BRUNO, Luigi
Nacque a Napoli il 18 apr. 1896 da Federico e Amalia Cilento. Iniziati gli studi universitari, li interruppe per partecipare alla prima guerra mondiale, nella quale combatté quale ufficiale dei granatieri, meritando anche una medaglia d'argento e una di bronzo al valor militare. All'indomani del conflitto riprese e completò gli studi, ottenendo nel 1921 la laurea in giurisprudenza presso l'ateneo napoletano, mentre qualche tempo dopo aggiunse a quel titolo anche il diploma di ragioniere. Il periodo durante il quale esercitò la professione di avvocato durò pochissimo. Nel 1923 venne infatti chiamato alla direzione generale della Società agricola italo somala, un'impresa costituita nel novembre del 1920 dal duca degli Abruzzi a seguito delle esplorazioni compiute nella regione somala di Giuba e Uebi-Scebeli tra la fine del 1918 e il luglio del 1920.
Tale iniziativa, alla quale collaboravano finanziariamente i principali istituti di credito, i rappresentanti degli industriali zuccherieri e dei cotonieri italiani, mise in evidenza le indubbie capacità organizzative del giovane avvocato napoletano. Sotto la sua direzione vennero infatti bonificati in un paio d'anni centinaia di migliaia di ettari di terreno. A Jōwhar (una località situata ad un centinaio di chilometri da Mogadiscio, ribattezzata Villaggio Duca degli Abruzzi) furono rapidamente costruiti diversi edifici industriali (un cantiere per la fabbricazione di cemento, un'officina meccanica, una fornace per mattoni, una segheria, uno zuccherificio), magazzini per la raccolta dei cotone e una stalla, oltre ad una chiesa con annessa una scuola e un ospedale.
L'avvenimento decisivo nella carriera del B., l'elemento determinante per la sua successiva scalata fino ai massimi vertici del mondo finanziario italiano, fu il suo incontro nel 1926 con Alberto Lodolo, vicepresidente dei Credito italiano, presente a nome della banca e dei gruppi industriali ad essa vicini in numerosi consigli d'amministrazione di imprese italiane. In particolare dai primi anni del dopoguerra Lodolo seguiva da vicino le vicende riguardanti l'industria elettrica e telefonica, due settori nei quali le punte di diamante del Credito italiano erano la Ligure toscana di elettricità e la Società telefonica tirrena (Teti), due imprese che operavano in un'area di importanza strategica nella geografia dell'industria elettrotelefonica italiana, allora alle prese con i primi, timidi, e sostanzialmente infruttuosi, approcci al problema dell'interconnessione delle reti.
Nella Ligure toscana (che vantava sostanziose partecipazioni nella Società elettrica del Valdarno e nella Elettricità e gas di Roma, poi Romana di elettricità) il gruppo di comando era rappresentato dalla famiglia Orlando, mentre nella Teti erano i Pirelli a ricoprire il ruolo di primo piano. Il punto di incontro tra queste due grandi dinastie industriali italiane fu costituito. dalla Centrale (una finanziaria nata nel 1925 "sotto gli auspici di Pirelli e con la protezione politica di Costanzo Ciano"; Scalfari, Storia segreta, p. 48), preziosa cassaforte per numerose partecipazioni dei due gruppi e, in futuro, pedina fondamentale per diverse iniziative messe a punto dai maggiori potentati finanziari del paese.
