Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo aver vissuto a Bonn, nel 1792 Beethoven si trasferisce definitivamente a Vienna, dove si afferma come il più importante musicista dell’epoca. Nel corso della sua attività sono individuabili tre diversi stili: quello giovanile che rielabora in modo originale i modelli viennesi del Settecento, lo stile della maturità, che conosce una “fase eroica” e una “di transizione”, e lo stile delle ultime opere, ascetico ed enigmatico.
“Spinto sull’orlo della disperazione, poco è mancato che non ponessi fine ai miei giorni. Fu soltanto la mia arte a trattenermi. Ah, mi pareva impossibile abbandonare il mondo prima di aver espresso tutto ciò che sentivo di aver dentro di me. Così conservai questa miserabile vita – miserabile davvero – con un corpo così eccitabile che un mutamento anche lieve d’improvviso può trasportare dalle migliori alle peggiori condizioni.”
In questa frase, scritta da Beethoven in uno dei momenti più critici della sua esistenza, si possono osservare molti aspetti fondamentali della sua vita: il carattere vicino alla sensibilità dello Sturm und Drang che lo porta ad avere continui cambiamenti d’umore, dalla più profonda depressione al più sfrenato entusiasmo, con eccessi e stravaganze che gli rendono difficile la vita di società; il dover fare i conti con l’infermità e la solitudine, accettate dopo violenti conflitti che lo portano sull’orlo del suicidio; ma soprattutto il primato che, nella sua gerarchia di interessi, egli conferisce all’arte, intesa come esigenza espressiva funzionale al bene di tutto il genere umano, esigenza che gli fa scrivere in una lettera del 1811: “Sin dall’infanzia il mio zelo nel servire in qualsiasi modo la nostra povera umanità sofferente attraverso la mia arte non è mai sceso a compromesso con alcuna motivazione meno nobile”.
Per realizzare tale esigenza espressiva, Beethoven si dedica soprattutto alla musica strumentale: al centro della sua produzione si trovano infatti 32 sonate per pianoforte, nove sinfonie e 16 quartetti per archi, mentre molto più ridotta è la sua produzione vocale, che comprende un’unica opera, il tormentato Fidelio.
Dopo aver preso a modello, in gioventù, i grandi capolavori strumentali di Haydn e Mozart, nell’arco di tutta la sua vita Beethoven cerca di rielaborare le forme utilizzate da questi due grandi artisti: si applica soprattutto alla forma-sonata, particolarmente adatta a rappresentare l’idea del conflitto come condizione del miglioramento, concetto che egli eredita dalla cultura illuministica. La musica strumentale dunque viene scelta da Beethoven – in affinità con gli assunti dell’estetica romantica di Ludwig Tieck e Ernest Theodor Amadeus Hoffmann – non per scopi descrittivi, ma per esprimere ciò che le parole non possono dire: significativamente, nell’intestazione della Sinfonia pastorale troviamo l’indicazione “più espressione del sentimento che pittura”. Analogamente, la Quinta sinfonia viene presentata da Hoffmann come paradigma della musica romantica, che “schiude all’uomo un regno sconosciuto, un mondo che non ha nulla in comune con l’esteriore mondo dei sensi che lo circonda e nel quale egli si lascia indietro tutte le sensazioni definite, per abbandonarsi a un’ineffabile nostalgia”.
Accanto a tali punti di contatto con il romanticismo, la personalità e la produzione di Beethoven presentano anche molti aspetti che si allontanano dal sentire romantico e che si possono cogliere soprattutto nella fase finale della sua vita, quando abbandona il fervore eroico degli anni precedenti, per dedicarsi a un ascetico monologo interiore, che appare spesso incomprensibile ai suoi contemporanei.
Ludwig van Beethoven nasce a Bonn il 16 dicembre 1770, figlio di Johann van Beethoven (1740 ca.-1792), cantore presso la cappella di corte del principe elettore, e nipote di Ludwig van Beethoven (1712-1773), che della stessa cappella era stato maestro.
