CHERUBINI, Luigi
Decimo figlio di Bartolommeo (Firenze, 21 ott. 1726-ibid., 10 sett. 1792, allievo di G. N. Ranieri Redi e maestro al cembalo al teatro della Pergola) e di Veridiana Bosi, nacque a Firenze, in via Fiesolana, il 14 sett. 1760 e fu battezzato con i nomi di Luigi Carlo Zanobi Salvatore Maria. Iniziò lo studio della musica sotto la guida paterna, come poi scrisse nel Catalogo generale per ordine cronologico di tutte le sue opere, che il musicista tenne aggiornato fino alla vigilia della morte: "J'ai commencé à apprendere la musique à six ans et la composition à neuf ans: la première m'a été apprise par Barthélemi Cherubini, mon père, professeur de musique" (A. Bottée de Toulmon, p. 12).
In quel periodo la vita musicale fiorentina, come hanno dimostrato i recenti studi condotti soprattutto da A. Damerini e da M. Fabbri, era molto intensa; da ricordare, tra gli avvenimenti artistici più importanti, i concerti e le opere di Piccinni alla villa "de' Tre Visi" abitata da lord Cowper, nonché le rappresentazioni di opere di Traetta, Gluck e Rutini (Il contadino incivilito)al teatro della Pergola e infine la prima esecuzione italiana del Messia di Haendel avvenuta a palazzo Pitti il 6 ag. 1768, poco prima della morte di Veracini, alla presenza del granduca.
Sempre dal Catalogo apprendiamo che, mortagli la madre nel 1769, il C. fu indirizzato dal padre alla scuola di Bartolomeo ed Alessandro Felici, padre e figlio, che a quel tempo avevano aperto a Firenze una specie di bottega (come attesta il Confalonieri, p. 21) per l'insegnamento del contrappunto: studio approfondito e tempestivo che avrebbe mostrato i suoi frutti nella futura produzione corale ed altresì teatrale del Cherubini. Oltre ai segreti del contrappunto, A. Felici poté insegnare all'allievo, anche qualche norma teatrale, indirizzo che, dopo la sua morte, improvvisa, venne continuato dal figlio Bartolomeo. Al 1773 risale la prima composizione elencata nel Catalogo, ossia una Messa e Credo in re min. a 4 voci con accompagnamento strumentale, che venne eseguita e accolta "con molto applauso", secondo il Fabbri (p. 20), nella chiesa del monastero di S. Martino in via della Scala, sotto la direzione dello stesso Felici. E va precisato che la denominazione di Messa e Credo vuole indicare una messa completa in cinque parti e non una messa "ridotta" costituita cioè, com'era uso corrente, dal solo Kyrie e Gloria, integrata da pezzi organistici. Quanto a un Intermezzo, che è segnalato ancora dal Catalogo, ma di cui il C. non ricordava più il titolo, potrebbe trattarsi, secondo il Fabbri (p. 20), de L'amor artigiano, eseguito il 22 ottobre dello stesso anno 1773 nel nuovo teatro aperto dall'Accademia dei Generosi nella chiesa di S. Domenico a Fiesole. Nell'anno seguente apparvero una Messa in do e un Dixit (entrambi a 4 voci e orchestra), di cui non si ha notizia dalle cronache del tempo, che invece riferiscono dell'esecuzione della cantata La pubblica felicità (esiste il libretto: Firenze, Bibl. Marucelliana, Melodr. 2295 [28]), avvenuta il 27 settembre nella chiesa metropolitana "in occasione di una pubblica Accademia" fatta da "chierici del Collegio Eugeniano" (Fabbri, p. 21). Il successo che ottenne questa composizione consentì al Felici di presentare la partitura del suo allievo al granduca Pietro Leopoldo di Lorena, che cominciò a manifestare un certo interesse per il giovanissimo musicista, accordandogli tre anni più tardi una pensione (ovvero borsa di studio) per potersi stabilire nella vicina Bologna e frequentare le lezioni di Giuseppe Sarti.
Il Catalogo riferisce all'anno 1775 un Dixit (per solo coro e organo) e un Magnificat a 4 voci e orchestra, opere che sono andate perdute, nonché un'altra Messa in do a 4 voci e orchestra che il Fabbri (p. 22) ha appurato esser stata eseguita nella basilica della SS. Annunziata il 13 agosto, in occasione della "festa del Santo concittadino S. Filippo Benizi": si tratta di una messa "ridotta", essendo composta soltanto del Kyrie e del Gloria.Al 10 dicembre dello stesso anno risale un Tantum ergo per tenore ed orchestra, eseguito dal cantante tedesco V. Adamberger ancora nella Compagnia della SS. Annunziata e che non è annotato nel Catalogo. Nel 1776 moriva B. Felici e in sua memoria il C. componeva due Lamentazioni di Geremia a 2 voci con orchestra, quattro Atti di contrizione per 4 voci virili ("Pietà mio Dio"; "Madre del mio Gesù"; "Adorato Redentore"; "Peno per te") ed un Miserere pure a quattro voci con accompagnamento, strumentale, opera forse eseguita nella, Compagnia di S. Sebastiano. Risalgono a questo stesso anno tre composizioni vocali profane: un Rondò, un Duetto e un'Aria buffa che risultano esser state eseguite il 17 marzo nella sala degli Ingegnosi da famosi cantanti come il già citato Adamberger ed inoltre Giovanni Rubinelli e Tommaso Guarducci.
