BRAMI, Luigi
Nacque nel 1752 da Giuseppe in Santa Sofia (Forlì), che ben presto abbandonò per recarsi a Bibbiena. Qui intraprese gli studi - sembra sotto la guida di modesti insegnanti, ché la famiglia versava in condizioni economiche disagiate - portandoli sino all'apprendimento della retorica. All'età di sedici anni si trasferì a Città di Castello per continuare gli studi, terminati i quali cominciò ad assolvere le mansioni, dell'insegnante elementare (come dirà poi scherzosamente: "Là m'acquistai cotal riputazione / con qualche magra composizione, / che mi fecer maestro della Prima, / benché poco sapessi in prosa e in rima"). Dopo qualche anno di tirocinio presso le scuole primarie fu nominato rettore del collegio e seminario di Città di Castello: carica che tenne per oltre un ventennio sebbene fosse sollecitato, per la fama di buon maestro, a recarsi in sedi più importanti. Forse amareggiato dalle troppo scarse remunerazioni, si decise nel 1798 a lasciare Città di Castello per Panicale, dove fu parroco fino al 1807. Si recò quindi a Roma in cerca di una sistemazione definitiva che avrebbe dovuto assicurargli un'esistenza serena, ma dovette ritornare sui suoi passi, infastidito più che affascinato dallo spettacolo della grande città, e accettò l'invito di andare a Chiusi come arciprete della cattedrale. A Chiusi morì il 29 nov. 1817 lasciando un buon ricordo di sé tra gli scarsi amici letterati e i molti che lo conobbero come sacerdote onesto e sinceramente devoto.
L'attività letteraria del B. è legata essenzialmente a un'opera che si iscrive nell'ambito degli interessi retorici e classicheggianti dell'età in cui lo scrittore si trovò a operare: la traduzione delle Odi di Orazio, che piacque al Rubbi nella fitta schiera dei volgarizzamenti oraziani di cui fu prodiga la seconda metà del secolo XVIII, tanto da essere inserita nel "Parnaso dei traduttori italiani" (Orazio, Le Odi tradotte da L. B., Venezia, presso Antonio Zatta, 1798).
Il B. si era accinto all'opera con molta modestia e, secondo quanto egli stesso ci riferisce, quasi occasionalmente ("Tentai far nostro il Venosin cantore: / seguii da senno, e cominciai per gioco / l'opra, che richiedea plettro migliore"): ciò nonostante la traduzione risultò soddisfacente, soprattutto per la scrupolosa, e un po' estrinseca, aderenza all'originale.
La sostanziale onestà del traduttore e le modeste doti del cultore di poesia risultano nelle rime in volgare e in latino del B., che vennero raccolte, tra le molte lasciate manoscritte, da A. Ciofi (L. B., Saggiodi poesie italiane e latine e alcune notizie sulla vita dell'autore, Firenze 1837).Nessuna delle poesie ivi pubblicate aggiunge particolari meriti alla fisionomia del letterato quale appare dal volgarizzamento di Orazio. Le poesie latine sono una stanca ripresa dei temi elegiaci e descrittivi ereditati dalla tradizione rinascimentale e svolti con una sufficiente perizia di stile; le rime italiane vertono soprattutto su osservazioni di carattere giornaliero, ove più che gli spunti moraleggianti, autorizzati dal gusto dei "sermoni" settecenteschi, piacciono certi "ritratti" al naturale, come il sonetto autobiografico indirizzato all'amico Quirino Candelari nel 1805: una poesia in qualche modo significativa della produzione del B., che può essere assimilata senza forzature al clima della tarda arcadia antipetrarchistica.
Bibl.: La più autorevole fonte di informazioni sulla biografia del B. è costituita dal cit. Saggio di poesie italiane e latine, a cura del Ciofi. Cfr. inoltre la Biografia degli Italiani illustri..., a cura di E. De Tipaldo, IV, Venezia 1837, pp. 385 ss.; G. Curzio, Orazio in Italia, Catania 1913, ad Indicem;G. Mazzoni, L'Ottocento, I, Milano 1934, p. 413; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1960, p. 518.