Wittgenstein, Ludwig Josef
Logico e filosofo austriaco del linguaggio, naturalizzato britannico (Vienna 1889 - Cambridge 1951).
Interruppe gli studi di ingegneria, inizia;ti all’univ. di Manchester, per dedicarsi alla matematica e ai suoi fondamenti logici; nel 1912 seguì a Cambridge i corsi di Russell. Dopo la Prima guerra mondiale, cui partecipò come ufficiale austriaco, si dedicò all’insegnamento elementare (1920-26) nei villaggi della Bassa Austria; tornò quindi (1929) a Cambridge, dove nel 1939 divenne prof. di filosofia, ma si dimise nel 1947, per dedicarsi agli studi.
Il pensiero di W. ha attraversato essenzialmente due fasi: l’una, quale si esprime nel Tractatus logico-philosophicus (1922; trad. it. ;Tractatus logico-philosophicus) (➔), l’altra, corrispondente al suo magistero a Cambridge, che trova espressione nelle opere postume Philosophische Untersuchungen (post. 1958; trad. ingl. 1953; trad. it. Ricerche filosofiche) (➔) e Bemerkungen über die Grundlagen der ;Mathematik (1956; trad. it. Osservazioni sopra i fondamenti della matematica) e in numerosi manoscritti inediti. La prima fase ha come tema fondamentale l’indagine sulla natura del linguaggio e sulla sua capacità di raffigurare la realtà. Il linguaggio considerato da W. è quello idealmente perfetto e unico, la cui struttura rispecchierebbe la struttura essenziale della realtà. La sua costituzione poggia, secondo W., sul fondamento delle proposizioni elementari o atomiche, corrispondenti ai fatti semplici, cioè ai dati sensibili immediati. La scienza quindi sarebbe costituita dalla totalità di siffatte proposizioni elementari con significato empirico; invece le proposizioni della logica formale e della matematica pura, non avendo significato empirico, sarebbero pure tautologie, «pseudo- proposizioni», e risulterebbero dalla trasformazione dei segni linguistici. Le proposizioni della filosofia tradizionale, non riconducibili né alle proposizioni elementari di significato empirico, né a quelle logico-matematiche, sono dette pseudo-proposizioni «senza senso» (sinnlos), anzi «insensate» (unsinnig). La filosofia viene allora concepita da W. non più come dottrina, ma come attività, che avrebbe il compito di esplorare la struttura logica di quanto è detto, per es., in una certa dottrina scientifica, e di mostrare la corrispondenza di proposizioni elementari e fatti semplici. Poiché siffatta corrispondenza non si può esprimere, ma soltanto mostrare, il Tractatus conclude al silenzio: «Sopra ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere». Di qui la dichiarazione finale di W.: chiunque fosse riuscito a comprenderlo doveva ritenere le sue affermazioni prive di senso.
Un avvicinamento di W. alle tendenze proprie della scuola inglese ispirate da ;Moore segna l’inizio della seconda fase e ha come conseguenza l’abbandono di alcune idee fondamentali del Tractatus, principalmente la considerazione del linguaggio idealmente unico e perfetto, a favore del linguaggio familiare o quotidiano. Denunciando come visione semplicistica e riduttiva quella del linguaggio-nomenclatura, del nome-etichetta biunivocamente collegato a un oggetto, W. sembra ormai interessato soltanto all’infinita complessità degli usi del linguaggio, ai suoi aspetti comunicativi, alle forme di vita (Lebensformen) che in esso si esprimono. Al posto di un’analisi logica del linguaggio legata alla nozione basilare di proposizione elementare impiegata nel Tractatus viene introdotta ora quella di ‘gioco linguistico’. Come si possono immaginare una quantità di giochi (per es., quelli da tavolino, gli scacchi, ecc.), ciascuno con le sue regole e la sua logica interna, così si possono costruire i più svariati giochi linguistici (a prescindere dalla loro effettiva esistenza), fornendo per ciascuno di essi l’insieme delle regole cui obbediscono. Sbaglierebbe comunque chi volesse cercare nell’infinita varietà dei giochi linguistici i tratti comuni, le caratteristiche generali, l’essenza del linguaggio; ogni gioco è diverso dall’altro e solo parzialmente raffrontabile. È dunque un’indebita ontologizzazione del linguaggio quella che rende possibile porre problemi intorno all’essenza di qualcosa (o i problemi su ciò che è assolutamente semplice; come è espresso nel Tractatus dalla proposizione elementare che rappresenta una configurazione di oggetti semplici). Il significato delle frasi non è più ora da ritrovarsi in una qualche teoria della corrispondenza nome-oggetto, ma va piuttosto riportato all’uso che ne fa il parlante all’interno di un determinato gioco linguistico. Il problema del linguaggio come totalità, che era stato al centro della riflessione del Tractatus, è così vanificato; il linguaggio si decompone nella miriade dei giochi linguistici. L’attività del filosofo diviene, in questa prospettiva, in ultima analisi, un’attività di paziente chiarificazione, nello sforzo di risolvere, additando le confusioni linguistiche che li hanno determinati, i tradizionali problemi metafisici, e in questo senso acquistando un valore terapeutico. Se l’influenza del Tractatus era stata notevole, specie per quanto riguarda gli inizi del Circolo di Vienna (in partic. il pensiero di Schlick), l’insegnamento di W. a ;Cambridge ebbe un impatto ancora più ragguardevole, soprattutto in area anglosassone, fecondando importanti sviluppi filosofici (➔ analitica, filosofia), nonostante il fatto che le più recenti e plausibili interpretazioni storiografiche, volte a ricostruire nella sua globalità la riflessione di W., abbiano sicuramente evidenziato l’unilateralità dell’interpretazione tradizionale (in chiave appunto di filosofia analitica) della filosofia wittgensteiniana, ponendo invece l’accento sulla complessità della sua matrice originaria legata, sia dal punto di vista degli interessi epistemologici sia di quelli più generalmente culturali, alla tradizione mitteleuropea e specificamente viennese del suo tempo (con particolare riguardo all’importanza della dimensione etica, centrale in W. come nel suo contemporaneo K. Kraus).
Nasce a Vienna
Interrotti gli studi di ingegneria, segue a Cambridge i corsi di Russell sui fondamenti della matematica
Allo scoppio della Prima guerra mondiale è volontario nell’esercito austro-ungarico
Partecipa alla guerra come ufficiale sul fronte italiano
È prigioniero a Como e poi a Cassino: ha con sé l’abbozzo del Tractatus logico-philosophicus
Cambiato dall’esperienza della guerra, rinuncia all’eredità paterna e diviene maestro elementare nei villaggi della bassa Austria
Rientrato nella capitale, ha incontri con esponenti del Circolo di Vienna
Torna a Cambridge
Diventa prof. di filosofia nell’univ. di Cambridge
Partecipa alla Seconda guerra mondiale come portaferiti al Guy’s Hospital di Londra
Si dimette dall’univ. per dedicarsi agli studi
Muore a Cambridge