BRENNA, Luigi
Nato a Roma il 17 apr. 1737, entrò giovanissimo nel Collegio Romano, ove seguì con tanto profitto le lezioni di storia ecclesiastica di P. Lazzeri da essere scelto per tenere conferenze ai condiscepoli. Ancora giovanissimo, si interessò a problemi di metodo storico con due esercitazioni lette nel Collegio, De arte critica et generalibus eius regulis ad historiam ecclesiasticam relatis (Romae 1754) e De vera vel falsa traditione historica,regulisque ad eam internoscendam (Romae 1755). Alle riflessioni teoriche egli affiancò anche l'indagine positiva, con un saggio De haeresi Albigensium (Romae 1756). Il 12 dic. 1757 entrò nella Compagnia di Gesù, dedicandosi all'insegnamento; nel 1761 fu professore di materi letterarie ad Ascoli, e in seguito insegnò filosofia ad Ancona e a Firenze. Qui si trovava quando nel 1773 la Compagnia fu soppressa, e decise di rimanervi. Nello stesso anno pubblicò i due volumi De generis humani consensu in agnoscenda Divinitate (Florentiae).
In essi il B. tentava di provare, contro gli scettici e segnatamente contro Bayle, che l'idea della divinità si è presentata a tutti i popoli in tutte le epoche. Nella seconda parte dell'opera sosteneva la religiosità di molti personaggi storici accusati, secondo lui a torto, di agnosticismo. L'opera, che fondeva in modo originale considerazioni teologiche e storiche, fu accolta con molto favore. Prevalentemente teologica è invece l'opera De infinita perfectione Dei (Florentiae 1774), comprendente un'attenta confutazione degli argomenti scettici e deistici.
In seguito alla lunga residenza a Firenze, il B. entrò in contatto con i circoli intellettuali toscani, collaborando al Giornale de' letterati di Pisa, sul quale recensì molte opere di filosofia e storia religiosa: alcune di tali recensioni, come una sul Condillac, sono di notevole ampiezza ed impegno. La sua posizione di fronte al razionalismo illuministico, al sensismo e alla nuova scienza, pur critica, in quanto rivendicava la necessità di un fondamento teologico-metafisico al sapere, era molto moderata. Documento notevole della apertura mentale del B. è il De vita et scriptis Galilaei Galilaei, che A. Fabrom inserì nel primo volume delle sue Vitae Italorum (Pisis 1778, pp. 1-230). Al B. si deve anche la Vita del Muratori (X, Pisis 1781, pp. 89-391), e lo stesso Fabroni ammise che egli aveva collaborato alla stesura delle vite di Cavalieri, Moniglia, Stellini, Baglivi, Castelli, Viviani, Cassini, Grandi, Marchetti, Borelli, Lancisi ed altri. Nel 1785 apparve sul Giornale de' letterati (LVII, pp. 208-253) una Lettera... sopra i selvaggi d'America che non arrivano giammai all'uso della ragione.
Come è noto, la vita dei popoli "primitivi era allora ampiamente dibattuta, ed era stata utilizzata da certi illuministi per avvalorare tesi relativistiche e sensiste. Il B. non aderiva a tali interpretazioni, poiché il cristianesimo gli serviva come metro assoluto di giudizio, ed era propenso ad accettare la tesi di una inferiorità costituzionale degli Amerindi, sia pure sottolineando il valore formativo dell'ambiente sociale per l'individuo.
Ma il suo scritto che, in conseguenza delle polemiche da esso destate, divenne maggiormente noto furono le Lettere theologiche e filosofiche... (Firenze 1790), pubblicate con lo pseudonimo di Roberto Filalete.
Le Lettere, che attaccavano audacemente l'assolutismo papale, destarono a Roma violente reazioni, che furono espresse a quell'epoca dal Giornale ecclesiastico di Roma. Il B. si difese asserendo che il testo era stato manipolato a sua insaputa da un'alta personalità della corte fiorentina. Ma anche se vi fu un intervento estraneo, è certo che il B. sosteneva per suo conto tesi favorevoli al giurisdizionalismo leopoldino che, secondo il Caballero, ritrattò in punto di morte, lasciandone anche testimonianza scritta.
L'attività speculativa e la ricerca storica non esaurivano gli interessi del Brenna. Membro, col nome di Cleobulo Paleofilo, dell'Accademia Fiorentina, vi lesse vari discorsi; coltivò anche la poesia, pubblicando nel 1782 a Firenze una raccolta di Sonetti, di cui un'ultima edizione ampliata uscì a Roma nel 1807.
L'ideale poetico del B. è quello di una poesia filosofica ed eroica, stilisticamente sobria e attenta alla realtà presente, e si inserisce nella crescente reazione ai modi arcadici che si attua dalla metà del secolo. Non manca talora una certa robustezza, come nei sonetti celebranti la rivoluzione americana, di cui il B. fu caldo sostenitore, ed in quelli dedicati a Galileo, Descartes e Newton.
In una data incerta, attorno al 1900, il B. fece ritorno a Roma, ove morì il 27 genn. 1812.
Rimasero inediti, oltre ai Discorsi tenuti nell'Accademia Fiorentina, anche alcune Lettere filologiche, di cui si servì il Fabroni, e un Panegiricodi s. Scolastica, che era stato letto nella chiesa delle benedettine di Rieti nel 1788.
Fonti e Bibl.: R. D. Caballero, Biblioth. scriptorum Societatis Iesu supplementa. Suppl. alterum, Romae 1816, pp. 15-17; G. Secchi, L. B., in E.De Tipaldo, Biografia degli Ital. illustri, I, Venezia 1834, pp. 201 s.; G. Mira, Bibliografia sicil., I, Palermo 1875, p. 129; C. Sommervogel, Biblioth. de la Compagnie de Jesus, II, Bruxelles-Paris 1891, coll. 1111-1113; G. Fucilla, Echoes of the American Revolution in an Italian Poet, in Studies and Notes, Nalpoli-Roma 1953, pp. 371-374; Dict. d'Hist. et Géogr. Ecclés., X, col. 538.