ANGELONI, Luigi
Nacque a Frosinone nel novembre 1759, da Giovanni, ricco mercante originario di Villadadda, e da Lucrezia, Contini. Una grave disgrazia familiare (il padre fu colpito da paralisi) gli impedì di intraprendere studi regolari; dall'età di sette anni infatti dovette aiutare la madre nella cura degli affari e nella gestione della bottega. La sua formazione culturale fu sostanzialmente autodidattica; ciononostante raggiunse una buona conoscenza dei classici latini, della lingua e della letteratura italiane, della matematica e della filosofia. A tale particolare formazione (ma quest'abito culturale non gli impedì di far prosperare "oltremodo" i suoi affari), lontana dalle formulazioni francesi tipiche del tempo, va fatto risalire il suo particolare orientamento politico ideologico in età matura.
Non risponde a verità che l'A. sia stato coinvolto nelle mene di fine secolo dei gruppi filo-francesi romani: sino a quasi quarant'anni egli si disinteressò completamente della politica attiva. A questa fu tratto dall'occupazione francese e dallo stabilimento della Repubblica romana nel febbraio 1798, quando i suoi concittadini lo inviarono a Roma per portare l'adesione di Frosinone al nuovo regime repubblicano. Qui, infatti, egli fu incluso, quasi controvoglia, tra i tribuni (per il dipartimento del Circeo) della neonata Repubblica (16 marzo 1798).
Alla vita della Repubblica romana l'A. partecipò attivamente, senza, per altro, avervi una posizione di rilievo. Seguì assiduamente i lavori del Tribunato (fece parte, tra l'altro, della commissione incaricata di riferire sui problemi dell'agricoltura e del commercio dei suoi prodotti) e si interessò soprattutto dei problemi del suo dipartimento, uno dei più travagliati dall'insorgenza (dalla quale ebbe saccheggiate la casa e la bottega, malmenata la madre, ucciso uno zio). A questo proposito ebbe contatti con il commissario Duport (con il quale si legò di sincera amicizia) e con l'autorità militare francese per cercare, invano, di ottenere una mitigazione della repressione, e sottopose anche questo problema all'attenzione del Tribunato (5 genn. '99). Durante la breve occupazione napoletana di Roma, alla fine del 1798, fu tra i tribuni che seguirono il governo a Perugia e vi tennero seduta: probabilmente a seguito di ciò fu nominato prima segretario (4 genn. '99) e poi presidente (15 maggio '99) del Tribunato. Con parte dei suoi stipendi di tribuno acquistò Beni nazionali. Fu tra i sottoscrittori per la pubblicazione dei Pensieri Politici di V. Russo.
Alla caduta della Repubblica romana l'A. riparò prima in Corsica e poi in Francia: a Marsiglia prima - dove l'8 nov. '99 intervenne a un'assemblea di esuli romani - a Digione poi e a Parigi infine. Qui l'A. abitò in un primo tempo con altri due esuli, il poeta G. B. Casti e l'ex tribuno C. Romiti, vivendo, all'inizio, dell'aiuto del governo francese e quindi dando lezioni di italiano e dedicandosi ai suoi studi letterari preferiti (tra l'altro, in questi anni, completò la sua conoscenza dei greco). Dopo Marengo non pensò di tornare in Italia, sicuro che dalla Cisalpina, l'unico stato che in teoria avrebbe potuto accoglierlo, sarebbe stato "scacciato senza pietà il dì seguente" per la sua posizione repubblicana e di critica.alla politica francese.
A Parigi entrò subito - come molti altri esuli disgustati dal modo con cui i Francesi si erano comportati in Italia e contrari all'involuzione consolare del regime repubblicano - in contatto con gli ambienti dell'opposizione franco-italiana e i PhiladeIphes. Checché egli abbia lasciato scritto, il suo ruolo in tali ambienti e organizzazioni dovette essere, nei primi anni, modesto, e il suo atteggiamento politico più una opposizione esaltata e parolaia che concretamente cospirativa. Prova di ciò, è anche la congiura contro Napoleone progettata dal Casti (da lui sollecitato ed esortato), progetto che appare una brutta riedizione, sul piano dell'iniziativa individuale, di quello, ben più serio e organizzativamente collegato a un largo movimento politico-militare, che era stato alla base, circa due anni prima, della fallita congiura Ceracchi-Arena. In occasione di questa ultima congiura (nell'organizzazione della quale, a suo dire, avrebbe avuto larga parte, cosa che invece non pare probabile) l'A. era stato (con il Romiti e altri esuli romani) arrestato, nell'ottobre 1800, e trattenuto in carcere per breve tempo: ma, non essendo emersi elementi a suo carico, fu liberato pur continuando a essere sorvegliato per vari anni dalla polizia napoleonica. Solo attorno al 1807-08, l'A. dovette incominciare ad avere un ruolo di primo piano nell'organizzazione dei Philadelphes, entrando in contatto con Lafayette, Servan, Guyot, Jacquemont, Bazin, Poggi e gli altri maggiori esponenti dell'opposizione organizzata antinapoleonica. E anche in questi anni dovette cominciare a essere noto, negli ambienti vicini al Fouché, come un importante esponente democratico italiano: nel 1810, infatti, quando il Fouché fu designato da Napoleone come governatore di Roma, l'A. fu avvicinato, tramite il gen. Parin, dall'ex ministro di polizia, che gli offrì di tornare al suo seguito a Roma con un importante incarico nell'amministrazione francese, offerta che declinò, non volendo assolutamente servire Napoleone e farsi strumento della sua oppressione. Nel 1812 l'A. fu di nuovo arrestato, in occasione questa volta della congiura del gen. Malet (che conosceva sin dal 1798-99, quando questi era presso lo Stato maggiore del gen. Championnet), congiura in cui i Philadelphes ebbero gran parte e che, tra l'altro, si proponeva l'indipendenza dell'Italia. Pare che in questa occasione egli corresse serio rischio di morte e che si salvasse soltanto per un banale scambio di persona.
