CAMPAGNA, Luigi
Nacque a Rossano (Cosenza) presumibilmente nella prima metà del sec. XVI. Consacrato sacerdote e divenuto un esperto di diritto, entrò ben presto a far parte della cerchia del card. Antonio Carafa, arcivescovo di Napoli e nipote prediletto di Paolo IV: già in una lettera del 1557 infatti il C., inviando da Fano al cardinale mille scudi d'oro raccolti dalla sua comunità, su richiesta del papa stesso, si dichiarava suo servitore affermando: "...non desidero altro almondo ch'aver occasione di farle servitio, et mostrarle il mio sviscerato amore" (Vat. lat. 12086, f. 467r). Il 9 febbr. 1559 scrisse nuovamente al Carafa esprimendosi con zelante durezza sulla riforma del clero di Benevento ed ancor più sulle pene pecuniarie da applicare contro gli ebrei (Vat. lat. 12086, f. 469r). Dal marzo del 1559 risulta iscritto nella famiglia pontificia in posizione distinta con diritto ad avere due cavalli e quattro servitori.
Il C. curò in questo periodo gli interessi del cardinal Carafa a Benevento e fu direttore pontificio di Terni, Forlì e Benevento. Nonostante la stretta collaborazione e le dichiarazioni di fedeltà, il C. non ebbe mai rapporti veramente cordiali con il Carafa e soprattutto con il padre di questo, il collerico marchese di Montebello, il quale mal sopportava il carattere duro ed intransigente del vescovo calabrese. La sua posizione era per questo, in un certo senso, precaria. Un netto miglioramento si ebbe tuttavia alla morte di Paolo IV, con la salita al soglio pontificio di Pio IV, acerrimo nemico dei Carafa: questi infatti il 5 dic. 1561 lo nominò vescovo di Montepeloso, in sostituzione di Vincenzo Ferreri, grazie all'intervento del cardinal Vitellozzo Vitelli. Agli inizi del 1562 inoltre venne eletto vicario generale dell'arcivescovo di Napoli e la sua nomina fu imposta d'autorità dal papa, come risulta da un breve del 16 maggio 1562.
Nella sua nuova funzione il C. svolse un ruolo estremamente importante. Poco dopo il suo arrivo nella nuova sede, il 23 giugno 1562, provvide alla vendita delle commende che il Carafa, in qualità di arcivescovo di Napoli, possedeva sulla Chiesa napoletana e su alcuni monasteri e prepositure; la vendita era resa necessaria per far fronte alla sfavorevole situazione determinatasi dopo la morte di Paolo IV. Il C. restava formalmente in rapporti corretti con il Carafa, ma di fatto era divenuto il padrone della situazione, concentrando nelle sue mani il governo della Chiesa napoletana, soprattutto per quello che riguardava la lotta contro le eresie. A quest'ultimo scopo, si avvalse di un breve papale che gli concedeva ampissimi poteri nei confronti degli eretici e: "...la soprintendenza di qualsivoglia cause appartenenti alla fede cattolica e alla religione, in tutte e singole le provincie del detto Regno, città, diocesi, castelli, terre etc., come deputato suo e della Sede Apostolica, potendo avocare, citare, carcerare multare, procedere anche simpliciter de plano, sottoporre a tormenti, far abiurare, assolvere i penitenti..." (L. Amabile, p. 264). Il 13 giugno 1562 inviò a Roma sudi una nave undici eretici ed alcuni mesi dopo arrestò, con l'accusa d'eresia, Giovanni Francesco Alois di Caserta, Giovanni Bernardino Gargano di Aversa, fra' Vincenzo Jannelli di Santa Maria di Capua e l'insigne filosofo e medico Bartolomeo Maranta. L'avvenimento fu tenuto nella massima segretezza dal viceré per timore di tumulti popolari (ottobre 1562): il C. aveva infatti proceduto contro il Maranta sulla base del solo sospetto che questi fosse stato l'autore di un'orazione contro gli ufficiali ecclesiastici del Regno, letta al concilio di Trento dal vescovo di Lavello.
