painting in Italy, III, London 1866, pp. 113 s.; F. Raffaelli, Di una tavola dipinta da L. U. da San Severino per il Comune di Recanati, Fermo 1873; V.E. Aleandri, Dei pittori sanseverinati Cristoforo di Giovanni, Bartolomeo Friginisco e L. U. nella metà del secolo XV, in Arte e storia, XIII (1894), 20, pp. 153-157; P. Gianuizzi, A proposito di un pittore Sanseverinate, ibid., XIV (1895), 1, p. 5; D. Spadoni, Note d’arte antica marchigiana, in Rivista marchigiana illustrata, I (1906), p. 147; A. Anselmi, Affreschi di L. U. da Sanseverino a Potenza Picena già Montesanto (nuovi documenti), in Nuova rivista misena, X (1907), 1-2, pp. 22-26; L. Venturi, A traverso le Marche, in L’Arte, XVIII (1915), pp. 202 s.; I. Patrizi, Il rinvenimento d’una tavola d’altare del XV secolo, scomparsa da Recanati agli inizii del secolo XIX, Recanati 1932; L. Serra, L’arte nelle Marche, II, Il periodo del Rinascimento, Roma 1934, pp. 406 s.; F. Zeri, A proposito di L. U., in Proporzioni, II (1948), pp. 167-170; Id., La mostra della pittura viterbese, in Bollettino d’arte, XL (1955), p. 88; Id., Bartolomeo di Tommaso da Foligno, ibid., XLVI (1961), pp. 60-62; L. Dania, in Pittura nel Maceratese dal Duecento al tardo Gotico (catal.), Macerata 1971, pp. 178-188; R. Paciaroni, Documenti inediti di pittori sanseverinati: L. U., in Miscellanea settempedana, III (1982), pp. 179-203; F. Zeri, Rinascimento e Pseudo-Rinascimento, in Storia dell’arte italiana, V, Dal Medioevo al Quattrocento, Torino 1983, p. 562; F. Marcelli, Presenze, committenza e dispersione: quattro schede sul patrimonio artistico di Pergola, Fabriano e Fermo, in Notizie da Palazzo Albani, XXII-XXIV (1993-2000), pp. 80-82; P. Di Giammaria, in I pittori del Rinascimento a Sanseverino... (catal., San Severino Marche), a cura di V. Sgarbi - S. Papetti, Milano 2001, pp. 25-37, 88-101, 106-109 (con bibl.); R. Paciaroni, Lorenzo d’Alessandro, detto il Severinate. Memorie e documenti, Milano 2001, pp. 41 s., 144-146; A. Antonelli, Crivellismo e altri influssi nei dipinti recanatesi di L. U., in Accademia Raffaello. Atti e studi, I (2004), pp. 99-110; F. Coltrinari, in Matteo da Gualdo. Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche (catal., Gualdo Tadino), a cura di E. Bairati - P. Dragoni, Città di Castello 2004, pp. 163-167; F. Todini, Niccolò Alunno e la sua bottega, Perugia 2004, p. 56; Il polittico di L. U. Madonna col Bambino, Angeli e Santi. Museo Diocesano di Recanati, s.l. 2004; M. Minardi, Nuove acquisizioni su Lorenzo d’Alessandro e i suoi compagni, in Paragone, LVI (2005), 62, pp. 3-29 (in partic. pp. 9-12, 24 nota 37); A. Trubbiani, Tracce documentarie del pittore L. U. a Montecassiano nel 1490 e altre spigolature d’archivio, in Marca/Marche, IV (2015), pp. 175-188.