BOSSI, Luigi
Nato a Milano il 25 febbr. 1758, secondogenito del marchese Benigno e di Teresa Bendoni, fu destinato alla carriera ecclesiastica. Ricevette privatamente un'istruzione molto accurata, studiando anche il greco e l'ebraico, e frequentò quindi le scuole di Brera. A sedici anni si iscrisse alla facoltà legale dell'università di Pavia, allora ravvivata dalla recente riforma teresiana, seguendo anche i corsi dello Spallanzani, del Rezia, dello Scopoli e del Barletti. Agli interessi di quest'ultimo si richiamano le sue prime pubblicazioni (Milano 1776): Descrizione di una sfera armillare di nuova costruzione rappresentante diversi sistemi e il poemetto I parafulmini.
Nel 1779 entrò a far parte del capitolo della metropolitana di Milano. Interessato alle riforme ecclesiastiche, il B. pubblicò alcuni scritti su tale argomento, tra cui quella Lettre de M. Bossi à M. d'Alembert au sujet d'une lettre à M. Linguet sur l'alienation des biens ecclésiastiques (Genève 1781), che, nata dall'ambizione di inserirsi in un contesto culturale europeo, aderisce in sostanza alle tendenze giuseppine.
Nel 1784 soggiornò a Roma quattro mesi, al seguito di Filippo Visconti che, nominato arcivescovo di Milano da Giuseppe II, si recava a ricevere l'investitura canonica; qui egli frequentò gli ambienti culturalmente più vivi, dove non mancava un certo frondismo anticuriale.
In seguito a quest'esperienza, oltre a dedicarsi a studi di antiquaria, il B. pubblicò tra l'86 e l'88 alcune opere di ispirazione giansenista, la più importante delle quali (Del cattolicesimo della Chiesa d'Utrecht pubblicata anonima a Milano nel 1786) ebbe diffusione e successo negli ambienti giansenisti, conobbe una traduzione in francese (Du catholicisme de l'église d'Utrecht..., Utrecht 1788), ma fu confutata dall'ex gesuita Mozzi e condannata dall'Indice il 4 giugno 1787. Questi scritti polemici, più che il rigorismo morale e la dottrina teologica dei seguaci della "sana dottrina", riflettono l'evoluzione politica subita dal giansenismo lombardo negli anni '80, che aveva accolto in gran parte le istanze del trionfante giuseppinismo.
Affermatosi nell'ambiente intellettuale milanese, il B. fu il principale redattore del Giornale letterario di Milano e, benché non risulti sicura la sua iscrizione alla loggia massonica della Concordia, egli fu tuttavia di quel ristretto gruppo legato alla setta degli Illuminati di Baviera, di cui il personaggio più illustre era il ministro plenipotenziario Wilzeck. Fu uno dei principali collaboratori del Giornale enciclopedico in cui, sulla linea di una concezione illuministica della cultura, ormai in declino, pubblicò alcuni saggi come Dello stato delle scienze e delle lettere in Europa e Breve saggio sui giornali letterari. Sempre dello stesso periodo, oltre ad alcune traduzioni di opere di scienziati francesi, sono alcune sue memorie minerarie ed archeologiche, per la raccolta dei Nuovi opuscoli su le scienze e sulle arti diretta dall'Amoretti.
Tra il 1789 e il 1790 il B. fu a Vienna, in contatto con personaggi illustri come il De Born e il Sonnenfelds, legati notoriamente all'ambiente degli Illuminati. Da Vienna andò quindi in Serbia, in Valacchia, in Transilvania, in Ungheria, dove visitò le miniere e poi in Moravia, in Boemia e in Polonia. Reduce a Milano nel '91, fu chiamato nel '93 a far parte della Società patriottica; di quell'anno è un suo canto celebrativo delle vittorie austriache sulle armi francesi che tradisce uno sgomento per le violenze rivoluzionarie e un timore per il propagarsi delle nuove idee.
Nel 1795, travolto da un fallimento le cui circostanze ci sfuggono, il B. riparò a Venezia, forse perché già aveva avuto contatti con varie personalità del mondo culturale veneto, come il libraio Scapin di Padova, Teodoro Correr, cui aveva venduto codici e oggetti di antiquaria, e l'editore Perlini, che aveva pubblicato alcune sue memorie nel Giornale di fisica.
