BOCCHERINI, Luigi (Ridolfo Luigi)
Nacque a Lucca il 19 febbr. 1743, da Leopoldo e da Maria Santa Prosperi, nella casa dei Quilici, all'angolo di via Fillungo con via Buia, oggi via Boccherini.
La famiglia si trasferì poi in via delle Grazie (oggi via della Dogana), dove nel maggio 1864 fu murata una lapide-ricordo, poi rimossa.
Terzogenito di cinque figli (secondo Cerù e Lazzareschi, di sette: Maria Ester, Giovanni Antonio Gastone, Anna Matilde, Ridolfo, Riccarda e Gonzaga), da bambino ricevette la prima educazione musicale dal padre, stimato cantore (dal 1731 al 1741) nelle festività delle "Tasche", o comizi triennali lucchesi per l'elezione dei pubblici magistrati, e in quelle della S. Croce e suonatore di contrabbasso e di violoncello (dal 1747 al 1766) alla cappella Palatina.
Verso i nove anni, anche il B., come il fratello maggiore Gian Gastone, fu mandato dal padre a imparare musica come allievo esterno nel seminario arcivescovile di Lucca, dove gli fu maestro, sia di violoncello, sia di armonia e contrappunto, l'abate D. F. Vannucci, maestro della cappella. Nel 1756, appena tredicenne, era già in grado di suonare la parte di violoncello nel teatro e per le festività della S. Croce (come registrano i libri delle musiche che si eseguivano per questa ricorrenza, tuttora celebrata a Lucca). Nel 1757, per decisione paterna, si recò a perfezionare i suoi studi a Roma, quasi certamente alla scuola degli strumenti ad arco fondata da A. Corelli e presso il violoncellista e compositore G. B. Costanzi, maestro di cappella a S. Pietro in Vaticano. Poche notizie si hanno, però, di questo breve soggiorno romano, che tuttavia non mancò di suscitare in lui un maggiore interesse per la musica polifonica e di favorirne una più profonda conoscenza.
Un ricordo dei suoi studi a Roma si trova, comunque, in una supplica dal B. rivolta ai Signori del consiglio della Repubblica lucchese per essere accolto fra i musici della cappella Palatina, in modo da avere "qualche sollievo per il suo onesto mantenimento" (manoscritto in Arch. di Stato di Lucca, Scritture 1764, fol. n. 383. Consiglio Generale Scritture 650).
Nello stesso anno 1757 il B. e suo padre, chiamati dalla corte imperiale austriaca per i buoni uffici del rappresentante della Repubblica di Lucca, G. B. D. Sardini, si recarono a Vienna, dove fecero parte dell'orchestra del Teatro Imperiale e dove li raggiunsero, come ballerini dello stesso teatro, Gian Gastone, Maria Ester e Anna Matilde. Alla fine del 1758 il B. e suo padre si allontanarono, però, da Vienna: essi non figurano più, infatti, nei registri delle paghe del teatro. Forse il B. ritornò a Roma per approfondire la sua preparazione, o forse fu altrove.
La scarsità dei documenti non consente di stabilire definitivamente i vari spostamenti del B. in questi primi anni della sua attività, ma, sebbene ancora tanto giovane, già godeva di notevole prestigio artistico ed era pronto a recarsi ovunque ne vedesse l'opportunità, tanto più che il padre gli era buon compagno di viaggio e d'arte. Nel settembre 1759 il B. era di nuovo a Lucca, a "eseguire un concerto alle musiche della S. Croce" (Nerici). L'anno seguente, in compagnia del padre, ritornò a Vienna e qui ebbe modo di far conoscere e apprezzare le primizie della sua attività di compositore: i sei Trii per due violini e violoncello obbligato, op. 1, da lui stesso indicati nel catalogo delle sue opere con la data 1760 (stampati poi da Bailleux a Parigi nel 1767 come op. 2). Nonostante le favorevoli accoglienze viennesi e l'ammirazione dei musicisti, in particolare di C. W. Gluck, il desiderio di "stabilirsi... in Patria" lo indusse a partire, insieme col padre, da Vienna nell'aprile 1761 e a rivolgere la supplica sopra citata (nella quale dichiarava pure i successi ottenuti nei due viaggi artistici a Vienna e "in seguito presso tutte le altre Corti Elettorali dell'Impero"). In attesa di una risposta del consiglio lucchese, il B. suonò talvolta nei concerti della cappella e al palazzo della Signoria "per dare una prova della sua abilità" (Cerù) e infine per le festività della S. Croce 1761 e 1762.