Alla caduta di Napoleone, nel 1814, e per oltre un ventennio, l'A. fu, con F. Buonarroti, la figura più importante dell'emigrazione politica italiana e una delle più importanti del mondo settario: il suo passato, la sua intransigenza repubblicana, i suoi legami con tutti i maggiori esponenti liberali europei, l'essere introdotto presso i rappresentanti e gli agenti inglesi e russi, fecero di lui il centro di riferimento organizzativo e la guida morale (il "Nestore"), a Parigi, di tutto il movimento liberale italiano. Il 16 luglio 1814 il Bombelles scriveva al Mettemich che l'A. e p. Comaro, un altro esule italiano, "sont le point de ralliement à Paris de tous les Italiens mécontents; ils sont de plus en correspondance avec des Russes et beaucoup de Polonais". Per quanto riguarda l'A., questo giudizio non era certo esagerato: durante tutto quell'anno egli svolse infatti, in persona propria e attraverso l'organizzazione settaria degli Adelfi, una attività vertiginosa. Entusiasmato dalle promesse agli Italiani del Bentinck e del Nugent e dalle affermazioni dello zar Alessandro I, ebbe contatti continui con i rappresentanti delle grandi potenze nella capitale francese, e con gli Italiani che si recavano presso di essi a perorare la causa dell'indipendenza italiana (tra l'altro, in occasione dei soggiorno parigino della deputazione inviata dalla Reggenza provvisoria di governo nùlanese, conobbe F. Confalonieri e lo iniziò agli Adelfi) e diede alle stampe (facendolo pervenire a tutti i rappresentanti delle potenze vincitrici e facendolo diffondere, nonostante il divieto austriaco, in Italia) un opuscoletto Sopra l'ordinamento che aver dovrebbono i governi d'Italia. Ragionamento (Parigi 1814).
In esso, pur senza venir meno ai suoi principt repubblicani, realisticamente indicava nella soluzione confederale la maniera per assicurare l'indipendenza all'Italia: gli stati italiani (Genova e Venezia comprese, le cui repubbliche dovevano essere restaurate) dovevano essere liberi di organizzarsi come volevano. La formula confederale, a sua volta, doveva assicurare l'indipendenza dall'Austria e dalla Francia (a questo proposito proponeva il rafforzamento territoriale del Regno di Sardegna) e salvaguardare le esigenze del papato; Roma infatti avrebbe dovuto essere sede "ad una ora e de' rettori del proprio stato e del temporaneo rettor supremo del centrale comune governo". Gli argomenti dell'opuscoletto furono in buona parte ripresi ben presto da B. Boselli nella sua Nota d'un italiano aglialti principi alleati (1814). Ma l'attività dell'A. non si esauriva solo nell'azione politica. Nel 1815, infatti, collaborò proficuamente (sfruttando le sue relazioni con gli alleati) con A. Canova e mons. M. Marini nel recupero delle opere d'arte che Napoleone aveva asportato da Roma e da Firenze (oltre che dell'aspetto politico della faccenda si occupò personalmente dell'individuazione dei manoscritti da recuperare). In ringraziamento Pio VII gli offrì una pensione, che egli però rifiutò (accettò solo, in dono, una tabacchiera d'oro), così come rifiutò, non sentendosi sicuro in Italia, di far ritorno a Roma. Con il Canova rimase in cordiali rapporti epistolari.
Il fallimento delle speranze del '14, la dura realtà del congresso di Vienna, le conseguenze che il nuovo assetto ebbe anche sul mondo degli esuli a Parigi (nel '16 l'A. fu per due mesi ancora in carcere) non piegarono però il frusinate. Nel 1818, quasi contemporaneamente al suo ingresso nel Direttorio centrale di Parigi dei Sublimi Maestri Perfetti (nuova formula organizzativa settaria), pubblicò una opera in due volumi, Dell'Italia uscente il settembre del 1818, Ragionamenti IV... dedicati all'Italica Nazione (Parigi 1818).
