BARTOLINI, Luigi
Nacque a Cupramontana (Ancona) l'8 febbr. 1892 da Giuseppe e da Vittoria Bonci, che vi conducevano una fattoria. Terminate le scuole medie, venne mandato a Roma, dove frequentò l'Accademia di Belle Arti, quella di Spagna e i corsi universitari di lettere e di medicina. Passò quindi a Siena e a Firenze, dove espose le sue prime acqueforti, cominciate i incidere nel 1914. Del 1915 sono anche i primi suoi versi, I parenti, ripubblicati più tardi con altri. Scoppiata la guerra italo-austriaca, il B. partì per il fronte come ufficiale di artiglieria, e vi rimase per tutta la durata del conflitto, meritandosi una medaglia al valore. Le esperienze di quegli anni gli ispireranno poi le pagine di Il ritorno sul Carso (pubbl. a Milano nel 1930).
Tornato nelle Marche, riprese a disegnare, incidere, dipingere e scrivere: attività che in lui procederanno sempre insieme, secondo una comune tematica (sì che il passaggio dall'una all'altra non parrà che una questione di differenza del mezzo espressivo, di tecnica), e con pari fecondità. E sebbene il suo carattere estroso e scontroso a un tempo, amante della solitudine e avverso ad ogni proselitismo e conformismo, lo portasse ad atteggiamenti bruschi e talora intemperanti verso mode, gruppi e scuole, non tardarono i riconoscimenti delle sue doti di artista e di scrittore, quali sempre meglio si venivano manifestando sia in mostre personali o collettive, sia attraverso la collaborazione a riviste e giomali, variante dal racconto o dalla "prosa d'arte" ai versi, e agli articoli polemici o satirici. Ma la piena affermazione del suo nome avvenne col volume Passeggiata con la ragazza (Firenze 1930), che raccoglie appunto i più felici di quei racconti e prose, accompagnati da riproduzioni di suoi disegni e acqueforti.
Frattanto il B. aveva intrapreso la carriera dell'insegnamento, come professore di disegno, prima in scuole private, poi in statali, mutando spesso di sede, sia per la sua scarsa adattabilità a questo o quell'ambiente, sia soprattutto perché, non essendo favorevole al fascismo, il trasferimento corrispondeva a un più o meno palese provvedimento disciplinare a suo carico (così nel 1933 dopo alcuni mesi di confino politico, fu trasferito da Osimo - a lui particolarmente cara, e nella quale aveva dimorato più a lungo - a Bari, e, nel 1934, da Bari a Merano); finché nel 1939 venne comandato all'Istituto d'arte di Roma. Comunque, a quei volume fortunato parecchi altri ne aveva fatti seguire, consolidando la sua rinomanza: La vita dei morti, poemetti, liriche, satire (Foligno-Roma 1931); Il molino della carne, prose e racconti (Milano 1931); L'orso ed altri amorosi capitoli (Firenze 1933); Modì,saggio sul pittore Modigliani (Venezia 1938); Meccanico gigante, saggi e polemiche sull'arte (Venezia 1939); Polemiche (Milano 1940); Follonica ed altri quattordici capitoli ad umore amoroso, prose e racconti (Genova 1940).
La seconda guerra mondiale e gli anni confusi del dopoguerra trovano il B. ancora operoso, ché ai tempi avversi, come già alle traversie di carattere intimo, familiare, egli reagisce facendo più che mai dell'arte la ragione della propria vita. E sono di questo periodo i suoi libri più ricchi, più belli, dai racconti di Il cane scontento (Roma 1942), dalla Vita di Anna Stickler (Roma 1943) e dal romanzo Ladri di biciclette (Roma 1946; n. ediz., Milano 1948) - che il film trattone da C. Zavattini per la regia di V. De Sica contribuirà a rendere popolare - alle poesie di Pianete (introd. di G. Spagnoletti, Firenze 1953). Un crescente successo arride anche ai suoi quadri e alle sue acqueforti, che entrano a far parte delle maggiori gallerie italiane e straniere; mentre la sua collaborazione giornalistica si estende ai quotidiani più importanti (Corriere della sera, La Stampa, Il Resto del Carlino, ecc.) e i suoi interventi polemici si acuiscono contro le nuove scuole e certe forme degenerative dell'arte (Il polemico, Firenze 1959). Riconoscimenti ufficiali e premi si moltiplicano nei vari campi dell'attività del B.; e nel 1959, con Il mazzetto, libro misto di prose e poesie, in parte inedite, l'editore Mondadori inizia la pubblicazione di tutte le sue opere. Ma un grave male, che lo aveva colpito ancora nel pieno delle forze, lo spense, in Roma, il 16 maggio 1963.
