CERUTTI, Luigi
Nacque il 14 marzo del 1865 a Mira (Venezia), da Giobatta, medico condotto del paese, e da Amelia Bontempelli. Entrato in seminario per compiervi gli studi classici, decise di rimanervi per diventare sacerdote. Ordinato prete nel 1888, il patriarca Domenico Agostini lo assegnò come aiuto al parroco del suo paese natale, comprendente una vasta zona dove i contadini vivevano "come i bruti, inebetiti dall'aria mefitica, sempre febbricitanti, colla morte innanzi agli occhi, condannati a morire giovani". Questa descrizione dell'inchiesta agraria Jacini (IV, 1, p. 32) ci aiuta a capire come quel giovane prete pensasse a qualche rimedio che potesse venir incontro alle loro necessità, aggravate dallo strozzinaggio. Prima iniziativa, attuata insieme al parroco locale, fu l'istituzione di una Cassa rurale di prestiti sul tipo di quelle che il Wollemborg stava fondando in varie province del Veneto (1890).
Ben presto però sorsero tra i membri della presidenza, che comprendeva pure il parroco e il curato, contrasti sul tipo di società economica che avrebbe dovuto costituire la base della Cassa rurale e sul modo di amministrarne i denari. Da una parte i proprietari liberali propendevano verso una società per azioni (che sarebbero in gran parte state acquistate da loro, permettendone un facile controllo), dall'altra i cattolici, guidati dal C., sostenevano la tesi di una società a responsabilità illimitata e ciò, oltre che per rendersi indipendenti dai signori, anche per responsabilizzare maggiormente i contadini, sul tipo di quanto aveva fatto il borgomastro tedesco F. W. Raiffeisen. Così per i prestiti i primi pensavano di concederli essi stessi, mentre i secondi suggerivano di chiederli alle banche. Prevalsero dopo lunghe discussioni le tesi del C.; fu sciolta la Cassa rurale e ne fu ricostituita il 6 ag. 1892 una seconda con quelle caratteristiche: era la prima Cassa rurale cattolica italiana. Nel nuovo statuto infatti si ribadirono espressamente non soltanto i criteri economici di gestione, ma anche il fatto che potessero farvi parte esclusivamente coloro che fossero di "condotta morigerata ed onesta": perciò erano richiesti "lo spiegare sentimenti cristiani verso la religione, la Chiesa, il pontefice, l'educazione cristiana dei figli, la santificazione della festa", secondo un certo spirito integralista per cui soltanto nei principî cattolici, e non in quelli "moderni", poteva trovarsi la vera moralità e onestà.
Di fronte a chi, anche tra i cattolici, come il cappuccino francese L. De Besse, voleva mantenere la "neutralità" delle istituzioni economiche o ai laici, per i quali risultava addirittura impossibile concepire una Cassa rurale cattolica, il C., come il Toniolo del resto, pensava che essa soltanto avrebbe potuto "purificare l'ambiente così viziato, torbido e minoso dei moderni esercizi bancari" e creare una vera solidarietà, fondata sulla carità. Egli non si limitò però a operare per i contadini della sua parrocchia: già mentre si discuteva tra i membri della Cassa rurale di Gambarare per il futuro assetto, si era presentato alla tribuna del IX Congresso cattolico di Vicenza (settembre 1891) per propugnare le sue tesi. Più che le poche parole da lui pronunciate in quell'occasione in sede di sezione, e neppure registrate negli Atti, era destinato a produrre abbondanti frutti il foglietto, che egli aveva fatto stampare a sue spese e diffuso tra i convenuti per spronarli a istituire Casse rurali cattoliche per"salvare i contadini dalla miseria e dal socialismo". L'anno successivo, al congresso di Genova, verrà incaricato di proporre un piano di lavoro per incanalare verso la cooperazione le energie dei cattolici italiani. Unioni di credito agrario, Casse rurali di prestito, Unioni di assicurazione contro i danni della grandine e dell'incendio, e contro la mortalità del bestiame, per gli acquisti collettivi di macchine agricole e materie prime, forni cooperativi, consorzi di irrigazione, latterie e cantine sociali, cooperative di consumo furono gli obiettivi da lui proposti e in gran parte realizzati, anche grazie ad una instancabile attività di propaganda, che lo portò dal Piemonte alla Sicilia e lo spinse a scrivere opuscoli, fondare periodici (nel 1894 La Cooperazione popolare, quale organo di collegamento e di sostegno delle varie iniziative).
