SCROSATI, Luigi Ambrogio
– Pittore e decoratore, nacque a Milano il 21 giugno 1815 da Pietro Grossi e da Caterina Scrosati, dalla quale prese il cognome col quale è noto. Fu affidato in tenera età al fratello della madre, Ambrogio Scrosati, pittore-decoratore di scarso rilievo, documentato solo nel 1833 per un intervento nel duomo di Milano (Annali della Fabbrica del duomo di Milano, VI, Milano 1885, p. 329). Nel cantiere del duomo Scrosati ebbe probabilmente modo di operare accanto alla ditta di vetrate artistiche di Giovanni Battista Bertini (1799-1849), padre di quel Giuseppe (1825-98) col quale egli collaborò in seguito. Dal 1835 al 1838 frequentò l’Accademia di Brera con Ferdinando Albertolli, Carlo Amati e Giuseppe Sogni. Abbandonata presto la scuola, compì probabilmente diversi viaggi all’estero, in modo particolare a Parigi (non documentati, stante l’estrema scarsità di documenti riguardanti la sua vita, ma riportati in Nicodemi, 1947, p. 24). Già fin dagli inizi della sua attività, negli anni Quaranta, lavorò come pittore di nature morte fortemente influenzato da esempi francesi, in particolare dalla scuola di Lione. Un’importante commissione in tal senso fu ottenuta nel 1846: due nature morte per il conte Giulio Litta (oggi in collezione privata) segnano il suo esordio espositivo (Esposizione delle opere di belle arti nelle Gallerie dell’I.R. Accademia di Brera per l’anno 1846, nn. 73-74; altre nature morte esposte in quell’occasione furono dipinte per il conte Marco Greppi e per il marchese Paolo Rescalli: ibid., nn. 72 e 75). Tale incarico schiuse al pittore le porte di un vasto ambito di committenza alto-borghese e aristocratica e favorì l’incontro con artisti come Vincenzo e Lorenzo Vela, che avrebbero lavorato poi al suo fianco.
Accanto alla produzione da cavalletto e ad acquerello, dominata dalla specializzazione della natura morta di fiori, Scrosati fu attivissimo come decoratore di interni, spesso impegnato in lavori di équipe accanto ad architetti e direttori dei lavori come il già ricordato Giuseppe Bertini o come Giuseppe Balzaretto (1801-74), ma sempre con una notevole autonomia e uno stile caratteristico, sostanzialmente eclettico e volto a una rilettura degli stili del passato. L’esordio in questo ambito, verso la fine del 1842, è costituito da un ciclo di affreschi nella residenza di San Fiorano (LO) di proprietà di Giorgio Guido Pallavicino Trivulzio, per la quale Scrosati decorò una sala gotica, un salotto rococò e un piccolo vano d’ingresso, lavori retribuiti con compensi definiti «esorbitanti» nella corrispondenza del Trivulzio, cosa che attesta la cospicua fama già raggiunta dal ventisettenne decoratore (Zatti, 2002, p. 81). A villa Silva (Cinisello Balsamo) realizzò un affresco con L’abbondanza sulla facciata verso il giardino, a fine anni Quaranta (forse lavorò anche nell’interno, ma non resta traccia di tale intervento). Allo stesso periodo vanno ricondotti quattro medaglioni angolari con putti e inserti floreali in un ambiente neo-rinascimentale al piano terra della villa Traversi Tittoni di Desio, probabilmente dipinti in concomitanza con alcune vetrate realizzate dalla ditta Bertini (ma non vi sono riscontri archivistici certi). Non resta invece traccia di un intervento presso il palazzo Busca-Serbelloni di Milano, presumibilmente a fianco di Bertini, il quale decorò una sala degli Uomini illustri documentata solo da fotografie (Cesano Maderno, Istituto per la storia dell’arte lombarda) e databile al 1851-52. Allo stesso periodo sono da riferire due sovrapporte a tempera con decorazioni floreali, anch’esse documentate da fotografie, nel palazzo Ponti di via Bigli n. 2 a Milano (Nicodemi, 1947, tavv. 12-13). A villa Sioli Legnani (Bussero) Scrosati decorò nel 1852-53 tre sale tuttora intatte, con composizioni floreali di gusto romantico, sotto la direzione del Balzaretto e con decorazioni a stucco di Lorenzo Vela. Presso la stessa villa è conservata l’interessante collezione di dipinti e sculture del proprietario Luigi Legnani, tra cui figurano tre acquerelli e un olio di Scrosati. Collocate dalla critica al 1855-57 sono invece le decorazioni di alcuni locali al primo piano dell’ala nord di villa Giovanelli a Lonigo Vicentino, caratterizzate da recuperi della decorazione illusionistica settecentesca, tiepolesca o barocchetta, sempre sotto il coordinamento del Balzaretto. Rimandi settecenteschi caratterizzano anche le decorazioni di tre locali al pianterreno della villa Cramer ad Alserio (CO), databili ai primi anni Cinquanta, in collaborazione con lo stuccatore Lorenzo Vela. Raffinato esempio di gothic revival è il restauro nei primi anni Cinquanta della neoclassica villa Amalia a Erba (CO), dovuto nuovamente al Balzaretto, dove Scrosati intervenne in tre ambienti, affiancato da Ignazio Manzoni (1799-1888) per inserti di vedute e ritratti e da Giuseppe Croff (1810-69) per gli stucchi. Si suppone che almeno in una di queste sale Scrosati sia stato anche autore degli arredi in stile neo-gotico.