In essa, oltre a denunziare il tradimento delle promesse fatte agli Italiani da parte degli alleati e della Santa Alleanza, e a rivendicare il diritto dell'Italia all'indipendenza e alla libertà, l'A., basandosi sui due esempi degli Stati Uniti (di cui sarà sempre un grande ammiratore) e della Svizzera, teorizzava di nuovo e ampiamente la sua tesi confederale (come nel '14, pur dando nettamente la preferenza alla forma repubblicana, non escludeva che la confederazione italiana potesse essere di carattere misto, comprendere, cioè, stati repubblicani e stati monarchici). L'opera ebbe grande diffusione anche in Italia: da Napoli, il 20 marzo 1820, U. Lampredi scriveva all'A.: "Varii ne sono i giudizi. Alcuni lodano ciò che altri biasimano; ma tutti convengono della sua utilità".
Intanto, instancabile, l'A. tesseva da Parigi la sua tela settaria in Italia (nel 1818 si incontrò nuovamente col Confalonieri) e manteneva contatti con i movimenti liberali di tutta l'Europa. Fedele a una realistica visione dei rapporti di forze e alla tattica "entrista" degli Adelfi, nel 1819 prese contatto con gli ambienti settari vicini a Carlo Alberto. Visitato nel marzo dal gen. A. Gifflenga, questi gli fece notare che la sua pregiudiziale repubblicana era un grave ostacolo a un'azione unitaria e gli propose di prendere contatto con il principe di Carignano. L'A. accettò di buon grado la proposta (riservandosi però inumamente, sembra, "che quando pur fosse stata l'opera asseguita mai non avrei partecipato delle loro regie governazioni") ed inviò le sue due opere politiche al principe e successivamente ad altri piemontesi. A questo primo approccio seguirono altri, e un carteggio tra Parigi e Torino. Ma l'equivoco atteggiamento assunto da Carlo Alberto allo scoppio della rivoluzione a Napoli (durante la quale fu fatta una nuova edizione Dell'Italia uscente il settembre del 1818, e l'A. collaborò su invito di U. Lampredi alla Minerva Napolitana - vol. II, pp. 62-70, 400-415; e vol. III, pp. 71-85, 110-125 - con tre lettere in cui espose in nuce la sua teoria della "forza", che avrebbe ampiamente sviluppato di lì a qualche anno, e sostenne la necessità dell'estensione del moto rivoluzionario a Roma) dovette però ben presto deluderlo. Invano, di fronte all'attendismo del Carignano, in numerose lettere a Torino e in incontri con G. Collegno esortò Carlo Alberto all'azione; invano trasmise al Carignano (e al ministro napoletano Carascosa) copia dei piani della Santa Alleanza per l'Italia, che aveva avuto da "un supremo generale russo" (E von der Palen o più probabilmente F. C. La Harpe). Non solo il Carignano non si mosse, ma due lettere al Gifflenga e al Collegno furono intercettate, il principe E. della Cisterna arrestato e le trame dell'A. scoperte. In questa condizione, il precipitare della situazione e il raccogliersi attorno all'A., nei mesi successivi, dei nuovi esuli piemontesi e napoletani (risalgono a questo periodo i suoi primi rapporti con P. Giannone e B. Milesi) resero in breve difficilissima la sua posizione a Parigi. Il 14 marzo 1823, infatti, fu arrestato, tradotto a Calais, espulso dalla Francia e costretto a riparare in Inghilterra: da Londra reclamò contro tale espulsione presso il nunzio a Parigi mons. V. Macchi, ma il governo francese fece sapere che era sorvegliato sin dal 1816 e gravemente indiziato di maneggi rivoluzionari con Francesi ed emigrati italiani, in Italia e in Svizzera.