Sono di questo tempo giovanile i sei Quartetti per due violini, viola e violoncello, op. 2 (dedicati "ai veri dilettanti e conoscitori di musica"), 1761 (Vénier, Parigi 1767, come op. 1), e le sei Sonate per due violini, op. 3, 1761 (La Chevardière, Parigi 1769, come op. 5), composizioni probabilmente sollecitate dalla vicinanza di artisti come i violinisti P. Nardini e F. Manfredi e il violista G. G. Cambini, con i quali egli formò in seguito forse il primo complesso quartettistico toscano che si conosca. Il Cerù dice che eseguì queste opere anche al seminario arcivescovile, dove aveva studiato. Destinate ad una ristretta cerchia di amici suonatori, esse conferirono tuttavia al giovane violoncellista fama e notorietà, sia come compositore, sia come esecutore.
Ma i guadagni erano scarsi e il B. e suo padre partirono di nuovo alla volta di Vienna, dove nel frattempo Maria Ester si era imposta all'ammirazione del pubblico e si era fidanzata col ballerino Onorato Viganò, protetto dall'imperatrice Maria Teresa. Strada facendo, i due musicisti il 7 genn. 1763 diedero un concerto a Modena, al Teatro del collegio S. Carlo. Ripreso il suo posto al Teatro Imperiale di Vienna, il B. mise a punto un concerto previsto per il gennaio 1764 (con uno o due violoncelli e col concorso di suo padre), che ottenne un vivo successo e lo pose fra i "virtuosi" della Musik-Akademie (Rothschild).
Si può supporre che le opere eseguite facessero parte della serie di Sonate per violoncello e basso o di quei Concerti per Violoncello e piccola orchestra da lui scritti nella sua giovinezza per mettere in evidenza tutti gli aspetti del suo talento di solista (Rothschild). Si deve al B., infatti, l'aver messo per primo in rilievo le possibilità espressive del violoncello, sia come strumento concertante, sia nel complesso orchestrale e con lui inizia per lo strumento una vera letteratura.
Il 27 apr. 1764 la sua supplica fu finalmente accolta e venne nominato primo violoncello nella cappella Palatina di Lucca con lo stipendio di 5 scudi mensili (che non gli verranno pagati nei periodi in cui gli sarà concesso di assentarsi e il tempo di assenza non potrà essere più di un mese). Lo stipendio peraltro decorse dal 3 ag. 1764; il giorno dopo il B. diede il suo primo concerto come suonatore di violoncello in servizio della cappella, i cui impegni musicali erano frequenti e non lievi. In settembre, per la S. Croce e per S. Michele, il B. offrì altri eccezionali concerti, ma furono ritenuti di ufficio e percio non ricompensati. Disilluso, il 9 dicembre, munito di un congedo rinnovabile dal gennaio 1765, abbandonò di nuovo Lucca col padre e si recò a Milano, probabilmente "spinto dal desiderio di studiare col famoso maestro" G. B. Sanmartini (Barblan). Secondo la Rothschild, fu forse a Milano nel 1765 che il B. partecipò al primo "quartetto" toscano dianzi ricordato (costituito dai violinisti Nardini e Manfredi e dal violista Cambini), complesso assai stimato, "o, meglio..., famoso non solo per il valore dei singoli componenti, ma altresì per le opere, le "novità" come oggi si direbbe, che esso presentava, fra cui i quartetti di Boccherini" (Bonaccorsi, 1966). Di certo, nel mese di luglio 1765, il B. e suo padre si trovavano a Pavia e a Cremona in qualità di "professori" di violoncello e di contrabbasso ospiti nell'orchestra del Sanmartini, invitato per le feste musicali organizzate in quelle città in onore dell'arciduca Leopoldo d'Asburgo (e dell'Infanta sua sposa), che si recava a Firenze per insediarsi come granduca di Toscana.
Il documento relativo a questi concerti, ritrovato dal Barblan nell'Archivio di Stato di Milano (Potenze Sovrane, n. 89), è di grande importanza: esso conferma che sicuramente il B. "conobbe da vicino la musica" del Sanmartini, "anche per averla eseguita sotto la elettrizzante direzione dell'autore" (Barblan) e avvalora inoltre l'ipotesi dello stesso Barblan che il boccheriniano Concerto a grande orchestra per il violoncello in mi bemolle maggiore (la cui partitura manoscritta, probabilmente autografa, si trova nella Bibl. del Conservatorio di Milano, fondo Noseda E 24/1) sia di questo periodo, proprio per la chiara derivazione stilistica del Sanmartini.
