BALLARINI, Luigi
Di famiglia cittadina, nacque a Venezia nella prima metà del sec. XVIII. Di lui il Barozzi ricorda, ma senza portare prove o notizie, "la lunga pratica nelle segreterie dei magistrati", nella carriera cioè di funzionario ch'era la tradizionale destinazione riservata ai cittadini veneti; in questa pratica d'affari e d'ufficio è probabile avesse messo insieme quell'esperienza che lo condusse a diventare (non sappiamo in che anno, ma certo molto prima del 1780 per la già lunga dimestichezza e confidenza che trapela dalle lettere sue di quest'anno al suo padrone) "agente generale e procuratore" della famiglia Dolfin, e in particolare di Daniele, patrizio abbastanza autorevole e noto dell'aristocrazia veneziana.
Le mansioni di tale ufficio, che andavano fino alla minuta serie degli affari e degli interessi quotidiani d'una ricca famiglia patrizia veneziana, ai contatti con i fattori di campagna, con i fornitori, e che portavano il "procuratore" a diventare quasi un uomo della famiglia, furono in modo particolare sfruttate e rivestite d'un abito di domestica confidenza dal B., il quale era dìvenuto rapidamente, secondo quanto afferma giustamente il Barozzi, "intimo confidente politico" del suo padrone.
Quando Daniele Dolfin, nel 1780, se ne partì da Venezia, designato a rappresentare la Serenissima alla corte di Parigi sino al 1786, e da questa data al 1792 svolse le stesse mansioni alla corte di Vienna, l'animo naturalmente osservatore, intrigante e pettegolo del B. si rivelò cogliendo a volo la grande occasione. Scrisse così al patrizio, con ininterrotto zelo, tutte le notizie, le indiscrezioni, le vicende importanti e le più minute della vita veneziana di quegli anni. Raccoglitore inesausto di un materiale, come quello dell'indiscrezione politica e familiare, quanto mai abbondante nella Venezia settecentesca, conduceva il padrone, con le sue lunghe missive, nei retroscena del Senato non meno che nelle camere delle più note dame veneziane, lesto l'occhio e pronto l'orecchio alle prime avvisaglie d'una elezione politica come alle velate insinuazioni d'un piccante tradimento. Questa nutrita cronaca epistolare, conservataci intatta e ben ordinata in sei grossi volumi, è bastata a salvare dall'oblio il nome del pettegolo agente di Casa Dolfin, la cui biografia continua a celarsi dietro lo schermo della corrispondenza e del quale si ignora persino la data di morte.
Meglio e prima che un esame critico del suo valore, la lunga corrispondenza del B. va ricordata oggi, e rapidamente riesaminata, per il ruolo ch'essa ricoprì nelle vicende della storiografia sul Settecento veneto. Pettegoli divertenti e mediocri come lui, accettati e considerati quali testimoni autorevoli e determinanti per la ricostruzione delle vicende storiche di quel tempo, condussero a quella storiografia casanovista e salottiera che ancora oggi continua a velare di fumi frivoli la complessa e ben altrimenti drammatica e seria realtà della storia veneta di quell'epoca. Imbattutosi in quelle lettere, Fabio Mutinelli, detrattore per albagia moralistica, le usò, accanto alle memorie del Casanova e alle opere di più intenso spirito satirico del Goldoni, quale trama fondamentale delle sue Memorie storiche degli ultimi cinquant'anni della Repubblica Veneta, tratte da scritti e da monumenti contemporanei (Venezia 1854), traendone probanti elementi per una visione polemica ed una meschina condanna dell'intero Settecento veneziano. Ma a cogliere i limiti di tale visione e insieme della testimonianza storica del B., più che la replica troppo sentimentale e generosa di Girolamo Dandolo (La caduta della Repubblica Veneta e i suoi ultimi cinquant'anni, Venezia 1855), vale il largo e documentato intervento di Pompeo Molmenti (Un maldicente, in Studi e ricerche di storia e d'arte, Torino-Roma 1892, pp. 245-350), che, dopo aver abbondantemente citato dalle lettere ballariniane, fissava con carica piuttosto polemica il profilo dello scrivente che da esse emergeva, condannandone la "malignità unita a servilità" di "cinico millantatore, che ora adula e ora calunnia, tutto dedito a piacere al suo padrone e a guadagnarselo" (p. 254); rivendicando nel contempo ben altra complessità di problemi politici e morali a quel mondo tanto unilateralmente ritratto dal fido agente di Casa Dolfin.
Riaperti oggi, quei sei volumi offrono l'occasione di una spigolatura ancora utile di minute notizie e d'indiscrezioni, ma si rivelano definitivamente testimonianza minore di storia minore. Se un significato vero esse ancora hanno per una più matura e cosciente considerazione di quell'epoca, questo sta proprio nel loro spirito d'intima indifferenza, nel segno ch'esse portano di uno scetticismo che cerca d'ingannare il tempo. Scriveva il B. in una lettera del 1785: "Venezia diventa sempre più un paese curioso e dove non vi è bussola per navigare".
Fonti e Bibl.: I sei volumi di lettere del B. furono donati nell'800 dal nobile T. Toderini alla Biblioteca del Museo Civico Correr di Venezia, dove ora si trovano, Mss. P. D., 255 b-256 b; le lettere arrivano sino all'anno 1789, non coprono cioè il periodo dell'intera ambasciata del Dolfin a Vìenna, durata sino al 1792, non si sa se per lo smarrimento d'una parte di esse (il frontespizio d'uno dei volumi fa arrivare le lettere sino al 1792) o per l'interruzione della corrispondenza per cause a noi ignote. Due lettere pubblicò N. Barozzi, IConti del Nord a Venezia,Venezia 1870; il saggio del Molmenti è stato ristampato col titolo Venezia nel tramonto della Repubblica (Dall'epistolario di L. B.), in Epistolari veneziani del secolo XVIII, Milano-Palermo 1914, pp. 3-91.