Dal suo nuovo rifugio inglese l'A. riprese senza por tempo in mezzo la lotta; il 17 giugno 1823 a Londra ebbe luogo una riunione di esuli italiani in occasione della quale fu redatta una importantissima Dichiarazione di principi che l'A. sottoscrisse anche a nome di p. Cornaro, e che era destinata a rimanere per molti anni (fin oltre il 1830) il fondamento ideologico di tutta l'ala del mondo settario democratico-liberale di ispirazione angelo. Se essa infatti era, per motivi tattici, un po' ambigua sul problema unità o confederazione, era estremamente esplicita nel rivendicare che "al Popolo si appartiene esclusivamente di determinare sopra le istituzioni che lo debbono reggere, e di modificarle", e nel sostenere l' "annichilimento di ogni privilegio ereditario", condannando però al tempo stesso senza mezzi termini ogni soluzione comunistica: "lasciar [si deve] ad ognuno il pieno, possesso de' suoi beni e de' frutti della sua industria". L'intento antibuonarrotiano della dichiarazione è evidente. L'A., fin dal 1804-05, fu in stretti e cordiali rapporti con il Buonarroti, ne ebbe sempre la massima stima e tenne moltissimo alle sue opinioni, ma ciò non toglie che fosse un tenace avversario di ogni sorta di idee comunistiche per motivi di sostanza (vi vedeva un pericolo di imbarbarimento, di soffocamento d'ogni libera iniziativa e di involuzione in senso monarchico-dittatoriale) e di opportunità (vi vedeva un pericolo di divisione delle forze a scapito della lotta per la libertà), e che combattesse decisamente le organizzaziomi di ispirazione buonarrotiana. La pubblicazione nel 1826 da parte dell'A. dei due volumi Della forza delle cose politiche, Ragionamenti quattro... dedicati all'Italica Nazione (Londra 1826), in cui erano riprese e sviluppate le tesi abbozzate nelle lettere alla Minerva Napolitana, permise ai due esuli di discutere a fondo i propri punti di vista, affrontandoli ai loro fondamenti filosofici.
Nei due volumi Della forza delle cose politiche l'A. negava l'esistenza di sentimenti innati e affermava una morale sociale, stabilita dagli uomini e relativa alla varietà dei consorzi umani sulla base della necessità, o forza, fondamento della giustizia e della legge. In una concezione generale del mondo che ben può essere definita materialistico-atomistica, il relativismo dell'A. si collegava strettamente alla frenologia del Gall e dello Spurzheim, che egli estendeva al settore morale e politico. La sovranità non era per lui che il prodotto della forza; forza che può essere naturale o artificiale: naturale, se organizzata spontaneamente in "costrizione elementare" per il bene comune (da cui la democrazia), artificiale, se basata sulla sopraffazione a scopo personale da parte della minoranza (da cui l'aristocrazia e la monarchia).
La filosofia della forza dell'A. - alla cui base indubbiamente era il desiderio di combattere alle radici l'idea e l'uso legittimistici del diritto - suscitò vasta eco. Tra i primi ad occuparsene furono un certo A. De V[ismara?] e F. S. Salfi, entrambi sulla Revue Encyclopédique (vol. XXXI [1826], pp. 116-17, e vol. XXXIII [18271, p. 493), il primo abbastanza favorevolmente, il secondo sollevando varie obiezioni. Per gli avversari dell'A., poiché essa non ammetteva alcuna legge naturale, stabile, etema, era immorale e conduceva dritta alla anarchia "che è l'elemento de' nostri liberali" (A. Capece-Minutolo, principe di Canosa, In confutazione degli errori storici e politici di L. A. esposti contro S.M. la defunta regina Maria Carolina di Napoli. Epistola di un Amico della Verità ad uno storico italiano rispettabilissimo, Marsiglia 1830); quanto al mondo degli esuli, qualcuno di essi, come G. Gambini, la intese in chiave hobbesiana e la interpretò come una rinuncia alla lotta, altri invece, come A. Frignani (Su lo stato del diritto in Italia, in L'esule-L'exilé, vol. II[18331, pp. 470-74), vi vide un importante contributo alla fondazione di una moderna dottrina del diritto pubblico. Il Buonarroti, in varie lettere scritte all'A. tra il 1826 e il 1828, osservò che "quantunque io convenga teco non sianvi in noi né sensi né idee concreate, a me pare che una legge immutabile da cui scaturiscono siccome dalla lor fonte i diritti primordiali dell'uomo sia una conseguenza immediata e necessaria della nostra conformazione", che a suo parere vi era "una legge naturale madre della libertà e dell'uguaghanza" e che il "principio della forza", contro cui rivendicava il valore dei diritto gli appariva "più atto a rovinare che a fondamentare quella stessa libertà da me e da te teneramente amata". Nel complesso, si può dire che essa non trovò che scarsi sostenitori e che la discussione a cui diede vita tra l'A. e il Buonareoti mostra che mentre il frusinate insisteva più che altro sui punti di disaccordo con il toscano, questi, invece, insisteva, in funzione dell'azione immediata, su quelli d'accordo.