Il B. si vantò di far parte, come ogni autentico artista, per se stesso, e a ragione; ma, appunto come ogni artista, ha i suoi rapporti e le sue affinità con il clima e le esperienze in cui è maturato. Che sono il clima e le esperienze del movimento, o meglio, del periodo della Voce. Quel suo scrivere a confessione, e quasi a sfogo di sé; quel gusto per il diario lirico, contaminante un po, tutti i generi; quell'umore polemico, d'una polemica che coinvolge arte e morale e predilige modi da "stroncature"; quell'alacre impressionismo che sgretola e insieme rinnova le forme narrative tradizionali anche quando sembri passivamente accettarle; quella stessa pratica di altre arti oltre la letteraria; quell'aria brava, quello spirito da "irregolare" che pone la poesia e l'arte (con un fervore che ancora sente di romanticismo) a principio della creazione; infine quegli stessi residui di un verismo ottocentesco, ricondotti peraltro nell'ambito di una compiaciuta autobiografia; quell'amore alla natura e insieme al proprio io, che si traduce in un paesismo luminoso con il proprio autoritratto in filigrana: queste e altre caratteristiche del B. stanno a provare quelle affinità (per non dire della consuetudine da lui avuta con alcuno degli scrittori di quel periodo, come il Campana; né della sua nostalgia per quella stagione che parve, dopo l'estate dannunziana, così promettente di germogli). Ma come non bisogna insistere su tali legami più di quanto occorra per un generale orientamento, così non bisogna scambiare quella "irregolarità" che è in lui. per una facile istintività. Le licenze, le sprezzature, gli anacoluti che appaiono così frequenti nella sua pagina, se talvolta dipendono da- una foga mal contenuta, o da insufficienza di lima, sempre però, potendo vantare modelli illustri, specie cinquecenteschi (dall'Aretino al "marchigiano" Annibal Caro), fanno mostra come di una doratura antica.
Padronanza dei propri mezzi, e ricchezza di temperamento, che si manifestano anzitutto in quel saper ricavare sempre nuove possibilità espressive da così scarsi motivi, e così semplici, quali sono i suoi crucci di poeta o (come egli dice) di "celeste bandito" alle prese con la società, con le sue convenzioni e ipocrisie; la sua simpatia per i diseredati, gli esiegi, gli zingari; il suo amore agli animali, specchio della vita istintiva; la sua tenerezza fra sensuale e sentimentale per la donna (specie se di umile condizione), come per la creatura più vicina allo stato naturale, a quel beato mondo agreste dove la Natura e Dio (un Dio a momenti simile a una divinità pagana) più sembrano operare. Motivi che vengono ripresi e modulati dal B. ora alternativamente ora contemporaneamente sulla duplice corda del risentimento e dell'abandono, della satira e dell'idillio, con una insistenza a tratti ossessiva. Ma in tanta apparente staticità e medesimezza, il nuovo è di volta in volta costituito dall'intensità dei sentimenti o dalla varietà degli umori con cui quella duplice corda viene fatta vibrare, e da quel tono che, per essa, ogni nota, anche risaputa, finisce con assumere.