Mentre a Pasqua 1765 era stata notata a Lucca l'assenza dal servizio del B., senza tuttavia che le autorità prendessero provvedimenti disciplinari a suo riguardo - forse perché protetto dal nobile lucchese Lelio Ignazio di Poggio -, nei mesi di settembre e ottobre aveva di nuovo ripreso il suo posto, ma era malato. Verso la fine dell'anno il B. fu incaricato di comporre la prima parte della cantata, La confederazione de i Sabini con Roma, di P. A. Trento e F. U. De Nobili, per la prima giornata delle feste delle "Tasche", che si svolsero nei giorni 9, 10 e 11 dic. 1765.
Le musiche per la seconda e terza giornata furono affidate rispettivamente a Giacomo Puccini senior, maestro della cappella Palatina, e a Lelio Ignazio di Poggio; l'uso voleva, infatti, "che il testo poetico svolgesse l'argomento in tre parti, o Giornate... e che ciascuna di esse fosse musicata da un diverso maestro "(Bonaventura, 1929).
La commissione di lavori per le "Tasche" era un onore e dimostra di quanta stima godesse il B. nella sua città. Tutte e tre le parti della cantata vennero dirette dal Puccini che ne lasciò una dettagliata quanto interessante cronaca nel suo Libro (C) delle musiche annue e avventizie fatte... principiando di 7mbre dell'anno 1763 in seguito dell'altro segnato B per tutto l'anno 1774... (Lucca, Arch. di Stato: Dono Lucchesi, n. 2).
Poco dopo, nel periodo compreso tra le feste del Natale e dell'Epifania, due oratori del B. su testo del Metastasio, Il Gioas re di Giuda e Il Giuseppe riconosciuto, furono eseguiti a Lucca per le "Sacre Veglie" (esemplate sull'oratorio di S. Filippo Neri) nella chiesa di S. Maria di Corteorlandini. Tre lavori di un certo impegno, dunque, in breve volgere di tempo, che presentano - la cantata e Il Giuseppe riconosciuto, soli rimasti - dei passi uguali, come del resto era l'uso del tempo, ma scritti con mano sicura e con vera ispirazione.
La sinfonia introduttiva della cantata (per quattro voci, coro e orchestra) è infatti la stessa del Giuseppe riconosciuto (per sei voci, coro e orchestra), solo che all'organico della cantata, oltre ai due oboi, due corni e archi, sono aggiunte due trombe. Tre delle dodici arie che compongono Il Giuseppe riconosciuto sono anche comuni alla cantata, ma di quest'ultima la quarta aria del tenore è con violoncello obbligato, forse per proposito del B. d'intervenire di persona ed efficacemente nella chiusa e di riempire gli eventuali vuoti, poiché dalla descrizione del Puccini in merito all'esecuzione della cantata si apprende che per avarizia degli Anziani non solo "le voci di Ripieno per i cori no' si presero", ma che i due oboisti dovettero suonare anche le parti delle trombe e dei corni. Le prove, inoltre, furono fatte tutte in una mattinata e benché gli esecutori fossero musici esperti (in orchestra primo violino era il Manfredi, violoncello il B. e suo padre "secondo contrabbasso in soprannumero"), risultarono insufficienti e la musica del B. venne eseguita secondo le possibilità del momento. Forse proprio a queste limitate possibilità di esecuzione si dovettero in seguito i quintetti, i sestetti e gli ottetti del B., generi sorti dalla formazione occasionale dei complessi a sua disposizione. Nei due giovanili lavori vocali-strumentali del B., comunque, già appaiono le caratteristiche della sua arte e del suo stile: quei "toni fondamentali dell'elegia e dell'affettuosità" (Barblan), quel fluire melodico senza "inutili virtuosismi vocali", quella scelta minuziosa delle dizioni dei tempi (Andante grazioso, Andante affettuoso, Grave, Amoroso ma non lento, ecc.) e delle didascalie (Soave, Dolce, Dolcissimo, ecc.), infine quei numerosi segni dinamici (Forte, Piano, Sotto voce, Pianissimo, ecc.) che "saranno indice" non solo della sua continua ricerca d'intensità espressiva, ma anche "di un nuovo interiore sentire" (Barblan). Quanto alla priorità cronologica fra i due lavori, è difficile stabilirla: essendo eseguiti quasi nello stesso tempo e forse preparati anche in fretta, come s'è detto, risentono e riprendono l'uno i motivi e la tecnica dell'altro. Manca poi per un debito raffronto anche Il Gioas re di Giuda, la cui seconda parte è perduta.
In tempi moderni, la cantata, con la revisione di H. Handt, è stata rieseguita a Lucca il 31 ott. 1965 al Teatro comunale del Giglio.