A Londra l'A. fece parte (1824) del "Comitato inglese di soccorso ai rifugiati italiani" e fu di nuovo al centro dell'esulato italiano (presso cui, tra l'altro, appoggiò C. Manzini). Il suo ruolo politico andò però ben presto declinando. Le difficoltà economiche, la grave malattia, l'isolamento in cui si venne a trovare a causa del suo carattere autoritario e insofferente di ogni critica lo resero sempre più esacerbato, irascibile e puntiglioso. Litigò con gran parte degli amici e corrispondenti (U. Lampredi, G. Prati, p. Giannone, G. Rossetti, ecc.), rinchiudendosi sempre più in se stesso, nei suoi studi, nelle sue manie puristiche e in "questa smania che abbiamo addosso di libertà universale". Tipici sono a questo proposito i suoi rapporti con U. Foscolo: dopo un periodo di amicizia (durante il quale il poeta lo aiutò anche economicamente), vennero a una completa e violentissima rottura. Ogni atto o detto degli altri gli sembrava un tradimento; per anni condusse una violentissima battaglia contro C. Botta (di cui pure era stato amico e che lo aveva sostenuto nelle sue polemiche letterarie in Italia) accusandolo di essersi venduto a Napoleone e di avere nella sua Storia d'Italia abbandonato ogni "principio repubblicano" (la polemica ebbe inizio nel Della forza delle cose politiche e si sviluppò in un pamphlet dal titolo Schifezze politiche proposte e fatte proporre nel trigesimosecondo anno del nonodecimo secolo all'Italica Nazione e con ridicola autorevole prosontuosità dal dottor Carlo Botta nella sua seconda infornata d'Italiche Storie, s.l.1832, in un violento articolo sul marsigliese Il tribuno, n. 2, 23 genn. 1833, e infine nelle Esortazioni patrie); attaccò anche A. Manzoni per avere cantato Napoleone ne Il cinque maggio.
Nonostante questo progressivo isolamento, rimase per molti anni ancora una delle maggiori figure dell'esulato italiano. Nel 1828 Lafayette lo invitò a tornare a Parigi, ma l'A. rispose che non avrebbe lasciato Londra che per l'Italia e, di là ad un anno e mezzo, davanti agli sviluppi della rivoluzione del '30, gli scrisse scandalizzato perché aveva sposato la causa di Luigi Filippo; nel 1830 il Comitato italiano di Parigi insistette perché entrasse a far parte di quello londinese ("Angeloni ha il suo peso anch'egli in qualche parte d'Italia e ci potrà essere utúe, per quanto pazzo sia"); suppergiù nello stesso periodo il De Meester cercò di convincerlo ad aderire all'organizzazione buonarrotiana. Non risponde a verità che l'A. abbia collaborato nel 1832-33 a L'esule - L'exilé di G. Cannonieri, A. Frignani e F. Pescantini e alla Giovine Italia di G. Mazzini. All'Esule diede la sua adesione (vol I, pp. 16 s.), ma non vi scrisse; quanto alla Giovine Italia, non risulta neppure che a quell'epoca fosse in rapporti con il Mazzini, che conobbe in Inghilterra, ma di cui non condivise le idee e contro il quale, anzi, negli ultimi anni della sua vita si proponeva di scrivere qualcosa. L'ultimo atto politicamente significativo della sua lunga vita fu la pubblicazione nel 1837 di Alla valente ed animosa gioventù d'Italia. Esortazioni Patrie così in prosa come in verso (Londra 1837).
Era un grosso volume ("la cosa più curiosa di questo mondo" ebbe a definirlo Mazzini), in cui a un'ottantina di pagine di sint sunto dei suoi principi politico-morali e di riaffermazione della sua fiducia in un prossimo riscatto dell'Italia seguivano centinaia di pagine di Annotazioni in cui era confutata la Bibbia ("altro non è che un guazzabuglio di cose veramente da ridere"), era ripresa la teoria della forza, si polernizzava, su un gran numero di questioni letterarie e linguistiche, Si tracciava un profilo dei più recenti avvenimenti politici sudamericani e dell'indipendenza di quei popoli e, in una sorta di sconnessi ricordi, erano narrati gli episodi più significativi della vita dell'autore stesso: da questo punto di vista le Esortazioni patrie costituiscono la fonte più importante di notizie sulla vita dell'A. Tra l'altro, nell'ottava annotazione, era rifatta, con numerosi documenti (che nel 1824 Carlo Alberto pare avesse offerto, invano, di comprare), la storia dei rapporti, nel 1819-20, dell'A. con il principe di Carignano e i suoi agenti.
Gli ultimi anni,dell'A. furono squallidi: vecchio, quasi paralitico, carico di debiti, evitato da quasi tutti, finì verso i primi del 1842 per trovar ricovero in una casa di lavoro londinese, la Workhouse of Union Covent Garden, ove morì ("mezzo arrabbiato per non trovarsi altro che facce straniere d'intomo", Mazzini) il 5 febbr. di quello stesso anno 1842. G. Mazzini ne fece il necrologio nel n. 5 de L'apostolato popolare del 14 apr. 1842, sottolineandone la passione patriottica e la "fede nella vita, nella capacità e nella forza della propria nazione".
L'A. coltivò assiduamente lo studio della letteratura e della lingua italiane, e fu fanatico purista. L'amore per la purezza dei linguaggio assunse in lui forme paradossali, e gli faceva rivestire il pensiero della lingua de, morti e d'uno stile pedantesco tanto da toccare il ridicolo" (G. Mazzini), e da esporlo ai lazzì dei suoi avversari. Nella comunanza della lingua e nella, sua purezza vedeva un elemento fondamentale di unità nazionale.