Pur senza mai rompere definitivamente i legami con la Italo somala (il B. lasciò la direzione generale, ma continuò a rimanere nel consiglio damministrazione e, più avanti, tornò ad avere un ruolo di grande rilievo nell'azienda), egli divenne il più stretto collaboratore del Lodolo, assumendo incarichi solo apparentemente di secondo piano nel vasto impero finanziario, industriale e immobiliare che faceva capo alla Centrale. In effetti lo si ritrova, un paio d'anni dopo, nelle vesti di consigliere della società anonima Immobiliare l'Edificio (che apparteneva al gruppo della Centrale e che possedeva numerosi immobili a Milano, Roma, Genova e Sanremo) e in quella di membro del collegio sindacale di molte imprese elettriche, telefoniche, meccaniche e minerarie pure legate alla finanziaria diretta dal Lodolo (Elte Società elettrotelefonica, Ligure toscana, Elettricità e gas di Roma, Società elettrica del Valdarno, Esercizio Miniere Valdarno, Officine e cantieri napoletani, Impresa manutenzioni elettriche e telefoniche, Imprese generali, Mineraria dei Valdarno). Allo stesso tempo, a riprova dei legami ancora solidissimi con la Italo somala, il B. era anche sindaco revisore della Società saccarifera somala (l'azienda zuccheriera costituita per lo sfruttamento delle piantagioni create nell'area di Jōwhar) e della Società fondiaria libica. La riprova della rapida ascesa del B. negli ambienti economici italiani èfornita dal ruolo avuto in uno dei momenti più delicati della storia bancaria e finanziaria italiana, lo smobilizzo delle due banche miste, la Banca commerciale italiana ed il Credito italiano. Egli fu infatti tra i protagonisti - agendo nell'occasione come uomo di fiducia del Credito italiano - dell'operazione, varata nel quasi assoluto silenzio dal governo il 31 dic. 1930 (una decina di mesi prima dell'intervento statale di smobilizzo nei confronti della Commerciale), tesa a garantire al gruppo di comando dell'istituto (Pirelli, Feltrinelli, Motta) la sostanziale salvaguardia delle proprie posizioni di forza nel mondo industriale e finanziario italiano e in particolare nel settore elettrico. Strumento di tale operazione, coperta dal più grande riserbo, fu la Società anonima finanziaria italiana (di cui il B. era uno dei cinque consiglieri), che si vide assegnare tutte le partecipazioni azionarie detenute dal Credito italiano e dalla Banca nazionale di credito, tranne quelle elettriche, per un importo superiore al miliardo di lire, ottenendo inoltre, prima ancora della sua costituzione ufficiale, un anticipo di 330 milioni da parte dell'Istituto di liquidazione. A questo punto il B. uscì rapidamente di scena, ma ormai il più era fatto. Nella Finanziaria italiana entrarono alcuni rappresentanti dello Stato non invisi al Credito italiano, mentre lo stato maggiore di questa banca poteva tranquillamente porre le basi per la futura coabitazione con il nuovo potente centro di potere pubblico.
Il B. aveva ormai raggiunto in campo finanziario, grazie alla sua maturità e affidabilità, un ruolo di assoluta preminenza. Non deve dunque sorprendere che all'indomani della morte del Lodolo (1932), assumesse le redini della Centrale. Divenuto nel frattempo anche parente degli Orlando, egli incarnava nel migliore dei modi la figura del fiduciario di famiglia. I vincoli di amicizia e di interesse tra i Pirelli e gli Orlando continuarono così ad irrobustirsi, trovando nel B. un rappresentante dotato di notevoli capacità di mediazione, ma anche di una autonomia a volte fin troppo marcata.
La prima grossa operazione che egli portò a terinine fu, nel 1933, la fusione tra la Società elettrica del Valdamo e la Ligure toscana (che riunivano così in un solo organismo sei centrali idroelettriche, due centrali termiche e ventinove centraline idroelettriche), premessa indispensabile al successivo riordinamento interno che poté dirsi pressoché concluso nel 1938, quando la nuova società (dopo aver assorbito la Società elettrica amiatina, la Società elettrica toscana di Firenze e la Società elettrica litoranea toscana) assunse il nome definitivo di Selt Valdarno. La capogruppo restava ovviamente la Centrale. Attorno ad essa, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, gravitavano imprese del settore elettrico, telefonico (nel quale la Teti, seconda per importanza in Italia solo alla SIP, controllava l'intera rete da Ventimiglia a Roma) di quello minerario e dei combustibili minori.
