CIAMPOLINI, Luigi
Nato a Firenze il 7 ag. 1786 da Giovanni, cancelliere maggiore della corte criminale, e da Laura Bianchi, studiò giurisprudenza, per volontà dei padre, nell'università di Pisa, allora molto frequentata da studenti greci. Incoraggiato dal p. G. M. Pagnini, il giovane tradusse classici greci, latini e inglesi, e negli anni del dominio napoleonico tenne un ufficio amministrativo. Affascinato, grazie ai ricordi classici, dalla rivoluzione scoppiata nel 1821 in Grecia, nel 1822passava a Corfù, dove raggiungeva V. Nannucci, con il quale aveva collaborato a preparare un'edizione delle Rime di M. A. Poliziano (Firenze 1814). Mutò un insegnamento offertogli da lord Guilford a Zante, e preferì insegnare privatamente a Corfù, dove, inoltre, aveva modo di conversare con i profughi scampati da Suli, dalla bocca dei quali raccoglieva testimonianze utili per la sua opera sulla loro guerra e resistenza ai Turchi. Viaggi nel Peloponneso e ad Atene, cui accenna G. B. Prunai, non sono confermati. Nella primavera del 1826, costretto dalla malferma salute, il C. rientrò in patria.
Nel 1827pubblicò a Firenze Le guerre dei Sulliotti contro Ali Bascià di Janina. Commentario;venne eletto socio alla Crtisca, e collaborò al Vocabolario. Scrisse recensioni per l'Antologia, e un romanzo storico uscito anonimo, La presa di Ravenna (Firenze 1832). Nel 1838riunì in due volumetti, sotto il titolo Prose e poesie (Firenze), gli scritti che giudicava più degni: il primo contiene il Commentario, riveduto e corretto, e gli elogi funebri di F. Benedetti (già pubblicato da E. De Tipaldo nelle Biografie degli ital. illustri, I, Venezia 1834, pp. 206-209), G. Fantoni, G. Grassetti, F. Pananti, F. Fontani; il secondo Idillie liriche. Come tanti altri filelleni, si offri di raccogliere libri per la. biblioteca pubblica di Atene, e lo fece con perizia e generosità, rifiutando compensi; fu insignito in, riconoscimento dal re Ottone della decorazione d'oro dell'Ordine del Salvatore (il diploma, in data 8 ottobre-9 novembre 1840, si trova a Roma nell'Archivio del Museo centrale del Risorgimento, busta 387, 36). Dal 1834 al 1843fu impegnato a scrivere i due volumi della Storia del risorgimento della Grecia, che licenziò alla stampa (Firenze) solo nel 1846, per scrupolo di completezza.
Morì a Firenze il 30 apr. 1846. La stampa dell'opera fu completata a cura di G. Agazzi; postumo arrivò un messaggio di Ottone re di Grecia, con il quale accettava la dedica dell'opera. Tre anni prima della morte aveva sposato Margherita Casini, vedova del capitano Alessandro degli Alessandri.
Il peso letterario del C. è nullo, eccetto che per il filellenismo. là grazie all'attenzione ai fatti del popolo greco, insorto per conquistare l'indipendenza, che numerosi letterati poterono pubblicare scritti ispirati al liberalismo e all'amor patrio senza incorrere in rischi particolari. D'altronde lo stesso filellenismo, come venne professato dal C. e da altri scrittori, fu una nuova disponibilità culturale, una sollecitazione a uscire dal conservatorismo classicista di intellettuali avversi al romanticismo come il C. stesso. Le preoccupazioni patriottiche sono latenti anche negli elogi funebri, scritti in stile elevato e antiquamente composto; benché non vi sia nessuna allusione politica, la scelta dei personaggi parla da sé: F. Benedetti, oltre a drammaturgo, fu anche carbonaro perseguitato, e lo stesso può essere detto di F. Pananti, e di G. Grassetti, medico romano che il C. conobbe esule a Corfù.
Il Commentario sulla resistenza dei Sulliotti è scritto nella scia della letteratura sul tema, dove capeggia la Storiadi Suli e di Parga del Perevòs (tradotta da C. Gherardini, Milano 1819). L'incontro e i colloqui con gli abitanti di Suli conosciuti a Corfá non turbò l'immagine idealizzata e stilizzata di questi eroici montanari, che era di prammatica e che il C. aveva accettato; al contrario, sembrava ravvivarla. Lo stile è elevato, latino per l'incisività più che greco, come ebbe a osservare il Tommaseo (Studi critici, I, Venezia 1841, p. 318). Ne ammira le consuetudini, il loro secco eroismo, i loro scarni dialoghi, ricomposti in latina eloquenza; e tende in genere a presentare i greci insorti come spartani, indicando nelle loro gesta un "esempio di antica virtù", narrando i fatti in uno stato di solenne ammirazione, come stesse assistendo alla miracolosa nascita di una nuova Sparta. Ciò gli fu in qualche modo rimproverato, se egli nella dedica alla seconda, edizione dell'opera si difende di "avere con soverchio studio raccontato le glorie di una umile popolazione". Per contro aveva il conforto dell'approvazione di Giuseppe Montani che sull'Antologia (XXV [1827], 74, p. 118) dichiarava: "Di quanti finora scrissero di Sulli non so che alcuno come l'autore del commentario, ne abbia cercato con tanta diligenza le origini, o dipinti i costumi con tanta particolarità".