Negli anni del suo soggiorno parigino si dedicò in particolare allo studio delle origini della lingua italiana, della sua musicalità e dei suoi rapporti con il canto. Iniziato un Trattato de' suoni della lingua italiana, lo interruppe per approfondire più specificatamente la figura e l'opera di Guido d'Arezzo, che illustrò in una Dissertazione sopra la vìta, le opere ed il sapere di Guido d'Arezzo (Parigi 1811), opera vivacemente polemica contro le Recherches del Villoteau, e per molti aspetti notevole, che ebbe vasta diffusione e alla quale arrise successo (in Italia ne parlarono, tra gli altri, favorevolmente Il Poligrafo e L'Ape, criticamente il Giornale enciclopedico), e in un dramma per musica, La scuola di Guido d'Arezzo (che presentò a uno dei concorsi della Crusca), rimasto inedito. Negli stessi anni collaborò a Il Poligrafo (Lettere e note sul Dialogo Le Grazie di A. Cesari, nn. XXIII, XXIX, XLVII del 1812). Nel 1813 su questo stesso periodico difese con due vivaci lettere (nn. XLVI-XLVIII) il Dizionario dei Cesari contro le accuse che gli aveva mosso il Monti. Queste lettere diedero origine a una lunga polemica: il Monti replicò nel n. VII del 1814 dello stesso Il Poligrafo, l'A. risollevò a sua volta la questione in una lunga nota in fondo al suo Dell'Italia uscente... (che fu pubblicata anche a sé con il titolo Memoria di L. A - di Parigi - sopra l'opera del Kr. Monti, s.l.n.d.), attaccando efficacemente la nota Proposta dei poeta romagnolo. Sempre a Parigi, conosciuto il conte G. V. Orloff, che ne aveva fatto la traduzione in francese, iniziò (e completò a Londra) la traduzione in italiano di alcune delle favole del Krilov. A lui pensò G. Capponi nel suo Programma di giornale (1819) come a uno dei collaboratori per la rivista che andava pensando di fare e che fu poi l'Antologia.
Negli anni del suo soggiorno londinese pubblicò, un po' per diletto un po' per necessità economica, una raccolta di sette Novelle... dato in luce, con traslazioni ed esplicazioni fattevi in lingua inglese da Filippo Skew (London 1829) e varie composizioni poetiche: una Canzonetta, composta a Londra, in lode d'una maravigliosa italica cantante (A. Catalanì)(Londra 1824), delle Canzonette, composte a Londra, in lode d'una vaga e gentil coppia di finissimi danzanti (Ch. Vistris-C. M. T. Ronzi Vestris) (Londra 1824), un'altra Canzonetta, tessuta a Londra, in lode d'una valentissima italica cantante (G. Ronzi de Begnis) (Londra 1824), un poemetto dal titolo L'asino nato graduato e fatto dottore, Apologo composto in Londra a commendazione d'uno de' più insigni alunni della grande asineria (Londra 1827), un'altra canzone In lode d'una maravigliosa non meno italica cantante che tragica e anche comica attrice (G. Pasta) (Londra 1833) e un sonetto In morte di quel rio pretaccio schiericato il quale ebbe nome Talleyrand (s.l.n.d., ma Londra 1838). Nello stesso periodo annotò il Dirionario della Crusca e compose un Repertorio sopra la lingua delle cento novelle ad uso scolastico.
In rapporto con L. Dragonetti (che nel 1828 lo invitò a collaborare alla revisione del Dizionario della Crusca), con G.B. Niccolini, D. Valeriani e G. Capponi, l'A. sperò vivamente di entrare, almeno come socio corrispondente, nell'Accademia della Crusca (nel 1811 era stato fatto socio dell'Accademia Italiana di Scienze Lettere e Arti di Livorno) e sollecitò a questo scopo ripetutamente i suoi corrispondenti italiani. I suoi sforzi (tra il 1838 e il 1841) furono però vani, urtando il suo desiderio nell'ostacolo della sua posizione politico-religiosa.
Tutte le sue opere sono ricche di riferimenti e polemiche letterarie e linguistiche (nel Della forza delle cose politiche, per es., criticò vivacemente il Foscolo per non aver nel suo Discorso sul Decamerone valutato sufficientemente il Boccaccio).
Fonti e Bibl.: Museo Civico di Varallo Sesia, Fondo Angeloni (cfr. A. Campani, Una insigne collezione di autografi [carteggio Angeloni, Rolandi, Giannim]. Notizie e Catalogo, Milano 1900),; Museo Centr. Risorgimento di Roma, Carte Rossetti, b. 275, n. 16, 1 e 2, n. 21, n. 25, 1, 2 e 3; Napoli, Archivio della Società napoletana di storia patria, Fondo Angeloni, XXVI, B. 5 (12).