L'attività musicale fiorentina era molto viva, durante questo periodo di studio compiuto dal C. presso la scuola dei due Felici, come documenta il Fabbri (pp. 24 ss.). Infatti nel 1769 il celebre violinista livornese Nardini teneva a Firenze il suo primo concerto; e nel 1770, sostando a Firenze Leopold e Wolfgang Mozart, certamente il C. venne loro presentato alla vigilia del concerto "di cembalo" tenuto dal giovanissimo salisburghese. Molte opere di compositori famosi intanto figuravano sulle scene fiorentine: nel 1771 vennero rappresentate alla villa "de' Tre Visi" L'isola d'amore di A. Sacchini, Le finte gemelle di N. Piccinni e l'Orfeo di Ch. W. Gluck, mentre la cantata Aci eGalatea di Haendel appariva nel teatro di via del Cocomero; ancora opere di Sacchini (L'Armida)e di Piccinni (L'americano)con l'oratorio S. Ifigenia in Etiopia di T. Traetta si avvicendarono nel 1772, mentre nell'anno successivo apparivano L'Aristeo di Gluck, L'isola di Alcina di G. Gazzaniga, due atti unici (L'isola disabitata e Le cinesi)di G. Astaritta diretti dall'autore, L'amor per raggiro di G. M. Rutini e la prima rappresentazione del Demofoonte di P. Anfossi, oltre all'oratorio La Passione di Nostro Signore di J. Mysliveček. Nel 1774 vennero eseguite a Firenze opere di G. Paisiello, G. M. Rutini, P. Anfossi, G. B. Pergolesi, nonché L'Armidaabbandonata di N. Jommelli e la prima rappresentazione di Tanas Kaulikan nelle Indie di P. Guglielmi, a cui vanno aggiunti concerti del celebre oboista Carlo Besozzi e dell'organista Vincenzo Panerai (in S. Marco) nonché l'esecuzione dell'oratorio S. Elena al Calvario di J. A. Hasse. L'anno 1775, accanto a lavori teatrali di Rutini, Anfossi, Gazzaniga e Zannetti (tutti documentati dal Fabbri, pp. 28 s.), fu dominato dal teatro di Paisiello (La frascatana,L'idolo cinese), che curò personalmente l'esecuzione del suo Gran Cid con la collaborazione al cembalo di Bartolommeo, padre del C., che quasi certamente vi presenziò. Infine nel 1776, oltre ad esibizioni del celebre violinista tedesco Michael Esser al teatro di via S. Maria e ad esecuzioni di oratori (Isacco di Mysliveček e La betulia di Traetta), furono rappresentate alcune "burlette" di Paisiello (La discordia fortunata), di Astaritta (I visionari)e di Mysliveček (Adriano in Siria, in prima esecuzione), unitamente all'opera seria La disfatta di Dario di Paisiello. Da questo quadro risulta evidente che il giovane musicista fiorentino, attento a seguire l'attività del padre e del suo maestro, abbia maturato una pronta capacità di assimilazione di stili e di generi musicali differenti, completando in tal modo direttamente la propria educazione musicale.
Alla morte di B. Felici, avvenuta nel giugno 1776, il C., rimasto senza maestro, come di informa ancora egli stesso nel Catalogo, entrò alla scuola di due insegnanti di secondo piano sebbene assai stimati a Firenze: G. Castrucci e P. Bizzarri, quest'ultimo cembalista al teatro della Pergola e quindi collega del padre. Erano forse state ragioni economiche, suggerisce il Fabbri (pp. 30 s.), che avevano indotto il padre del musicista a scegliere per lui due maestri minori anziché metterlo alla scuola di un compositore celebre com'era allora Rutini. Il C. frequentò la scuola di Castrucci e Bizzarri per poco più di un anno, dalla fine del 1776 alla primavera del 1778, componendo nel 1777, come riferisce il Catalogo, tre opere andate perdute: un Mottetto e un Te Deum a quattro voci ed orchestra nonché un oratorio di cui non è noto il titolo. Consta inoltre che egli abbia tenuto un concerto d'organo il 21 maggio 1777 a Barberino di Mugello, nella prioria di S. Silvestro per la festa quinquennale di S. Papìa. Le nove Antifone a cappella (di queste resta solo l'ottava a sei voci) sono riferite dall'autore all'anno 1778 e vennero composte a Bologna sotto la guida del Sarti, ma in verità erano state scritte o perlomeno abbozzate prima della partenza del C. da Firenze in compagnia di questo suo nuovo maestro; ed ancora a Firenze era stato composto un Intermezzo a tre voci ed orchestra che venne eseguito il 16 febbraio nel teatrino dei padri serviti.
L'operista faentino G. Sarti, attivo a Venezia dopo aver operato a Copenaghen, era giunto all'inizio del 1777 a Firenze, ove nei quattro anni successivi fece rappresentare ben nove sue opere, quattro delle quali in prima assoluta. Il successo riportato dal suo Medonte re di Epiro a Firenze, nel 1777, convinse Bartolommeo Cherubini a metter sotto la sua guida il figlio: l'incontro avvenne dopo la rappresentazione dell'Olimpiade al teatro della Pergola (8 febbr. 1778), con tutta probabilità ai primi di marzo e nella stessa casa del Cherubini in via Fiesolana. Il C. sostenne una sorta di esame, il cui esito fu così brillante che il Sarti accettò con entusiasmo il giovane come suo allievo. Bartolommeo ricorse allora all'aiuto del granduca, ottenendo una "pensione" mensile per il figlio, che in tal modo poté seguire il Sarti a Bologna, alla fine di marzo. Nella città emiliana il C. si fermò poco più di un anno, poiché alla fine di luglio del 1779, dopo aver composto altre otto Antifone a 4-5 voci ("Vox clamantis"; "Non confundetur"; "Salva nos Domine"; "Lumen"; "Ipse invocabit mea"; "Leva Ierusalem"; "Venit et Dominus"; "Expectabo Dominum") e il Credo a 8 voci rielaborato nel 1806, tornò a Firenze con il Sarti, che era stato chiamato dagli Accademici Intrepidi per scrivere l'opera Mitridate in Sinope per il teatro della Palla a corda. A quest'opera come pure all'altra Achille in Sciro, programmata nella stagione autunnale sempre del 1779, il C. collaborò scrivendo alcune "airs des seconds rôies"; successivamente seguì a Milano il suo maestro, che aveva vinto il concorso, (a cui aveva partecipato anche Paisiello) per la carica di maestro di cappella del duomo, resa vacante dalla morte di Gianandrea Fioroni. A Milano il C. compose, a titolo di studio, altre musiche sacre (Litanie a 4 voci, l'Offertorio "Per unum hominem" e la Messa "Te Laudamus Domine" a quattro voci ed organo), recandosi poi ad Alessandria per musicare e far rappresentare nel locale teatro Civico, nella stagione della "fiera d'ottobre", il suo primo melodramma in tre atti Quinto Fabio, su libretto di A. Zeno.