Nel corso del secondo conflitto mondiale il B. diresse a lungo, praficamente da solo, il grande organismo elettrotelefonico facente capo alla finanziaria della quale era nel frattempo stato eletto presidente. Le difficoltà oggettive a riunire gli organi dirigenti negli anni di guerra ebbero certo una parte in tale decisione, che comunque va anche letta come un evidente indizio del modo di operare dei B., portato ad accentrare le decisioni e a sfuggire a controlli e a condizionamenti. A suo merito va ad ogni modo ascritta la rap idità con cui le società del gruppo della Centrale si ripresero dopo la fine del conflitto, durante il quale subirono ingenti distruzioni che nel 1945 ridussero le vendite di energia al 40% rispetto al 1942, anno in cui si era avuta la punta massima (870 milioni di kWh, sommando produzione ed acquisto di energia presso altri produttori). Tale livello fu, infatti, nuovamente raggiunto appena due anni dopo, nel 1947.
La straordinaria capacità lavorativa del B. fu alla base anche dei nuovi successi ottenuti in Somalia nel 1945-46, quando - nonostante l'occupazione britannica - riprese in mano la direzione della Italo somala, riorganizzandola e riportandola rapidamente in condizioni di poter svolgere le varie attività agricole ed industriali. Fu grazie a questi meriti che nel 1952 egli venne nominato cavaliere del lavoro, aggiungendo questa onorificenza a quella di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro, ottenuta nel 1924, e al grande ufficialáto della Corona d'Italia, ricevuto nel 1936.
La perizia e la spregiudicatezza (Scalfari, Storia segreta, p. 86) con cui il B. guidava la Centrale costituivano ingredienti assolutamente inusuali nel panorama finanziario italiano del secondo dopoguerra. Queste doti certamente contribuirono a rafforzare ulteriormente il peso della holding dei Pirelli e degli Orlando, ma ancora di più fecero del B. un personaggio di enorme potere anche nell'Italia repubblicana. Avvezzo a risolvere i più intricati casi di partecipazioni azionarie talvolta creando appositamente nuove società finanziarie, il B. fondò anche due subholding finanziarie, la Invest e la Cofina, legate alla Centrale, che rappresentavano una novità nel panorama italiano dell'epoca in quanto puntavano a coinvolgere il piccolo risparmiatore nel mercato finanziario.
L'elenco delle cariche che il B. ricopriva negli anni Cinquanta - specchio del suo enorme potere personale - riempiva pagine intere delle pubblicazioni specializzate. Ad esempio nel 1955 egli figurava presidente delle seguenti società: CGE, Società elettrica Ala, Termoelettrica Tirreno, Idrocarburi nazionali, Commercio ligniti ed altri combustibili, Agricola industrie legnami, Agricola grossetana, Fiduciaria finanziaria italiana, Agricola Valdarno, Aziende agricole maremmane, Immobiliare l'Edificio, oltre che, ovviamente, della Centrale; inoltre era vicepresidente della Compagnia generale elettronica, della Forze endogene napoletane, della GIM (Generale industrie metallurgiche), della Romana di elettricità, della Idroelettrica dell'Alto Liri; era infine consigliere della Società idroelettrica Medio Adige, Pirelli, Osram, Larderello, Società sfruttamento forze endogene, Società elettrica d'Oltremare, Società industrie grafiche e affini già Baratino & Graeve, Elettrica maremmana, Idrauliche Appenino centrale, Compagnia nazionale imprese elettriche (Coniel), Idroelettrica Alta Toscana, Basso Cismon e Società irrigazioni.
Il sopraggiungere della non certo inattesa (per quanto duramente avversata) nazionalizzazione dell'industria elettrica nel 1962 (per tutti gli anni Cinquanta il B. era stato uno degli uomini più influenti del settore, riuscendo anche a far nominare un suo uomo di fiducia, Bruno Bianchi, direttore generale della Romana di elettricità, alla testa della Finelettrica, la finanziaria dell'IRI per il settore elettrico) trovò la Centrale largamente impreparata alla riconversione. La direzione della holding non aveva infatti studiato alcun progetto alternativo alla comoda rendita costituita dalla vendita dell'elettricità. I 120 miliardi di lire ricevuti dallo Stato quale indennizzo per la nazionalizzazione delle sue imprese vennero impiegati acquistando, senza un piano preciso, partecipazioni nei più svariati settori industriali.
