HOLBERG, Ludvig
Poeta danese, nato in Norvegia, a Bergen, il 3 dicembre 1684, morto a Copenaghen il 28 gennaio 1754. Primo ad aprire la letteratura danese a tutte le grandi correnti del pensiero e dell'arte in Europa, fu, in Danimarca e Norvegia, il grande interprete del Settecento. Ebbe di quell'epoca la mentalità razionalistica, il gusto per la ironia, la spregiudicatezza dell'intelligenza critica; e ne ebbe, nel medesimo tempo, lo spirito individualistico, sensibile, eccitabile, il fermento interiore irrequieto, l'istinto di libertà e novità, il bisogno impellente di muoversi, di romper la cerchia della vita abituale, di uscire nel mondo, di conoscere nella varietà dei paesi la varietà degli uomini. Nel 1704 fu in Olanda; nel 1706-07 a Oxford; nel 1708 a Lipsia e a Dresda; nel 1714-16 a Parigi e a Roma; nel 1725 di nuovo a Parigi. Tutta l'avida curiosità intellettuale e la molteplicità d'interessi, che fu propria del Settecento, si specchiò anche in lui.
Professore all'università di Copenaghen - nel 1717 di metafisica, nel 1720 di eloquenza, nel 1730 di storia - il Holberg fu storico, filosofo, giurista, moralista, poeta epigrammatico, satirico; didattico, latinista e scrittore in volgare, commediografo.
Aveva ventisett'anni quando stese la sua prima Introduzione alla Storia d'Europa (Introduktion til de europøiske Rigers Historie, 1711), cui seguirono: una descrizione della Danimarca e Norvegia (1729), una descrizione della città di Bergen (1737), una storia della Chiesa fino alla Riforma (1738-40), una storia degli Ebrei (1742), una plutarchiana raccolta di profili di uomini celebri (1739-53), una raccolta di profili di donne famose (1745). La sua Danmarks Riges Historie (voll. 3, 1732-35), se, per molti riguardi, più non risponde alle moderne esigenze della critica storica, e, piuttosto che a comprendere i fenomeni storici entro il loro tempo, tende a ridurli sopra un piano comune di spiegazioni ideologiche, conserva tuttavia la sua importanza come l'opera tipica della storiografia illuministica in Danimarca: ispirata a quella fede nel progresso umano e nella potenza della ragione che costituiva la base della coscienza del tempo, e scritta in una prosa chiara, che fu per le generazioni seguenti sicuro esempio di stile. Uno spirito agile, caustico, negato alla speculazione filosofica pura, ma lucido e attento nell'osservazione della realtà mostrano gli studî sul problema morale e sociale: i due volumi dei Moralske Tanker (Pensieri sulla morale, 1744), i due saggi su Montesquieu (1752), la Introduction til Natur og Folkeretten (Intr. al diritto naturale e al diritto dei popoli, 1739), le molte polemiche che il H. sostenne con dotti varî in Danimarca e in Europa. Vi si specchia un'umanità in cui il razionalismo è diventato elemento individuale di vita: tanto che la più piena espressione del pensiero, meglio ancora che nelle prose, s'incontra nei versi, nelle favole (Moralske Fabler, Favole morali, 1751) e, soprattutto, nelle Epistole (Epistler befattende adskillige historiske, politiske, metaphysiske, moralske, philosophiske, item skjemtsomme Materier, 1748-50), dove il tono poetico-umoristico del discorso, con le sue ritmiche accentuazioni e con le sue immagini realistiche; presenta insieme col pensiero anche lo stato d'animo da cui esso nasce, e le varie considerazioni sono spesso nutrite di diretta esperienza personale (v. particolarmente l'Epistola ad virum perillustrem, 1729, e le due ulteriori epistole, raccolte, insieme con epigrammi e componimenti varî, negli Opuscula latina, 1737-43).