Nel 1894 le Casse rurali cattoliche erano già centosessantaquattro, mentre al congresso di Milano (1897) risulteranno più di settecento e più di duemila le varie organizzazioni cooperative. In loro appoggio sorgevano frattanto le prime banche cattoliche: lo stesso C. si era fatto promotore a Venezia del Banco San Marco (1895). Tale attività cooperativistica dei cattolici - di cui il C. resterà per lunghi anni l'animatore - è stata da una parte apologicamente sopravvalutata, sia in sé, sia nell'incidenza che avrebbe avuto sulla situazione economica italiana, dall'altra parte però pure svalutata, specialmente da parte socialista, che ne considerava l'azione di freno nei confronti della lotta di classe e che, salvo eccezioni, la riteneva di scarsa utilità pratica. In realtà essa fu quasi l'unico appoggio di cui poterono godere le plebi contadine negli "anni neri" dell'economia italiana. Quello che si deve obiettare se mai - e lo stesso Toniolo lo aveva già avvertito - fu che il C., come moltissimi altri tra i cattolici, non seppe comprendere come la cooperazione potesse rappresentare il germe di una società nuova, destinata a sostituire quella capitalistica. Già al congresso di Pavia (1894) il Toniolo aveva infatti proposto la costituzione di Unioni agricole come "rappresentanza permanente di classe, organismi corporativi, avviamento ad una costituzione organica della società", e più tardi aveva insistito sullo stesso concetto, lamentandosi che il loro compito si limitasse a "vendere a più buon mercato il solfato di rame", ma il C., con La Civiltà cattolica, aveva giudicato pericoloso e irreale quel progetto, pensando che le Casse rurali potessero bastare per le più immediate esigenze dei contadini e che la società, corretta nei suoi più gravi difetti, potesse restare come era.
Diventato nel 1897 parroco di S. Donato a Murano, l'isola del vetro, il C. portò nell'ambiente operaio la sua mentalità cooperativistica, istituendo una cassa operaia per combattere l'usura e abituare i lavoratori al risparmio, se pur minimo, e alla responsabilità. Invece che rivolgersi agli strozzini, che li avrebbero dissanguati, o alle banche, che avrebbero loro rifiutato il credito, o alla "casse peote", società di fatto viventi ai margini della legalità, iscrivendosi alla cassa parrocchiale e depositando una piccola somma settimanale, gli operai muranesi avrebbero costituito un fondo per sopperire ai casi di necessità. Nel 1898 pochi lavoratori risposero all'invito del C., ma due anni dopo erano già quasi duecento. Anche la Cassa operaia muranese, come prima quella rurale di Gambarare, divenne il centro propulsore di analoghe istituzioni nella diocesi veneziana e altrove, e diede origine a cooperative di consumo e istituzioni più originali quali le case operaie a riscatto assicurativo (onde ovviare agli inconvenienti che sarebbero sorti in caso di morte del locatario) e una vetreria cooperativa che arrivò ad avere centocinquanta addetti.
L'obbiettivo del C. era che si dovessero moltiplicare questi "stabilimenti cattolici", che soli avrebbero potuto salvare gli operai dal socialismo, investendo nell'industria i capitali posseduti da enti ecclesiastici, "svincolandoli da sistemi antiquati" quali i titoli di Stato. Ne scrisse ripetutamente al Toniolo, ai cardinali responsabili delle finanze vaticane, ai capi di comunità religiose e ne parlò pure con Pio X, che aveva conosciuto come patriarca di Venezia, ma invano. E le risposte furono ancora più deludenti per lui che aveva bisogno di capitali per la sua vetreria, boicottata dagli industriali muranesi, che vedevano il prete impiccione far loro concorrenza, e dai sindacati socialisti, che si accorgevano di quanta presa la sua azione avesse sugli operai, sottraendoli al loro influsso.
Tra l'altro nel 1905 i clericali, grazie all'azione del C., avevano conquistato la maggioranza nell'amministrazione comunale dell'isola. Egli non fu però capito né aiutato (soltanto il patriarca Cavallari, che lo apprezzava molto, gli era venuto incontro) e, amareggiato da quell'incomprensione e dagli avvenimenti successivi (durante la guerra aveva dovuto lasciare Murano perché le sue parole a favore della pace erano state interpretate come antipatriottiche), abbandonò la cura pastorale e accettò nel 1920 un posto di canonico nella basilica marciana.