Ma nel 1766 un grave lutto doveva colpire il B.: gli moriva, infatti, il padre Leopoldo, che il Nerici non registra più da quest'anno fra i musici della cappella Palatina. La perdita del padre, con il quale era solito dividere le ansie e le gioie del suo cammino artistico, spinse certamente sempre di più il B. a legarsi di fraterna amicizia col violinista F. Manfredi, che seguì anche a Genova, dove questi insegnava il violino.
Con lui passò buona parte di quell'anno, ma per le feste della S. Croce, in settembre, suonò ancora, forse per l'ultima volta nella sua città natale. Poi partì di nuovo col Manfredi per un giro di concerti nell'Italia settentrionale e nella Francia meridionale. Al principio del 1767 i due lucchesi si recarono a Parigi, dove ebbero la fortuna di entrare nelle buone grazie del barone C.-E. de Bagge - un appassionato di musica e fastoso mecenate che amava organizzare concerti settimanali nella propria abitazione - e col suo favore poterono anche esibirsi al Concert Spirituel il 20 marzo 1768, nella Salle des Suisses alle Tuileries. Ambedue vi ottennero un successo lusinghiero eseguendo un concerto di loro composizione, ma fu la dolcezza e insieme la forza espressiva del loro modo di suonare a conquistare il pubblico parigino. Nel salotto dei de Bagge il B. conobbe anche altri celebri solisti del Concert Spirituel, come il violinisti C.-J. Gossec, P. Gaviniès e N. Capron e i due fratelli violoncellisti J.-P. e J.-L. Duport (che soggiornarono poi a lungo alla corte berlinese di Federico Guglielmo II di Prussia e forse per loro suggerimento il B. invierà durante il decennio 1787-1797, le sue composizioni al re, valente violoncellista egli stesso).
Una influenza della scuola strumentale di Mannheim, fondata da J. Stamitz, sullo stile sinfonico del B. sembrerebbe, inoltre, doversi porre in questo periodo parigino: secondo P. Nicolai (citato dalla Rothschild), il B. avrebbe avuto solo presso il de Bagge l'occasione di conoscere lo stile peculiare dello Stamitz e della sua scuola, mentre per altri egli avrebbe avuto la possibilità di ascoltare questa famosa orchestra di Mannheim, o per lo meno di conoscerne l'esistenza, durante i suoi soggiorni a Vienna e nelle altre corti dell'Impero. La mancanza di un'edizione ordinata e completa di tutta l'immensa produzione strumentale del B. - che, in parte, ancor oggi attende una valutazione critica - non consente di precisare quali furono questi influssi, che la Rothschild dice "reciproci". Ma già il Torrefranca e il de Saint-Foix, nella sua prefazione al Picquot (pp. 43 s.), avevano messo in luce che la sola tradizione italiana (dal Tartini al Sanmartini) aveva contribuito a formare "il genio" boccheriniano anche nell'ambito della sinfonia.
A Parigi il B. trovò anche i suoi principali editori, il veneziano G. B. Vénier e il francese La Chevardière, e fu in questa città che per la maggior parte vennero pubblicate le sue opere, ottenendo sempre un largo successo di vendita e di stampa. Qui compose pure le sei Sonate per clavicembalo e violino, op. 5 (Vénier, Parigi 1769), che dedicò a Madame Brillon de Jouy, esimia clavicembalista e pittrice, nel cui salotto era stato introdotto dal de Bagge.
In queste Sonate si avverte il gusto sicuro del B. nel mettere in rilievo le possibilità del cembalo. Egli ebbe innate queste doti di percezione timbrica e se ne servì magistralmente nel contesto strumentale. Già da queste composizioni giovanili è chiara la sua predilezione per la forma-sonata, sia monotematica sia bitematica.