In questo immediato contatto del pensiero e della dottrina con la vita è anzi, forse, il nucleo essenziale della personalità di H. Mirava anch'egli a un futuro migliore dell'umanità, secondo gl'ideali dell'epoca, e anch'egli ne traeva per la propria opera una naturale tendenza didattica e moraleggiante; ma, pur tenendo lo sguardo fisso al regno d'utopia che gli sorrideva, non poteva a meno di osservare intorno a sé la vita, e parteciparvi. E facilmente la poesia gli divenne ironia, come nelle epistole, oppure, con più intensa partecipazione del suo spirito, satira. Era appena stato nominato professore, e subito si attirava addosso ire di colleghi e querele di estranei con il poema eroicomico Peder Paars (1719-20): in forma di parodistico travestimento di poema classico, una violenta giovenalesca satira contro la scolasticità degli studî, la pedanteria dell'insegnamento, la banalità dei luoghi comuni, il vuoto formalismo delle consuetudini e disposizioni rimaste in vigore in un mondo che gli era divenuto estraneo. Era una satira senza riguardi, che coinvolgeva tutto, l'università, le autorità, le scuole, i costumi, le usanze; e, se H. ne moderava il tono nei posteriori Fire Skømtedigte (Quattro poesie satiriche, 1722) e in altre satire minori (Metamorphosis eller Forvandlinger, Metamorfosi o trasformazioni, parodia di Ovidio, 1726, ecc.), lo riprendeva più tardi, con la stessa vivacità e irruenza - se anche con minore evidenza di allusioni personali - in Niels Klin (Nicolai Klimii iter subterraneum, 1741), romanzo satirico alla maniera delle Lettres Persanes, che, per gli attacchi diretti contro le convenzioni sociali, le false dottrine, i pregiudizî religiosi, e per la colorita novità delle immaginazioni, trovò larga risonanza anche fuori di Danimarca, in gran parte d'Europa, e fu più tardi tradotto dal latino in danese da J. Baggesen.
Insieme con il sicuro intuito delle debolezze degli uomini, colpisce spesso, in queste grandi composizioni satiriche, la felicità inventiva della fantasia, il naturale talento comico. Non di rado il senso della comicità della situazione prende il sopravvento sull'intendimento satirico. Ci si sente il poeta comico nato. Il quale difatti immediatamente si rivelò, appena si aperse, nel 1722 a Copenaghen con una rappresentazione dell'Avare di Molière, il primo teatro danese. Nell'ottobre dello stesso anno H. già aveva pronta una commedia: Den politiske Kandestøber (Il politicante, 1722). E le seguirono fino al 1725: Den Vøgelsindede (L'incostante); Jean de France eller Hans Frandsen; Jeppe paa Bjerget (Beppe della montagna); Mester Geert Westphaler eller den meget talende Barber (Mastro G. il vestfaliano, o il barbiere chiacchierone); Den ellevte Juni (L'11 giugno); Barselstuen (La stanza della puerpera); Den arabiske Stør (La polvere d'Arabia); Julestue (Stanza di Natale); Maskerade (La mascherata); Jakob von Thyboe eller den stortalende Soldat (J. v. Th., o il soldato fanfarone); Kildereysen (Il viaggio alla fontana); Ulysses von Ytacia eller en tydsk Comoedie (U. di Itaca, ovvero una commedia tedesca); Melampe; Uden Hoved og Hale (Senza capo né coda). Nel 1725, per il dissesto finanziario, l'esistenza del teatro incominciò a divenire precaria. Nel 1727 il teatro era costretto a chiudersi e H. ne scriveva l'epicedio comico, portandone sulla scena la sepoltura (Den danske Komedies Ligbegøngelse, 1727). Un tentativo di riapertura nel 1728 fu troncato da un incendio. Con tutto ciò la raccolta in 5 volumi che H. pubblicava nel 1731 conteneva dieci commedie nuove, fra cui: Henrik og Pernille; Hekseri eller blind Allarm (Stregoneria, ovvero il falso allarme); Det lykkelige Skibbrud (Il naufragio fortunato); Erasmus Montanus eller Rasmus Berg; Den Stundesløse (L'uomo che non ha tempo); De Usynlige (Gl'invisibili); ecc. Un ultimo gruppo di 6 commedie uscì nel 1753-54: Plutus; Abrakadabra; Republikken (La repubblica); Don Ranudo de Colibrados eller Fattigdom og Hofførdighed (Don R. de C., o Povertà e orgoglio); Philosophus udi egen Indbildning (Filosofo secondo la propria immaginazione); Den forvandlede Brudgom (Il fidanzato trasformato); Sganerels Rejse til det philosophiske Land.
