CHIARINI, Luigi
Nacque "nel piccolo castello di Valiano" (Notizia biogr., p. 7; ad Acquaviva, secondo il Capei, p. 134) in Val di Chiana da Antonio e da Stella Casagli il 26 apr. 1789. Avendo mostrato una precoce inclinazione agli studi, venne inviato al seminario vescovile di Montepulciano, del quale era allora rettore Ippolito Niccolai, e successivamente all'università di Pisa ove poté fruire di una pensione presso il collegio Ricci, fondato dal card. G. Ricci (m. 1574) per il mantenimento di sei giovani poliziani. Si addottorò con L. A. Pagnini, professore (dal 1806 al 1813) di poesia latina e venne avviato allo studio dell'ebraico e dell'arabo da C. Malanima. Determinante fu, per le scelte che successivamente avrebbe compiuto, l'incontro con S. Ciampi che insegnava letterature antiche. Nel 1814, con dispensa, fu ordinato sacerdote dal vescovo di Montepulciano, mons. P. Carletti, e, per breve tempo, fu stipendiato come ripetitore di lettere latine e greche presso la Scuola normale fino alla sua soppressione. Durante i mesi estivi tenne la cattedra di retorica presso le scuole regie di Montepulciano. In questi anni, i suoi cespiti di guadagno erano quasi esclusivamente le lezioni di italiano ch'egli impartiva a stranieri, soprattutto inglesi, di passaggio a Pisa, ed una poesia scritta per la malattia di uno di costoro, Robert Dudley Stuart, è il suo primo scritto stampato a Pisa nel 1816 pei tipi di N. Capurro. Nel 1818, sempre a Pisa, il C. pubblicò un Saggio di poesie, in parte proprie, in parte tradotte dall'ebraico, dal greco e dal latino.
La situazione di indigenza in cui versava lo risolse - a sollecitare il Ciampi - che, nel 1818, era stato chiamato ad insegnare letterature classiche nella neofondata università di Varsavia - affinché gli procacciasse "in terra straniera quell'utile collocamento che a lui... non era sortito di trovare in patria" (Capei, p. 135). Il Ciampi riuscì ad ottenergli subito dal vescovo di Płock, mons. Adam, Praźmowski, un posto di insegnante di ebraico nel seminario di quella città, ma la mancata accettazione formale ed un ritardo nella partenza - per il viaggio il C. si era aggregato ad un nobile polacco, il conte Załieski - fecero sì che quando il C. giunse a Varsavia, la cattedra fosse già stata assegnata ed egli dovette, in un primo momento, contentarsi di un posto di insegnante di greco presso il collegio degli scolopi di Varsavia. Successivamente, però, anche per l'interessamento del ministro dell'Istruzione Pubblica, il conte Stanisław Potocki Kostka, venne proposto per la cattedra di lingue orientali e di storia ecclesiastica nell'università (con l'obbligo dell'insegnamento del greco) con lo stipendio di 6.000 fiorini annui. La dissertazione De pastorali poësi Hebraeorum cum graeco bucolico carmine comparata gli valse la definitiva accettazione.