Nel frattempo, l'ambasciatore spagnolo alla corte francese esortava il B. e il Manfredi a recarsi a Madrid, assicurandoli della favorevole accoglienza da parte di don Carlo, principe delle Asturie (il futuro Carlo IV). Nell'estate 1768 i due musicisti partirono per Madrid, dove però furono accolti piuttosto freddamente dal re Carlo III e dal principe delle Asturie, forse per l'invidia e la gelosia del pisano G. Brunetti, sovraintendente della musica a corte al servizio del principe delle Asturie (tuttavia, di questa sorda lotta condotta dal Brunetti specialmente contro il B. non si hanno notizie attendibili). Il Manfredi fu assunto poi come primo violino nell'orchestra del principe, mentre il B. aspettò invano di essere chiamato a far parte della stessa camera, benché avesse dedicato al principe Carlo i sei Trii per due violini e violoncello, op. 6, 1769 (Vénier, Parigi 1771, come op. 9). Per il momento dovette contentarsi di una piccola "provvigione" come aiuto organista. Informato dal Manfredi che durante la quaresima si tenevano concerti da camera al Teatro de Los Caños del Peral, il B. compose un grande Concerto a più stromenti... per gli Accademie che se fecera al opera Los Caños del Peral, op. 7, 1769 (Vénier, Parigi 1770), ma fu soltanto alla fine del 1769 che egli poté avere un incontro con l'infante don Luis di Spagna (fratello del re Carlo III), che gli promise protezione e al quale il B. dedicò i sei Quartetti, op. 8, 1769 (Vénier, Parigi 1769, come op. 6). Finalmente, l'8 nov. 1770, il B. fu assunto al servizio dell'infante don Luis come "violoncellista della sua camera e compositore di musica con l'autorizzazione di S. M. Carlo III". Il suo stipendio annuo era di 30.000 reali, con l'obbligo di comporre soltanto per don Luis, obbligo che a partire dalla composizione dei sei Quartetti, op. 9, 1770 (Vénier, Parigi 1772, come op. 10), dedicati "alli Signori dilettanti di Madrid", il B. osservò per quindici anni.
È in questo periodo che, felice di poter scrivere musica per i buoni complessi che potevano formarsi con i musici della camera del suo protettore, fra cui i quattro Font, padre e tre figli, tutti suonatori d'archi, il B. comincia a dedicarsi al quintetto, forma che proprio col Brunetti si era affermata in quel tempo in Spagna ed era divenuta popolare. Inesauribile, mai l'ispirazione gli viene meno e le opere si assommano alle opere, la cui risonanza è assicurata a partire dalla serie dei sei Quintetti, op. 11, 1771 (Vénier, Parigi 1775, come op. 13), il cui n. 5, in mi maggiore, contiene il celebre Minuetto e il n. 6, in re maggiore, intitolato L'uccelliera, fu certo ispirato dalle uccelliere dell'infante don Luis e dall'ambiente campestre (il secondo tempo reca, infatti, la didascalia I pastori e i cacciatori).
Negli anni successivi alcune avversità amareggiarono la tranquilla vita del B.: nel 1772 l'amico Manfredi lasciò per sempre la corte spagnola per riprendere il posto di primo violino alla cappella Palatina di Lucca e verso il 1776, per una franca e fiera risposta da lui data al principe delle Asturie che denigrava ingiustamente la musica di un suo quintetto, suonandone la parte di primo violino senza badare all'intreccio delle altre parti, cadde in disgrazia e fu escluso, con la sua musica, dal palazzo reale. Al B. non rimase che seguire il suo protettore don Luis nella sua residenza del castello di Las Arenas, quando l'infante fu costretto a lasciare la corte per il suo contrastato matrimonio con doña Maria Teresa Vallabriga y Rosas (27 giugno 1776). Nel frattempo, fu colpito da altri lutti: dapprima morì la madre, che lo aveva seguito in Spagna, poi, nel 1777, l'amico Manfredi. A Las Arenas tuttavia trascorse in seguito anni sereni, insieme con la moglie (Clementina Pelicho) e i figli, consolato anche dalla vicinanza del fratello Gian Gastone, venuto ad abitare a Talavera nel maggio 1781. Nella quiete del castello continuò indefessamente a comporre, sia musica sinfonica per il numero piuttosto ristretto dei musici disponibili (tra i quali i Font), sia opere per voci e strumenti, come lo Stabat Mater, op. 61 (prima versione, per voce di soprano, 1781) e i Villancicos (canzoni popolari per Natale, a quattro voci e orchestra, 1783), due lavori del tutto differenti sia per ispirazione sia per carattere.