Il tono dei primi libri, in cui evidenti erano le tracce dell'impressionismo vociano, si è venuto facendo, specie in quelli prevalentemente narrativi (oltre ai già ricordati, sono da citare: Ragazza caduta in città, Città di Castello 1945; Amata dopo, Pisa 1949; Il mezzano Alipio, Firenze 1951; Signora malata di cuore,Firenze 1954), Più disteso, più articolato, pur conservando alla sua radice quel fermento di diario o, meglio, di zibaldone, che dona alle cose osservate o rievocate una allusività di rifrazione. Mentre, nei versi (Poesie ad Anna Stickler, Venezia 1941; Pianete, cit., del 1953; Ombre fra le metope, Milano 1953; ecc.), quel tono è venuto più accostandosi al narrativo-descrittivo o, talora, all'elegiaco (come in certe poesie per la figlia Luciana), che non a propendere per l'epigrammatico (come in Poesie e satire, Roma 1944, o in parecchi suoi versi giovanili). Conforme, del resto, a quel rapporto di complementarità che nel B. c'è fra prosa e poesia: onde questa sorge, e si distingue, da quella per la necessità di una più intensa e scandita pronunzia dei comuni motivi (comuni, s'è accennato anche all'opera dell'acquafortista e del pittore: come quelli riguardanti Anna Stickler).
Certo, col passare degli anni e l'accentuarsi del pensiero della morte, quel tono perde qualcosa della alacrità e del vigore che fanno della Passeggiata con la ragazza o del Cane scontento opere fra le più genuine della letteratura contemporanea. Ma sta il fatto che la misura più compiuta di sé il B. la fornisce (anche nell'ultimo libro: Le acque del Basento, Milano 1960) quando i suoi motivi mettono capo a visioni o ricordi di paesaggio, specie di quella terra marchigiana alla quale è legata tanta parte della sua giovinezza e della sua poetica autobiografia. Allora la sua scrittura, non ricca di lessico e sobria di colore, ma modernamente mossa e franta, trova il correttivo alla sua ridondanza, classicamente, per virtù di sintassi.
Il B. aveva incominciato a incidere all'acquaforte nel 1914; dopo l'intervauo della prima guerra mondiale, ricominciò nel 1919, per dedicarsi interamente a quell'arte, di cui tante volte scrisse con appassionata partecipazione, alternando segni e parole in una totale unità di visione. Coglieva i primi successi, nel 1932, alla mostra dell'incisione italiana a Firenze, dividendo il massimo premio con G. Morandi e con U. Boccioni (alla memoria) e, nel 1935, alla seconda Quadriennale romana, vincendo il premio per la migliore acquaforte.
Il B. aveva dedicato uno studio severo ai grandi incisori del passato, alle differenti tecniche e alle differenti maniere, acquistando una conoscenza ben rara sulla preparazione delle lastre, sulle morsure, sulla stampa, fatta magari sul torchio casalingo e su carte di fortuna. Fino al 1936, cioè nel momento più felice della sua attività d'incisore, aveva inciso oltre duecento lastre, in vari stati e talora in prove uniche. E delle stampe proprie e di quelle di Rembrandt, di Goya, di Fattori e di Signorini aveva scritto più volte, con analisi rivelatrici dei mezzi espressivi e con riferimenti letterari alle cose rappresentate.
Il B. disegnava spesso direttamente sulla lastra paesaggi, nature morte e figure, i personaggi di un mondo legato alla terra, in un gioco di luci diffuse e di ombre misteriose. Le figure hanno ciascuna un proprio ritmo, tracciato con una punta agile e sensibile, che coglie la grazia o il vigore con uguale evidenza. L'abitudine all'osservazione si rivela nella vitalità del segno. E il segno trascrive, al di là delle convenzioni espressive, il moto spontaneo della fantasia. Infatti, in molte lastre, l'intreccio delle linee si sovrappone senza confondersi e 'definisce successivi stati di un'immagine che si precisa fuori di ogni schema prestabilito. Mai la cultura soverchiò la naturalezza dell'ispirazione, sovrapponendo elementi linguistici estranei al suo modo di rappresentare o di evocare.