Durante l'anno 1780 e i primi mesi di quello successivo, il C. soggiornò a Milano, ove compose alcune pagine sacre, una serie di Arie per opere di altri autori, tutte perdute ("Se vi giunge"; "Caro consorte amato"; "Distaccati al primo"; "Questa è causa d'onore"; "Agitata tutta io sono"), nonché le Sei sonate per cimbalo, e una Sonata per due organi che è andata perduta. All'inizio del febbraio 1781 ritornò a Firenze, ove il 16 marzo, come ci informa sempre il Fabbri (p. 38), gli venne dedicata un'"accademia" vocale e strumentale costituita interamente da sue musiche. Nella seconda metà di quell'anno il C. si dedicò interamente alla composizione di due opere teatrali, la prima delle quali, L'Armida abbandonata (libretto di S. Durandi), andò in scena al teatro della Pergola il 25 genn. 1782 con ottimo successo (l'autografo, autenticato da una lettera della figlia Zenobia Rossellini-Cherubini, è conservato nella biblioteca del conservatorio di Firenze nel fondo Dono Morini), mentre la seconda, Adriano in Siria (su libretto del Metastasio), venne rappresentata al teatro degli Armeni di Livorno il 16 aprile successivo. Dunque il C., pur gravitando intorno al Sarti, intento a studiare con lui e a comporre le "arie secondarie" dei melodrammi di questo, cominciava a farsi conoscere come operista. Il successo maggiore lo colse, ancora al teatro della Pergola, il 6 sett. 1782 con l'opera in tre atti Messenzio re d'Etruria (libretto di F. Casori), ma nel contempo il musicista si dedicava a scrivere una serie di liriche, come le due Ottave, suversi del Marino ("Io che languir"; "E mentre dolcemente") e la canzonetta del Chiabrera a voce sola "Bella rosa porporina"; risulta di certo, come attesta il Catalogo, che egli abbia composto per alcune "accademie" di "nobili dilettanti" due serie di Duetti da camera con accompagnamento di cembalo (più tardi ribattezzati col termine francese di Notturni)nonché due Duetti con due corni d'amore dedicati a lord Cowper. E in questo periodo il C. revisionò il manoscritto delle Sei sonate per cimbalo, che vennero dedicate al patrizio fiorentino A. Corsi e pubblicate a Firenze nel 1783.
Nel gennaio 1783 il C. soggiornò brevemente a Roma ove, grazie all'interessamento del Sarti, venne rappresentata al teatro Argentina l'opera Quinto Fabio, totalmente rifatta rispetto a quella rappresentata ad Alessandria; poi tornò a Firenze, ove scrisse altre pagine vocali d'occasione tra cui due Arie buffe per tenore ("Forza è pur bell'idol mio"; "Pensate che la femmina") e una per baritono che ci informano del suo nuovo orientamento operistico: quello che infatti si manifesta nella composizione della prima sua opera comica, Lo sposo di tre,marito di nessuna (libretto di F. Livigni), che venne rappresentata nell'autunno 1783 al teatro S. Samuele di Venezia. Il successo conseguito gli assicurò l'incarico di altre due opere in due atti, l'Idalide per il teatro fiorentino della Pergola (libretto di F. Moretti, carnevale 1784, eseguita probabilmente il 26 dic. 1783) e Alessandro nelle Indie (libretto di P. Metastasio), rappresentata nel Nuovo Regio Ducale teatro di Mantova nella primavera del 1784. Dal libretto dell'Idalide (ove per la prima volta l'autore viene indicato come "celebre") consta che ai due cembali suonavano il padre Bartolommeo e il suo vecchio maestro Pietro Bizzarri.
Felice congiuntura ma anche emblematico congedo, se questa doveva essere la penultima apparizione italiana del C. come operista. Infatti, al ritorno da Mantova, egli veniva consigliato dal Sarti di recarsi a operare all'estero, seguendo l'esempio di tanti altri colleghi, in cerca d'una fortuna che in Italia diventava sempre più problematica ed ingrata. Consta così che, essendosi recato nei mesi estivi nella villa "de' Tre Visi", egli vi apprese notizie sull'ambiente londinese, ottenendo una lettera di raccomandazione di lord Cowper per William Douglas duca di Queensberry. Tuttavia, prima di partire il C. compose una cantata a tre voci intitolata Il trionfo dell'Arno (non inclusa nel Catalogo per le nozze del senatore Lorenzo Ginori, che venne eseguita nella chiesa di S. Filippo Neri di Volterra il 26 agosto: composizione d'occasione che concluse definitivamente l'attività fiorentina del musicista, che pochi giorni dopo partì infatti per Londra, mentre il Sarti, accettando l'invito di Caterina II di Russia, si trasferiva a Pietroburgo come successore di Paisiello.
Durante il viaggio alla volta di Londra il C. transitò da Torino, e la Società dei cavalieri, che gestiva il teatro Regio, gli commissionò un'opera per una delle stagioni successive, cosa che il musicista promise di fare non appena assolti i suoi impegni in Inghilterra. A Londra il duca di Queensberry, che era appassionato di musica italiana, lo introdusse nella cerchia degli intimi del principe di Galles. Ma il C., giunto nella capitale britannica col solo scopo di diventare "compositore al teatro d'opera", cominciò la sua attività scrivendo "pezzi aggiuntivi" per melodrammi di altri maestri (quattro brani per il pasticcio Demetrio: "In questa guisa"; "Non fidi al mar"; "Va cediamo al destino" e "Che mai feci", e sei arie per Il marchese Tulipano di Paisiello: "Al mio bene al mio tesoro"; "Nobile al par che bella"; "Per salvarti"; "Madamina siete bella"; "Assediata è Gibilterra" e "Cosa vuole il Marchesino"), venendo poi impegnato per un'opera "di mezzo carattere", La finta principessa, rappresentata nella primavera 1785 al King's Theatre di Haymarket. Durante l'estate, essendosi temporaneamente sciolta la compagnia italiana, il C. compì un viaggio a Parigi, ove il cantante Matteo Babini gli fece conoscere il celebre violinista piemontese G. B. Viotti, con cui strinse subito una viva amicizia. Fu il Viotti che lo orientò nella vita musicale della capitale francese, introducendolo nell'ambiente intellettuale parigino (ove conobbe La Harpe, Morellet e, soprattutto, il librettista Jean-François Marmontel, collaboratore di Grétry e di Piccinni), nonché alla corte di Maria Antonietta. Tornato a Londra, il C. scrisse un'opera seria in due atti, Giulio Sabino (libretto di P. Metastasio), che fu accolta con freddezza ancora al King's Theatre nella primavera del 1786, come ci informa il Burney che doveva scrivere queste note nel 1788, quando il C. si trovava temporaneamente a Torino per allestire la sua Ifigenia in Aulide."La sua opera Giulio Sabino fu ammazzata sul nascere, per mancanza del necessario contributo da parte dei cantanti principali. L'aver elevato Babini al rango di primo tenore e Madame Ferraresi al rango di primadonna non servì certo a predisporre il pubblico in favore del giovane maestro" (cfr. Confalonieri, p. 118).