Durante l'attività dell'Opera dei congressi (dal 1891 al 1904) aveva ricoperto pure importanti incarichi in sede nazionale: membro del Comitato permanente e poi del più ristretto Consiglio direttivo, del Comitato regionale veneto e di quello diocesano di Venezia (di quest'ultimo era stato anche presidente in una fase delicata, quando le nuove idee sembravano scompaginarne l'organizzazione), capo della terza sottosezione (Casse rurali e istituti di credito) del secondo gruppo. Oratore applaudito a quasi tutti i congressi cattolici nazionali dal 1892 al 1903 e a moltissime assemblee regionali e diocesane, la sua parola, come i suoi scritti, nei vari periodici quali La Rassegna sociale, che aveva fondato insieme a don Umberto Benigni, Il Movimento cattolico,La Difesa,La Vita del popolo, suscitavano sempre entusiasmo e provocavano l'azione.
Appartenne a quella corrente intransigente del movimento cattolico italiano che, guidata dal Paganuzzi, si preoccupava soprattutto dell'"azione generale", e cioè della formazione di una mentalità integralista e papale, che considerasse preminente la difesa della Chiesa dalla "rivoluzione" e la "questione romana", e che subordinava perciò gli interessi economici e sociali a quegli scopi, temendo inoltre ogni tentativo di autonomia o anche di minor dipendenza dalla gerarchia come un attentato alla causa. Mentalità che si paleserà chiaramente nell'ordine del giorno, da lui proposto, alla riunione del Comitato permanente dell'Opera dei congressi nel luglio 1904, che causerà lo scioglimento dell'organizzazione da parte della S. Sede, dopo aver messo in minoranza la presidenza Grosoli.
In esso si criticavano infatti il modo di giudicare la questione romana come se fosse ormai superata, la poca obbedienza all'autorità ecclesiastica, l'ingerenza nella vita politica e l'adesione ai fatti compiuti, l'agitazione democratica, l'indirizzo e l'azione sociale con criteri prevalentemente economici a scapito di quelli religiosi. Nella sua adesione a quella corrente stavano i suoi meriti, ma anche i suoi limiti. Tuttavia aveva saputo distaccarsi da essa quando gli sembravano in gioco gli interessi vitali degli operai, come nella questione delle Camere del lavoro di cui, almeno in un primo tempo, difese l'opportunità contro il parere dello stesso Toniolo, che ne scorgeva la facile strumentalizzazione da parte dei socialisti, o al congresso di Bologna del 1903 in cui, unico della corrente paganuzziana, rimase, oltre che per sostenere la sua iniziativa delle case popolari, anche per appoggiare l'entrata delle amministrazioni cattoliche nella Lega per l'autonomia dei comuni, pur essendo essa una associazione laica, o l'iscrizione dei maestri cattolici all'Unione magistrale nazionale, che ne difendeva gli interessi economici, non alieno neppure dal prendere posizione sulle unioni professionali o le questioni femminile o meridionale.
L'attività del C. però non si limitò al settore economico-sociale. Fu un pioniere nel saper valutare l'importanza che nuovi mezzi, quali il cinema, potevano avere per l'apostolato sacerdotale: aprì infatti uno dei primi cinematografi parrocchiali e fondò una società per l'acquisto e il noleggio delle pellicole, pensando addirittura alla produzione di film a soggetto religioso. Lo attraeva del resto sempre la vita pastorale e per questo, rinunciando agli incarichi onorifici che gli venivano affidati in sede diocesana (presidente della giunta di Azione cattolica e della commissione per il tempio votivo, delegato per le missioni), chiese di ritornare alla cura d'anime. Non accontentato, esulò in diocesi di Concordia e a sessant'anni esercitò dapprima le mansioni di cappellano a Paludea, comune di Castelnuovo, nelle Prealpi Carniche e poi quelle di parroco a Torre, un'industriosa borgata nei dintorni di Pordenone (1926). La sua pur tenace fibra era però ormai scossa, per cui nel 1932 si ritirò quale cappellano della casa di cura dei Fatebenefratelli a Venezia, dove morì il 23 ott. 1934.