A Venezia nel '96 egli forse affiancò Giuseppe Compagnoni nel fondare il Mercurio storico-politico-letterario, un giornale di tipo nuovo, che, separando in due ben distinte sezioni politica e letteratura, adottava una formula che il B. aveva sostenuto fin dall'87 col suo Breve saggio sui giornali letterari. Probabilmente per l'influenza del Compagnoni, entrò in contatto con ambienti "giacobini" destando i sospetti degli inquisitori.
Dopo la caduta della Repubblica, con G. Valeriani redige il Monitore veneto (i due nomi compaiono assieme come redattori dal n. 29 del 23 agosto), giornale semiufficiale della municipalità provvisoria veneziana, a sei pagine di grande formato, secondo il modello parigino del Moniteur. Nel breve periodo democratico, il suo massimo impegno è però dedicato alla Società di pubblica istruzione che, influenzata dal segretario della legazione francese Villetard, fedele portavoce del Bonaparte, rappresenta il controaltare moderato della municipalità.
Non a caso due discorsi del B. su temi al centro dell'opinione pubblica furono editi integralmente dalla Società. Il primo, Dei mezzi di procurare l'unione e l'indivisibilità dell'Italia, contiene non un programma politico, ma il monito a distruggere i pregiudizi e a non seguire meschine passioni; il secondo, Sull'avviso del ristabilimento delle Società popolari in Francia, indica nella diffusione dei "lumi" tra il popolo il compito di queste nuove istituzioni che solo così - differenziandosi cioè dai famigerati club giacobini - potranno procurarsi l'appoggio delle autorità costituite. Questa posizione moderata del B. si rispecchia anche nell'Elogio di Gian Rinaldo Carli (Venezia 1797) di cui, ben più che l'opera di riformatore ed economista, veniva apprezzata quella proteiforme produzione letteraria, così eclettica, e in fondo sterile, che era solo un tardo riflesso del grande enciclopedismo. In linea con la politica culturale del Direttorio, dominata dagli ideologues, erano state del resto le traduzioni di Buffon, Millin, Condorcet, compiute dal B. durante il suo soggiorno veneziano.
Al periodo veneziano del B. appartiene anche un'altra attività che gli sarà più tardi rimproverata: quella di aver collaborato con la Commissione delle scienze e delle arti dell'armata d'Italia nel selezionare quei venti quadri e 600 manoscritti a scelta del generale in capo" di cui parlava il trattato segreto del 16 maggio 1797.La competenza dimostrata in questa occasione (a lui è attribuita la Liste des principaux objets de sciences et d'arts recueillis en Italie par les Commissaires du Gouvernement français, Venise 1797) mise in buona luce il B. presso il Bonaparte, che il 7 novembre lo nominò rappresentante dell'Olona al Gran Consiglio della Repubblica cisalpina, e intervenne anche direttamente presso l'arcivescovo di Milano affinché gli venissero restituiti tutti gli appannaggi che gli erano dovuti in qualità di canonico della cattedrale.Rimasto ancora qualche mese a Venezia per sovraintendere all'evacuazione dagli archivi di tutti i documenti riguardanti territori ex veneti divenuti cisalpini o francesi, il B. prestò giuramento al Gran Consiglio in Milano il 7 piovoso anno VI (26 genn. 1798). Da allora partecipò regolarmente alle sedute fino al 23 nevoso anno VII (12 genn. 1799), quando, nominato rappresentante cisalpino presso la Repubblica ligure, si dimise.
Dopo il colpo di stato Trouvé e la successiva riforma del generale Brune, il nome del B. era stato incluso, su indicazione dell'ambasciatore cisalpino Francesco Visconti, chelo aveva descritto come "Homme plein de talent, très dangereux, immoral, corruptible, meneur, autrichien", nella prima e lunga lista dei consiglieri cisalpini da destituire che il Direttorio francese aveva compilato in marzo; ma poi nessun provvedimento fu preso nei suoi confronti.