Nell'estate 1786 il C. tornò a Parigi, incontrandosi ancora col Viotti e facendo la conoscenza di un futuro grande amico, il tenore Arien Garat, a cui dedicherà l'anno dopo le Dix-huit romances, con pianoforte e arpa, tratte dal romanzo Estelle et Némorin di J.-P. Claris de Florian, molto ammirate più tardi da Berlioz. A Parigi, nel 1786, il Viotti lo incitò a comporre il suo primo lavoro su testo francese, ossia la cantata massonica per la Loge Olympique di Parigi, intitolata diffusamente L'alliance de la musique à la maçonnerie; Amphion élevant les murs de Thèbes au son de la lyre, opera che non venne però eseguita, come apprendiamo dal solito Catalogo. E consta altresì che il C. a Parigi venne a contatto con l'arte orchestrale di Haydn, di cui ascoltò con devota ammirazione le Sinfonie parigine, eseguite nei Concerts spirituels, insieme ad altre sinfonie concertanti (genere allora molto di moda a Parigi) di Gossec, Cambini, Viotti e Pleyel. L'inverno e la primavera dell'anno successivo il C. li trascorse ancora a Londra, senza nulla comporre, e nell'estate ritornò a Parigi per stabilirvisi definitivamente. Ultima parentesi italiana fu quella trascorsa dal musicista a Torino, per mantenere la promessa a suo tempo fatta al teatro Regio. A Torino giunse alla fine di ottobre del 1787 per la stesura definitiva dell'opera in tre atti Ifigenia in Aulide, librettodi F. Moretti, che ebbe ventidue rappresentazioni, tra il 12 gennaio ed il 5 febbr. 1788, unica opera della stagione col Demofoonte di G. Pugnani.
Riesce interessante, proprio per chiarire la concezione artistica del teatro cherubiniano, il resoconto che il corrispondente torinese del Calendrier musical inviò a Parigi: "Mentre gli amatori del teatro lirico rimpiangono la scomparsa di Sacchini e di Gluck, è cosa consolante il poter salutare l'avvento di un altro artista che, sebbene ancor giovanissimo, offre già i frutti del più maturo talento: questo artista, già conosciuto in Italia per altri successi, è il signor Cherubini. Egli ha dato testé in Torino un'Ifigenia in Aulide, il cuiesito straordinario è dovuto principalmente alla cura di fonder bene gli effetti musicali col senso delle parole, maniera di comporre presso a che ignota in Italia e interessante pel nostro teatro francese, cui il signor Cherubini intende di dedicarsi. La musica della nuova Ifigenia è di genere affatto inusitato per questo Paese; ora sublime, ora tenera, sempre energica e affascinante, essa ha prodotto effetti quasi inauditi" (cfr. G. Confalonieri, p. 151).
Un successo che l'opera riscosse anche al teatro alla Scala di Milano nella stagione autunnale dello stesso anno, ove venne rappresentata dal 9 agosto "sino agli ultimi di settembre" (associata, dal 7 settembre, all'Olimpiade diCimarosa): e la cavatina, cantata dal celebre sopranista L. Marchesi, "A voi torno, amate sponde" divenne assai popolare in Italia, vero cavallo di battaglia in varie "accademie" e concerti. Non risulta che il C. tornasse in Italia in occasione della rappresentazione milanese; né accolse l'invito rivoltogli dal teatro Regio di Torino di comporre un'altra opera per la stagione 1789-1790. Il C. si proponeva allora di ritornare in Francia al più presto, senza, nemmeno esser tentato di fare una scappata a Firenze: "forse temeva di rimanervi", suggerisce il Confalonieri (p. 157), ma in verità era ansioso di mettersi al lavoro della sua opera Demofoonte, a cui l'aveva forse sollecitato la curiosa concomitanza dell'omonima opera del Pugnani che si rappresentava a Torino con la sua Ifigenia in Aulide.
Completata durante il 1788, la "tragédie lyrique" Démophoon (libretto di G. F. Marmontel) venne rappresentata, sotto la direzione dell'autore, il 5 dic. 1788 all'Académie Royale de Musique (ossia all'Opéra) con vivo successo, anche se il Grimm, nella Correspondance littèraire philosophique et critique rilevò che le arie di quest'opera mancavano "talvolta di tenerezza e di verità" (termine, quest'ultimo, normativo della poetica degli enciclopedisti), pur lodando l'impiego dei cori, la ricca orchestrazione e la "varietà spiritosa delle sue danze". Nel frattempo il Viotti, che era il vero fulcro della vita musicale parigina, aveva fondato un teatro, situato nella "sala delle macchine" alle Tuileries, sotto gli auspici del conte di Provenza (il futuro re Luigi XVIII) e proprio in questo cosidetto Théâtre de Monsieur (inaugurato il 26 genn. 1789 con Le vicende amorose di G. Tritto) si proponeva di riportare a nuova vita i fasti dell'opera buffa italiana. Ottimo organizzatore, il Viotti scelse come sovrintendente J. P. A. Schwartzendorf, detto Martini "il Tedesco", (l'autore della celebre aria da salotto Plaisir d'amour), come direttore d'orchestra il suo conterraneo B. Bruni e come aiutante di fiducia, con il compito di rimaneggiare le opere italiane secondo le esigenze dell'ambiente e dei cantanti, il giovane amico Cherubini. Come riferisce nel suo Catalogo, tra il 1789 e il 1790 il C. si limitò a comporre quasi esclusivamente "arie aggiunte" o pezzi d'assieme da inserire in opere di Paisiello (La molinarella, parodia di La molinara; La grotta di Trofonio:"D'un dolce amor la face" e "Che avvenne che fu"; e La frascatana), di Cimarosa (Il fanatico burlato; L'italiana in Londra: "Al par dell'onda", "Senza il caro bene", "Lungi dal caro bene", "Son tre, sei, nove", "Van girando per la testa" e "Al generoso amico"), di Guglielmi (La pastorella nobile, "Se il duol che il cor m'affanna"), e di altre ancora di ignoto autore. Di suo, il C. scrisse nel 1790 otto pezzi per il 1º atto dell'opera incompiuta Marguerite d'Anjou e cinque pezzi sacri a tre voci ("O salutaria", "Domine Salvum", "Adoremus", "Regina coeli", "O filii"), mentre la cantata Circé composta nel 1789 per la Loge Olympique è andata perduta, come pure un coevo Capriccio (o studio) per fortepiano. Costretto dalle prime avvisaglie rivoluzionarie a sgombrare il suo teatro il Viotti lo spostò nel genn. 1791 in una sala costruita nella rue Feydeau: ed è in questa sede più neutrale e democratica, in pieno clima rivoluzionario, che andò in scena il 18 luglio la prima grande opera cherubiniana, la commedia eroica in tre atti Lodoïska (libretto di C. F. Filette-Loraux), che assicurò all'autore il suo maggior successo teatrale e venne salutata come la "musica più caratteristica e più espressiva" che avessero udito i Francesi (cfr. l'Almanach général des spectacles pour 1792, cit. da G. Confalonieri, p. 238).