Il C. si dette allo studio sistematico dell'ebraico apprendendo il tedesco per poter aver accesso alla letteratura critica redatta in quella lingua, soprattutto alle opere di Wilhelm Gesenius (il cui Lehrgebäude der hebräischen Sprache è del 1817), del quale, in una lettera del 30 nov. 1820 a Claudio Samuelli (citata parzialmente in Notizia biogr., p. 13), dichiarava di apprezzare la "somma diligenza nelle indagini, gran sottigliezza nelle vedute filologiche, gran profondità nei raziocinj, ed instancabil forza d'ingegno che abbraccia ad un tempo tutte le lingue orientali", nonostante si trattasse di un autore protestante. Questi interessi per problemi di filologia ebraica si riflettono nell'acre confutazione del libro di Ippolito Rosellini La fionda di David o sia l'antichità e l'autorità dei punti vocali nel testo ebreo dimostrata e difesa (Bologna 1823) che egli fece in un lavoro comparso nella Nuova Collezione d'opuscoli letterarii di G. B. Bruni, pubbl. a Bologna (IV, 1824, pp. 183-202; la preannunziata continuazione non sembra essere stata pubblicata). Il C. è nel giusto rifiutando l'ipotesi dell'antichità (e, quindi, della sacertà) delle vocali sostenuta dai Buxtorf, padre e figlio, rispettivamente contro Elia Levita e Louis Cappel, poi generalmente abbandonata e della quale il Rosellini si era fatto tardivo campione, ma lo fa essenzialmente perché "l'antichità, e l'autorità dei punti maggiori e minori, accenti, apici... furono costantemente la siepe, e il trinceramento più fermo delle scuole rabbiniche" (p. 184): l'autentica tradizione ebraica è contrapposta al "giudaismo" rabbinico che di quella gli appare come la corruzione ed il travisamento. Nel volume del 1824 della Collezione (pp. 144-171) era comparso anche un altro scritto del C. su I funerali degli ebrei polacchi. Si tratta di una serie di considerazioni sugli usi funerari degli ebrei polacchi attraverso la descrizione delle ultime ore, della morte e del funerale di una giovane donna, moglie di un mercante di Varsavia, che, evidentemente egli aveva potuto osservare. Anche gli atti più usuali, non dissimili da analoghe pratiche cristiane, appaiono al C. espressione di idee superstiziose e di arretratezza mentale. Se, egli conclude, si tratta di religione del volgo, non estranea anche al mondo cristiano, "la differenza è che presso gli Ebrei son ripieni anche i libri di quelle folli chimere che tra gli altri popoli non hanno per depositarj che le menti più grosse" (p. 171).
L'anno successivo, con ukase del 22 maggio, Alessandro I creò un "comitato ebraico" (composto di soli cristiani) inteso a combattere i "pregiudizi" degli ebrei facendo rivivere, seppure in forme diverse, il "Comitato per il miglioramento degli Ebrei", da lui stesso precedentemente istituito nel novembre dell'anno 1802 a San Pietroburgo ed a Varsavia, sotto la spinta di idee liberali, e del quale erano entrati a far parte uomini aperti come il conte Viktor Kočubej e Adam Czartoryski, che si proponeva il miglioramento delle condizioni sociali delle comunità ebraiche ascoltando - per la prima volta - pareri e suggerimenti degli interessati (I. Gessen, Evrei v Rossii, St. Petersburg 1906, p. 77).
Carattere del tutto diverso aveva l'analogo comitato del 1825 che, l'anno successivo, venne affiancato, a Varsavia, da una "scuola rabbinica" ove gli insegnanti erano non ebrei. L'intento era quello di sottrarre i giovani ebrei all'insegnamento tradizionale fondato sul Talmūd ed alle superstizioni che si riteneva daesso derivassero, Operando dall'alto e d'autorità (Théorie, II, pp. 334 ss.). Nel 1826, il C., che era già presidente della Censuraebraica nel Regno di Polonia, venne chiamato a farne parte e, per il resto della suavita, la sua attività tenderà sempre più adidentificarsi con quella del comitato, di cui egli divenne subito il membro piùinfluente.
Una lettera del 18 maggio 1825 indirizzata al Capei e da lui stesso pubblicata (pp. 135 s.) contiene ampie indicazioni sui lavori cui il C. attendeva in questo periodo e che rimarranno per la maggior parte inediti. "Appena arrivato qua scuopersi ed illustrai uno astrolabio arabo, la cui pubblicazione mi avrebbe fatto qualche onore. Feci poscia i libri classici pel greco e per le lingue orientale, incaricato di ciò dal governo. [Nel 1826 comparve una sua grammatica ebraica, Gramatyka hebrajska, tradotta in polacco da Piotr Chlebowski; nel 1829 sarà pubblicato un suo vocabolario ebraico: Słownik hebrajski]. Ho lavorato quattr'anni e quasi ultimata la Storia dell'astronomia orientale in due volumi, tirandola da tutti i libri sacri e da tutte le lingue della antichità [cfr. Théorie, I, p. 12 n. 1: "dont le public connaît déjà l'objet et le plan" v. infra]; e sto attualmente ultimando una Paleografia orientale e occidentale, ove parlo molto delle ultime scuoperte del