L'attività dispiegata contro gli eretici fu tale che nel 1563 ebbe bisogno di tre nuovi suddelegati: fra' Valeriano Malvicino, Prospero Vitagliano e Giulio Santoro da Caserta. Il 30 nov. 1563 celebrò con grande fasto l'abiura di un eretico, in presenza di una grande folla. Il 4 marzo 1564 fece giustiziare l'Alois ed il Gargano dopo averne espropriati i beni, andando contro un precedente breve in materia di Giulio III.
Il suo comportamento non fu esente da critiche: oltre ai comandi del papa egli aveva infatti violato anche le leggi dell'Inquisizione che garantivano la segretezza delle rivelazioni degli eretici e non avrebbero permesso l'invio a Roma di imputati di eresia. La situazione si aggravò quando, alcuni giorni dopo la morte dell'Alois, egli ordinò con una serie di editti che un certo numero di sospetti si presentassero al suo cospetto, pena la confisca dei beni, accrescendo nello stesso tempo il numero dei "casi riservati". Nobiltà e popolo accusarono l'arcivescovo di appoggiare il "Calabrese insolente" che voleva introdurre i metodi dell'Inquisizione spagnola nel Regno di Napoli, ma il C. non modificò il proprio atteggiamento, forte dell'appoggio del viceré, il duca di Alcalá. Scoppiarono dei tumulti e delle archibugiate esplosero sotto le mura del convento di Monte Oliveto: il C. fu costretto a lasciare la città e la mattina del 24 apr. 1564, accompagnato da 50 soldati spagnoli, s'imbarcò alla volta di Roma. Giunto alla corte pontificia, venne accolto benevolmente dal papa che gli concesse i più alti onori della Curia: il 13 sett. 1564 fu nominato commissario generale della Camera apostolica; nel marzo 1564 divenne referendario; nel luglio 1565 corse addirittura voce che stesse per essere eletto governatore di Roma.
Nel 1564 fu implicato nella congiura di Ortensio Abbaticchio contro Pio IV nella quale era stato coinvolto il cardinal Carafa; l'accusa si rivelò successivamente infondata ed anzi gli fornì il pretesto per gettar discredito sull'arcivescovo lanciando l'insinuazione che questi aveva partecipato ai moti di Napoli.
L'elezione di Pio V pose fine all'ascesa del C., che, ottenuto il titolo di vescovo di Motula (5 luglio 1566), lasciò Roma.
Continuò tuttavia a svolgere il compito di vicario di Napoli fino al 1567 anche sotto la direzione del nuovo arcivescovo Mario Carafa, coll'appoggio costante del viceré. Ritroviamo il suo nome ancora una volta nel 1568 in occasione del sinodo napoletano, nel corso del quale propose di aumentare il numero dei "casi riservati" (8 febbraio).
Il C. morì nel 1579.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Fondo ruoli di famiglia, ruolo 52, f. 19r; Acta et decreta Synodi Neapolitani, Naepoli 1568, p. 45; G. Cugnoni, Autobiografia del card. A. Santori, in Arch. d. R. Soc. romana di storia patria, XII (1889), p. 337; B. Chioccarello, Antistitum praeclarissimae Neapolitanae Ecclesiae catalogus, Neapoli 1643, p. 340; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XXI, Venezia 1870, pp. 146, 373; L. Amabile, IlSanto Officio della Inquisizione a Napoli, I, Città di Castello 1892, pp. 264 ss., 272 ss., 276, 284, 288, 291; B. Katterbach, Referendarii utriusque signaturae..., Città del Vaticano 1931, p. 132; R. De Maio, Alfonso Carafa, Città del Vaticano 1961, pp. 62, 100, 105, 128, 130-36, 138, 146, 149, 162, 169, 170-76, 180, 210, 219, 228, 234, 236, 239, 280; C. Eubel-G. van Gulik, Hierarchia catholica..., III, pp. 249, 251.