L’occasione più felice che Scrosati ebbe di lavorare a un insieme decorativo di carattere neo-medievale fu il Gabinetto dantesco, commissionato da Gian Giacomo Poldi Pezzoli al Bertini e alla sua équipe, di cui Scrosati faceva già parte, nel 1853. La direzione dei lavori nel palazzo di Milano (oggi sede del Museo Poldi Pezzoli) fu inizialmente affidata al solito Balzaretto, per passare poi a Bertini. Quest’ultimo, più giovane di undici anni rispetto a Scrosati ma già artista avviato, realizzò le figure ad affresco ispirate alle opere del poeta e le vetrate, mentre a Scrosati, coadiuvato dal bronzista e intagliatore di arredi Giuseppe Speluzzi (1827-90), toccò la parte decorativa, che rimanda a repertori di arti minori e ad esempi di miniature medievali. A quest’opera, compiuta nel 1855, fecero seguito negli anni successivi nel palazzo Poldi Pezzoli la stanza da letto, la sala nera in stile rinascimentale e il salottino a stucchi in stile settecentesco, tutti ambienti gravemente danneggiati dai bombardamenti del 1943 e documentati dalle fotografie Montabone (solo il Gabinetto è ancora oggi visibile).
Tra il 1851 e il 1855 si colloca il ciclo di decorazioni per la villa Litta a Vedano al Lambro, che presenta notevoli affinità coi lavori di casa Poldi Pezzoli. A differenza di quest’ultima, però, Scrosati assunse qui l’intera direzione dei lavori. Nella villa, ricostruita in stile Tudor nel 1840 dall’architetto Celeste Chierichetti, Scrosati intervenne in due locali a piano terra (studio e giardino d’inverno) e nell’appartamento di Giulio Litta ed Eugenia Attendolo Bolognini, composto di quattro vani al primo piano. Particolarmente significativi sono quest’ultimi ambienti, di gusto inedito e raffinato, che sembra anticipare, pur nei consueti rimandi al Medioevo, ma anche negli echi moreschi e neo-rococò mescolati con sensibilità eclettica, gli stilemi dell’art nouveau.
La malattia che colpì Scrosati agli arti inferiori nel 1857, rendendolo infermo (Nicodemi, 1947, p. 25), gli impedì probabilmente di continuare l’attività di decoratore, costringendolo a ripiegare su quella specializzazione nella pittura floreale da cavalletto che aveva avuto un precoce e isolato episodio nella già ricordata commissione di Giulio Litta nel 1846 e che aveva avuto seguito nella partecipazione con tre tele alla Esposizione universale di Parigi nel 1855. Tale produzione (nature morte di fiori, ma anche ritratti o finti bassorilievi con ghirlande di fiori o ancora interni e scene di genere) presenta caratteri meno innovativi rispetto al lavoro di decoratore svolto fin qui, e risulta talvolta discontinua e ispirata a modelli occasionali, sebbene non manchino anche in questi anni episodi di qualità molto alta. Oltre all’esempio di alcune opere di Francesco Hayez, ebbero un certo impatto sulla carriera di Scrosati pittore da cavalletto gli sviluppi della pittura tedesca e viennese in senso Biedermeier, noti al collezionismo borghese di Milano da molto tempo, e quelli della scuola di pittura di fiori di Lione, forse conosciuta all’Esposizione parigina del 1855 o alle mostre della Società promotrice di Torino, alle quali Scrosati partecipò con regolarità nel corso del sesto decennio e nelle quali i contatti con la scuola francese erano assai diffusi. Se lungo gli anni Cinquanta Scrosati prese parte in modo sporadico all’attività espositiva, nel corso del sesto decennio la sua presenza alle mostre dell’Accademia di Brera e a quelle della Società promotrice di belle arti di Torino fu assidua, anche se ebbe pochi riscontri da parte della critica. Piuttosto inosservato passò anche il premio della Commissione reale all’Esposizione italiana di Firenze del 1861. Tuttavia, la presenza alle esposizioni favorì il successo di questa nuova attività di Scrosati, che ottenne incarichi prestigiosi, come le quattro grandi nature morte per la famiglia Litta (oggi presso gli eredi), probabilmente utilizzate come sovrapporte, o le otto grandi tele affidategli nel 1865 dall’industriale tessile Francesco Gnecchi (1817-93), tuttora presso gli eredi.