Ben presto gli vengono forniti i primi insegnamenti di pianoforte e violino da suo padre, che, emulo di Leopold Mozart, cerca di farne un bambino prodigio, facendolo studiare presso diversi musicisti locali. Il 26 marzo 1778 il piccolo Ludwig appare per la prima volta in un concerto pubblico; successivamente, studia con Christian Gottlob Neefe, organista di corte, che, presto si rende conto del suo grande talento e gli dà lezioni di pianoforte, organo, teoria musicale e composizione, cercando di procurargli dei sussidi e facendo anche pubblicare alcune delle sue prime produzioni per pianoforte.
Nel 1784 Beethoven ottiene il suo primo impiego, come assistente di Neefe alla corte del nuovo elettore Maximilian Franz, raffinato sovrano, intenzionato a trasformare Bonn in un animato centro di vita intellettuale. Nella primavera del 1787 Beethoven si reca a Vienna, dove probabilmente incontra Mozart; tuttavia soggiorna nella capitale asburgica solo due settimane, perché viene subito richiamato a Bonn per assistere la madre in punto di morte.
Nel 1789 Beethoven si iscrive al corso di filosofia dell’università di Bonn, dove hanno una vasta circolazione le idee di Rousseau e degli enciclopedisti; nello stesso anno, a causa delle precarie condizioni di salute, dovute all’alcolismo, il padre viene sollevato dai suoi incarichi. Chiamato a suonare la viola nella cappella di corte, Ludwig assume così il ruolo di capofamiglia, percependo la metà dello stipendio del padre per mantenere i due fratelli minori, Kaspar Anton Karl e Nikolaus Johann.
Nel 1790 Beethoven scrive una Cantata per la morte dell’imperatore Giuseppe II – molto elogiata da Haydn – che spicca per la sua originalità nell’ambito delle prime composizioni. In seguito ai primi successi ottenuti dalle sue opere, il conte Waldstein, amico del giovane musicista, riesce a convincere l’elettore a concedergli il permesso per soggiornare a Vienna, dove Beethoven si reca nel novembre del 1792. Come congedo, il conte Waldstein gli scrive nell’album: “Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart nelle mani di Haydn”.
A Vienna, Ludwig studia per qualche tempo con Haydn, Schenk, Johann Georg Albrechtsberger e Antonio Salieri. Nel 1794, quando le truppe francesi rovesciano l’elettorato di Colonia, Beethoven si trova libero dai legami con la cappella musicale di Bonn, e decide di dedicarsi soprattutto alla carriera di compositore ed esecutore di musica strumentale, divenendo ben presto molto rinomato nella cerchia degli aristocratici, specie come straordinario improvvisatore. Nel 1795 tiene il suo primo concerto pubblico viennese e fa stampare da Artaria i suoi Trii con pianoforte, prima raccolta alla quale l’autore assegna un numero d’opus, alla quale seguono le Sonate per pianoforte op. 2, dedicate a Haydn ma più vicine allo stile di Muzio Clementi. Nello stesso anno si manifestano i primi sintomi della malattia all’orecchio che porterà Beethoven alla sordità, costringendolo – a partire dal 1800 – ad abbandonare la carriera pianistica. Nel frattempo, però, Beethoven intensifica la sua attività di compositore raggiungendo gradatamente il pieno controllo dello stile viennese, e nel contempo matura la sua personalità, soprattutto nel campo delle sonate per pianoforte, che diventano luogo di sperimentazione per nuove tecniche, poi applicate ad altri generi: tra le sonate scritte in questo periodo, suscita grande impressione soprattutto la Sonata per pianoforte op. 13 (Patetica), pubblicata nel 1799. Per quanto riguarda invece gli altri generi, nel 1801 è pubblicata la Prima sinfonia in Do maggiore, ancora molto vicina allo stile mozartiano, e nel 1802 viene pubblicato il Settimino op. 20. A questo periodo appartengono anche i primi tre Concerti per pianoforte e orchestra, i primi Quartetti d’archi op. 18 e le musiche per il balletto Le creature di Prometeo di Salvatore Viganò, rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1801.