sig. Champollion il giovane e delle lingue del nord. Ma tutto giace nella mia camera o dorme ancora nel mio spirito per la mancanza accennata [di una tipografia orientale a Varsavia]. L'opera sulla favola fu da me scritta l'anno scorso all'occasione che un letterato tedesco professore a questa Università pubblicò una istoria romana di cui hanno parlato i fogli pubblici di Francia. Io nella mia storia dell'astronomia rimonto da per tutto sino alla favola, come fa egli per la fondazione di Roma e per la sua costituzione, ma con altri principii e con ben altro scopo. Ravvicino adunque le sue massime alle mie; lo condanno per aver copiato il nostro Vico senza nominarlo, e criticando le sue idee sul fuoco centrale di Vesta espongo il sistema del mondo giusta la dottrina della scuola pitagorica e di Copernico, servendomi della macchina astronomica da me scoperta fra' caldei all'età di Ezzechiello [cfr. Notizia biogr., pp. 25-30]. Ma questo scritto pure, quantunque per altre ragioni, dorme con gli altri. Penso di riunirlo alle Riflessioni, che medito pubblicare un giorno, sulla maniera di scrivere la storia tanto religiosa che profana; dimostrando a quanta vertigine di partito venga comunemente abbandonata da chi la scrive senza penetrare le massime della antichità, o i diversi principii delle altre società religiose. Ho confrontati a questo effetto molti storici francesi e italiani con quelli del nord, e fatto uno studio particolare delle cose rabbiniche. Non aveva bisogno di presentarvi questo prospetto giacché mi credete gran faticatore. Assicuratevi però che lo sono anche più che non v'immaginate e che fra i miei progetti entra quello ancora di tradurre il Talmud: lavoro che spaventerebbe una società d'enciclopedici: ma lo riservo alla età più avanzata".
Immediatamente dopo deve avere, però, mutato d'avviso dato che, nel supplemento al fascicolo di aprile della Revue encyclopédique di Parigi, nella rubrica bibliografica, era data la notizia che uno degli ultimi numeri del Dziennik Warszawski conteneva l'annuncio del progetto di una traduzione francese del Talmūd. Pubblicato, oltre che in polacco, anche in francese e tedesco (ma non è possibile precisare dove; cfr. Théorie, I, p. 9: "le projet d'une version du Thalmud tel qu'il fut publié dans les papiers périodiques de Varsovie") e recante in francese il titolo di Remarques sur la necessité d'une version du Thalmud de Babylone en langue française, compendiava il programma del "comitato" così come si era definitivamente formulato dopo che il C. ne era divenuto membro e animatore.
Era convinzione del C. già evidente nei due scritti sopra ricordati che il "giudaismo", cioè l'insieme delle concezioni religiose e delle pratiche cultuali degli ebrei, soprattutto polacchi, fosse ormai una corruzione del "mosaismo", cioè dell'autentica tradizione religiosa ebraica poiché gli ebrei, dimentichi dello studio della Legge, si erano dati esclusivamente allo studio del Talmūd, "ce chaos informe, ce réceptacle d'erreurs et de préjugés, où viennent se presser tous les rêves du fanatisme en délire", come lo definirà (Théorie, I, p. 6). Una "riforma" gli appariva, quindi, possibile solo a patto che il Talmūt fosse reso realmente accessibile, tradotto in una lingua moderna largamente nota e con un adeguato commento: "Mettons le Thalmud sous l'influence salutaire de la raisón... et bientôt le temps, qui dissipe les prestiges de l'erreur, arrachera ce livre magique des mains des initiés aux mystères de la synagogue..." (Théorie, I, p. 7). Il C. si muoveva entro gli schemi concettuali di una certa tradizione antiebraica cristiana di cui Entdecktes Judenthum (1700) restava il modello insuperato: anche il C. voleva "svelare" il vero volto del giudaismo, seppure, diversamente dallo Eisenmenger, voleva fare questo nel quadro di una "riforma" del giudaismo. Certo, egli aveva presente la differenza che, sul piano culturale, ma anche su quello delle condizioni sociali, correva tra gli ebrei polacchi e russi e quelli viventi negli Stati tedeschi, tra i quali, già nel XVIII sec., Moses Mendelssohn aveva dato inizio ad una vivacissima rinascita culturale (nota come haskalah: "illuminismo"; sulla haskalah in Russia, v. J. S. Raisin, The Haskalah Movement in Russia, Philadelphia 1913) risoltasi in un notevole accostamento alla tradizione culturale non ebraica, e si rifà ai più significativi rappresentanti contemporanei della tendenza tra cui soprattutto Aaron ben Wolf Halle, più noto come Wolfsohn, il cui libro più farnoso, Jeschurun,oder unparteiische Beleuchtung der den Judenthum neuerdings gemachten Vorwürfe... (Breslau 1804) cita spessisimo, ma l'atteggiamento di fondo, il pregiudizio cristiano contro il Talmūt, èancora in lui quello che era stato di un Eisenmenger e che sarà, di lì a qualche decennio, quello di August Röhling.