Opere di questi anni, oggi perlopiù presenti nelle raccolte private, si trovano anche in collezioni pubbliche: Mazzo di papaveri, 1862, e Fiori, 1862, presso la Galleria d’arte moderna di Milano; Fiori, 1862, Galleria d’arte moderna, Milano, in deposito dalla Pinacoteca di Brera; Esterno di convento, 1858, Ghirlanda di fiori, 1863, e Fiori in un vaso, 1863 c., Museo Vela, Ligornetto; Ghirlanda di fiori, 1866, Galleria d’arte moderna, Torino; diversi acquerelli, Civico gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco, Milano.
Nel 1862 Scrosati venne incaricato di dirigere un nuovo corso di Ornato all’Accademia di Brera, con particolare riferimento alla pittura di fiori e ai rapporti con l’industria, corso voluto dall’istituzione braidense per ampliare la già fiorente scuola di pittura ornamentale, con un numero di allievi sempre in crescita. L’insegnamento gli era stato affidato ispirandosi alle Accademie di Vienna e di Lione, dove la pittura di fiori, anche in relazione all’artigianato tessile, era in voga da tempo. Egli ricoprì la carica ufficialmente dal 1863, ma la stessa presidenza dell’Accademia si disinteressò sempre del corso e delle richieste avanzate dall’artista. In quegli ultimi anni di attività l’artista dipinse alcune nature morte dal linguaggio piuttosto asciutto ed essenziale, che si sarebbero rivelate significative per una nuova generazione di artisti milanesi, quali Longoni, Segantini e Sottocornola.
Scrosati morì a Milano, all’età di cinquantaquattro anni, nel 1869.
Fonti e Bibl.: A. Caimi, Delle arti del disegno e degli artisti nelle provincie di Lombardia dal 1777 al 1862, Milano 1862, pp. 11, 126-129; Id., Commemorazione, in Atti della Reale Accademia di belle arti in Milano, 1870, p. 33; G. Malvezzi, Le glorie dell’arte lombarda, Milano 1882, p. 293; La pittura lombarda nel secolo XIX (catal.), Milano 1900, pp. 50 s., 110 s.; U. Ojetti, La pittura italiana dell’Ottocento, Roma-Milano 1929, p. 76; G. Nicodemi, Il pittore dei fiori Luigi Scrosati, Milano 1947; E. Piceni - M. Cinotti, La pittura a Milano dal 1815 al 1915, in Storia di Milano, XV, Milano 1962, pp. 475 s., 632; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, V, Milano 19744, pp. 2998-3000; G. Predaval, Osservazioni su Luigi Scrosati, in Arte lombarda, 1978, n. 50, pp. 116-121; G. Ginex, Scrosati, Luigi, in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, p. 1016; Fiori dell’Ottocento. Scrosati e la scuola lombarda (catal., Casalzuigno), a cura di P. Zatti - F. Mazzocca, Milano 1999; P. Zatti, Luigi Scrosati e la decorazione d’interni in Lombardia nei decenni pre-unitari, in Lo studiolo del collezionista restaurato. Il gabinetto dantesco del Museo Poldi Pezzoli, a cura di L.M. Galli Michero, Milano 2002, pp. 78-93; P. Zatti, Le “stravaganti, barocche maniere” della decorazione lombarda. Artisti, artigiani e committenti, in Ottocento lombardo. Arti e decorazione, a cura di F. Mazzocca, Milano 2006, pp. 239-246.