L'amore e la sensualità animano le donne, alle fonti o nei campi, tra le radure dei boschi "appoggiate alla finestra detta del "solitario", "distese nella penombra di una stanza intima" raccolta e un po, triste. La finestra del "solitario" illumina di luce discreta la meditazione dell'incisore o gli scatti improvvisi dell'umore lunatico. Tuttavia i suoi personaggi non son mai tormentati, allucinati, come le figure crudeli degli espressionisti ai quali il B. fu avvicinato, nel dopoguerra. Il "solitario" sfogava nei versi o negli scritti la violenza polemica: ma disegnava serenamente sulle lastre le sue scelte. Il B. ha saputo vedere le incisioni degli antichi, dal Mantegna al Tiepolo e al Piranesi, ma l'oriéntamento più sicuro, nell'ambito di una tradizione modema, severa nei riguardi del manierismo di carattere intemazionale, gli venne soprattutto dalle acqueforti di Morandi.
Il B. classificava l'opera grafica in "maniera bionda" e "maniera nera". Nella "maniera bionda" prevale la linea pura, di un tratteggio leggero, quasi senza intrecci, ispirata dalla ricerca della luce e dell'atmosfera, come nelle Fonti, nei Paesaggi delle Marche e della Sicilia, nelle illustrazioni per la Passeggiata con la ragazza.La massima ombra, in queste acqueforti, è un grigio, perché la visione è chiara, al modo degli impressionisti, di un segno quasi capillare. La nitidezza della linea sul bianco del fondo accenna a motivi di paesaggio (Veduta di Caltagirone e Strada di Ancona), che fanno ricordare davvero, come giustamente ha osservato L. Vitali (L'incisione ital. moderna, Milano 1934, p. 74), le silografie giapponesi. E alla "maniera bionda" appartengono altre lastre, di nature morte, tra le quali spicca Il fagiano (1936), che è forse una delle sue migliori incisioni. Poi, col passare degli anni, la puntasecca e l'acquaforte si accentuano sempre più nella linea e nel tratteggio, attraverso morsure più energiche, fino a raggiungere, nella "maniera nera", specie dopo il 1945, un tono aggressivo, molto vicino allo stile grafico degli espressionisti tedeschi.
Tra l*una e l'altra maniera vanno collocate altre stampe più sfumate o con carattere di rapide annotazioni, arabeschi della realtà, nelle quali si accenna ai nudi delle ninfe campestri, amate dal B., o ai particolari di ambiente disegnati con una grazia davvero amorosa.
Ogni elemento della realtà era approfondito nei caratteri essenziali e trasformato nella realtà poetica dell'incisione. In questo senso, I lepidotteri imbalsamati (1925), La ragazza alla finestra (1929), Lo scarabeo (1934), Dolce immagine della morte (1936) sono dei piccoli capolavori sulla linea di una grande tradizione grafica. I lepidotteri imbalsamati appartengono alla "maniera nera" e rivelano l'attento studio di Rembrandt, come, anni dopo, la Dolce immagine della morte. Alla scuola di Rembrandt il B. imparò il difficile segreto dell'arte incisoria, che riesce a superare i limiti del bianco e nero con la varietà dei mezzi dell'espressione grafica; a quella scuola poté acquistare la libertà (rivelata poi in tanti rovesci di lastra, disegnati d'un fiato) che fu di Goya, di Ensor e di Morandi. Un esempio di grafia senza pentimenti è Festa d'un santo in campagna (1925).
La tecnica dell'acquaforte ha un senso solo nel caso in cui le ricette e i procedimenti di laboratorio si annullino nell'unità dell'irnmagine poetica. Lo sapeva il B., quando in una delle sue incisioni più famose, Il ricordo d'una giornata di caccia. La morte del martin pescatore (1936),riuscì a fissare in una sintesi suggestiva vari momenti dello stesso racconto, in cui la contemplazione succede all'azione. Il martin pescatore dice tutto dell'arte del B. in un modo difficilmente superabile.