Per valutare esattamente l'atteggiamento, e quindi anche l'opera, del C. deve, comunque, tenersi conto anche di un altro fattore. Nel 1828, sulla Revue encyclopédique, August Arthur Beugnot, autore di una storia degli ebrei in Francia, Spagna e Italia dal V al XIV sec., Les Juifs d'Occident... (Paris 1824), pubblicò una Notice sur un projet formé à Varsovie de publier une traduction française du Talmud précédée d'un Essai intitulé: Théorie du judaisme appliquée à la Réforme des Juifs. Beugnot criticava il progetto del C. affermando che è inutile tradurre il Talmūd, libro pieno di errori e superstizioni, mentre è importante migliorare le condizioni sociali degli ebrei; contrapponeva, in altre parole, la politica ebraica di Napoleone, che aveva convocato l'assemblea dei notabili del 1806 ed il gran sinedrio del 1807, a quella di Nicola I che, proprio in quegli anni annullava le magre concessioni del tempo di Alessandro I impedendo praticamente qualsiasi movimento all'interno della Russia. A tali argomenti, il C. ribatteva che "nous ne conviendrons jamais qu'une organisation civile, telle que celle donnée aux Juifs par Napoléon, puisse restaurer le Judaïsme soit en France, soit en tout autre pays de l'Europe; car elle attaque le Judaïsme et le Mosaïsme à la fois, et par conséquent elle ne peut que corrompre la nation israélite au lieu de la régénérer" (Théorie, II, p. 338). La speciosità, dell'argomentazione tradisce una contrapposizione di fondo nei confronti di una politica considerata socialmente pericolosa. Oltre che da questo scritto del Beugnot, il progetto venne attaccato con diversi scritti da ebrei polacchi: nella Théorie du judaïsme ne sono spesso citati due redatti in tedesco (il C. conosceva l'identità degli autori, Théorie, I, p. 335): Einige kritische Bemerkungen über das Projekt einer Uebersetzung des Babylonischen Thalmuds e Beleuchtung des Aufsatzes von der Nothwendigkeit einer Uebersetzung des Babylonischen Thalmuds (Théorie, I, p. 9). D'altra parte, Leopold Zunz, Beleuchtung, in Ges. Schriften, I, p. 273, accenna al riguardo a "fünf Flugschriften". Al Beugnot, il C. rispose con un opuscolo stampato a Parigi nel 1829 pei tipi di Firmin Didot dal titolo Observations sur un article de la Revue Encyclopédique,dans lequel on examine le projet de traduire etc., nel quale ribadiva il proprio convincimento che la "riforma" degli ebrei non poteva essere attuata che sottraendo quel popolo al nefasto influsso del Talmūd. Questo era, d'altro canto, un convincimento radicato negli ambienti ufficiali russi, se, nel 1840, un comitato istituito per attuare un radicale programma di riorganizzazione degli ebrei in Russia si vedrà presentare un memorandum (anonimo, ma redatto dal suo presidente, il ministro P. D. Kiselëv) nel quale, tra l'altro, si leggeva che, per ammissione di alcuni ebrei, tutte le sventure dei loro correligionari sono causate dalla superstizione e dal fanatismo istillato dal Talmūd (cfr.Greenberg, Jews, I, p. 33).