Fondamentali per la conoscenza del suo pensiero e della sua attività sono i vari opuscoli da lui scritti: Della questione sociale rispetto al contadino e le casse rurali di prestito. Memoria per il IX Congresso cattolico di Vicenza, s. d. né l. [Gambarare 1891]; Statuto di una cassa rurale cattolica di prestito, Gambarare 1894; Le Casse rurali cattoliche. Numero unico compilato per il Congresso di Pavia, Treviso 1894; La Cassa rurale di prestito di Gambarare: relazione statistica, ibid. 1894; Studio sulle casse rurali cattoliche di prestito, ibid. 1894; Le Casse rurali cattoliche di depositi e prestiti ossia l'organizzazione cristiana del credito agrario, Perugia 1894; Manuale pratico per le casse rurali, I, Costituzione, II, Funzionamento, III, Contabilità, Parma 1894; Le Casse rurali cattoliche dell'alta Italia, Lendinara 1895; Manuale pratico per le Casse rurali con la Sezione di carità reciproca, Parma 1899; Statuto delle casse operaie cattoliche con cenni illustrativi, Venezia 1899; Manuale pratico per le società cooperative di consumo, Parma 1900; Manuale pratico delle prime casse operaie a riscatto assicurativo, Venezia 1902; Programma di azione cattolica nel campo economico, Torino 1894; Morale ed economia, ibid. 1897; Che cosa sia e che cosa voglia il socialismo, Venezia 1898. Parecchie di queste operette hanno avuto edizioni successive.
Fonti e Bibl.: Necrologi del C. sono stati pubblicati in L'Osservatore romano del 29-30 ott. 1934, Pro Familia del 2 dicembre, Lavoro cooperativo dell'8 novembre, La Settimana religiosa del 28 ottobre, Boll. dioces. del Patriarcato di Venezia del novembre dello stesso anno (p. 178). Diverse sue lettere sono nell'Archivio dell'Opera dei congressi presso il seminario patriarcale di Venezia, nell'Archivio Paganuzzi presso il medesimo istituto, nel Carteggio Toniolo alla Biblioteca Apostolica Vaticana, e presso le suore agostiniane di Mira (Venezia). Negli stessi archivi e in quelli di Gambarare, S. Donato di Murano, Torre di Pordenone, Curia vescovile di Concordia, Curia patriarcale di Venezia sono pure, sparsi in varie cartelle, documenti che lo riguardano. Brevi profili del C. si trovano in R. Della Casa, I nostri: quelli di ieri e quelli di oggi, Treviso 1903, pp. 219-213; F. Magri, L'Azione cattolica in Italia, I, Milano 1953, pp. 475 s.; più ampio è A. Rovigatti, Mons. L. C., Milano 1935 (rist. in Verso il capitalismo del popolo, Venezia 1958, pp. 123-166); di lui si parla pure nelle varie opere sul movimento cattolico italiano (De Rosa, Spadolini, Candeloro e in modo partic. Gambasin). Cfr. anche Il movim. cattol. e la società ital. in cento anni di storia (con contributi di vari autori), Roma 1976. Su docum. d'archivio è basato il vol. di S. Tramontin, La figura e l'opera sociale di L. C. Aspetti e mom. del mov. cattol. nel Veneto, Brescia 1968. Dello stesso autore cfr. pure Le prime casse operaie cattol. in diocesi di Venezia(1898-1904), in Boll. d. Arch. per la storia del movim. sociale catt. in Italia, II (1967), pp. 98-124; I cattolici e le Camere del lavoro, in Rass. di polit. e di storia, XIV (1968), pp. 102-114; Un pioniere cattol. nel campo cinematografico, in L'Osservatore romano, 13-14 ott. 1969; Lettere spirituali di un pioniere di azione sociale: don L. C., in Chiesa e spiritualità nell'Ottocento ital., Verona 1971, pp. 401-410; La prima cassa rurale cattolica, in Boll. d. Arch. per la storia d. movim. sociale cattol. in Italia, IX (1974), pp. 95-107. Cenni sulla sua attività si trovano pure in due opere di diversa impostazione storiografica: Movim. cattol. e sviluppo capitalistico nel Veneto, Padova 1974 (con contributi di vari autori) e G. Zalin, La società agraria veneta del secondo Ottocento. Possidenti e contadini nel sottosviluppo regionale, Padova 1978.