Durante l'anno in cui rimase in carica, il B. partecipò attivamente alle discussioni del Gran Consiglio e fu spesso nominato a far parte di commissioni temporanee o permanenti. Numerosi sono i suoi interventi in campo ecclesiastico: sui diritti di stola, sulla soppressione dei canonicati, sulle pensioni per gli ex membri delle congregazioni religiose, sull'alienazione dei beni del clero, sull'abolizione delle decime, sulla concentrazione delle parrocchie, problemi tutti che ebbero gran peso nei dibattiti della Cisalpina. In varie occasioni il B. intervenne in difesa del patrimonio culturale della Repubblica per la conservazione del materiale proveniente dalle congregazioni soppresse, per l'acquisto di raccolte di documenti e per l'organizzazione della biblioteca del Gran Consiglio. Membro della Commissione di pubblica istruzione, il B. partecipò attivamente alle lunghe discussioni seguite alla presentazione del piano, e, sulla linea di una concezione moderata, se non aristocratica, della cultura, dedicò la sua attenzione alle scuole intermedie, con un progetto che tra l'altro manteneva l'insegnamento del latino, che gli elementi più progressisti volevano escludere. Altri argomenti sui quali intervenne il B. sono i beni comunali, le case di forza, la legge sul matrimonio; ma significativi per rendersi conto della sua personalità sono i suoi ampi interventi in materia finanziaria, più che mai oscillanti tra una politica favorevole ai proprietari e una vantaggiosa per le classi più povere.
Ministro plenipotenziario presso la Repubblica ligure e poi incaricato d'affari a Torino, il B. vi trascorse i primi mesi del '99 in un clima di sospetti e delazioni, dirette in modo particolare contro alcuni membri del cosiddetto partito unitario antifrancese. L'arresto - avvenuto l'11 febbraio - del Fantoni, che aveva già subito la stessa sorte a Milano per aver manifestato apertamente la sua avversione ai Francesi, venne messo in relazione con l'arrivo del B. a Torino. Anche se questa particolare accusa sembra infondata (come dimostra una lettera del B. al Direttorio del 2 febbraio, in cui si parla in tono rassicurante di Fantoni), tuttavia la sua posizione a Torino appare equivoca, poiché da un lato egli fu in contatto con il partito unitario, dall'altro cercò di farsi benvolere dalle autorità francesi.
Negli ultimi agitati giorni della Cisalpina il B. si trovava a Milano, ma all'avvicinarsi delle truppe austrorusse tornò a Torino, donde, pochi giorni dopo, raggiunse il Direttorio rifugiatosi a Chambéry. Benché vi si fermasse solo un mese, nell'ambiente ristretto degli esiliati, dove i contrasti politici si confondevano con le antipatie personali, il B. incontrò l'avversione del Marescalchi, destinata a condizionare tutta la sua carriera, nonostante l'appoggio e l'amicizia di Francesco Melzi.
Rappresentante cisalpino a Genova, urtò subito nell'opposizione dei rifugiati democratici che riuscirono a ritardare il suo riconoscimento formale sino a quando il generale Joubert non lo impose. Dopo la caduta della città in mano dei coalizzati, il B. vi rimase, e si difese più tardi dall'accusa di connivenze con "tedeschi e inglesi" accampando il carattere diplomatico delle sue mansioni, il compito felicemente assolto di ottenere il salvacondotto per i patrioti liguri e forestieri, e l'altro, non rimasto scevro da tacce di malversazione, di distribuire ai profughi i sussidi francesi.
Dopo la vittoria di Marengo, il B. rientrò a Milano ottenendo il 1º ottobre la carica di prefetto delle biblioteche e degli archivi della Repubblica, che, nonostante il lungo soggiorno torinese, continuerà ad esercitare sino al 1814. Negli ultimi mesi del 1900 egli ebbe l'incarico di rivedere il piano di pubblica istruzione di Giuseppe Compagnoni, che proponeva di concedere il massimo spazio alle scuole popolari, riducendo lo studio del latino e rafforzando il controllo dello Stato. La vocazione moderata del B. si affermò anche in questo caso e la commissione di cui egli fu chiamato a far parte finì con l'affossare il piano.
