CASORATI, Luigi
Nacque a Pavia il 26 genn. 1834 da Francesco. Avviatosi agli studi giuridici nella locale università, conseguì la laurea nel 1854, intraprendendo subito l'attività forense. Nel 1856 entrava nella magistratura come giudice ascoltante presso il tribunale di Cremona. Carriera subito interrotta per il suo arruolamento nell'esercito sardo, nelle cui fila fece tutta la campagna del 1859. Tornato nella magistratura nel 1861, veniva nominato due anni dopo procuratore generale della corte di appello di Ferrara.
Ancora un intermezzo bellico, come volontario garibaldino nella campagna del 1866, poi, con la ripresa della sua attività di magistrato, l'avvio di un'intensa attività pubblicistica. Il C., specie nella materia penale, ma anche nel diritto commerciale. fu uno dei più attenti interpreti dei problemi dell'unificazione legislativa, delle questioni che essa poneva, sia da un punto di vista concettuale sia tecnico. Numerose le note a sentenze e i commenti alla nuova legislazione transitoria, consegnate in vari scritti pubblicati su riviste specializzate, come il Monitore dei Tribunali prima e poi nell'Archiviogiuridico e nella Rivista penale. In particolare, anche da un punto di vista storico giuridico, vanno segnalate le meticolose analisi sulle conseguenze e prospettive dell'estensione del codice penale sardo del 1859 e delle modifiche ad esso apportate per la sua applicazione agli ex territori del Granducato di Toscana e del Regno delle Due Sicilie.
La perizia tecnica del C., la sua esperienza pratica di magistrato unita a una capacità di elaborazione concettuale e teorica che ne fanno un originale elaboratore dei temi della scuola classica del diritto penale, attento anche ai postulati delle polemiche successive., specie quelle della scuola positiva (rispetto a cui seppe trovare subito un taglio metodologico equilibrato, che ne fa in un certo senso il precursore di quella linea interpretativa mediana dell'esegesi penalistica che sarà poi rappresentata, nel primo decennio del '900, dai Carnevale e dai Manzini), lo fecero diventare presto, oltre che commentatore, collaboratore prezioso dell'attività di elaborazione legislativa per la formulazione dei codici postunitari.
Il C. fu membro della commissione per il codice di procedura penale del 1869 e di quella del codice penale che, dopo fasi alterne, qualche anno dopo la morte del C., nel 1889 darà forma definitiva al codice Zanardelli., nonché membro della commissione per la statistica giudiziaria, di quella per l'ordinamento giudiziario e di quella per il nuovo codice di commercio del 1876. Intorno al codice di procedura penale, suo, assieme a G. Borsani, è il primo grande commentario in sette volumi (Codice di procedura penale. Commentario, Milano 1874-1881), nonché gli scritti preparatori, Di alcune principali riforme introdotte dalla vigente procedura penale (Bologna 1870) e La nuova legge sul giurì (Prato 1874). Ma dove può cogliersi il contributo originale del C. all'attività di codificazione è nel volume Il processo penale e le riforme (Milano 1881).
In questo lavoro il C. mostra il suo equilibrio esegetico su vari punti. A esempio circa la pretesa subiettivizzazione della norma penale, configurò lo "ius puniendi" come un aspetto della soggezione generale dei sudditi allo Stato, facendone conseguire che l'obbedienza alle leggi penali non configurava un obbligo specifico e quindi un correlativo specifico diritto da parte dello Stato, cosicché il diritto penale stesso non poteva intendersi come normativa speciale, ma l'espressione di una più generale facoltà di imperio, che corrisponde all'uniforine interesse di tutela dello Statd verso tutte indistintamente le nonne giuridiche.
Questa iniziale impostazione liberale data al tema dello "ius puniendi" lo portava a negare la tesi del rapporto punitivo, come momento successivo alla commissione del reato, nel quale il lato attivo sarebbe stato costituito, secondo le dottrine organicistiche, dal diritto soggettivo dello Stato di Punire, mentre il lato passivo, dall'obbligo dell'autore del reato di sottostare alla pena. Al rapporto punitivo il C. contrapponeva la più generale nozione del rapporto giuridico, come una serie di correlazioni tra diritti e doveri, stabilita in concreto dalla legge fra due o piùsoggetti. Per questa via la punizione di coloro che hanno violato la legge non si configurava come un interesse "particolare" della pubblica amministrazione, ma piuttosto come un interesse dello Stato considerato nella sua unità, "come presupposto dell'esistenza e del progresso della comunità sociale". Ne conseguivano una serie di postulati in tema di consumazione del reato, di fondamento dell'incriminazione, di realizzazione dell'elemento oggettivo del reato, nonché una visione della figura del reo, secondo quell'orientamento oggettivo proprio della scuola classica, per cui la sua personalità è posta in relazione dell'evento delittuoso e non considerata nel suo valore sintomatico, come indice della personalità del delinquente, e dei nessi causali che la legano al passato e al possibile futuro. Temi tutti che costituiscono alcuni dei più significativi contributi del C. alla elaborazione del pensiero penalistico di fine secolo e all'attività di preparazione della codificazione postunitaria.
Il C. morì a Roma il 4 ag. 1885.
Bibl.: L. Lucchini, L.C., in Rivista penale, XXII (1913) pp. 34-37; A. Baratta, Filos. e diritto Penale. Note su alcuni aspetti dello sviluppo del pensiero Penalistico da Beccaria ai nostri giorni, in Riv. int. di filosofia del diritto, s. 4, XLIX (1972), p. 380; M. Nobili, La teoria delle prove penali e il Principio della "difesa sociale", in Materiali per una storia della cultura giuridica, a cura di G. Tarello, IV, Bologna 1974, pp. 427 s.; Diz. del Risorg. naz., II, p. 586; Nuovissimo Digesto, II, ad vocem.