Tra il 1791 e il '92 il C. continuò l'umile ma utile lavoro di integratore di opere altrui che venivano rappresentate al teatro Feydeau, (abbandonato dal Viotti che si era rifugiato in Inghilterra), scrivendo tra l'altro due arie per Il tamburo notturno di Paisiello ("Moro, manco" e "Fuggite o donne amore"), un quartetto per Il convitato di pietra di Gazzaniga,("Non ti fidar o misera"), un'aria per Una cosa rara di Martìn y Soler ("Di qual rigido marmo") e cinque pezzi per La locandiera scaltra di Salieri ("Le dolci sue maniere"; "Ma se tu fossi amore"; "Io mi sento un non so che"; "Il core col pensiero"; "Compassione ad una donna"); ma compose altresì Six romances vocali e la romanza L'Amitiè dedicata a Cecilie Tourette, figlia di un ex musicista della cappella reale, la quale sarebbe in seguito divenuta sua moglie.
Nei difficili tempi della Rivoluzione il C., colpito da disturbi nervosi che l'avrebbero afflitto anche in seguito, si allontanò da Parigi rifugiandosi fino a tutto il 1793 alla certosa di Gaillon, in Normandia, presso la casa di campagna del suo amico architetto Victor Louis, l'autore delle gallerie del Palais-Royal di Parigi. Qui egli apprese in ritardo la notizia della morte del padre (avvenuta a Firenze il 10 sett. 1792), con un dolore che si riflette, secondo certi biografi, nel color cupo di Eliza, la nuova opera che il musicista stava elaborando. E fu anche questo, forse, il motivo che gli fece accantonare l'opera comica Koukourgi, commissionatagli dal teatro Feydeau, che parzialmente venne poi utilizzata nell'ultima sua opera, Ali-Baba ou Les quarante voleurs.
Composte due Arie a due voci su testo di Metastasio ("La libertà" e "La palinodia a Nice") e due Terzetti vocali con violino dedicati all'amico Louis, il C. nella tarda estate 1793 fece ritorno a Parigi, ove il 22 settembre diresse nei giardini delle Tuileries un suo Hymne à la fraternité (testo di Th. Desorgues) per coro ed orchestra di strumenti a fiato, che inizia la sua stagione di "musico rivoluzionario". Pur in una posizione personale incerta (si era nel periodo del Terrore), il C. riuscì a sposare Cecilie Tourette il 12 apr. 1794 nella sezione municipale del Panthéon, e alle sei di sera, nello scantinato di una casa sconosciuta, un sacerdote cattolico, che viveva da qualche tempo nascosto, benedisse la loro unione. Intanto Bernard Sarrette aveva fondato l'Ecole gratuite de musique de la Garde Nationale parisienne, derivata dalla banda repubblicana a cui appartenevano musicisti come Gossec, Devienne, Catel e Duvernoy;e appunto il Sarrette, che voleva accaparrarsi i migliori musicisti di Parigi per fondare un vero istituto musicale, offrì al C. un posto di suonatore di triangolo nella sua "Garde Nationale", anticipandogli centocinquanta franchi per le spese di equipaggiamento, incluso lo spadino. Alcune cantate d'occasione nacquero a partire da questo periodo, come il musicista ricorda nel suo Catalogo, tra cui Le salpêtre républicain per coro, l'Hymneau Panthéon per coro a 3 voci e orchestra (per la festa in onore di Marat, testo di J. Chénier), il Chant du Dix Août, per coro a 4 voci e orchestra (testo di Lebrun), l'Hymne à la Victoire per coro a 4 voci (testo di Flins), Hymne et marche funèbre (testo di J. Chénier), in morte del generale Hoche (poi ripreso in quello per il generale Joubert), che contiene una Marcia poi introdotta nella Messa solenne del 1825 per, l'incoronazione di Carlo X: tutte composizioni che non raggiunsero la popolarità di analoghe opere di Méhul e di Gossec. Era stato ancora il Sarrette, fondatore dell'Institut national de musique, a nominare il C. ispettore dell'insegnamento e compositore delle cerimonie: incarichi da lui accettati per assicurarsi una sia pur minima sicurezza economica che non lo distogliesse dal teatro. Infatti il 13 dic. 1794, nel riaperto Théâtre Feydeau, andava in scena con felicissimo esito Eliza ou Le voyage aux glaciers du Mont Saint-Bernard (libr. di Saint-Cyr), opera in 2 atti, che per i suoi connotati naturalistici e per certi tratti folcloristici fu amata da Weber e da altri musicisti romantici.
Nel frattempo il C., pur scrivendo ancora qualche lavoro d'occasione, si dedicava più intensamente all'attività didattica, accanto a Grétry, Gossec, Lesueur e Méhul, diventando insegnante di composizione nell'Institut de musique che si era frattanto trasformato in Conservatoire, sotto la direzione dello stesso Sarrette. Un gruppo artistico di rilievo, di cui il C. veniva considerato il vero capo spirituale e a cui aderivano altri musicisti quali Jean Nicolas Auguste Kreutzer (fratello del violinista Rodolphe a cui Beethoven dedicò la sua famosa Sonata op. 49), il pianista Daniel Steibelt, il compositore Louis Emmanuel Jadin ed il giovanissimo Bolïeldieu: il risultato di questo fervore d'intenti fu la ricognizione della produzione austro-tedesca, attraverso frequenti e regolari esecuzioni, in cicli di concerti organizzati al Conservatoire o nel teatro Feydeau, di sinfonie di Haydn e di Mozart. In questo periodo propizio il C. portò a compimento la sua opera più riuscita, Médée (libr. di F. B. Hoffmann), rappresentata al teatro Feydeau il 13 marzo 1797, che i giornali del tempo (Le Journal d'indication,Le Journal de Paris,Le Courrier des spectacles)giudicarono "large, expressive, majestueuse et terrible", ma che scomparve poco tempo dopo dal repertorio teatrale francese: "una vergogna", doveva dire Berlioz nel necrologio di Cherubini apparso nel marzo 1842 sul Journal des Débats.