Il biennio 1801-1802 è un periodo cruciale nella vita del compositore: dopo aver a lungo cercato di nascondere la propria sordità, Beethoven decide di confessare questo segreto ai suoi migliori amici. Il documento più significativo del profondo travaglio interiore vissuto dal musicista che prende coscienza di essere destinato a questa grave menomazione, è costituito dal cosiddetto Testamento di Heiligenstadt, lettera nella quale Beethoven con toni accorati descrive ai fratelli il proprio stato d’animo nel momento della perdita di ogni speranza di guarigione.
In questo periodo, comunque, Beethoven compone con grande velocità numerose opere dal carattere fortemente sperimentale: insoddisfatto dei lavori scritti fino a quel momento, desidera imboccare una “nuova via”. La ricerca di questa nuova dimensione creativa viene condotta soprattutto nelle due Sonate per pianoforte op. 27 (Quasi una fantasia e Al chiaro di luna) e nelle tre successive composizioni di questo genere (op. 31): nelle prime sono prospettati nuovi equilibri formali, sviluppando un discorso proiettato soprattutto verso il finale; nelle seconde colpisce soprattutto la grande varietà di soluzioni proposte per rinnovare la tradizionale forma-sonata. Questa esplorazione di nuovi orizzonti viene espressa chiaramente nella presentazione scritta nel 1802 da Beethoven all’editore Breitkopf delle Variazioni op. 34 e op. 35: “In genere lo sento dire soltanto dagli altri che ho idee nuove, mentre io stesso non lo so mai. Ma questa volta sono io a doverle assicurare che la maniera in questi due lavori è interamente nuova e mia”.
Dopo aver completato nello stesso anno anche la Seconda sinfonia, Beethoven si dedica a un altro lavoro sinfonico che continua il percorso aperto dalle composizioni precedenti: è la Terza sinfonia, opera di dimensioni inusitate, concepita in un lasso di tempo molto più ampio rispetto alla prassi abituale dell’epoca. L’intenzione di esaltare epicamente una figura titanica che lotta per il bene dell’umanità viene sintetizzata, dopo numerosi ripensamenti, nel titolo definitivo Sinfonia eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo.
Con la Terza sinfonia si apre la “fase eroica” della produzione beethoveniana che va dal 1803 al 1809. Le caratteristiche principali dello stile sviluppato da Beethoven in questo periodo sono le grandi dimensioni formali, il tono enfatico, il costante utilizzo del principio del contrasto e la tendenza a far assumere alle forme musicali adottate l’aspetto di un percorso in continua evoluzione. La forma-sonata, spesso frequentata dall’autore, viene reinterpretata: l’approccio tradizionale prevedeva la presentazione iniziale di due temi, il loro successivo sviluppo nella parte centrale e la loro ripresa nella parte conclusiva, con un movimento sostanzialmente circolare; Beethoven evita invece di enunciare all’inizio temi ben delineati e completi, proponendo piuttosto una serie di elementi che nel corso del brano risultano come il presentimento di una tematica futura o come la conseguenza di un antecedente non esposto e, attraverso la continua trasformazione di tali elementi, si avverte un movimento costantemente indirizzato verso una meta. Tutto ciò è funzionale, da una parte, all’invito a sviluppare il più possibile tra gli uomini un progresso che porti teleologicamente alla gioia futura e, dall’altra, a far sentire un’analogia tra tali musiche e il corso di un fiume in piena, creando quell’effetto “sublime” che l’estetica coeva riconosce in letteratura all’ode pindarica.