Non esiste una biografia dell'A. Per notizie generali: G. La Cecilia, L. A., in Pantheon dei martiri della libertà italiana, I, Torino 1861, pp. 369-402; A. Vannucci, Imartiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Milano 1887,1, pp. 289, 558 s.; II, pp. 71-80; O. Fortuna, Martiri e patrioti del circondario di Frosinone, Frosinone 1890, pp. 18-25;A. D'Ancona, Ricordi ed affetti, Milano 1908, pp. 397-408; C. Fraschetti, L. A., in Nella inaugurazione del monumento a N. Ricciotti. Martiri e patrioti della regione, Frosinone 19,0, pp.- 17-21.
Per il periodo 1798-99: Collez. di carte pubbliche, Proclami, editti, ecc. della Repubblica Romana, I, Roma 1798, p. 84; Repubblica Romana - Tribunato - Processi Verbali, Roma anni VI-VII, passim; T. Casini, Il parlamento della Rep. Romana del 1798-99, in Rass. stor. del Risorgimento, III (1916). pp. 533-34;V. E. Giuntella, La giacobina repubblica romana (1798-99), in Arch. d. Soc. romana di storia patria, LXXIII (1950), p. 133; R. De Felice, La vendita dei Beni Nazionali nella Rep. Romana del 1798-99, Roma 1960, pp. 73, 88, 105 s.
Per il periodo napoleonico: Icomizi nazionali in Lione per la Costituz. della Repubblica Italiana, a cura di U. Da Como, I, Bologna 1934, p. 70; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, Roma 1927-1928 II, pp. 241 s.; IV, pp. 152 s.; Histoire des conspirations formées contre N. Bonaparte depuis 1798 iusqu'en 1814, Londres 1815, passim (bozze dì stampa, presso la Bibl. d. Compagnia di Gesù -Villa Malta - Roma); G. Manacorda, I rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800, in Mem. d. R. Accad. delle scienze di Torino, s. 2, LVII (1907), p. 194; E. D'Hauterive, La police secrète du premier Empire, I, Paris 1908, p. 86; II, ibid. 1913, p. 252; De Lort de Sérignan, Un conspirateur militaire sous le premier empire. Le gén. Malet, Paris 1925, pp. 116 s.; V. E. Giuntella, Gli esuli romani in Francia alla vigilia del 18 brumaio, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, LXXVI (1953), pp. 227, 231, 236; R. De Felice, Ricerche storiche sul giacobinismo italiano, II, G. Ceracchi, in Rass. stor. del Risorgimento, XLVII (1960), pp. 27-30.
Per il recupero delle opere d'arte: A. Ferrajoli, Lettere inedite di A. Canova al card. E. Consalvi, Roma 1888, pp. 25s.; A. Campani, Sull'opera di A. Canova nel recupero di monumenti d'arte italiani a Parigi, in Arch. stor. dell'arte, V (1892), pp. 189-196.
Per il periodo 1814-23: F. Confalonieri, Memorie e lettere, I, Milano 1890, pp. 87-90; B. von Helfert, 1814. Ausgang der französischen Herrschaft in Ober-Italien, in Arch. für oesterreich. Geschichte, LXXVI (1890), pp. 540s.; A. Bersano, Adelfi, federati e carbonari..., in Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino, XLVI, 10 (1909-10), pp. 409-30; N. Rodolico, Carlo Alberto principe di Carignano, I, Firenze 1913, pp. 64, 100, 106-109; G. Romano-Catania, Del risorgimento d'Italia. Studi e ricordi, Milano 1913, pp. 1-32; M. Avetta, Le relazioni di Carlo Alberto coi liberali prima del ventuno, in Rass. stor. del Risorgimento, I (1914), pp. 723-27; R. Barbiera. La principessa di Belgioioso, Milano 1914, p. 104; L. C. Bollea, Carlo Alberto alla vigilia del 1821, da lettere sconosciute di G. Collegno, A. Giffenga, E. Dal Pozzo della Cisterna e L. Angeloni, in Il Risorgimento italiano, X, 13-14 (1917), pp. 85-106; G. Bustico, Il carteggio di U. Lampredi con L. A., in Rass. stor. del Risorgimento, IV (1917), pp. 131-167; R. Soriga, Due lettere di G. Pepe e i moti di Napoli del 1820-21, in Le società segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, a cura di S. Manfredi, Modena 1942, pp. 197-202; F. Lemmi, Il Processo del Principe della Cisterna, in Bibl. di storia ital. recente, XI (1922), pp. 3, 14 s., 18 s., 46-48(estr.); L. Fassò, Lettere di esuli (G. Pepe, L. Angeloni, S. Santa Rosa), in Miscell. di studi stor. in onore di G. Sforza, Torino 1923, pp. 113-131; C. Nardi, La vita e le opere di F. S. Salfi, Genova 1925, pp. 226, 281-285; I. Rinieri, La rivoluzione in Germania, le società segrete, l'Austria e il Principe di Carignano, in La rivoluzione piemontese del 1821, a cura di T. Rossi e C. P. Demagistris, I, Torino 1827, pp. 587-610 e n.; A. Galante Garrone, F. Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento, Torino 1951, passim e spec. pp. 61-63, 153, 196-198; A. Bersano, L'abate F. Bonardi e i suoi tempi, Torino 1957, passim e spec. pp. 123, 130-138, 276-290; G. Berti, Russia e stati italiani nel risorgimento, Torino 1957, passim e spec. pp.386, 443 s., 486-489, 500 s.