Ma questa Médée siimpose soprattutto in Germania e in Austria. Ammirata da Beethoven nel 1802 al teatro di corte di Vienna, amata da Schubert e Spohr, giudicata "grandiosa" da Wagner anche nella revisione che ne fece Franz Lachner (che ne aveva musicato i dialoghi ed i monologhi parlati), Médée fu prediletta anche da Brahms, che la definiva "opera che noi musicisti, riconosciamo come la cosa suprema della musica drammatica"; e così ancora scriveva, dopo una ripresa di quest'opera cherubiniana a Vienna nel 1871, al direttore Hermann Levy: "Medea mi ha di nuovo incredibilmente preso... Mentre di Tristano non finiamo mai di parlare, poi passiamo sotto silenzio questo lavoro magnifico..." (giudizi riportati da M. Kalbeck, p. 275). E ancora nel 1894, a quasi un secolo di distanza dalla sua prima rappresentazione, Brahms giudicava Médée "una tempesta così violenta, un uscir di se stesso così vertiginoso, un fuoco di passione così selvaggio, quale lo stesso Wagner riuscì raramente ad accendere" (M. Kalbeck p. 508).
Seguirono tre opere in un atto: L'hôtellerie portugaise (opera comica su libr. di Aignan andata in scena il 25 luglio 1798), La punition (23 febbr. 1799, libr. di Desfaucherets) e La prisonnière (in collaborazione con Boïeldieu, 12 sett. 1799), che ebbero esito negativo; ma un successo pari a quello di Lodoïska doveva di lì a poco arridere a Les deux journées ou Le porteur d'eau (libr. di J. N. Bouilly, rappresentata al teatro Feydeau il 16 genn. 1800), opera che assicurò al C. una fama europea. Se Goethe infatti elogiava la perfezione del libretto di J. N. Bouilly (l'autore di Léonore, fonte del Fidelio beethoveniano), molti musicisti erano invece entusiasti della musica cherubiniana. Risulta infatti che tra le poche partiture che figuravano sul pianoforte di Beethoven c'era Der Wasserträger (in traduzione tedesca, come veniva rappresentata l'opera in Germania); Mendelssohn scrisse parole di elogio dopo aver ascoltato l'opera a Düsseldorf; Wagner la diresse a Riga, Spohr a Kassel e Marschner a Hannover; e ancora Bülow la lodava scrivendo al giovane Richard Strauss, come pure aveva fatto il severo critico Hanslick.
Ma l'anno 1800, iniziato con tale successo, doveva poi trascorrere infecondo e infausto: "spietatamente fischiata" come ci informa lo stesso C., fu l'opera Èpicure (libr. di Demoustier) scritta in collaborazione con l'amico e devoto ammiratore E. N. Méhul e rappresentata al teatro Favart il 14 marzo; poco dopo il C. fu assalito nuovamente da disturbi nervosi e da crisi depressive, causate anche da una precaria situazione economica, dato che la sua famiglia si era frattanto accresciuta di due figli; e infine iniziarono proprio in quell'anno le ostilità tra il musicista e Napoleone Bonaparte. A parte le fin romanzate diversità di carattere tra i due e il loro comune temperamento orgoglioso, fiero nel musicista quanto altero nell'uomo di Stato, è certo che il C. non conobbe mai l'arte dell'adulazione e così rimase sempre in una posizione precaria, rispetto a quella di altri suoi colleghi (compresi gli italiani Paisiello, Spontini e Paer), subendo il disfavore napoleonico per quasi quindici anni. Per incrementare i magri proventi del conservatorio, egli pensò allora di organizzare una società di concerti nonché di fondare una casa editrice musicale che ebbe come marchio tipografico una stella a sei punte, tante quanti ne erano i membri consociati che annoveravano, oltre al C., Méhul, Kreutzer, Rode, Boïeldieu e Isouard: ma questo "Magazin de musique", che riuniva in un'unitaria operazione culturale la crestomazia musicale francese del tempo (e che stampò, oltre a opere di questi autori, anche novità di Viotti), si arenò anzitempo e fallì nel 1811.
Tornato al teatro, dopo aver composto alcune romanze da camera, il C. non ebbe miglior fortuna con l'opera-balletto Anacréon ou L'amour fugitif (libr. di C. R. Mendouze) rappresentata il 4 ott. 1803 non più nell'estinto teatro Feydeau bensì nel Théâtre de la Republique che di lì a poco sarebbe diventato il Téâtre-Impérial. A questo insuccesso si aggiunse, l'anno dopo, quello del balletto-pantomima Achille à Scyros dato all'Opéra il 18 dic. 1804 tra l'indifferenza generale: ed allora il C., dopo aver composto due Sonate (o Studi)per corno ed orchestra, pensò di rinunciare alla composizione. Osteggiato come musicista, organizzò al conservatorio la prima esecuzione francese del Requiem di Mozart e nell'inverno del 1805, sulla scorta di una notizia falsa che stranamente si era diffusa non soltanto in Francia, scrisse un Chant sur la mort de Joseph Haydn (un terzetto per soprano e due tenori preceduto da una grande introduzione orchestrale), composizione che venne pubblicata ma mai eseguita. Haydn, di cui il C. aveva ascoltato con rapita ammirazione l'oratorio La Creazione dato a Parigi il 12 dic. 1800, fu il musicista che invece egli incontrò nello stesso anno 1805 a Vienna (e in tale circostanza il grande austriaco gli avrebbe detto: "Io sono vecchio ma sono vostro figlio" [cfr. A. Damerini p. 865], donandogli l'autografo di una sua sinfonia), insieme con Beethoven. A Vienna il C. era stato invitato per dirigere alcune sue opere al teatro di corte e per scrivere anche due opere nuove, ma proprio nella capitale austriaca il musicista si imbatteva ancora una volta in Napoleone vittorioso, che gli affidò la direzione dei concerti nella corte provvisoria di Schönbrunn, carica che il C. accettò, rifiutando però in seguito di accogliere l'inaspettato invito di assumere analoga mansione a Parigi. Unica opera rappresentata a Vienna fu Faniska (libr. di J. Sonnleithner), che il 25 febbr. 1806 ottenne un grande successo; non si conoscono invece i motivi per cui la seconda opera viennese, già progettata, non venne scritta.
Tornato a Parigi nell'aprile successivo, il C. terminò il Credo in sol magg., ad otto voci e organo iniziato nel 1778-79, quando ancora studiava col Sarti a Bologna; poi, in preda alla più cupa melanconia, mentre la Vestale di Spontini trionfava nella Parigi napoleonica (1807), prese ad occuparsi di botanica e di pittura, sotto la guida di Desfontaines, e sembra con risultati apprezzabili. Nell'estate 1808, ospite della contessa de Caraman nel castello di Chimay, acconsentì a scrivere una Messa in fa magg. a tre voci e orchestra per la festa di S. Cecilia. Durante l'anno successivo due noti cantanti nelle grazie di Bonaparte, il sopranista G. Crescentini e la contralto sua allieva Giuseppina Grassini, convinsero il musicista a comporre l'opera in un atto Pimmalione (libr. di S. Vestris, da S. A. Sografi), data al teatro privato delle Tuileries il 30 nov., senza che fosse rivelato il nome dell'autore: purtroppo, la speranza dei due cantanti di procurare al loro connazionale il favore dell'imperatore fallì. Ma intanto il C. riprendeva fiducia in se stesso, componendo le Litanie per la Vergine a quattro voci e strumenti (1810), alcuni pezzi per pianoforte tra cui la vasta Fantasia in do magg., l'atto comico Le Crescendo (libr. di C. A. Sewrin, eseguito senza successo all'Opéra Comique il 30 sett. 1810) e un'Odeà l'Hymen (testo di N. Lemercier) per il matrimonio di Napoleone. Ma il suo interesse si orientava sempre più verso la musica sacra, come attesta la grande Messa in re minore, del 1811 (a 4 voci e grande orchestra), che venne però eseguita soltanto dieci anni più tardi.