Il primo si ricollega alla grande tradizione vocale-melodica del Pergolesi. Nel canto accorato si riversa il dolore della Vergine: non vi è grandiosità, ma umana mestizia, e tutta l'opera è pervasa da un'espressività già moderna. Nel secondo è presente il folclore della Spagna, che non poteva non sentire come fonte prepotente d'ispirazione: si pensi al quintetto n. 6 dell'op. 30 (1780), che porta la didascalia Musica notturna delle strade di Madrid, e a quello n. 2 dell'op. 40 (1788), Imitando il, Fandango che suona sulla chitarra il Padre Basilio, per averne altri esempi chiari; ma spesso, anche se non indicati con didascalie, traspaiono nella sua musica ritmi e contrasti timbrici appartenenti al folclore spagnolo. Comunque in Spagna, ad eccezione del suo protettore, che ne comprese certamente la grandezza, e pochi altri amici e benefattori, il B. non fu molto apprezzato, mentre all'estero le sue opere gli procurarono una notorietà sempre maggiore e l'ammirazione di musicisti insigni, come Haydn. Mai, invece, ebbe rapporti con Mozart; anche il Concerto per violino, in re maggiore (pubblicato da Schott a Magonza a cura di S. Dushkin), ritenuto il modello seguito da Mozart per la composizione del suo Concerto per violino, pure in re maggiore, dell'ottobre 1775 (K. 218), non è opera del Boccherini.Ma il 1785 segnò per il B. nuovi lutti: nei primi mesi dell'anno morì la moglie e il 7 agosto si spense anche don Luis. Privo del suo protettore, senza stipendio e con cinque figli da mantenere, il 28 settembre rivolse una supplica a Carlo III, chiedendogli di prenderlo al suo servizio. Il 23 novembre il re gli prometteva di concedergli senza concorso il primo posto di violoncellista che si fosse reso vacante nella sua cappella e nell'attesa gli accorciava 12.000 reali come pensione annua, parte del salario che riceveva da don Luis. Ma questa somma non bastava al B. che, secondo il Nerici, si diede a scrivere musica per i monasteri (la notizia è priva di base storica, tuttavia potrebbe condurre lo stesso a ritrovare qualche inedito boccheriniano). Poco dopo il B. trovò un altro protettore nel principe musicista Federico Guglielmo di Prussia, a cui già nel 1783 aveva fatto pervenire i suoi Quartetti, op. 33 (1781) per mezzo dell'ambasciatore prussiano alla corte di Spagna, che li aveva uditi in un concerto dato in suo onore a Madrid. Federico Guglielmo li aveva accettati con piacere, ringraziando il B. con una lettera da Potsdam (datata 1º ott. 1783) e inviandogli una tabacchiera d'oro. Il 20 genn. 1786 il principe (che il 17 agosto dello stesso anno salirà al trono come Federico Guglielmo II) lo assunse al suo servizio come compositore, assicurandogli una pensione di 1.000 scudi tedeschi.
In cambio il B. gli invierà annualmente composizioni per la sua camera (che verranno eseguite, si presume, anche dai già ricordati fratelli Duport).
Gran parte della produzione del B. sarà composta per Federico Guglielmo II e il B. stesso, nel catalogo delle opere da lui redatto (forse nel 1796), indicherà che cinquantasei pezzi (una Sinfonia, undici Trii, sedici Quartetti, fra cui il celebre quartetto n. 4 dell'op. 44, intitolato La Tirana [agosto 1792], e ventotto Quintetti) non erano d'altri che del re a Berlino.
Nello stesso tempo anche la contessa-duchessa di Benavente-Osuna, Maria Josefa Alonso Pimentel, che l'aveva conosciuto presso l'infante don Luis, lo assunse come direttore della sua orchestra, composta di sedici scelti musici.
I suoi saloni nel palazzo della Puerta de la Vega, aperti al gusto più moderno e ai vari influssi dell'arte italiana e francese, erano frequentati dalle più notevoli personalità artitistiche, fra cui F. Goya, con il quale il B. rinnovò un'antica amicizia. La musica del B. che vi veniva eseguita, insieme con quella di Haydn, era tenuta in buona considerazione e il suo gusto per la musica da camera influenzò sensibilmente la società spagnola del tempo. Mediante i suoi magnifici ricevimenti la Benavente-Osuna gareggiava, inoltre, per il primato musicale in Madrid con la duchessa d'Alba, Maria del Pilar Teresa Gayetana de Silva y Álvarez de Toledo, il cui favorito era il Brunetti.
