ZAMBELETTI, Ludovico. –
Nacque il 19 novembre 1841 a Foppenico, in provincia di Bergamo (oggi in provincia di Lecco). Il padre fu l’ingegnere Lodovico Giovan Battista (all’anagrafe milanese fu variamente registrato con tutti e tre i nomi e, nei medesimi documenti, il cognome riportato è Zambelletti), la madre Giovanna Scotti. Oltre a lui e alla sorella Virginia, nata nel 1837, la coppia – residente a Milano nei pressi del Palazzo Reale – ebbe altri due figli: Francesco (nato nel 1850) e Marianna Luigia (1855-1859).
Dopo aver frequentato il ginnasio, Ludovico rifiutò la professione paterna che gli era stata prospettata e, nel 1856, iniziò a lavorare presso la farmacia dei frati Fatebenefratelli presso l’ospedale che gestivano. Scoppiata la guerra nel 1859, Zambeletti operò come assistente farmacista all’ospedale militare temporaneamente installato nelle carceri di Porta Nuova. Nel 1860 si iscrisse alla facoltà di farmacia dell’Università di Pavia, dove si laureò nel 1862 con una tesi sulle reazioni chimiche necessarie per identificare la presenza di alcuni metalli nei composti. Conclusi gli studi lavorò a Milano insieme a Carlo Erba, prima nella sua farmacia di Brera e poi nell’impresa chimico-farmaceutica che favrebbe fondato nel 1873. Qualche anno dopo, nel 1866, Zambeletti rilevò la farmacia Monteggia – attiva da qualche decennio in piazza San Carlo, vicino al duomo – rilanciando commercialmente la bottega grazie alla sua visione innovativa del mercato farmaceutico, in cui applicò sempre di più la chimica e introdusse nuovi medicamenti importati dall’estero (la farmacia fu anche chiamata farmacia inglese). Secondo il discorso funebre pronunciato dall’amico chimico professor Giacomo Bertoni, Zambeletti riuscì a dimostrare l’infondatezza del pregiudizio, molto diffuso tra i farmacisti, nei confronti dell’industrializzazione della farmaceutica. Seguendo l’esempio di Erba, espanse la bottega con un laboratorio chimico moderno, dove venivano preparati farmaci innovativi e riprodotti medicamenti utilizzati all’estero. Il superamento dei confini nazionali e delle gelosie locali fu uno dei punti focali della sua attività scientifica. Nel 1869 pubblicò a Milano la prima edizione del Manuale teorico-pratico dei medicamenti moderni recentemente scoperti e dei semplici presentemente più usati in medicina, in cui riportò non solo farmaci e preparati della tradizione italiana, ma anche ciò che era utilizzato all’estero. Nel 1873, insieme al clinico e senatore del Regno Malachia De Cristoforis, presentò al Congresso medico internazionale di Vienna una memoria dedicata alla creazione di una farmacopea universale, basata sulla chimica e partecipe del rinnovamento in atto nella medicina, considerata necessaria «onde la clinica con medicamenti preparati in identiche condizioni abbia mano più sicura nell’arte del medicare» (De Cristoforis - Zambeletti, 1873, pp. 116-119). Il Regno d’Italia si dotò d’altra parte di una farmacopea nazionale solo nel 1892, a testimonianza della resistenza da parte dei farmacisti ad abbandonare tradizioni locali molto radicate e spesso basate su una medicina arcaica. In questo contesto l’opera di Zambeletti si mosse su diversi piani: di innovazione scientifico-epistemologica, di sviluppo tecnologico-industriale e di modernizzazione commerciale. Quanto al primo, attraverso il rinnovamento della farmaceutica per mezzo della chimica, fu una vera e propria rivoluzione che seguì non solo il grande cambiamento nelle scienze della materia, ma andò in parallelo all’avanzamento della medicina, finalmente avviata a diventare sperimentale e a frequentare i laboratori scientifici. La farmaceutica si stava inoltre allontanando dall’artigianato empirico che sino ad allora l’aveva contraddistinta, per diventare un settore in cui tecnologia e industrializzazione – sia rispetto all’ottenimento delle materie prime sia per la confezione dei medicamenti – avrebbero avuto un ruolo sempre più importante. Le nuove procedure assicuravano una standardizzazione del prodotto che rappresentava una garanzia sia per il paziente sia per il medico che prescriveva il farmaco. Da ultimo, seguendo l’intuizione del più anziano Erba, Zambeletti allargò il mercato farmaceutico a prodotti innovativi e di successo come l’arseniato di ferro citro-ammoniacale (un ricostituente a base di arsenico) e le esotiche Perle di santolo citrino, estratto dell’albero Sandalus albus importato dall’India. La farmacia di sua proprietà diventò molto presto un punto di riferimento nazionale e parte del nucleo fondante dell’industria farmaceutica milanese, insieme alla Carlo Erba e alla Ledoga-Lepetit. Il ruolo che ebbe gli fu riconosciuto dai colleghi che lo nominarono rappresentante della categoria nel Consiglio sanitario provinciale. Zambeletti diventò inoltre un importante esponente della ricca borghesia imprenditoriale cittadina, promotore di numerose iniziative filantropiche. In particolare, fu fondatore e animatore della Pia istituzione climatica gratuita per fanciulli gracili delle scuole di Milano (detta brevemente Cura climatica), che consentì a numerosi bambini delle classi