Nell'aprile del 1801 il B. venne destinato a Torino per raccogliere i documenti attinenti al dipartimento dell'Agogna, annesso dal settembre precedente alla Cisalpina. Sin dall'inizio della sua missione egli non si limitò a questo modesto compito, ma approfittando delle sue amicizie nel consiglio di governo (in modo particolare con C. Bossi, Botta e Giulio) si occupò di questioni di confini e venne fornendo nei suoi dispacci molti utili ragguagli sulle condizioni del Piemonte, sullo stato d'animo della popolazione e sull'orientamento dei patrioti piemontesi. Dopo l'istituzione della Repubblica italiana, il Melzi diede l'incarico al B. di trattare con il generale Jourdan, amministratore generale del Piemonte, le questioni finanziarie riguardanti i territori incorporati dalla Repubblica. Ma il ministro degli Affari esteri, Marescalchi, non perse l'occasione di far notare che il B. si occupava di cose estranee alle sue competenze e consigliò il Melzi di tenerlo da parte, accusandolo di mendacio e insistendo sui suoi precedenti di fallito e di ex prete. Tuttavia l'amicizia del Melzi non gli venne mai meno; e pur se questi considerava gravi torti del B. l'aver contribuito alla rivoluzione di Venezia e collaborato con i Francesi alla razzia delle stampe e dei manoscritti, non poteva fare a meno di ammirare le sue capacità. Fu lo stesso vicepresidente a portare con successo a Parigi la supplica del B. al papa per la sua riduzione allo stato laicale. Tuttavia rimasero vani gli sforzi del Melzi per fargli conferire un incarico importante, come la segreteria di Stato a Parigi che venne invece assegnata all'Aldini.
Durante il soggiorno torinese gli interessi del B. rimasero molto vari. Pur da lontano, esplicò con vera passione le attività connesse con la sua carica di prefetto delle biblioteche e degli archivi della Repubblica, come dimostra, oltre alla sua numerosa corrispondenza, una acuta memoria manoscritta sull'organizzazione archivistica (Milano, Bibl. Ambr., G. 124). Attento ai progressi dell'agricoltura piemontese, seguì con interesse le esperienze compiute nell'allevamento delle pecore spagnole (merinos)dalla Società pastorale detta della Mandria, in cui avevano gran parte i Benso di Cavour, comunicandone i risultati, all'agronomo Vincenzo Dandolo. A Torino il B. intrecciò durevoli amicizie con Giuseppe Grassi, poi segretario dell'Accademia delle scienze, con la poetessa Diodata Saluzzo Roero e con il medico-poeta Edoardo Calvo, assai malvisto dalle autorità francesi. Sempre in questo periodo, oltre a varie memorie erudite, scrisse tre commedie e un volume di tragedie. Legato al mondo culturale, fu amico del Foscolo, conosciuto a Venezia e poi soccorso a Genova; nel secondo numero del Diario italiano del 1803, diretto appunto dal Foscolo, pubblicò un articolo sulla Chioma di Berenice, tradotto poi in francese per la Bibliothèque italienne di Torino cui collaborava regolarmente. Quando nel dicembre del 1804 arrivò a Torino Madame de Staël, con i figli e con lo Schlegel, il B. le fece da accompagnatore e la pose in contatto col Monti a Milano.
Solamente nel giugno del 1808 il B. si ristabilì a Milano, prestando giuramento come consigliere un mese prima che la sua carica a Torino venisse ufficialmente abolita. Ma, benché nel 1810 fosse nominato presidente del Consiglio degli uditori, cercò in ogni occasione di allontanarsi dalla capitale, provocando le lagnanze del viceré al Melzi. In questi anni partecipò più intensamente all'attività dell'Istituto italiano, collaborò al giornale della Società d'incoraggiamento e si inserì nel dibattito molto acceso in Francia sui rapporti tra lettere e arti, con un discorso (Dell'erudizione degli artisti, Padova 1810).