Gli investimenti vennero effettuati nel comparto alimentare (venne rilevata l'Arrigoni) e in quello degli elettrodomestici (la scelta cadde sulla Triplex), mentre un'altra grossa fetta di quei capitali venne riversata nel settore della distribuzione, nei grandi lavori pubblici (Cogefar e Trafori) e nell'edilizia residenziale (Habitat). Il risultato di tali scelte fu il più delle volte deludente, se non addirittura disastroso, poiché molte aziende del nuovo gruppo della Centrale presentarono gravi disavanzi di bilancio. D'altra parte le scelte strategiche dei gruppi industriali proprietari della finanziaria andavano in direzione di un progressivo sganciamento dalle incerte vicende della vecchia holding, tanto che i Pirelli uscirono di scena, imitati poco dopo dagli Orlando.
Come un comandante di una nave che sta affondando, solo il B. resisteva tenacemente nel tentativo di mantenere il suo potere. Rifiutata la fusione con la Pirelli, abbandonata dai tradizionali e più solidi alleati, avvitata su se stessa in una infruttuosa e un po' patetica battaglia per l'autonomia, la Centrale divenne un appetitoso e facile boccone per alcuni gruppi finanziari (i Bonomi, la RAS e la Banca d'America e d'Italia), interessati al vasto e ricco settore immobiliare che ancora impreziosiva lo scarno patrimonio della società. Solo allora, sul finire degli anni Sessanta, dopo essersi battuto anche contro la fusione tra Edison e Montecatini, il B. decise di lasciare la Centrale. Dopo essere stato per anni uno dei personaggi più potenti dei mondo economico italiano (tra l'altro era stato membro della giunta esecutiva della Confindustria e dell'Assonime e del comitato esecutivo dell'Associazione bancaria italiana), il B., ormai settantenne, rimase aggrappato ad un pugno di società: la società Imprese elettriche d'Oltremare, l'Alpina s.p.a. (delle quali era presidente), la SINA (Iniziative nazionali autostradali) e la SATAP (Società autostrade, Torino-Alessandria-Piacenza, di cui era vicepresidente), la Cofina (della quale era ancora amministratore delegato) e la Pirelli (nella quale ricopriva la carica di consigliere a conferma di un legame che, nonostante tutto, resisteva ormai da quarant'anni).
Il B. mori a Milano il 26 genn. 1971.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro, fasc. Bruno; Biografia finanziaria italiana. Guida degli amministratori e dei sindaci delle società italiane per azioni, Roma 1929, p. 112; Chi è? nella finanza italiana 1955, Milano-Varese 1956, pp. 127-128; Panorama biografico degli Italiani d'oggi, a cura di G. Vaccaro, I, Roma 1956, p. 236; Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1957, p. 94; Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1961, p. 112; E. Scalfari, Storia segreta dell'industria elettrica, Bari 1962, ad nomen; Chi è? nella finanza italiana 1968, Milano-Varese 1968, p. 146; E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano 1974, pp. 14, 20, 21, 26, 149; G. Mori, Nuovi documenti sulle origini dello "Stato industriale" in Italia. Di un episodio ignorato (e forse non irrilevante) nello smobilizzo pubblico delle "banche miste" (1930-1931), in Il capitalismo industriale in Italia. Processo di industrializzazione e storia d'Italia, Roma 1977, p. 270; Id., Materiali, temi ed ipotesi per una storia dell'industria toscana durante il fascismo (1923-1939), ibid., pp. 390, 407, 410, 413, 421; V. Castronovo, Storia dell'industria italiana dall'800 ad oggi, Milano 1980, p. 175; D. Preti, A proposito dell'"economia italiana nel periodo fascista", in Economia e istituzioni nello Stato fascista, Roma 1981, p. 121. Si vedano infine i necrologi pubblicati in Il Globo, Il Sole 24 ore, Corriere della sera del 27 genn. 1971, oltre alle varie edizioni delle Notizie sulle società italiane per azioni edite dall'Assonime.