Tra le composizioni scritte in questo stile tra il 1803 e il 1805, particolarmente significative sono la Sonata per violino e pianoforte “a Kreutzer”, il Triplo concerto e le sonate per pianoforte op. 53 (Aurora o Waldsteinsonate), op. 54 e op. 57 (Appassionata); Beethoven sospende in seguito questo genere di produzione che riprenderà nel 1809.
Dalla fine del 1804 Beethoven si dedica a un lavoro teatrale, Fidelio, che viene rappresentato per la prima volta al Teatro An der Wien il 20 novembre 1805, una settimana dopo l’ingresso delle truppe napoleoniche a Vienna: lo spettacolo viene così disertato e ha solo due repliche, riscuotendo uno scarso successo di pubblico e di critica.
L’opera viene poi ripresa nel 1806 in una versione riveduta e accorciata dal titolo Leonore ma non ottiene maggior successo, e solo nel 1814 riesce ad affermarsi, in una nuova versione che in parte ripristina la prima stesura.
Intanto, nel 1806 Beethoven scrive la Quarta e la Quinta sinfonia, il Quarto e il Quinto concerto per pianoforte e orchestra (Imperatore) e il Concerto per violino e orchestra. Poco dopo la Quinta sinfonia vengono poi composte la Sesta sinfonia (Pastorale) e l’ouverture per la tragedia Coriolano.
Nell’autunno del 1808 Beethoven rifiuta l’invito del fratello di Napoleone, Gerolamo, a ricoprire il posto di maestro di cappella a Kassel. Per compensarlo, i suoi tre principali protettori viennesi, l’arciduca Rodolfo, il principe Lobkowitz e il principe Kinsky, decidono di assegnargli uno stipendio annuo di 4 mila fiorini, con l’unica condizione di rimanere a Vienna.
Nel 1809 si apre una nuova fase della produzione beethoveniana, nella quale si possono individuare due filoni principali: da una parte quello rappresentato dalle opere “monumentali”, che continuano la vena sinfonica del periodo precedente, tra le quali vanno annoverate l’ouverture per l’Egmont di Goethe, la Settima e l’Ottava sinfonia; dall’altra le composizioni di musica da camera che anticipano alcuni aspetti propri del romanticismo: il tono si fa meno enfatico e più intimo, con una maggiore cura nei particolari e un nuovo uso del tematismo, spesso delicato ed elegante, che sfrutta non solo i parametri della melodia e del ritmo, come avveniva tradizionalmente, ma anche quelli dell’armonia e del timbro strumentale; a questo gruppo appartengono, tra le altre, la Sonata per pianoforte op. 81 (Das Lebewohl), i Quartetti op. 74 e op. 95, l’ultimo dei suoi trii (op. 97) e le Sonate per violino e pianoforte op. 90 e op. 96.
Nel maggio del 1810 Beethoven conosce Bettina Brentano, amica di Goethe, che presenta allo scrittore le sue composizioni. Quando poi viene inviata a Goethe la partitura delle musiche dell’Egmont, i due hanno uno scambio epistolare; nel luglio 1812, approfittando del fatto che entrambi stanno trascorrendo un periodo di riposo a Teplitz, la Brentano riesce finalmente a farli incontrare.
In questo stesso periodo Beethoven scrive tre lettere indirizzate (e mai spedite) a una donna non nominata, la “Immortale Amata”, quasi certamente non libera e costretta a mantenere segreta la relazione extraconiugale. Queste lettere documentano l’ultima importante relazione amorosa di Beethoven, dopo la quale egli accetta definitivamente l’idea di dover concludere la propria vita nella solitudine.
A partire da questo episodio, tra il 1812 e il 1814 la vita quotidiana di Beethoven si fa più tetra e caotica, e sopraggiunge anche un momento di crisi creativa durante il quale egli compone un’unica opera importante, La vittoria di Wellington.
Quando, nel 1814, sconfitto definitivamente Napoleone, Vienna diviene la capitale delle forze della Restaurazione, Beethoven viene salutato come il più grande musicista dell’epoca; è in questo periodo che il Fidelio viene riproposto a teatro, ottenendo finalmente un grande successo.
