AQUINO, Luigi Antonio d'
Nacque a Cosenza il 21 genn. 1771 da Tommaso Maria, patrizio di Tropea, del ramo cosentino(detto dei signori del feudo "Venere") della famiglia d'Aquino di Capua, cui un discreto benessere economico aveva assicurato un pingue fidecommesso, recatogli in dote nel 1769 dalla moglie Marianna Mangone. Perduto il padre nel 1785, quando aveva appena quattordici anni,fumandato a Napoli a studiare nel Collegio dei nobili, e nella capitale frequentò anche le lezioni del conterraneo abate Salfi. Ma, più che l'interesse per le lettere, nell'A. dovettero prevalere la simpatia per una vita avventurosa come quella militare che suo padre aveva abbracciata in gioventù, da scapolo, militando come tenente nel reggimento "Calabria", nonché l'amore per la libertà e per gli ideali politici importati dalla Francia, che aveva ricevuto alimento dall'insegnamento filosofico impartitogli dal Saffi, prossimo a divenire giacobino, e forse anche dalle esperienze nello stesso campo che dovette fare in famiglia, in Calabria, nei suoi incontricon Pasquale Galuppi, dal 1794 marito di sua sorella Barbara. Infatti, all'arrivo dei Francesi nel Mezzogiorno, nel gennaio 1799, aderì subito alla Repubblica napoletana e, sino all'ingresso nella capitale del cardinale Ruffo, fece parte delle sue scarse truppe, dapprima come tenente degli usseri, poi come capitano della Legione calabra. Si attuava così la sua definitiva conversione politica, ed aveva inizio la sua carriera militare, che, continuando per ventidue anni, senza intenzioni, su vari teatri di guerra europei, sarebbe terminata soltanto alla vigilia della sua morte.
Alla fine della Repubblica napoletana, dopo la capitolazione del castello di Sant'Elmo, nel quale egli aveva cercato un riparo, travestendosi da soldato francese sfuggì alla cattura da parte della polizia borbonica e, presa la via dell'esilio, ottenne di essere ammesso dapprima nella Legione italiana e poi nell'esercito della Repubblica italiana, raggiungendo il grado di capitano di fanteria. Così, tra la fine del 1800 e i primi dell'anno seguente, militò nell'esercito comandato dal Macdonald, distinguendosi nella conquista di Trento. In seguito, fu agli ordini del Murat nell'Italia centrale e fece parte delle truppe italo-francesi, che, prima e dopo Amiens, occuparono a due riprese una parte del Regno napoletano. Finalmente nel 1805, fu al blocco di Venezia e al passaggio dell'Adige riportò una ferita al piede sinistro.
A facilitargli la carriera sopraggiunse poi l'insediamento sul trono napoletano della dinastia napoleonica, che diede al Mezzogiorno una nuova vita politico-militare, nonchélapossibilità di riavere un esercito indipendente; e di questo esercito l'A. fece parte sin dai primi tempi della sua formazione. Nominato capitano aiutante maggiore del I reggimento di linea il 23 giugno 1806, promosso capobattaglione il seguente 1°dicembre, seguì il proprio corpo dapprima in Lombardia, ove questo fu trasferito nel luglio 1807 per completarvi la propria organizzazione, e poi in Spagna, ove, nel febbraio 1808, il reggimento fu destinato all'armata di osservazione dei Pirenei orientali, comandata dal generale Ph.-G. Duhesme. E dal 17 maggio seguente, allorché a Barcellona e nella Catalogna, come nel resto della Spagna, scoppiò la rivolta contro la "traditrice" occupazione francese, fu impegnato nella sua repressione, che si risolse in una spaventosa guerra civile.
Delle imprese compiute dal suo reggimento nel 1808 e nei primi nove mesi dell'anno seguente dà ampia notizia il Giornale delle operazioni militari della Catalogna, ove si è trovato il I reggimento di linea napoletano, che egli firmò, ma che fu opera dei suoi ufficiali Gabriele Pepe e Prete (copia manoscritta nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria). Nei suoi riguardi basterà dire che, in una relazione al Murat dell'11 genn. 1809, il Duhesme si disse "très satisfait" della sua condotta durante tutta la campagna.
