CAMPI, Luigi
Nacque a Mirandola da Gregorio e da Maria Lucrezia Santi nell'anno 1732.
Seguì nella città natale regolari corsi di grammatica e di eloquenza, favorito dalle agiate condizioni economiche della famiglia. Nel 1749 decise di abbracciare lo stato ecclesiastico entrando nel collegio dei gesuiti di Ferrara. Assolse gli uffici inerenti alla propria condizione di studente prima e poi di maestro di eloquenza fino a quando venne soppressa la Compagnia. Dopo lo scioglimento dei gesuiti gli venne assegnata una cospicua pensione con l'obbligo di trattenersi a Ferrara come privato sacerdote. In questa condizione eccezionalmente favorevole di vita, libero da vincolanti impegni di insegnamento e di predicazione, al centro di una vasta rete di relazioni letterarie che si erano venute nel frattempo infittendo intorno alla sua persona, il C. intraprese una notevole attività letteraria, affrancata dagli elementi contingenti che avevano caratterizzato la sua prima produzione e liberamente impegnata, invece, su quel piano di dilettantismo "filologico" che costituì l'esito di molte esperienze letterarie nella seconda metà del Settecento. Vero è che a questa sorta di velleità raziocinante e mondana fa sempre riscontro nel C. un orizzonte piuttosto limitato di cultura, un prevalente interesse per i problemi in senso strettamente morale, quando addirittura non affiorano i temi tipicamente gesuitici della predicazione e l'abilità retorica del C. non lascia scoprire i vecchi schemi pedagogici della "ratio studiorum": non v'è dubbio tuttavia che l'ultima produzione del C. si inserisce in maniera meno superficiale entro la maggior prospettiva culturale del secolo; la sua attività venne confortata dalla stima di letterati famosi, tra i quali meritano almeno una menzione Saverio Bettinelli e il Tiraboschi, e la notorietà del C. venne riconosciuta da varie accademie letterarie (fu anche socio della Ariostea di Ferrara). Lo stesso duca di Modena Ercole III non gli fu avaro di elogi e di incoraggiamenti.
Si spense a Ferrara il 4 genn. 1804.
Scarso interesse riservano le due prime orazioni del C., chiaramente improntate alla tradizione retorica dell'Ordine: quella In lode della b. Beatrice II d'Este e un'altra In lode di s. Chiara d'Assisi, entrambe pubblicate a Ferrara nel 1778;ma l'opera che seguì è significativa di un clima letterario dominante nell'ultinio scorcio del secolo, avendo l'autore affrontato una impegnativa Orazione funebre in lode di d. Alfonso Varano (Ferrara 1788). Il Tiraboschi, dopo aver esaminato l'opuscolo, ne scriveva con entusiasmo al C. ("Ho ricevuto e letto con molto piacere la bella ed elegante sua orazione delle sue lodi"): in effetti la scelta del tema implica una predilezione per quel clima di arcadia lugubre che aveva avuto proprio nel Varano il suo rappresentante più tipico.
Larga risonanza ottenne anche la raccolta delle Orazioni accademiche, stampate in due tomi a Ferrara nel 1790, di cui il Tiraboschi dava un giudizio lusinghiero scrivendo al C. da Modena il 3 ag. 1790: "Al mio ritorno da Carpi, ove sono stato nella settimana scorsa, ho trovato l'involto delle due copie delle sue eleganti e ingegnose orazioni accademiche, di una delle quali ha voluto farmi un prezioso dono. Di questo io le rendo le più distinte grazie, e tanto maggiori quanto minore riconosco in me il merito per essere così favorito".
Con la Descrizione del giardino Bevilacqua di Ferrara (Ferrara 1794)si assiste a un curioso ripiegamento dello scrittore verso temi idillici e caratteristici di certa sensibilità edonistica che si potrebbe riferire di nuovo all'Arcadia (magari nella nuova accezione neoclassica), se non trovasse una puntuale conferma nella biografia dello scrittore mirandolano, svincolato dagli obblighi dell'Ordine e volto ad una esperienza di vita più vista e spregiudicata, nel sodalizio di famiglie patrizie presso le quali trova gradita ospitalità il dotto ex gesuita. Questa nuova tendenza dell'attività del C. si coglie in maniera esemplare nelle Lettere piacevoli ed erudite, il cui primo tomo fu stampato a Ferrara nel 1796, mentre il secondo vide la luce postumo, sempre a Ferrara, nel 1808. Sollecitazioni per il nuovo genere letterario il C. poteva recepire un po' dovunque, tale fa la diffusione dell'epistolografia, reale o fittizia che fosse, nella cultura dell'ultimo Settecento. Anche per lo scrittore mirandolano la lettera si prestava eccellentemente ad un tipo di comunicazione diretta e compendiosa, modellata sulla sensibilità dell'interlocutore, ispirata a quello stile di causerie, in cui variamente si intrecciavano le esigenze di un dialogo più spregiudicato e moderno a inevitabili superficialità insite in una dimensione retorica, pervicacemente arcadica. Il C. che discute su problemi di morale e di costume, che descrive ambienti e figure del mondo contemporaneo, che ragguaglia su viaggi ed esperienze di cultura rimane il letterato tradizionale che non tenta di enucleare nuovi contenuti e si esibisce invece in una tecnica comunicativa alla moda che si rivela alla lunga stucchevole e inconcludente.
L'ultima fatica letteraria del C. fu la pubblicazione dei "Dialoghi filosofici morali" intitolati La tranquillità dello spirito (Ferrara 1799), di cui l'amico Pompilio Pozzetti non mancava di sottolineare l'aspetto edificante nella generale perversione dei valori e delle sorti umane che caratterizzavano i tempi in cui l'opera vide la luce: "Quantunque in situazione avversa alle pacifiche muse, - scriveva al C. da Modena il 25 giugno 1799 - nulladimeno mi adoprerò con tutto l'animo allo smercio del nuovo libro, di cui sta ella per arricchire la repubblica delle lettere" (Ceretti). In realtà esso non aggiunge alcunché alle modeste doti speculative del C. inserendosi con notevole conformismo nel solco di quella trattatistica gesuitica che volle costituire l'ala sinistra dello schieramento conservatore nei confronti del repubblicanesimo francesizzante e rivoluzionario. È chiaro però che all'ex gesuita mirandolano manca l'acutezza mimetica di un Bettinelli, o la vigoria polemica di un Ossuna, e quindi la sua opera si rivela pesantemente polemica, più di quanto non lascerebbe supporre il contesto culturale dal quale nacque.
Bibl.: C. Malmusi, Notizie biogr. in continuazione della Bibl. modenese di G. Tiraboschi, I, Reggio 1833, pp. 459 ss.; F. Ceretti, Della vita e degli scritti di L. C., Mirandola 1890; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1960, ad Indicem; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, I, p. 584.