CHINAGLIA, Luigi
Nacque a Montagnana (Padova) il 28 genn. 1841 da Domenico, proprietario di una conceria di pelli, e da Catina Ferrari. Compiuto il liceo a Vicenza, s'iscrisse alla facoltà giuridica di Padova, ma l'abbandonò al primo sentore della guerra del 1859 per arruolarsi nei corpi franchi emiliani. Allo scioglimento dell'esercito dell'Italia centrale raggiunse Garibaldi in Sicilia con la spedizione Cosenz e partecipò ad alcuni scontri e alla battaglia del Volturno. Alla fine della guerra si laureò a Napoli, ma insoddisfatto raggiunse Pisa, dove seguì le lezioni universitarie e si laureò nuovamente nel 1862. Partecipò alla spedizione garibaldina dell'agosto 1862; preso prigioniero all'Aspromonte, fu trasferito con G. Guerzoni al forte di Bard, dove stette alcuni mesi. Si stabilì poi a Brescia. Qui completò la pratica legale, e intanto fu attivo nel locale comitato dell'emigrazione veneta, avendo qualche parte nelle polemiche interne. Nella primavera del '66 stilò il proclama del comitato che invitava gli emigrati all'arruolamento; ne diede l'esempio unendosi ai volontari garibaldini che operarono in Trentino, e come sergente fu al seguito del generale G. Nicotera partecipando al combattimento di Condino (16 luglio).
Liberato il Veneto, ritornò a Montagnana, vi aprì uno studio legale e si dedicò alla vita pubblica. Dopo essere stato consigliere comunale, poi nel '68 consigliere provinciale, nel '74 fu eletto quasi all'unanimità deputato al Parlamento per la XII legislatura. Il C., sostenitore della supremazia dello Stato, militò nel centro-destra. Di formazione laica, non nascose però le sue simpatie pel basso clero, che riteneva perseguitato per le sue opinioni liberali, e propose addirittura la costituzione a suo favore di beni comuni parrocchiali e diocesani. Caduta la Destra, perché logoratasi - egli riteneva - nella ricostruzione politica nazionale, il C. venne tuttavia rieletto nel '76 col pieno appoggio dei maggiorenti di Montagnana e di Casale Scodosia e con buona votazione. Nella seduta del 29 apr. 1880 si schierò contro la decisione del governo di sciogliere l'Assemblea. Tornò subito alla Camera (XIV legislatura) rieletto senza opposizione avendo la Sinistra rinunciato a presentare candidati; e fece parte della giunta per le elezioni. Si accostò quindi al Depretis, aderendo al programma di Stradella con i colleghi L. Romanin Jacur e G. B. Tenani e sostenendo la necessità di formare intorno al governo una maggioranza omogenea. Pur avversato dall'Associazione elettorale agricola, venne rieletto nelle elezioni del 1882, effettuate a scrutinio di lista, e poi in quelle del 1886, ancora contro il candidato della Sinistra G. Canestrini. Assiduo ai lavori parlamentari, fece parte di numerose commissioni, intervenne a favore dei piccoli comuni, su provvedimenti concernenti l'agricoltura e in materia di legislazione tributaria e idraulica, e pronunciò un memorabile discorso sull'ordinamento degli educandati femminili e sull'istruzione della donna (19 giugno 1888).
Dal 1890 (XVII legislatura) il C. fu portato dal collegio di Padova II. Eletto nella successiva legislatura, fece parte della commissione del Bilancio, e della commissione dei cinque che procedette all'esame del plico presentato da Giolitti a difesa del suo operato. Rieletto nel '95, sostenne il governo Crispi, e si occupò dei provvedimenti di pubblica sicurezza e dei servizi giudiziari. Rientrato alla Camera nel '97, sostenne il governo Di Rudinì, prendendo posizione contro, come affermò, la smania dei procedimenti d'inchiesta alla ricerca di presunte colpe ministeriali. Perciò nel '99, dimessosi lo Zanardelli dalla presidenza della Camera, il C. - che ne era uno dei vicepresidenti - venne candidato a quella carica dal ministero Pelloux, riuscendo in vantaggio sullo Zanardelli. In queste sue funzioni si trovò a dover affrontare - rivelando esitazione - l'ostruzionismo messo in atto dall'estrema Sinistra. Dopo l'emanazione dei contestati decreti-legge sulla pubblica sicurezza non s'impegnò a fondo per farli approvare, subendo gli insulti degli avversari e le inani pressioni del governo e di Sonnino. Seppe peraltro evitare alla Camera peggiori umiliazioni; dopo gli incidenti del 30 giugno sospese una prima volta la seduta, poi quando due deputati asportarono le urne delle votazioni, lasciò l'aula e propose la chiusura della sessione. Il governo rinunciò in pratica alle leggi restrittive sulla stampa e di pubblica sicurezza.
Dopo la breve sessione dei primi mesi del 1900, si venne in giugno a nuove elezioni in un clima pesante per le reciproche accuse. Il C., che si batteva "contro le sopraffazioni e le promesse demagogiche dei sovversivi", venne rieletto deputato per la decima volta, peraltro deciso, per stanchezza e delusione, a non più ripresentarsi. Nominato senatore il 4 marzo 1905, le aggravate condizioni di salute gli fecero rarefare la partecipazione alle sedute.
Morì a Montagnana il 21 luglio 1906; pur essendo in corso la campagna elettorale amministrativa, fu decretato il lutto cittadino.
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