Nel secondo dopoguerra il B. riprende gran parte dei consueti motivi naturalistici e fantastici, ma il segno è più largo e profondo, l'atmosfera più cupa; la lirica serenità cede il posto a una sorta di concitazione violenta, come nel Diavolo (1951), nel Senso della notte (1959), nelle Odalische (1961). C'è la malinconia, il disgusto, il risentimento polemico; c'è il senso della morte e della disperazione dell'uomo che invecchia e che non si dimentica più nelle peregrinazioni di terra in terra, per campagne e per boschi, lungo fiumi e maremme. Il B. appare come appesantito: basti confrontare Donne a Fonte Maggiore (1953) con le Donne alla fontana (1937), per constatare la stanchezza della ripetizione.
Negli ultimi tempi, poi, il B. si mise a colorare le acqueforti, con un esito ambiguo, perché il colore era sovrapposto al tessuto grafico, alterando l'armonia del bianco e nero in modo irreparabile.
Fondamentalmente, il B. fu la rivelazione degli anni trenta, come scrittore e come incisore; fu l'interprete di un particolare momento dell'arte italiana, nel tentativo di superare l'involuzíone succeduta al periodo europeista di Valori plastici,mentre a Roma, con Scipione e Mafai, e a Milano, con Birolli, Manzù, Sassu e Guttuso, si tentavano nuove vie, meno vincolate alla tradizione delle scuole regionali. Col B., l'acquaforte, liberata dal simbolismo dannunziano e dal vedutismo accademico, diventava ancora una volta un mezzo efficace di espressione poetica. Dopo, fino alla morte, egli continuò a incidere con instancabile assiduità, chiudendosi in una solitudine amara e scontrosa, in polemica coi tempo, che gli era estraneo o avverso.
Oltre a quelle già citate, princ. opere a stampa: Il guanciale, liriche, Torino 1924; Le carte parlanti, acqueforti con una presentazione, ibid. 1931; Scritti d'eccezione, Pisa 1943; Manzù, monografia, Rovereto 1943; Sante e cavalle, 12 acqueforti e 2 capitoli, Roma 1944; Perché do ombra, libello, ibid. 1945; Della sottomissione, ibid. 1945; Scritti sequestrati, ibid. 1945; Decadenza della libertà di stampa, ibid. 1946; La Repubblica italiana, considerazioni e proposte, Milano 1946; Credo d'artista, Roma 1946; Orneore Metelli, Milano 1948; Il fallimento della pittura. Lettere dalla Biennale, 1948, Ascoli Piceno s.d. (ma 1948; Gli esemplari unici o rari, Roma 1952; Contropelo alla vostra barba, libello, Bologna 1953; Van Gogh: l'uomo, Milano 1953; Poesie per Anita e Luciana, ibid. 1953; Addio ai sogni, poesie e acqueforti, ibid. 1953; Poesie 1954, Firenze 1954; La caccia al fagiano, ibid. 1955; Antinoo, Roma 1955; Castelli romani ed altre passeggiate domenicali, Bologna 1955; Tre prose d'arte, Venezia 1957; La pettegola, racconti, Bologna 1959; Al padre ed altri versi, Milano 1959.