Dopo l'opera in tre atti Les Abencérages ou l'étendard de Grenade (libr. di E. V. Jouy, da Chateaubriand), rappresentata all'Opéra il 6 aprile 1813, la fine del dominio napoleonico incoraggiò il musicista a tentare nuovi generi di composizione: nacque così allora il primo Quartetto in mi benolle maggiore per archi (1814) seguito da un'Ouverture per orchestra e dall'unica Sinfonia in re maggiore per archi scritte nel 1815 su invito di Clementi per la Società filarmonica di Londra. Più tardi, essendo divenuto condirettore della cappella reale sotto Luigi XVIII, il C. compose varia musica sacra, tra cui undici pezzi per la cappella reale (tre Kyrie brevi, un Laudate con coro, un Sanctus breve, un Kyrie per coro a 2 voci, Kyrie e Pater per coro a 4 voci, O salutaris per voce sola e orch., O salutaris per 3 voci e orch. e Pater noster a 4 voci), la Messa solenne in do maggiore (a 4-6 voci e orch., con parti per 3 recitanti) ed il grande Requiem in do minore (per coro e orchestra) in memoria di Luigi XVI, composto nel 1816, che venne tosto considerato il capolavoro sacro del primo Ottocento, ammirato da Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms e Bruckner e giudicato la più grande opera del C. dallo stesso Berlioz, che pur era un suo "nemico giurato", come ha scritto il Confalonieri (p. 604). Altre due Messe solenni seguirono negli anni 1918-19 (rispettivamente in mi magg. a 4 voci e orch., e in sol magg. per coro e orch.: quest'ultima per l'incoronazione di Luigi XVIII) assieme ad altri quindici pezzi sacri per soli, coro ed orchestra scritti sempre per la cappella reale; poi, negli anni successivi al 1820, l'attività creativa del C. si ridusse progressivamente, annoverando una Cantata a più voci e cori (testo di B. Lormian), altri quindici pezzi sacri per la cappella reale (tra cui le Litanie della Vergine in do magg. a quattro voci ed orchestra ed il graduale per 3 voci a cappella O salutaris per le nozze di Boïeldieu, 1827) e qualche romanza vocale, tutte opere che preparano ed affiancano la comparsa di tre Messe solenni, di cui la seconda (in si bem. magg., per coro e orch.) venne composta nel 1821 per la cappella reale e la terza (in la magg., per coro a 3 voci e orch.) nel 1825 per l'incoronazione del nuovo re Carlo X, quest'ultima eseguita durante una spettacolare cerimonia nella cattedrale di Reims.
Pur considerato musicista reazionario e accademico, nella Parigi romantica non c'erano artisti stranieri (da Hummel a Mendelssohn, da Weber a Rossini, da Liszt a Moscheles) che non venissero ad onorare l'anziano musicista, che dal 1822 era diventato direttore del conservatorio succedendo a F. L. Perne. Ancora un'opera, Ali-Baba ou Les quarante voleurs (che era stata tratta in parte da Koukourgi, con libretto di A. E. Scribe e A. H. J. Mélesville), apparve all'Opéra il 22 luglio del 1833, due anni dopo il "pasticcio" La marquise de Brinvilliers al quale avevano collaborato Auber, Batton, Berton, Boïeldieu, Blangini, Paer, Hérold e Carafa (il C. ne aveva scritto soltanto l'Ouverture);inoltre qualche pagina vocale da camera tra cui due Ariette italiane (1835) e un altro Requiem per coro maschile a 3 voci ed orchestra in re minore (scritto nel 1836 e destinato ai propri funerali), fanno da contorno ad altre importanti composizioni strumentali, tra cui cinque Quartetti per archi: quello in do maggiore composto nel 1829, che è la riduzione della Sinfonia in re magg. con un nuovo Adagio; ilterzo in re minore, 1834; il quarto in mi maggiore, 1834-35; il quinto in fa maggiore, 1835; il sesto in la minore, scritto nel 1837, che è lo stesso anno di composizione dell'unico Quintetto per archi in mi minore.
Il 3 febbr. 1842 il C. si dimetteva dalla carica di direttore del conservatorio e poco più di un mese dopo, nella notte del 15 marzo, moriva nella sua casa del faubourg Poissonnière. Lo aveva ritratto il celebre pittore Ingres appena qualche mese prima in un celebre dipinto, che lo raffigurava pensoso con la sua musa, conservato nel museo parigino del Louvre.