Nel 1829, il C. compì un viaggio attraverso la Prussia, la Sassonia, la Francia e l'Olanda alla ricerca di un editore per le sue opere e, nel gennaio dell'anno successivo comparve a Parigi, stampato da J. Barbezat, il libro col quale il C. riteneva di aver reso compiutamente ragione dell'intrapresa e di aver altresì realmente "svelato" la vera essenza del giudaismo, Théorie du judaïsme,appliquée à la réforme des Israélites de tous les pays de l'Europe,et servant en même temps d'ouvrage préparatoire à la version du Thalmud de Babylone, in due volumi. Vi lavorava già da diversi anni se in una lettera al Capei del 28 apr. 1827 (Capei, p. 137) afferma che Nicola I aveva accettato la dedica di questo libro (il decreto, del 10 luglio 1829, è tradotto in Notizia biogr., pp. 34 s.: la somma stanziata per la stampa del libro era di 6.000 fiorini; 12.000 fiorini erano altresì stanziati per ciascuno dei previsti sei volumi della traduzione del Talmūd) ed è la sua opera più nota e quella in cui le sue idee sono sistematicamente esposte.
Essa consta di una introduzione e di tre parti. Nell'introduzione, dopo aver riaffermato, in polemica col Wolfsohn, che il giudaismo attuale si compendia esclusivamente nel Talmūd (pp. 12 ss.), dà una descrizione dei due Talmūdim e lo schema della propria progettata versione (I, pp. 37-42). La prima parte (I, pp. 43-172) spiega le ragioni per le quali - a suo avviso - il giudaismo "n'est pas encore dévoilé": è la censura cristiana (che ha indotto gli stessi ebrei ad espungere numerosi passi) che ha alterato il reale carattere del Talmūd, per cui, egli afferma (I, p. 168), "nous tâcherons, d'effectuer cette opération en traduisant le Thalmud sur les plus anciennes éditions, telles que celles de Venise [1520-1523] et de Cracovie [1602-1605]" (in effetti, l'ed. "espurgata" di Basilea, 1578-1581, manca dell'intero trattato Avodāh Zarāh, di passi ritenuti anticristiani e presenta modificazioni in talune frasi; cfr. Strack, Einleitung, p. 86 e n. 1). La seconda parte (I, pp. 173-372 e II, pp. 1-119) contiene la descrizione delle "deformazioni" etiche, sociali e culturali che il Talmūd ha prodotto negli ebrei: "...tromperie, ruse, subtilités... préjugés, orgueil, haine etc.". La terza parte (II, pp. 121-402) considera il giudaismo nei commentatori della Bibbia (soprattutto Rashï) e (pp. 197 ss.) enumera i "moyens les plus propres à dessiller les yeux des Juifs", con indicazioni sullo stato "florissant" della scuola rabbinica aperta a Varsavia dal comitato ebraico (pp. 334 ss.).
Com'è intuibile, il C. non aveva nulla da "svelare" anche perché, come fece osservare lo Zunznella sua equilibrata e nobile risposta, "wir haben in der Théorie du judaisme, wenige Stellen vielleicht ausgenommen, nichts gefunden, was nicht schon bei den Buxtorfen, Drusius, Carpzov, Bartolocci, Eisenmenger, Basnage, Jahn, Maimon, Peter Beer u. A. weit vollständiger zu finden ist" (Beleuchtung, in Ges. Schriften, I, p.292). Come lo sarà Der Talmudjude del Röhling (1871), la Théorie du judaisme è in buona parte un plagio dallo Eisenmenger e lo Zunz poté elencare (Beleuchtung, in Ges. Schriften, I, p.295) circa settanta passi del libro con la corrispondente pagina di Entdecktes Judenthum. Una circostanza va, però, in particolare notata. Nonostante che il C. si professasse un riformatore ed affermasse che la sua traduzione del Talmūd "contribuera seulement à discréditer les fables et les sophismes qui défigurent le Judaïsme, en laissant intactes les bonnes traditions" (Théorie, I, p. 10), egli credeva ciecamente all'accusa di omicidio rituale (Théorie, I, pp. 355 ss.): "Vouloir nier que les juifs de plusieurs pays de l'Europe se soient souvent permis cet excès d'inhumanité, ce serait vouloir rayer des fastes de l'histoire trente à quarante faits les plus circonstanciés et les mieux constatés [cita Eisenmenger e Bartolocci]; ce serait détruire tous les monuments que conservent plusieurs villes" (Théorie, I, pp. 355 n. 2, 356); ed aggiunge che "cette même année 1827, on a vu à Varsovie les Juifs s'amuser à renfermer dans un coffre un enfant chrétien. Mais si l'on réfléchit qu'ils l'ont fait un jour ou deux avant leur Pâque, et qu'ils se sont entourés de toutes les précautions recommandées par les thalmudistes, on aura de la peine à envisager cette action comme un simple amusement"(Théorie, I, p. 356 e, in proposito, Grätz, Geschichte, XI, pp. 420-421). Una frase come questa dà la vera misura di quali fossero i reali convincimenti del C., tanto più che il 6 marzo 1817, Aleksandr Golicyn, capo del dipartimento degli Affari religiosi e delle confessioni straniere in Russia, aveva scritto al governatore di Grodno di non dar corso ad eventuali accuse di omicidio rituale portate contro ebrei attesa l'accertata infondatezza che esse avevano sempre rivelato (Strack, Das Blut im Glauben und Aberglauben der Menschheit, München 1900, p. 189).