sociali più povere di trascorrere settimane di vacanza lontano dalla città. Per i suoi meriti, con decreto del 3 giugno 1884, fu insignito del titolo di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Il coté filantropico va anche ricollegato alla sua lunga militanza nella massoneria milanese e ad alcune delle istanze progressiste da essa sostenute. Tra queste, oltre all’assistenza per i bambini rachitici e in condizioni disagiate, ci fu il sostegno alla causa della cremazione, considerata un’alternativa razionale e igienica all’inumazione, nonché laica e anticlericale. Proprio negli anni Settanta dell’Ottocento a Milano venne installato nel cimitero Monumentale il primo forno crematorio, grazie alla generosa donazione testamentaria del massone Alberto Keller (che ne fu anche il primo utente, due anni dopo la morte avvenuta nel 1874). Nello stesso anno della cremazione di Keller, fu fondata a Milano la Società per la cremazione dei cadaveri – il cui primo presidente fu il già citato De Cristoforis –, che ebbe tra i promotori numerosi esponenti progressisti del mondo medico milanese, tra cui Gaetano Pini e Agostino Bertani. Personaggio cosmopolita nei suoi interessi (con numerosi viaggi all’estero per perfezionare le proprie conoscenze) e positivista nel suo approccio, Zambeletti fu dunque esemplare rappresentante di un ceto che contribuì alla modernizzazione locale e nazionale agendo in diversi contesti: economico, culturale, sociale. Al figlio Leopoldo (1868-1924), nato dal suo matrimonio con Leopolda Trivulzi (o Triulzi), trasmise la sua stessa attitudine.
Fu quest’ultimo – laureato prima in chimica e poi in farmacia nella stessa università del padre – a rendere l’azienda pienamente industriale, separando il laboratorio di produzione dalla farmacia ed espandendone fortemente il mercato. L’impresa, fondata ufficialmente da Leopoldo nel 1907 con il nome di Società anonima dott. L. Zambeletti (mantenendo un’ambiguità sull’iniziale, in omaggio al padre) crebbe al punto da diventare una vera e propria multinazionale, che restò alla famiglia Zambeletti fino all’acquisizione negli anni Ottanta del Novecento da parte della britannica Beecham. La storia di quest’industria farmaceutica è quindi paradigmatica del settore: nascita all’interno di una farmacia di famiglia – come Erba e Schiapparelli – e poi una lunga espansione basata su un mix di innovazione scientifico-tecnologica, strategie di mercato e condizioni politiche (quali il rifiuto dei brevetti sui farmaci, vietati in Italia fino agli anni Ottanta).
A guidare l’impresa familiare Leopoldo fu chiamato dopo la prematura morte del padre: durante un viaggio in Egitto, Ludovico riportò infatti un’infezione che lo tormentò per qualche mese, fino a causare una fatale pleurite che lo uccise l’11 settembre 1890, mentre per migliorare le proprie condizioni si trovava nella villa di un amico a Intra, sul lago Maggiore.
Il funerale del «noto proprietario della farmacia in Piazza San Carlo» (come recita il necrologio sul Corriere della sera, 13-14 settembre 1890) venne eseguito in forma completamente laica, come da disposizione del testamento. Il cadavere fu cremato nel cimitero Monumentale di Milano, in una cerimonia molto partecipata. La Società per la cremazione, l’Associazione dei farmacisti, la Cura climatica, la massoneria, nonché personalità del mondo politico e culturale, furono presenti o inviarono messaggi, a conferma di quanto Zambeletti seppe incidere con risultati rilevanti in settori differenti ma accomunati dalla fiducia nel progresso basato sulla scienza e sulla tecnologia, e su principi di solidarietà umanitaria.
Opere. Tra gli scritti di Zambeletti si veda Manuale teorico-pratico dei medicamenti moderni recentemente scoperti e dei semplici presentemente più usati in medicina. Colla succinta storia di ogni medicamento, i processi di preparazione, le sue proprietà, gli usi, le dosi, le applicazioni, le impurità, le falsificazioni e modo di scoprirle, nonché qualche nozione sugli avvelenamenti e antidoti. Compilato sulle traccie delle farmacopee e formularii, quali G. Ruspini, Dorvault, Hager, Orosi, Selmi, Bouchardat, ecc. Liebig, Della Torre, con appendice di varie tavole importanti, descrizione e formole di varii medicamenti e prodotti chimici, nonché di un sunto sulle acque minerali, Milano 1869.
Fonti e Bibl.: Notizie biografiche su Ludovico Zambeletti si trovano nell’Archivio storico civico di Milano, Ruolo generale della popolazione, 1835, vol. 61, e nell’Archivio storico dell’Università di Pavia, Farmacia, Iscritti (b. 498) e Esami/Diplomi (b. 791).
M. De Cristoforis - L. Zambeletti, Sulla necessità di adottare un codice universale di farmacopea, in Atti dell’Accademia fisio-medico-statistica di Milano, 1873, n. 29, pp. 116-119; In memoria di L. Z., 19 novembre 1841-11 settembre 1890, Milano 1890; V.A. Sironi, Le officine della salute. Storia del farmaco e della sua industria in Italia dall’Unità al mercato unico europeo (1861-1992), Roma-Bari 1992; M. Capocci, L’industria farmaceutica, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Tecnica, Roma 2013, pp. 417-426.