La fortuna del C. è stata, e parzialmente continua ad essere, controversa. Dal lato umano fu imprigionato, fin dalle più vecchie biografie, in una cifra austera di rettitudine, di fierezza e d'intransigenza, che da un lato quasi lo idealizzava a "eroe plutarchiano" (ha notato il Terenzio, p. 45) ma che d'altronde finiva di assicurargli un rigore accademico, una pedanteria professionale quale alcuni critici ancor oggi continuano ad attribuirgli. Invece, l'ammirazione pressoché "plebiscitaria" (Confalonieri, p. 78) attribuitagli da numerosi tra i maggiori musicisti dell'Ottocento (come s'è visto, da Beethoven a Schumann, da Wagner a Brahms) nonché da importanti artisti e scrittori a lui coevi, ha fatto del C. sì un dominatore della scena musicale europea ma soprattutto come ineludibile autorità, come venerato maestro, al di sopra - o al di fuori - della vera realtà romantica. Insomma se il C. è un musicista engagé negli anni della giovinezza, viene considerato come artista reazionario nella sua maturità; un artista dalla modernità latente ma come continuamente sconfessata dal suo stile sorvegliato, dalla sua misurata espressione che pare talvolta mancanza di profonde convinzioni. Piuttosto, è proprio la sua castigatezza formale e sentimentale che ne disciplina ogni moto spirituale, che gli vieta ogni immediatezza, che fa prevalere l'impegno intellettualistico, capace di mettere a profitto la sua sensibilità culturale, le ricche risorse del suo mestiere ma anche di genericizzare la sua fantasia, di ridurre la partecipazione attiva del sentimento. Di qui deriva certo tono asciutto e fin incolore del suo linguaggio vocale, privo della trasparenza classica e non ancora dotato di quella spontaneità comunicativa tipicamente romantica. Il C. insomma mostra di considerare l'opera teatrale su un piano di severo eticismo (la discendenza da Gluck risulta lampante), ove le ragioni drammatiche si rivelano più forti di quelle strettamente musicali: eccolo quindi disgregare l'aria melodica sostituendola con un declamato-arioso, eccolo attirare la coralità nell'orbita inevitabile e congeniale del sinfonismo. Nessuno più di lui, che pure visse al di fuori dell'area culturale mitteleuropea, è riuscito a creare, già al tempo di Démophoon e di Lodoïska, un linguaggio strumentale così concitato, quasi ossessivo, talvolta travolgente, che trova un parallelo solo in Beethoven: compiendo dunque una rivoluzione operistica dall'interno, ove gli effetti orchestrali del tutto nuovi (gli unisoni, le pause improvvise, le repentine modulazioni, le soluzioni armoniche ancora inaudite) consentono di esasperare un determinato stato d'animo. A questa tavolozza dai colori fino allora sconosciuti, il C. unisce un'attenta indagine nel problematico campo dell'armonia (e proprio per questo Schumann ed altri musicisti lo proclamarono "il più grande armonista del tempo"), che è poi la traduzione sonora di una visione inquieta, ansiosa, perplessa della vita del suo tempo, di quella temperie rivoluzionaria che egli come nessun altro seppe assimilare e tradurre musicalmente, contagiandone i musicisti più vicini, da Viotti a Méhul.
Ne risultava in qualche misura sacrificato il tradizionale melodismo all'italiana, in lui spesso spigoloso fin dalle prime prove teatrali, ove l'eredità della vecchia comédie larmoyante si traduce (ha notato il Carli Ballola, p.132) nell'accentuato patetismo della pièce à sauvetage, un genere che con il C. supera la commistione tipicamente francese dell'elemento realistico e romanzesco per arrivare al Fidelio beethoveniano. In tal modo, vigore ed immediatezza fugano la vecchia e solenne gestualità teatrale: col C. la tensione armonica crea delle idee musicali che fanno subito "teatralità" (Pestelli, p. 201), cosicché il suo più compiuto personaggio operistico, Medea, non ha temi salienti, non esibisce nessuna melodia o romanza di facile presa, ma è piuttosto la ricerca armonica a suggerire "esiti melodici": così la protagonista è sorretta da una continua carica di energia, che si incanala in passi di note ossessivamente uguali (parallelamente a scansioni corali all'unisono), ove è proprio il particolare analitico della modulazione armonica (accordi eccedenti o diminuiti) e della varietà dinamica (pause, sforzati) a rivelare il continuo trasalimento, il mutare degli stati d'animo del personaggio, tutti caratteri che avranno un'eredità prettamente romantica.
Altri connotati salienti del teatro cherubiniano sono certe ambientazioni naturalistiche che si rinvengono ad es. in Eliza, ove il senso della natura incombente sugli uomini è espresso da una sensibilizzazione timbrica a cui non resterà immune l'esperienza di Weber. Ancora, certi spunti parodistici vicini al vaudeville (nella Hôtellerie portugaise), certe inflessioni di sapore popolaresco (come nella canzone del savoiardo in Les deux journées), certe trasposizioni del canto, solistico e corale, a danza (come in Anacréon) secondo una direzione sinfonico-corale proseguita poi dal Berlioz dei Troyens, sono tutte declinazioni espressive di una teatralità ottocentesca presagita infallibilmente dal Cherubini. Consapevole dei mutamenti musicali del primo Ottocento, il C. lascia il teatro per destinare le sue discontinue energie creative alla musica sacra e strumentale. Per quanto riguarda la produzione sacra, è pienamente giustificata l'ammirazione che gli destinò l'Ottocento, dal momento che il C. fu il primo a stabilire un nuovo rapporto di intimismo e di costante tensione emotiva tra la musica e l'oggetto della fede. Certa componente contrappuntistica, viva fin dal suo tirocinio italiano, si palesa nel magistrale eppur personalissimo ricupero e ripensamento dell'antica scienza polifonica: e ciò si nota soprattutto nel primo e più celebre Requiem in do minore (1816), ricco di grandiosa concitazione (in particolare, nel Dies Irae)ma anche di quella cadenza moderna, tutta dolorosamente terrena, che aspira ad una redenzione eterna. Qui l'accademismo dell'autore del Cours de contrepoint et de fugue (Paris 1835: opera che va sotto il suo nome ma che in verità fu messa assieme dai suoi allievi) si libera da ogni pedanteria aspirando a tenere e come pietose cadenze melodiche, laddove il coro trova accenti ora trepidi ora ieratici che paiono anticipare l'esperienza corale tedesca di Mendelssohn e di Brahms. Ancor più intime sono le espressioni dell'altro più tardo Requiem in re minore del 1836, scritto per le proprie esequie, in cui il musicista par ricuperare certo culto cimiteriale tipico della sua città natale, nei severi sepolcri di S. Croce, come ha notato il Pestelli (p. 204).
Da ultimo, la produzione strumentale del C. si mostra sostanzialmente irriferibile a modelli austro-tedeschi, sia per l'invenzione sia per la condotta tematica. Nondimeno anche Schumann, che esaminò i suoi primi due Quartetti per archi, accostava l'innata "italianità" delle frasi melodiche ad uno strutturalismo che significava colta assimilazione di certo stile beethoveniano. Il giudizio di Schumann, che cioè la musica cameristica del C. era troppo sinfonica laddove la sua unica Sinfonia (1815) era troppo cameristica (p. 136), non si rivela una facile formula, dato che quest'unica Sinfonia cherubiniana si attiene sostanzialmente a modelli prettamente classici, tra Haydn e Mozart; nondimeno, il Minuetto, pur non riprendendo la corrusca concitazione di certi Scherzi quartettistici, trova inattese cadenze grottesche e fin fantastiche, che sono delle chiare incursioni in un romanticismo non solo drammatico ed eroico bensì visionario ed astrattivo: anzi, con qualche sospetto già di "musica al quadrato" che, in quanto parodia dell'accademismo, lascia al C. un altro stimolante presagio di modernità.
Per un elenco completo delle opere, vedi A. Damerini, in La Musica. Enc. stor., pp. 871-878.
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