Nel 1814, quando le autorità austriache aprirono a Milano il grande processo per la congiura militare, un testimone dichiarò che i proclami erano stati preparati dal B., ma non sembra che l'accusa abbia avuto conseguenze, né risulta che dopo il 1815 egli abbia preso parte ad attività politiche. Con la caduta del Regno italico le condizioni economiche del B. si fecero molto precarie: ora il suo sostentamento dipendeva tutto dal lavoro compiuto al servizio dei librai, data l'esiguità della pensione concessagli dalla Reggenza su istanza del Giulini.
Collaborò regolarmente alla Biblioteca italiana e più tardi agli Annali di statistica, tradusse memorie e classici greci, rielaborò due guide di Milano, compilò almanacchi. Tra il '16 e il '17, ricorda D. Sacchi, pubblicò venticinque volumi. L'Istituto lombardo di scienze e lettere lo ebbe tra i suoi membri più attivi e le sue memorie non riguardano solamente questioni erudite, ma anche problemi economici, come dimostra una relazione del 1818 sulle brughiere e sui mezzi per bonificarle.
Dato l'eccessivo numero dei suoi scritti (composti spesso su commissione degli editori), non ci si può meravigliare che la maggior parte di essi sia piuttosto mediocre. Alcuni, come le prolisse storie d'Italia e di Spagna (Della istoria d'Italia antica e moderna, Milano 1819-23, in diciannove volumi; Storia della Spagna antica e moderna, Milano 1821-22, in otto volumi), non ebbero neppure un successo editoriale; altri, invece, servirono a confermargli quella fama che si era da tempo conquistata, ed hanno ancor oggi un valore per la storia della cultura di quel periodo. Tra queste il Dizionario di geologia,litologia e mineralogia (Milano 1817-1819), al quale il B. attese per molti anni, e che rimase la fonte per simili opere successive.
Negli ultimi anni della sua vita il B. fu tormentato da una grave malattia agli occhi che gli rese più difficile e lento il lavoro. Continuò tuttavia a scrivere dedicando parte del suo tempo alla composizione di un romanzo storico, L'eremita di Lampedusa, che lasciò incompleto.
Morì a Milano il 10 apr. 1835.
Fonti eBibl.: Milano, Arch. Capitolare, Capitolo metropolitano, Canonici ordinari; Ibid., Arch. della Curia arcivesc., Visite pastorali, Metropolitana 43; Carteggio ufficiale 157, 201, 204, 222; Arch. di Stato di Milano, Archivio Testi 116-149, 240, 311; Ibid., Archivio Marescalchi 230-234; Ibid., Autografi 115, 165; Ibid., Culto p. a. 1034; Ibid., Uffici regi p. m. 476; Ibid., Studi p. m., 1, 32, 68, 293, 369, 1183, e molte altre cartelle contenenti lettere ufficiali del B., specialmente tra il 1800 e il 1814; Ibid., Studi p. a. 19, 213; Milano, Archivio Civico, Famiglie 256, 257; Ibid., Bibl. Ambrosiana, Mss. G 124 e documenti a stampa riguardanti il B. e la sua famiglia; Ibid., Biblioteca Naz. Braidense, Società Patriottica,Appuntamenti 1793-94, Mss. A. F. XI 35, pp. 180, 183, 252; 1795, Mss. A F XI 36, p. 8; Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori (trentuno lettere di cui quelle a Vincenzo Monti e una a Michele Araldi sono state già pubblicate); Forlì, Bibl. Com., Raccolta Piancastelli (lettere e altri manoscritti); Ibid., Lascito Azzolini (dodici lettere a Isabella Teotochi Albrizzi); Ferrara, Bibl. Com. Ariostea, autografo n. 520; Pavia, Bibl. Univ., Mss. Ticinesi 381, 489, 493; Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori 1251; Ibid., Presidenza di Governo III 9, 11 (inchiesta del 1816 sul suo operato come collaboratore della commissione delle