Commedie d'intrigo, di carattere, travestite, di costume, conmedie satiriche: l'intento didattico-sociale è in fondo a tutte, ma fuso nell'osservazione della vita, risolto in una prorompente comicità. Tumultuariamente l'ispirazione attinge a fonti di ogni genere: Plauto, Terenzio, Molière, Moreto, il Théâtre italien del Gherardi; raccolte di novelle, di storie, di aneddoti; Cervantes, Scarron, l'Utopia Didaci Bernardini di J. Bidermann, commedie di autori di second'ordine, notizie di cronaca. Ma l'immersione nella vita danese del tempo, che H. fa subire alla materia, è tale che la materia più eterogenea si amalgama; e l'impressione finale che se ne riceve - malgrado il ripetersi di situazioni e di vicende e di figure già altrimenti note - è quella di vedersi sorgere innanzi, in linee qualche volta grottesche e caricaturali, frammenti di vita che H. abbia direttamente colto dalla realtà intorno a sé.
Certo l'esempio di Molière ha avuto nella formazione di questo mondo comico una parte grande. Ma l'idea di fare di H. il Molière danese ha forse condotto a interpretazioni critiche forzate. Non soltanto era diverso il pubblico, a cui H. si rivolgeva e per cui scriveva: un pubblico popolare, e in una Copenaghen che non era Parigi. Non soltanto è diversa, in molti elementi, la tecnica della commedia: con l'abbondanza dei monologhi, con la trascurata o sommaria motivazione nei trapassi psicologici, con le ingenuità e convenzionalità che non di rado s'incontrano nello svolgersi dell'azione o nel succedersi delle situazioni. Ma è diverso lo spirito interiore stesso della comicità, il tono della poesia, la qualità della risata. H. ha imparato soprattutto da Molière che, per sollevare a dignità d'arte la commedia, questa deve avere nella rappresentazione della vita il suo centro. Ma come la vita, verso di cui l'ambiente e la sua ispirazione lo sospingevano, era, fondamentalmente, la vita del popolo, istintiva, così anche la sua commedia è andata spontaneamente verso la risata larga, semplice, elementare. Non è senza significato che, fra tutte le fonti di H., quella che più egli ha saccheggiato, è il Théâtre italien del Gherardi. Egli non conosceva la Commedia dell'arte solo da quella raccolta: durante il suo soggiorno a Roma, in una casa di Piazza del Popolo, egli aveva avuto per sei mesi quotidiana consuetudine di vita con comici italiani; e i suoi personaggi, anche i maggiori, sono rimasti prossimi allo stile che modellò le nostre maschere.
Uomo semplice, di gusti borghesi, vissuto sempre fra il lavoro e gli studî, H. fu uno dei pochi poeti moderni, ai quali riuscì di accumulare anche un'ingente ricchezza. Non si fece una famiglia propria; e le vaste tenute acquistate nel territorio di Sorø e il suo intero patrimonio, lasciò a quella città per la costituzione di una Scuola superiore di studî d'economia e di scienza dello stato, con posti gratuiti per studenti poveri. Nel 1747 fu creato barone. È seppellito nella chiesa di Sorø, accanto al grande vescovo Absalon.
Opere: Udvalgte Skrifter, ed. Rahbek, voll. 21, Copenaghen 1804-1814; Samlede Skrifter, ed. critica a cura di C. S. Petersen in 20 voll., Copenaghen 1913 e segg.; Samlede populøre Skrifter, ed. W. Mollerup, Copenaghen 1912. Delle commedie v. le ediz. di L. Martensen, voll. 13, Copenaghen 1897-1909; e di H. Brix, Copenaghen 1922-23. Fra le ediz. precedenti fu notevole quella di F. L. Liebenberg, voll. 8, Copenaghen 1847-54; e il medesimo Liebenberg curò anche, oltre l'ed. delle Mindre poetiske Skrifter, Copenaghen 1856, una celebre ediz. di Peder Paars con illustrazioni di Marstrand, Copenaghen 1863. In tedesco, le migliori traduzioni delle commedie sono quelle di R. Prutz, Lipsia s. a.; di J. Hoffory e P. Schlenther, Berlino 1888; e di H. Goebel, Berlino 1922 e segg.
Bibl.: C. Molbech, L. H. ag hans Samtid, Copenaghen 1845; Rahbek, H. som Lystpildigter, voll. 3, Copenaghen 1815-17; G. Brandes, L. H., Copenaghen 1884; E. Brandes, H. og hans Scene, Copenaghen 1898; H. Jæger, L. H., Cristiania 1895; O. J. Campbell, The Comedies of H., Londra 1914; J. Bing, L. H., Copenaghen 1917; H. Brix, L. H., Copenaghen 1920. Dal 1920 esce, sotto la direzione di C. S. Petersen e F. Bull, un Holberg-Aarbog, importante non soltanto per gli studî su H., ma su tutto il Settecento nordico.