L'anno successivo il C. pubblicò i primi due volumi della sua traduzione del Talmūd comprendenti il solo trattato Bĕrakōt: Le Thalmud de Babylone,traduit en langue française et completé par celui de Jérusalem et par d'autres monuments de l'antiquité judaïque (Leipzig 1831). Contemporaneamente, e sempre a Lipsia, dette alle stampe uno scritto dal titolo Fragment d'astronomie chaldéenne découvert dans le prophète Ezéchiel, parte di un'opera più vasta sui capitoli 1 e 10 di Ezechiele e sull'astronomia orientale cui attendeva da anni (cfr. Antologia, VII[1822], pp. 168-178 e Notizia biogr., pp. 25-30). La traduzione del Talmūd, per la quale si era fatto aiutare da due collaboratori dei quali non fa il nome, è largamente derivativa e tradisce una malcerta conoscenza dell'ebraico e dell'aramaico. Dopo la pubblicazione della Théorie du Judaïsme, Jacob Tugendhold aveva pubblicato a Varsavia, un'opera in polacco intitolata significativamente Il libro degli errori in cui enumerava circa novecento errori di ebraico riscontrabili in quell'opera. Nell'introduzione alla traduzione l'elemento polemico è evidentissimo, eppure essa è citata con apprezzamento, ad es. da H. H. Milman, The History of the Jews, London 1863, III, pp. 4 ss.
Nel novembre del 1830, sotto la spinta delle parigine giornate di luglio era intanto scoppiata l'insurrezione polacca. Da quattro anni il C. viveva nella casa del conte Krasiński svolgendo le funzioni di precettore del figlio. La sua salute declinava sempre più. Da alcuni frammenti di lettere pubblicati nella Notizia biogr. si possono ricostruire gli ultimi avvenimenti della sua vita, soprattutto il suo stato d'animo: "La nostra malattia politica è riuscita più funesta nell'ordine morale di quello, che abbian nociuto nel fisico la guerra, e la peste che l'hanno accompagnata... Le vicende delle quali sono stato, e sono testimone mi hanno ispirato un grande orrore per tutti coloro che si lascian sedurre dalla idea di una rivoluzione senza darsi carico delle conseguenze disastrose che ne derivano" (lettera del 5 ott. 1831 in Notizia biogr., pp. 19 s.).E ancora: "non ho preso altra parte nella rivoluzione che quella d'incaricarmi della ispezione dello spedale dei feriti, e di cholera, che avevamo nel palazzo del general Krasinski ove abito", (lettera del 27 nov. 1831 [al Samuelli] in Notizia biogr., p. 19).
Morì a Varsavia, forse di colera, il 3 marzo 1832 (Capei, p. 138; la data del 28 febbraio, registrata in Notizia biogr., p. 20, sembra errata) e le circostanze della sua fine vennero comunicate in Italia da Ignazio Crestini, un artigiano di Montepulciano residente a Varsavia, con una lettera indirizzata al suo concittadino Giuseppe Razzi (Capei, p. 139). La Notizia biogr. (pp. 20 s.), fa anche cenno delle sue disposizioni testamentarie.
