ANGIOLINI, Luigi
Nacque a Seravezza (Lucca) il 7 marzo 1750 da Giuseppe e da Anna Salvi da Pietrasanta. Fatti i suoi primi studi in Versilia, frequentò prima l'università di Pisa, quindi quella di Padova, nella quale seguì le lezioni del fisico Giuseppe Toaldo, divenuto poi suo amico, e dove compì i corsi universitari. Tornato a Pisa, frequentando il salotto di Lucrezia Monti poté venire a contatto con alcuni degli uomini di cultura più illustri di Toscana, Angelo Fabroni, Vincenzo Manfredini, Vittorio Fossombroni, Giovanni Battista Casti, Francesco Maria Gianni. Cercò di avere un impiego alla corte del granduca Leopoldo I, ma non poté ottenerlo perché ritenuto di idee troppo avanzate. L'A. decise pertanto di lasciare la Toscana, e fra il 1781 e il 1783 viaggiò nel Veneto e nella Lombardia: a Padova strinse amicizia col celebre medico Giovanni della Bona e con Melchiorre Cesarotti; a Venezia frequentò i salotti eleganti e particolarmente quello di Anna Morosini, con la quale restò poi a lungo in corrispondenza; a Milano, dove conobbe il Parini, fu assiduo in casa della marchesa Paola Castiglioni. Ritornato a Pisa nel 1783, presto ne ripartì alla volta di Napoli, dove sperava di ottenere un impiego alla corte della regina Carolina; ma la sua speranza andò delusa per l'ostilità di lord Acton, e l'A. si dette allora per alcuni anni a una assidua attività pubblicistica, su argomenti vari di finanza, industria, commercio e arte. Nel 1787 riuscì a partire con la missione diplomatica napoletana dell'ambasciatore B. Forteguerri, diretta in Inghilterra. Imbarcatosi nell'autunno di quell'anno, l'A. poté visitare dapprima la Spagna e il Portogallo, quindi con più agio l'Inghilterra e la Scozia, e nel viaggio di ritorno via terra l'Olanda e la Francia: era ancora a Parigi sulla fine del 1788 e il principio del 1789. Col titolo di Lettere sopra l'Inghilterra, la Scozia e l'Olanda, l'A.pubblicò nel 1790 a Firenze, presso Pietro Allegrini, la sua relazione di viaggio, che conteneva in due volumetti solo le lettere sull'Inghilterra e la Scozia.
In Inghilterra l'A. ebbe modo di conoscere A. Smith, il Robertson e altri membri della Royal Society of Edinburgh, il famoso centro di studi sociali fondato nel 1783. Agevolato dalla conoscenza della lingua, da letture specifiche sulla società e sulla cultura inglese e da una non mediocre preparazione in questioni politiche, amministrative, economiche, egli seppe essere un osservatore attento dei fatti che gli si presentavano, sebbene alieno dall'indulgere ai piccoli aneddoti e ai quadretti di colore, mai precipitoso nel trarre conclusioni definitive. La sua relazione unisce alla ricchezza der'informazione l'esame delle origini storiche dei fenomeni considerati. Gli aspetti della vita inglese studiati dall'A. vengono a formare un quadro nel quale la nota dominante è data dall'interesse vivissimo per il grado di libertà raggiunto da un popolo verso il quale, essendo ormai da tempo superati i pregiudizi religiosi che ne avevano impedito il giusto apprezzamento nei paesi cattolici, si rivolgeva la simpatia degli uomini di cultura sinceramente affezionati al progresso civile. La funzione della stampa come garante di libertà politica, la costituzione e i compiti del partito di opposizione, le stesse limitazioni della libertà, l'educazione dei bambini, le grandi università di Cambridge e di Oxford, il movimento dei quaccheri, i caratteri di una città industriale come Manchester, le idee di Adamo Smith, che l'A. fece conoscere, sia pure in forma un po' approssimativa, in Italia, sono fra gli argomenti salienti dell'interpretazione che l'A. ha dato della vita inglese.
Ma il suo consenso per gli istituti liberali inglesi era senza infatuazioni, dato che l'A. considerava il grado di civiltà raggiunto dagli Inglesi come quello di una nazione arrivata al limite estremo di maturità e minacciata nella vita dello spirito dal pericolo di sterilità, che può sopravvenire ai popoli che godono dell'estrema opulenza e dell'estrema felicità. E anche quando egli istituiva confronti fra le condizioni dell'Italia e quelle dell'Inghilterra, non perdeva mai di vista la forte differenza di sviluppo storico dei due paesi. Anzi, la conoscenza dei costumi inglesi portava l'A. a proporre alcune soluzioni dei problemi italiani che, per il tempo in cui furono scritte, suonano come anticipazioni di idee che sarebbero state dibattute dai patrioti liberali del secolo XIX. Così, per esempio, considerando la divisione dell'Italia in tanti stati, l'A. non solo proponeva un sistema di alleanze doganali, ma esprimeva la speranza di un'unità italiana più profonda.
Osservatore politico e moralista volle dunque essere soprattutto l'A., anche se non mancano nella sua relazione alcune parti, che restano però marginali, dedicate al paesaggio e all'arte: notevoli per questo aspetto sono le lettere sul paesaggio scozzese, nel quale, non senza compiacimento, egli veniva scoprendo quel pittoresco e quel sentimentale che, grazie alla grande diffusione dei Canti di Ossian, erano ormai entrati nel patrimonio della cultura europea. Per temperamento, per cultura, per il fondo illuministico della sua formazione, l'A. però dimostrò acume e impegno più forti nei ritratti di personaggi famosi od oscuri, con i quali ebbe rapporti; importanti quelli di W. Pitt e di W. Robertson, di H. Blair, A. Smith e H. Mackenzie.