Ritornò in patria dopo essere stato promosso maggiore nel suo reggimento (28 ag. 1809). E nel Regno fu successivamente maggiore dei Veliti a piedi della Guardia reale (2 marzo 1810), colonnello del II di linea (24 nov. 1810), barone (10 genn. 1811), maresciallo di campo (3 luglio 1813). E con questo grado partecipò alle guerre italiane del 1814 e del 1815 al comando di una delle brigate della divisione affidata al generale D'Ambrosio. Ma la fortuna gli voltò le spalle quando (2maggio 1815) fu chiamato a sostituire quest'ultimo, che una ferita aveva obbligato ad abbandonare il campo di battaglia di Tolentino: forse non fu pari al compito affidatogli, forse al momento cruciale non ebbe dal Murat quanto gli sarebbe stato necessario, in uomini ed armi, per battere gli Austriaci a Cantagallo, forse agirono l'uno e l'altro motivo. Certo si è che lo scontro fu disastroso per i Napoletani.
Il Blanch nelle sue pagine sulla battaglia di Tolentino espresse questo giudizio salonionico: "Gioacchino fu malcontento del generale D'Aquino; l'armata partecipò a questo sentimento e tutti deplorarono che la ferita del generale D'Ambrosio avesse privato la sua divisione di un capo che tra le sue diverse qualità possedeva quella di suscitare nelle azioni vivaci impressioni, come espressamente si opinava. Io credo che i mezzi che si erano assegnati per questa operazione non avevano la superiorità di forze che deve avere un attaccante contro un attaccato in una buona posizione... Il generale D'Ambrosio non poteva cambiare i dati di fatto; ma, di certo, lo slancio che avrebbe opposto alle truppe avrebbe, se non decisa la vittoria, dato alla sconfitta un carattere sanguinoso di valore ed avrebbe conseguito uno dei grandi oggetti che restavano ai Napoletani, che era quello, non potendo vincere, di farsi rispettare dai vincitori".
Per l'A. molto gravi sarebbero potuti divenire gli strascichi del disgraziato scontro, poiché alcuni suoi negativi apprezzamenti sull'esito della lotta, che è da ritenere esprimesse per rancore verso il re, che non lo aveva ascoltato nelle sue richieste, e l'ostilità di qualche suo collega, che lo denunziò, provocarono il suo arresto e il suo deferimento a un consiglio di guerra "per avere sparso voci allarmanti che portavano allo scioglimento dell'esercito". Ma proprio questo scioglimento lo salvò.
Alla restaurazione l'A. fu confermato nel grado, al pari degli altri ufficiali murattiani protetto dal trattato di Casalanza; e molto probabilmente dal Carrascosa, accanto al quale aveva combattuto in Spagna, fu proposto per la carica, datagli poi il 21 luglio 1815, di comandante di una brigata della I divisione attiva. Dipoi gli fu affidato l'incarico di riorganizzare alcuni reggimenti del nuovo esercito borbonico; e durante il regime costituzionale del 1820-21ebbe qualche comando territoriale. Infine, la morte lo sorprese il 27giugno 1822, quando, imperversando la reazione che era seguita a quel regime, ormai non faceva più parte dell'esercito.
Fonti e Bibl.: Per la data di nascita dell'A. cfr. Arch. di Stato di Napoli, L. Serra di Gerace, Mss. nobiliari, V,1628. Per la sua carriera militare, ibid., Segreteria Guerra, ff.1335 e 2239, e Arch. di Stato di Milano, Ministero Guerra, cart. 386. Per la sua partecipazione alla guerra di Spagna, cfr. N. Cortese, L'esercito napoletano e le guerre napoleoniche, Napoli 1928, pp. 43 ss. Per la guerra del 1815, cfr. Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero: F. Fignatelli di Strongoli, a cura di N. Cortese, Bari 1927, passim; P. Cofietta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1951, II, passim; Weil, Joachim Murat roi de Naples. La dernière année de Règne, Paris 1909-1910, passim; L. Blanch, Scritti storici, a cura di B. Croce, I, Bari 1945, pp. 337 ss. Cfr. inoltre M. D'Ayala, Le vite de' più celebri capitani e soldati napol., Napoli 1843, pp. 275-296 e F. Scandone, D'Aquino di Capua, in P.Litta, Famiglie celebri d'Italia.