Per commissione della madre della duchessa di Benavente-Osuna, la marchesa di Peñafiel, il B. scrisse nello stesso anno una "zarzuela" (o operetta in due atti con sinfonia introduttiva) su testo di Ramon de la Cruz, La Clementina, che fu rappresentata con molto successo nel palazzo dei Benavente-Osuna alla fine del 1786 (in tempi moderni La Clementina è stata rappresentata dapprima al teatro La Fenice di Venezia il 18 sett. 1951, poi al teatro Cuvilliès di Monaco nel 1960). Alla sua protettrice, la contessa-duchessa di Benavente-Osuna, il B. dedicò i sei Quintetti, op. 36, 1786 (dei quali il n. 6 è intitolato Dello Scacciapensiero), i tre Quintetti, op. 39, 1787 (n.1 e n. 3: Pleyel, Parigi 1799, come op. 37, n. 20 e n. 23; n. 2: ibid., come op. 47, n. 4) e i dieci Minuetti ballabili, op. 41 (carnevale 1788). Ma nel 1787 terminò inspiegabilmente il suo incarico di direttore presso la Benavente-Osuna e in quell'anno stesso sposò in seconde nozze Maria del Pilar Joaquina Porreti, figlia del suo defunto amico violoncellista Domenico Porreti. Da questa data mancano notizie della sua vita fino al 1796, quando iniziò la copiosa corrispondenza - e le querele - con l'editore I. Pleyel, il quale tentava in ogni modo di approfittarsi del B., che invece diede sempre prova di civile probità nei rapporti con i suoi editori. Morto il re di Prussia il 16 nov. 1797, il B. si trovò, malato già dall'estate, senza alcun sostegno e invano si raccomandò con una lettera da Madrid il 25 genn. 1798 alla generosità del suo successore, Federico Guglielmo III: il 2 marzo il nuovo sovrano, ritenendo inutili i servigi del B., gli revocava la pensione. In tanta miseria e gravemente malato (per una violenta emottisi non poteva neppure suonare il violoncello), lo soccorse il marchese di Benavente, commissionandogli di ridurre per chitarra alcuni pezzi scelti fra le varie composizioni del B. e altri da lui stesso scritti per pianoforte. Testimonianza della sua riconoscenza fu la dedica al marchese di Benavente della Sinfonia in do maggiore, per "guitarra", due oboi, fagotto, due corni e archi, 1799 (Del Turco, Roma 1962. Si tratta di un arrangiamento del quintetto in do maggiore n. 4, op. 10., scritto nel 1771: v. Vénier, Parigi 1774, come op. 12, e Janet et Cotelle, Parigi 1829). Per la marchesa di Benavente il B. aveva scritto nel 1798 una scena drammatica, Ines de Castro, costituita da un recitativo, una cavatina e un'aria (rimasta inedita). Unico conforto in questi anni difficili furono l'ammirazione di altri artisti (fra i quali il violoncellista B. Romberg, i violinisti P. Rode e A. Boucher, che si fece suo allievo) e il sapere che la sua musica, suonata da G. B. Viotti nel 1797 a Parigi, aveva riscosso enormi successi. Qui il B. cercò aiuti e, terminati nel luglio 1799 i sei Quintetti per Pianoforte, due violini, viola e violoncello, op. 57, li dedicava alla "Nazione Francese", facendoli poi pervenire all'ambasciatore della Repubblica francese a Madrid Luciano Bonaparte, quivi giunto l'8 nov. 1800. Questi, che era amante di musica, lo accolse e lo protesse con munificenza nei due anni del suo soggiorno madrileno, incaricandolo di organizzare "a prezzo d'oro" i concerti (in cui veniva eseguita anche musica del B.) al suo palazzo. Al Bonaparte dedicò nel 1801 i sei Quintetti a due violini, due viole e violoncello, op. 60, e nel 1802 i sei Quintetti, op. 62, e i due Quartetti, op. 62, di cui solo il primo fu terminato e il secondo rimase incompiuto dopo il primo movimento. Ma con la partenza del Bonaparte (febbraio 1802) nuove ristrettezze angustiarono il B., ridotto a vivere con la famiglia dei soli proventi della vendita delle sue opere e della modesta pensione reale.
Tuttavia si sforzò di comporre ancora e alla fine del 1802 scrisse una Cantata per Natale, a quattro voci, coro e strumenti, op. 63 (perduta), dedicata all'imperatore di Russia Alessandro I. forse con l'intento di procurarsi un nuovo protettore. Nel 1803 morirono nel giro di pochi giorni per un'epidemia le due figlie maggiori, Teresa e Mariana, e al principio del 1804 anche la moglie e l'ultima figlia, Isabella. Affranto e malato, il B. si ritirò presso i due figli Luigi Marco (sacerdote) e Giuseppe Mariano (archivista), presso cui il 28 maggio 1805 morì. Fu sepolto nella cripta della chiesa di S. Giusto a Madrid, da dove il suo corpo, ritrovato il 30 sett. 1927, fu traslato per essere tumulato il 9 ott. 1927 nella chiesa di S. Francesco a Lucca.