C'è da rammaricarsi che l'A. non scrivesse la relazione sull'Olanda, promessa nel titolo del libro. Egli ha invece lasciato alcune pagine sulla Francia, scritte durante il soggiorno a Parigi nel 1788 e 1789: esse sono molto interessanti per il ritratto che danno della situazione del paese alla vigilia della Rivoluzione, caratterizzata da un fermento politico, che però, secondo l'A., avrebbe potuto portare a delle sommosse, mai a un rivolgimento profondo.
L'A. venne distolto dallo scrivere la relazione sull'Olanda non solo dalla scarsa fortuna incontrata dai due primi volumetti della sua opera, ma anche dal fatto che proprio nel 1790 egli trovò quella sistemazione pratica che meglio si confaceva al suo ingegno e ai suoi interessi: ottenne infatti un impiego nell'ufficio degli Affari Esteri di Toscana, con il quale ebbe inizio una attiva carriera diplomatica. Nel 1794 il granduca Ferdinando III lo nominò incaricato di affari a Roma, e l'anno seguente l'A. prese possesso del suo ufficio. Non facili furono i rapporti con la corte pontificia, della quale, come risulta dalle lettere inviate a Firenze, egli criticava la politica retriva. Quando poi scoppiarono i tumulti antifrancesi, in seguito ai quali Giuseppe Bonaparte, inviato dei Direttorio, decise di lasciare Roma (1797), l'A. insieme con l'ambasciatore spagnolo José Azara molto si prodigò durante la grave crisi diplomatica apertasi tra la Santa Sede e la Francia, e rese tali servigi nel tutelare gli interessi dei sudditi francesi che il Direttorio gli espresse ufficialmente la sua riconoscenza: su richiesta dello stesso Direttorio il granduca Ferdinando III lo inviò, il 16 febbr. 1798, quale ministro di Toscana a Parigi, in sostituzione del principe Neri Corsini. A Parigi l'A. difese la causa del papa Pio VI; quando poi il granduca fu cacciato dalla Toscana, l'A., con l'aiuto del Talleyrand, che gli era amico, riuscì a risparmiargli l'avvilimento di essere portato come ostaggio nella capitale francese. Chiamato a Vienna nel 1801 da Ferdinando III, che in seguito al trattato di Lunéville aveva avuto, in risarcimento del granducato, l'arcivescovato di Salisburgo e un piccolo territorio vicino, l'A. ebbe l'incarico di ottenere per il suo signore condizioni più favorevoli. In effetti, dopo il trattato di Presburgo (1805), il granduca ebbe il vescovato di Wúrzburg e il ripristino del titolo di granduca, e solo per le opposizioni dell'Austria l'A. non poté fare in modo che gli venisse costituito uno stato nei territori già appartenenti alla Repubblica di Venezia.
Nonostante le lusinghe di Napoleone, l'A. non volle abbandonare il suo sovrano, del quale continuò ad essere ministro in forma ufficiosa presso il governo francese; per desiderio del Bonaparte si era però adoperato nel 1803, insieme con il cardinale G. B. Caprara, a negoziare il matrimonio di Paolina Bonaparte con il principe Camillo Borghese: di quelle trattative resta l'esauriente documentazione nella corrispondenza con il Borghese, continuata anche dopo il matrimonio del principe.
Rientrato nel 1809 in Italia, fu nominato presidente dell'Assemblea elettorale di Seravezza, ma invano sperò di venire eletto senatore dell'Impero. Si allontanò allora sempre più dalla vita politica, e trascorse gli ultimi anni nella sua villa di San Cristofano (Seravezza).
Morì il 14 luglio 1821.
Opere: Lettere sopra l'Inghilterra, la Scozia e l'Olanda, Firenze 1790 (anonime), unica ristampa moderna a cura di G. Di Pino, Milano 1944: vi sono omesse le lettere XIV e XV della II Parte, sui montanari della Scozia (scarse e del tutto inesatte le notizie biografiche date dal curatore); B. Sancholle-Henreaux, Le chevalier L. A., diplomate toscan (1750-1821). Correspondance. A. et le prince C. Borghèse. Le mariage de Pauline Bonaparte (1803-1821), Paris 1913 (con Notes biographiques); Notes de voyage de L. A., in Nouvelle Revue d'Italie, 25 nov. 1921, pp. 326-346.
Bibl.: G. Sforza, Un aneddoto sconosciuto della contessa d'Albany, in La Domenica del Fracassa, Roma, 18 genn. 1885; Id., F. Pananti e gli avvenimenti toscani dei 1798, in Arch. stor. ital., s. 5, t. III (1890), pp. 71 ss.; Id., Il Pananti in Inghilterra con tre lettere inedite all'A., in Giorn. stor. d. letterat. ital., XIX(1892), pp. 389-396; G. Mattei, Un diplomatico seravezzese, Pietrasanta 1893; G. Ortolani, Gli italiani alla scoperta dell'Inghilterra, in Il Marzocco, 26 aprile 1914; P. Parducci, Il matrimonio di Camillo Borghese con Paolina Bonaparte nel carteggio di L. A. diplomatico toscano, Cremona 1932; G. Ferretti, Bonaparte e il granduca di Toscana dopo Lunéville, Genova-Roma-Napoli-Città di Castello 1947, passim; E. Bonora, Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, Milano-Napoli 1951, pp. 1059-1067; L. Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma 1953. pp. 83-86, 90, 109 s.