scienze e delle arti dell'armata d'Italia); Parigi, Biblioteca Nazionale, Ms. Ital. 1548, ff. 208, 211, 214 ss., 226 ss., 253 ss., 257 ss.; Prospetto delle sessioni della Società d'Istruzione Pubblica, Venezia 1797, pp. 39, 43, 57, 67, 93; Lettere di L. Bossi all'amico G. Grassi fra il 1817 e il 1823, in Il Subalpino, III (1837); Lettere di vari illustri italiani del secolo XVIII e XIX a loro amici, Reggio Emilia 1841-43, I, pp. 122-25, III, pp. 34, 35, 37; F. Predari, Bibl. encicl. milanese, Milano 1857, pp. 6, 105, 215, 306, 335, 426; C. Cantù, Corrisp. di diplomatici della Repubblica e del Regno d'Italia,1796-1814, Milano 1885, pp. 55-56, 170-174, 194-204; G. Brognoligo, Cinque lettere inedite di L. B. a G. Marzari Pencati, Napoli 1909; A. Manzoni, Carteggio, a cura di G. Sforza e G. Gallavresi, Milano 1912, I, pp. 67-69; Assemblee della Repubblica cisalpina, a cura di C. Montalcini, A. Alberti, R. Cessi, L. Marcucci, Bologna 1917-1948, passim;G. Compagnoni, Memorie autobiografiche, a cura di A. Ottolini, Milano 1927, p. 219; Epistolario di V. Monti, a cura di A. Bertoldi, Firenze 1928-31, II, pp. 166, 322 s., 325 s., 420, 453, 471; IV, pp. 239, 280, 289, 311, 315, 319, 323, 330; P. Custodi, Diario ined., a cura di C. A. Vianello, Milano 1940, pp. 89, 108; U. Foscolo, Epistolario, a cura di P. Carli, Firenze 1949-1956, I, pp. 74-82; II, pp. 70, 97-98, 102, 254, 434; III, p. 359, IV, pp. 26-27; V, pp. 407, 412; A. Mai, Epistolario, a cura di G. Gervasoni, I, Firenze 1954, pp. 65, 168, 169, 276; I carteggi di Francesco Melzi d'Eril,duca di Lodi, I-IX, a cura di C. Zaghi, Milano 1958-66, passim;F. Coraccini, Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, p. LXXI; Necrologio, in Biblioteca italiana, LXXVIII (1835), pp. 149-160; G. B. Carta Cenni biogr. intorno a L. B., Milano 1835; E. De Tivaldo, Biografie degli italiani illustri, V, Venezia 1837, pp. 464 ss.; C. Cantù, Diplomatici della Repubblica cisalpina e del Regno d'Italia, in Mem. del R. Ist. di scienze e lett., XV (1883), pp. 151, 152, 153, 171, 172; T. Casini, Ritratti e studi moderni, Milano 1914, pp. 429-430; A. Pingaud, La domination française dans l'Italie du Nord (1796-1805), Paris 1914, pp. 68, 343; Id., Les hommes d'état de la Rèpublique italienne, Paris 1914, pp. 139-141; G. Seregni, Don Carlo Trivulzio, Milano 1927, pp. 180, 181, 225; I comizi nazionali in Lione per la costit. della Repubbl. ital., a cura di U. Da Como, Bologna 1934-40, I, pp. 444-445; A. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età napoleonica, Modena 1934, pp. 52, 152; C. A. Vianello, Pagine di vita settecentesca, Milano 1935, pp. 117, 129; D. Spadoni, La congiura militare del 1814per l'indipendenza ital., Modena 1937, II, pp. 24, 70, 225; G. Natali, Il Settecento, Milano 1947, pp. 48, 113, 471, 551; C. Zaghi, Il direttorio francese e l'Italia, in Rivista storica italiana, LXII (1950), p. 241; G. Vaccarino, I patrioti "anarchistes" e l'idea dell'unità italiana, Torino 1955, pp. 72, 154, 184; Illuministi italiani, III, Riformatori lombardi,piemontesi e toscani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1958, pp. 420, 421, 427, 433, 436; C. Francovich, La partecipazione italiana alla cospirazione degli illuministi, in Albori socialisti del Risorg., Firenze 1962, p. 76; F. Rodolico, Un diz. geologico dei primi dell'800, in Lingua nostra, XXI (1966), pp. 19-24; C. von Wurzbach, Biograph. Lexicon des Kaiserthums Osterreich, II, Wien 1857, p. 89; Dizion. del Risorg. Naz., II, p. 382.