ALFANI, Luigi (Gino)
Figlio di magistrato, avvocato egli stesso, nacque ad Agnone (Campobasso) il 10 maggio 1866, stabilendosi quindi a Napoli. Incline, da giovanissimo, alle idee mazziniane, passò ben presto a posizioni più estreme, facendosi notare fra l'altro nell'organizzazione di un gruppo universitario socialista partenopeo. Nel 1893 scrisse un opuscolo Che cosa è il socialismo,pubblicato a Napoli, e nello stesso anno fu condannato a un anno di reclusione e trattenuto a domicilio coatto per la sua attività politica.
Nell'agitato periodo di fine secolo si dedicò al giornalismo, come redattore del foglio Avanti!ì che usci nel 1896 come Organo del Partito Socialista nel Mezzogiorno,e all'azione sindacale, essendo tra i fondatori della Borsa del lavoro di Napoli. Per la sua partecipazione ai "moti del pane" del 1898, subì quindi una nuova condanna, che lo indusse a riparare all'estero sino all'amnistia. Tornato in Italia, esercitò gran parte della sua opera socialista a Torre Annunziata, dirigendo in quel grande centro operaio la Camera del lavoro dal 1908 e il settimanale L'Emancipazione dal 1908 al 1911. Nel 1917-1918 fu segretario delle leghe dei metallurgici di Castellammare e di Napoli.
Già alla vigilia della prima guerra mondiale l'A. aveva raggiunto un prestigio non solamente locale. Entrato nella direzione centrale del Partito socialista dopo il congresso di Ancona del 1914, non fu più rieletto nel 1919. In quell'anno fu in-vece eletto deputato per la Campania nella XXV legislatura (1919-1921), mentre nel 1920-21 fu sindaco di Torre Annunziata nell'amministrazione socialista. Benché non facesse parte del gruppo "astensionista" di A. Bordiga, allora in maggioranza a Napoli, passò lui pure al Partito comunista, che lo presentò nel 1924 candidato nelle proprie liste per la XXVII legislatura: benché il suo partito avesse raccomandato di concentrare i voti sui tre candidati Repossi, Laurenza e Riboldi, egli riuscì primo eletto con 4056 preferenze, attirandosi per questa sua indisciplina forti critiche e malumori.
Dopo di allora, e fino alle leggi eccezionali fasciste, svolse una certa attività politica presso la sezione comunista napoletana, e quindi per l'ufficio giuridico del P.C. d'Italia. Fu dichiarato decaduto dal mandato parlamentare, insieme con gli altri deputati comunisti, il 9 nov. 1926, ma già il giorno prima era stato tratto in arresto, insieme con i colleghi A. Gramsci, E. Ferrari, G. Marinelli, E. Morini, G. Picelli, E. Riboldi, G. Srebrnic, su denunzia della questura di Bologna. Inviato dapprima al confino all'isola di Lipari, con una condanna di 3 anni e mezzo, fu quindi condotto, nel maggio-giugno 1928, dinanzi al Tribunale speciale, nel processo ai massimi dirigenti comunisti. In tale processo si dissociò peraltro dalle responsabilità addebitate ai suoi compagni, e ottenne di essere difeso dall'avv. Bonavita, gradito al regime, riuscendo assolto. Per la sua posizione dinanzi ai giudici fu quindi espulso dal Partito comunista; non si hanno notizie di una sua successiva attività. È ignoro l'anno della morte.
Fonti: Oltre a notizie di stampa e agli atti parlamentari, sono da vedere: Lo Stato Operaio,II (1928), p.667 (comunicazione della sua espulsione dal P.C.I., ottobre 1928); Partito comunista d'Italia, Tre anni sul fronte del lavoro cospirativo. 7.000 anni di reclusione,Parigi 1930, pp.23 s.; Chi è?,Roma 1948, p. 13; D. Zucàro, L'arresto di A. Gramsci e l'assegnazione al confino,in Movimento operaio,V (1953),pp. 59,62; Id., Vita del carcere di A. Gramsci, Milano 1954, pp. 10, 12, 43, 48, 110; Bibliografia del socialismo e del movimento operaio italiano,I, Periodici, Roma-Torino 1956,parte I, pp. 72, 285, parte II, p. 870.