Compositore originalissimo e musicista di molteplici attività, il B. è considerato soprattutto uno dei massimi esponenti della musica strumentale italiana del Settecento. Nella sua produzione, che oltrepassa il mezzo migliaio di opere e che comprende lavori di ogni genere, abbondano in modo speciale le composizioni da camera: sinfonie, concerti per strumenti vari, trii per archi e trii per pianoforte, violino e violoncello, quartetti per archi, quintetti, sestetti, ottetti, sonate per uno o due strumenti, composizioni varie per orchestra (balli, minuetti, ballabili), ecc. In tutti questi lavori egli ha lasciato l'impronta inconfondibile della sua arte, caratterizzata da un'invenzione tematica sempre originale e pronta ai più vari affetti, di accenti e di sviluppi insoliti, da una grande ricchezza e fluidità di movenze melodiche estremamente fini e graziose, da un intenso senso dialettico del discorso sinfonico, determinante varietà e solidità di strutture. Il B. appare infatti come uno dei creatori della musica classica italiana da camera e precursore del moderno stile sinfonico e sonatistico: i suoi numerosissimi quintetti (161) e quartetti (102) sono esemplari per la perfezione della loro struttura e per il nuovo stile "dialogante" che li informa, pur nell'ambito della precipua individualità timbrica ed espressiva di ogni strumento. Negli ultimi quartetti il B. risolverà questo stile in uno più "meditativo", i cui echi riaffioreranno in taluni quartetti di Beethoven, come ad esempio in quelli dell'op. 59. Così nelle Sonate per cembalo e violino, op. 5, il B. appare chiaramente come il fondatore dello stile pianistico, il più notevole precursore di M. Clementi e di Mozart. Per quel che riguarda il violoncello, strumento di cui fu anche magico "virtuoso", s'è già detto di come il B. seppe porne in evidenza tutte le possibilità suggestive, dando inoltre ragione d'essere e nutrimento di opere ad uno strumento fin allora negletto. A lui si deve anche l'adozione della chitarra fra gli strumenti da camera. Anche nel genere teatrale, benché questo fosse piuttosto lontano dai suoi naturali interessi ed impegni, il B. diede un contributo importante con la già ricordata sua unica opera, La Clementina. Per il De Paoli, egli è "un operista autentico", che si mostra distaccato dalla moda belcantistica del tempo, superando lo stile melodrammatico - di cui possiede, però, sicura padronanza - in una attenta caratterizzazione musicale dei personaggi e delle situazioni, di sapore mozartiano.
Molto resta, tuttavia, ancora della sua produzione da analizzare, e in parte da ritrovare, per una critica definitiva della sua opera e per situarla nella storia della musica del sec. XVIII. In verità, i cataloghi della produzione boccheriniana sono intrigati e confusi, avendo il B. cominciato a stampare le opere giovanili a distanza di anni dalla loro composizione e comparsa in pubblico e inviato agli editori le sue opere da Madrid, senza poterne curare la stampa di persona. Il B. stesso comprese la necessità di redigere un catalogo tematico e ordinato secondo la cronologia, dividendo poi le sue opere in grandi e piccole secondo l'estensione. I numeri del suo catalogo, però, non concordano con quelli degli editori e ciò provoca una grave complicazione; si aggiunga poi la difficoltà creata dalla comparsa, negli anni, di lavori manoscritti non registrati nei cataloghi, l'inclusione nelle raccolte di composizioni già catalogate sotto altro numero, le perplessità di fronte ad opere non sempre sicuramente attribuibili al Boccherini. Al Picquot si deve il primo tentativo di redigere un catalogo completo e "ragionato" delle opere del B., comprendente due serie e una seconda parte con l'indice tematico delle opere inedite (dal 1780), seguito dal Bonaventura, il cui catalogo, non tematico, comprende oltre al catalogo originale del B. stesso (un brano di tale catalogo, cioè quello che va dal 1792 al 1796, di proprietà di Vittorio Scotti, fu pubblicato in facsimile nel Bollettino bibliografico musicale di Milano del giugno 1930), uno delle opere pubblicate secondo i numeri d'opera degli editori, uno delle opere stampate senza numero d'opera, uno delle opere inedite, uno di musica per canto non indicata nel catalogo del B., uno delle opere recentemente ritrovate e infine uno delle edizioni moderne. Più completo e più chiaro il catalogo a cura di Y. Gérard (inserito nella Musica Enciclopedia storica, Torino 1966, pp. 546-555), con le opere divise in generi, di cui si attende la pubblicazione a parte e definitiva. Non va inoltre dimenticata l'istituzione a Roma nel 1949 del Quintetto Boccherini (primo violino Pina Carmirelli), il cui intento è stato quello di sottrarre all'oblio e di far conoscere soprattutto la musica boccheriniana, insieme con altre musiche italiane dimenticate; dal 1954 il Quartetto Carmirelli si prefigge lo stesso scopo, curando anche la revisione di numerose opere del B., di cui si viene intanto approntando per la stampa l'Opera omnia.
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