Nel 1815, morto il fratello Kaspar Anton Karl, Ludwig decide di diventare tutore del nipote Karl, un bambino di nove anni. La relazione conflittuale prima con la cognata e poi con l’irrequieto nipote provocherà ansie e amarezze negli ultimi anni della sua vita.
Nel 1816, dopo l’ultimo periodo di crisi, inizia l’ultima fase di produzione musicale.
La caratteristica principale dello stile beethoveniano in questo periodo consiste nella tendenza a porre al centro dell’attenzione non la forma-sonata, con i suoi contrasti di caratteri nell’ambito di una vicenda unitaria, ma i principi della variazione, del contrappunto e della fuga; tali principi vengono recuperati dalla musica del passato e inseriti in nuovi contesti, nei quali sono compresenti la ricerca di effetti armonici insoliti, con notevoli arditezze espressive, e l’utilizzo di una melodicità più semplice, spesso abbellita con trilli e soluzioni timbriche inedite.
Le prime composizioni di questa fase sono costituite dal Ciclo di Lieder op. 98 (All’amata lontana) e dalla Sonata per pianoforte op. 101, dotata di una grande libertà di impianto, con un frequente inserimento di andamenti frammentari e irregolari. Seguono numerose composizioni per pianoforte, le ultime della produzione beethoveniana dedicate a questo strumento: la Sonata op. 106 (Grosse Sonate für das Hammerklavier) è la più imponente tra quelle scritte dall’autore e una delle più ardite nella ricerca di nuove dimensioni espressive; l’op. 109 ha spesso un carattere rapsodico e trova il suo culmine nel movimento finale che presenta un tema con variazioni; l’op. 110 è pervasa dalla ricerca di una nuova cantabilità che prevale sulla ricerca di tipo formale; l’op. 111, ultima sonata per pianoforte, è costituita da due movimenti: nel primo si trova un’estrema rilettura della forma-sonata, dotata di grande energia e drammaticità, mentre il secondo presenta un tema con variazioni, nel quale – attraverso la continua disgregazione dell’arietta iniziale – ci si immerge in atmosfere timbriche sempre più impalpabili. La ricerca nell’ambito delle variazioni pianistiche viene completata, infine, dal gigantesco ciclo delle Trentatré variazioni su un valzer di Diabelli op. 120.
La produzione di opere monumentali viene portata a termine con la Missa solemnis e la Nona sinfonia. Quest’ultima opera rappresenta la sintesi definitiva di tutte le componenti del linguaggio beethoveniano e nel contempo l’apertura di nuove prospettive espressive: nella teatrale conclusione, l’idea di celebrare il raggiungimento della gioia nella fratellanza umana viene realizzata con l’inedita soluzione dell’inserimento della voce umana nell’ambito sinfonico.
Il genere con il quale Beethoven chiude la propria produzione è il quartetto: tra il 1822 e il 1826 egli infatti scrive i cinque quartetti opp. 127, 130, 131, 132 e 135 ai quali affianca la Grande fuga, ideata come conclusione dell’op. 130, poi sostituita con un altro finale e pubblicata a parte come op. 133. Lontane dal gusto dell’epoca e proiettate verso dimensioni del tutto inesplorate, queste composizioni cameristiche stupiscono i loro primi ascoltatori e hanno una diffusione assai ridotta.
Nel novembre del 1826 Beethoven completa il Quartetto in Fa maggiore op. 135, sua ultima composizione; nel dicembre le condizioni di salute del musicista, affetto da idropisia, si aggravano. Dopo aver subito numerose operazioni, Beethoven muore il 26 marzo 1827. Il suo funerale, celebrato il 29 marzo, è un grande avvenimento pubblico: se le sue ultime opere non sono ancora state capite, tutta Vienna vuole comunque salutare per l’ultima volta il genio musicale che è ormai diventato mito.