Bibl.: D. Garrone, Giornata con B., in L'Italia letteraria, s genn. 1930; Id., Passeggiata con la ragazza, ibid., 23 marzo 1930; G. De Robertis, Passeggiata con la ragazza, in Pègaso, maggio 1930 (poi in Scrittori del Novecento, Firenze 1940, pp. 107-110; Cfr. anche pp. 385-386); E. Cecchi, Passeggiata con la ragazza, in L'Italiano, 9 giugno 1930; M. Maccari, Passeggiata con la ragazza, in La Stampa, 10 ag. 1930; P.Pancrazi, Il ritorno sul Carso, in Corriere della sera, 17 sett. 1930; G. Ravegnani, Il ritorno sul Carso, in La Stampa, 11 ottobre 1930; A.Bocelli, recensione al Molino della carne, in Nuova Antologia, 10 genn. 1932, pp. 122-124; Omaggio a L.B., in Il Selvaggio, aprile 1933; E. Cecchi, Note alla Seconda Quadriennale, Roma 1935, pp. 26-28; V. Guzzi, in Nuova Antologia, 10 sett. 1935, pp. 158-160; G. Marchìori, L. B., Milano 1936 (con 30 tavv. e amplia bibi.); Filosofia naturale di L.B., in Il Selvaggio, 30 nov. 1937 (n. interamente formato di scritti e riproduzioni di acqueforti del B.); M. Masciotta, B. pittore, Firenze 1940; E. Falqui, Follonica, in Oggi, 28 sett. 1940 (poi in Novecento letterario, III, Firenze 1961, pp. 169-173); G. Visentini, B., Rovereto 1943; G. Petrucci - N. Bertocchi, B., Torino 1945; L. Venturi, L. B., in Mercurio, settembre 1945, pp. 109-125; A. Bocelli, Racconti, satire e poesie di B., in La Nuova Europa, 24 febbr. 1946; G. Marchiori, L. B., in Arte italiana del nostro tempo, Bergamo 1946, pp. 3-4; G. De Robertis, Ladri di biciclette di L. B., in Tempo (Milano), 2-9 ott. 1948; Id., Feroce B., in Nuovo Corriere, 24 marzo 1949 (poi in Altro Novecento, Firenze 1962, pp. 229-233); A. Bocelli, Le ninfe di B., in Il Mondo, 27 ag. 1949; A. Mezio, Rousseau, in bicicletta, ibid., 22 apr. 1950; C. Bo, Il mezzano Alipio, in La Fiera letteraria, 21 ott. 1951; G. Bellonci, recensione a Il mezzano Alipio, in Il Giornale d'Italia, 26 ott. 1951; G. De Robertis, Il mezzano Alipio di L. B., in Tempo (Milano), 10 nov. 1951; R.Frattarolo, in Rassegna di cultura e vita scolastica, aprile 1952; G. Manacorda, La narrativa italiana nel biennio 1950-1952, in Società, VIII (1952), V. 718; G. Spagnoletti, introduz. a Pianete, Firenze 1953, pp. 5-14; G. Bo, Pianete, in La Fiera letteraria, 22 marzo 1953; A. Bocchi, Pianete di B., in Il Mondo,16 maggio 1953; A. Mezio, La campagna e la città, ibid., 21; febbr: 1954; G. Marchiori, Acqueforti di L. B., Venezia 1956; V. Volpini, Prosa e narrativa dei contemporanei, Roma 1957, pp. 80 s.; A. Bocelli, Zibaldone di B., in Il Mondo, 16 giugno 1959; Id., Prose di B., ibid., 24 maggio 1960; G. Titta Rosa, recens. a La pettegola ed altri 19 racconti e a Le acque del Basento, in L'Osservatore Politico letterario, VI (1960), pp. 112 s.; L. Gigli, in Gazzetta del popolo, 17 maggio 1963; L. Carluccio, ibid., 17 maggio 1963; A. Bocelli, Poesia di B.,in Il Mondo, 4 giugno 1963; A. Mezio, La cartella dell'incisore, ibid., 4 giugno 1963; G. Raimondi, Il marchigiano B., in Il Resto del Carlino, 16 giugno 1963; Omaggio a L. B.(scritti di vari), in La Fiera letteraria, 14 luglio 1963; A. Mezio, in Catalogo della I Biennale nazionale d'arte contemporanea di Bari, Bari 1963; Id., Omaggio a B., in Il Mondo, 24 sett. 1963; L. Cecchi Pieraccini, L. B. e l'acquaforte, in Il Gazzettino, 31 ott. 1963.