Dal Catalogo delle opere edite e inedito in appendice a Notizia biogr., pp. 23-36, si ricava che, in aggiunta agli scritti di cui aveva fatto cenno nella citata lettera al Capei del 18 marzo 1825, il C. aveva redatto: un "elogio in francese del sacerdote polacco Stanislao Staszic ministro di Stato morto nel 1826";una Dissertazione su i veri Autori della Genesi "non pubblicata e forse smarrita", ove "forse prendeva di mira i sistemi di Le Clerc, Astruc, di [K. P. W.] Gramberg [1828] ..."; un Corso di lingue orientali "tradotto in polacco"; una Dissertazione sul sistema di Copernico, presentata alla Società letteraria di Varsavia nel 1827 (quando ne fu fatto membro: v. lettera al Capei del 28 apr. 1827; Capei, p. 136); una Storia della versione del Talmud "in cui promette di darsi carico specialmente di più di cento articoli, e stampe scritte parte in lode, parte in biasimo della sua intrapresa". Nella citata lettera al Samuelli del 27 nov. 1831 aveva scritto: "pubblicherò in seguito il primo volume della Storia della versione del Talmud che è già pronto e che contiene la risposta a tutte le critiche" (Capei, p. 139).
Fonti e Bibl.: Una necrologia del C. è apparsa nel Poligrafo di Verona, XXII (1832). L'Antologia (XLVI [1832], p. 100) dette la notizia della morte e, nella stessa rivista XLVIII [1832], pp. 134-140). P. Capei ne scrisse la necrologia. Anonima è la Notizia biografica dell'abate L. C. di Montepulciano..., Montepulciano 1833. Si veda inoltre: E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, I, Venezia 1834, pp. 178 ss.; Biogr. univ. anc. et mod., VIII, pp. 133 s.; Nouv. Biogr. génér., X, pp. 294 s.; H. Rosenthal, in Jew. Encycl., IV, London 1903, pp. 21b-22a; M. Wischmitzer, in Encycl. Jud., V, Berlin 1930, col. 439; Jew. Encycl., V, Jerusalem 1971, coll. 409 s.; H. Grätz, Geschichte derJuden..., a cura di M. Brann, XI, Leipzig 1900, pp. 420 s.; S. Dubnow, Weltgeschichte des jüdischen Volkes..., IX, Berlin 1929, pp. 241 s.; A. Levinsohn, Toledot Yehudey Varshah, Yerushalayim 1953, pp. 112-116; Annonce d'une traduction française du Talmud in Revue encyclopédique, XXX (1826), p. 565; A. A. Beugnot, Notice sur un projet formé à Varsovie de publier une traduction française du Talmud précédée d'un Essai intitulé: Théorie du judaïsme appliquée à laRéforme des Juifs,ibid., XXXVIII (1828), pp. 20-31; segnalazione dell'opuscolo di risposta del C., Observation sur un article..., ibid., XLIII (1829), pp. 446 ss. Le confutazioni della Théorie sono: L. Zunz, Beleuchtung der Théorie du iudaïsme des Abbé C., Berlin 1830, rist. in Ges. Schriften, I, Berlin 1876, pp. 271-298; J. M. Jost, Was hat Hr. C. in Angelegenheiten der europäischen Juden geleistet? Freie und unpart. Prüfung des Werkes Théorie du judaïsme, Berlin 1830 (cfr. S. W. Baron, History and Jewish Historians, Philadelphia 1964, pp. 259 s.). Uno degli scritti (in polacco) contro la Théorie è dovuto alla penna di Abraham Stern (1769-1842), famoso come inventore di una macchina calcolatrice: cfr. J. Tugendhold, Der alteWahn vom Blutgebrauche der Israeliten am Osterfeste, Berlin 1858 [orig. pol. 1831], p. 69 nota. Sulla traduzione del Talmūd, E. Bischoff, Kritische Geschichte der Talmudübersetzungen, Frankfurt am Main 1899, p. 64; H. L. Strack, Einleitung in Talmud und Midrasch, München 1920, p. 163. Sugli ebrei in Polonia al tempo di Nicola I: H. Grätz, Geschichte..., cit., XI, pp. 418, ss.; S. Dubnow, Geschichte..., cit., IX, pp. 231-245; M. Philippson, Weltgesch. des jüdischen Volkes, III, Leipzig 1911, pp. 44-55; L. Greenberg, The Jews in Russia. The Struggle for Emancipation, New Haven-London 1965, I, pp. 29-55.