CAMPAGNOLA, Luigi
Nacque a Verona verso la metà del secolo XVIII da famiglia dell'ordine civico, alquanto decaduta nel patrimonio; laureatosi in legge visse modestamente della sua attività di avvocato, mostrando sin da giovane un vivace interesse per la cultura illuministica francese, di cui leggeva con avidità i testi più signilicativi. Agli inizi del 1792 era stata fondata a Verona una loggia massonica, cui il G. partecipò nella duplice veste di membro e confidente degli inquisitori di Stato; promossa da Giovanni Châlabert, insegnante di francese, e dall'abate Giuseppe Vermont, la loggia raccoglieva nobili, borghesi e religiosi che intendevano promuovere un'intensa propaganda politica in tutta la provincia, per diffondervi i principî di libertà, eguaglianza e mutua assistenza tra gli associati. Per meglio assicurarsi la fiducia di Giuseppe Venturi, che era tra i più attivi affiliati, il C. gli lasciò a disposizione la casa che possedeva a Bussolengo. Una volta venuto a conoscenza delle informazioni più importanti, si recò nascostamente a Venezia il 4 giugno 1792 e si presentò al segretario degli inquisitori rivelando l'esistenza dell'associazione segreta, di cui descrisse dettagliatamente la cerimonia di iniziazione, che comprendeva anche lo studio a memoria di un catechismo massonico in francese e il versamento di una quota di adesione. Il C. ignorava che tra i partecipanti alle riunioni c'era un altro confidente, il maestro Raibeau, e così proprio mentre la loggia stava peravere una sede stabile offerta dall'associato Antonio Rossi, gli inquisitori intervennero e la sciolsero espellendo dalla Repubblica lo Châlabert e il Raibeau. Per l'occasione il C. non fu molestato, ma nel 1794 gli inquisitori segnalavano ai rettori di Verona che egli si faceva notare dalla polizia per la sua vivace propaganda massonica e giacobina. Si era legato con Giacomo Angeli e col mercante di seta Marco Angelini e con loro frequentava assiduamente i caffè Garbino e Pradavalle, noti centri giacobini.
La loro attività crebbe soprattutto dopo l'inizio della campagna d'Italia di Napoleone e ben presto si riuscì a raggiungere la prova della loro colpevolezza: il C. e i suoi amici lodavano apertamente i Francesi, definivano tiranni tutti i governi e "nostri Pantaloni" i patrizi veneti, "buffonezza" e "superstizione" la religione. Come risultò dalle deposizioni il C. era il più audace nelle sue affermazioni: affermava che il cattolicesimo era pieno di "superstizioni" e "inganni", che non esistevano né inferno né paradiso, che solo Rousseau era colui "che aveva svegliato la mente degli uomini", ed anzi in una conversazione con un amico ignaro della lingua francese aveva espresso il suo dispiacere per non poter dargli in lettura un libro del ginevrino, in cui si dimostrava che la religione cattolica era stata "istituita per mettere in confusione e tiranneggiare il genere umano".
Quando l'esercito di Napoleone attraversò l'Adige sul ponte di Ronco il C. si recò sul posto in compagnia di un ufficiale francese facendo diffondere così la notizia che fosse una spia al servizio dell'armata d'invasione. Pur nell'incombente sfacelo dello Stato gli inquisitori riuscirono a mettere le mani sul gruppo dei troppo accesi sostenitori delle "massime francesi". Il 19 genn. 1797 il capitano e vicepodestà Antonio Marin Priuli stese una breve relazione sui sospetti che inviò a Venezia, e il 23 l'inquisitore Agostino Barbarigo ordinò al rettore di Verona di disporre che il conte Bortolo Pattella, pure implicato in attività giacobine, e il C. si presentassero a Venezia separatamente, a otto giorni di distanza l'uno dall'altro, evidentemente per evitare che essi, subdorando le intenzioni delle autorità, potessero sfuggire all'arresto e alla prevedibile condanna arruolandosi nell'esercito francese. Ai primi di febbraio il C. si presentò regolarmente a Venezia, donde fu trasferito a Zara, dopo essere stato condannato a tre anni di relegazione, successivamente ridotti a pochi mesi. Nel maggio del 1797 la caduta del governo oligarchico gli ridiede la libertà; tornato a Verona prese parte alla nuova municipalità democratica. Non si hanno altre notizie biografiche sul C., che morì probabilmente nei primi anni dell'Ottocento.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di stato. Processi e carte polit., bb. 1253 (fasc. 420), 113, 367, 369, 561; A. Bazzoni, Le annotazioni degli Inquisitori di Venezia, in Arch. stor. ital., s. 3, XI (1870), 2, pp. 70 s.; A. Righi, Il conte di Lilla e l'emigrazione francese a Verona (1794-1796), Perugia 1909, pp. 14-18; Id., Una loggia massonica a Verona nel 1792, in Atti dell'Accademia d'agricoltura, scienze, lettere, arti e commercio di Verona, s. 4, XIII (1912), pp. 1-18; R. Fasanari, La massoneria a Verona nella seconda metà del Settecento, in Vita veronese, II (1949), 9, pp. 1-6; Id., Gli albori del Risorgimento a Verona (1785-1801), Verona 1950, pp. 9-13, 19, 21-24, 34-36, 44; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento. Ricerche storiche, Firenze 1956, p. 139.