Per il periodo 1823-1842: Lettere ad A. Panizzì di uomini illustri e di amici italiani, a cura di L. Fagan, Firenze 1880, p. 92; G. Mazzini, Ediz.naz. degli scritti..., VIII, p. 390; XVI, pp. 160, 180, 189, 251 s., 256; XXIII, pp. 36, 40; XXV, pp. 103-106; A. Chiappe, La vita e gli scritti di P. Giannone, Pistoia 1903, p. 24; F. Patetta, Dichiarazione di principii d'una vendita di carbonari italiani in Londra nel 1823, in Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino, LI, 15 (1915-16), pp.1389-1410; R. Manzoni, Gli esuli italiani nella Svizzera, Milano 1922, pp.. 61-64; Note autobiografiche del cospiratore trentino G. Prati, a cura di P. Pedrotti, Rovereto 1926, p. 161; A. Ghisleri, Museo stor. degli esuli ital. in Como, Piccola guida illustrata pel centenario voltiano, Como 1929, p. 24; D. Spadoni, Il gen. barone G. F. De Meester, in Rass. stor. del Risorgimento, XVI (1929), p. 2 (estr.); G. Carducci, G. Rossetti, in Ediz. naz. delle Opere di G. C., XVIII, Bologna 1937, pp. 195-201; M. C. W. Wicks, The italian exiles in London 1816-1848, Manchester 1937, pp. 114, 171; G. Caprin, L'esule F. A. Panizzi, Firenze s.d., pp. 65, 105, 109, 112.
Per i rapporti con F. Buonarroti: G. Romano-Catania, F. Buonarroti, Milano 1902, passim e spec. pp. 137-187; A. Saitta, F. Buonarroti, I, Roma 1950, passim e spec. pp. 51, 76, 80-84; II, ibid. 1951, passim e spec. pp. 42 s., 187 s.
Per i rapporti con C. Botta: Lettere di C. Botta al conte T. Littardi, Genova 1873, pp. 71 s., 129-133, 138 s.; A. Bersano, Alcune lettere inedite di C. Botta, in Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino, XLVI, 1-2 (1910-11), pp. 20 s., 27; L. C. Bollea, Rivelazioni di L. A. sulla vita Politica di C. Botta e la sua assolutoria del 1795, in Il Risorgimento ital., VIII (1916), pp. 564-86.
Per i rapporti con U. Foscolo: L. Carrer, Vita di U. Foscolo, in Prose e poesie edite e inedite di U. F., Venezia 1842, pp. CXXXV-CXXXVI; U. Foscolo, Epistolario, III, Firenze 1854, p. 186; Lettore inedite del Foscolo, del Giordani, ecc., Livorno 1876, p. 209; I. Ghiron, Una pagina della vita di U. Foscolo a Londra, in Fanfulla della domenica, Roma, 2 nov. 1879, pp. 1 s.
Per la sua ideologia: D. Cantimori, Utopisti e riformatori italiani, Firenze 1943, pp. 145, 164-72; R. De Felice, La filosofia della forza di L. A., in Rass. di filosofia, V (1956), pp. 56-61.
Per l'aspetto letterario: [A. Levati], Saggio sulla storia della letteratura italiana nei primi venticinque anni del secolo XIX, Milano 1831, pp. 194-96; N. Tommaseo, Dizionario estetico, Firenze 1867, p. 141; G. Capponi, Lettere, I, Firenze 1882, pp. 28, 54, 58 s.; V, ibid. 1885, p. 83; V. Fontana, L. Lamberti, Reggio Emilia 1893, pp. 30 s.; A. Campani, Un mancato accademico della Crusca, in Rass. nazionale, XXII(1900), pp. 74-90; G. Guidetti, La questione linguistica e l'amicizia del P. A. Cesari con V. Monti, Reggio Emilia 1901, pp. 27-31, 54 s.; P. Hazard, La révolution française et les lettres italiennes, Paris 1910, pp. 313-17; R. Zagaria, Tra puristi. Lettere inedite di A. Cesart, L. A. e F. Ranalli, in Rass. critica d. letterat. ital., XXVIII(1923), pp. 253-71; XXIX (1924), pp. 120-136, 273-280.