Nella Storia dei risorgimento della Grecia il C. si presenta più consapevole, e pur nutrendo la fede di prima nella forza che spinge all'indipendenza i Greci, sembra più attento alla complessità dei fatti che concorrono nella guerra da loro sostenuta tra il 182 1 e il '28. Entra subito nell'argomenté, fino dalla prima pagina, senza alcun preambolo; un epilogo conciso, ristretto in un breve capoverso, sembra sintetizzare le sue convinzioni: la Grecia insorta contro i Turchi, "pazientemente tollerando inaudite calamità", sarebbe perita in un'"ultima rovina", "lacerata dalle parti, esaustà di forze, presso che soffocata da tante armi infedeli", se non si fossero intromesse lepotenze cristiane, Russia, Inghilterra, Francia. La compiaciuta precisione nei particolari, il tono distaccato, sembrano creare le premesse per una trattazione disinteressata, dove acquista spessore il movente etico. Il C. si erge a giudice severo dei fatti e dei personaggi, espone dettagliatamente e condanna le ingiustizie interne, le azioni vili, la gratuita violenza, ma non è in grado di seguire le manovre diplomatiche che stanno a monte dei fatti accaduti in Grecia, e che fanno parte della politica orientale delle grandi potenze. Se l'opera è corredata di un particolareggiato indice alfabetico delle materie, è priva di rinvii e di altra documentazione, rendendo arduo il risalire alle fonti. Il suo sforzo, tuttavia, di mettere insieme e di coordinare tanto materiale resta considerevole, tenuto tonto che, al momento della redazione, le opere d'insieme sull'argomento erano rare, sia in greco (A. Franzis, 1939-41; Filimon, 1834)., sia in altra lingua (T. Gordon, 1832), mentre le opere particolari erano frammentarie e utilizzabili solo con cautela.
Il C. sembra uscire dalla sua riservatezza ed esprimere più personali opinioni in alcuni brevi articoli che riguardano la Grecia moderna. In unsì recensione dei Chants populaires de la Grèce moderne (1824-1825) di C. Fauriel (Antologia, XXVI [1827], 76, pp. 104-119), che peraltro autorizza il sospetto che il C. ignorasse l'opera al momento in cui scrisse di Suli, fa un esposto accurato del contenuto, aggiungendo da ultimo sue osservazioni e sge riserve (Fauriel sarebbe caduto "in leggeri abbagli" riguardo alle canzoni di Suli). Recensendo due traduzioni di Nicola Piccolo (Pikolos), Paul et Virginie del Saint-Pierre e il Discours cartesiano, il C. dà concrete prove di conoscere la questione della lingua greca e di essere un convinto sostenitore di quella popolare. Infatti afferma che "avrebbe egli [Piccolo] potuto far uso di una dicitura più piana e meno squisita, trattandosi di patetiche e ingenue narrazioni; e nella traduzione del metodo ci sembra pure di veder trionfare a quando a quando una troppo solenne dignità classica in certi modi e locuzioni, che forse riesce d'impaccio in un libro destinato al severo e filato raziocinio, in cui la perspicuità esser dee il primo e potente elemento" (p. 276). In un altro resoconto sull'Antologia (XLIII [1831], 28, pp. 98-108; l'articolo è attribuito a L. Cibrario da P. Prunas, L'Antologia di G. P. Vieusseux, Roma-Milano 1907, appendice, il quale però non aveva le conoscenze che l'articolo dimostra e che erano invece adeguate alla preparazione neo ellenica del C.) egli espone il contenuto dei Cours de littérature grecque moderne, Genève 1828, di Jacovaki Rizo Néroulos: un testo insidioso che intenzionalmente tace l'apporto degli scrittori greci delle isole Ionie o ad essi collegati. Il C. invece, che nutriva una giusta stima nei loro riguardi, dopo aver passato in rassegna gli argomenti trattati dal Néroulos, non può astenersi da alcuni rilievi. Al fanariota Néroulos che faziosamente aveva elogiato soprattutto i suoi, rammenta i grandi nomi di G. Villaràs e di D. Solomòs. In scritti come questi dimostra sicura conoscenza della cultura neogreca e dà prova di equilibrato giudizio. Poste però a confronto le sue idee sulla lingua del popolo greco con i suoi convincimenti aulici in fatto di lingua italiana, verificabili anche nella prassi della scrittura, la contraddizione appare chiara.
Fonti e Bibl.: Necrologio in Archivio storico italiano, XV (1846), App. III, pp. 772-75;Roma, Museo centrale del Risorg., busta 387, 7(lett. della vedova del C. ad A. Brofferio, Firenze, 26 ag. 1846), 36;Firenze, Biblioteca nazionale, materiale nelle Carte Capponi, Vari, Vieusseux;Ibid., Bibl. Riccardiana, materiale nelle Carte Pieri. Siveda inoltre P. Contrucci, Cenni sulla vita e sugli scritti del cav. L. C., premessa alla Storia del risorgimento ...;G. A., L. C., in Giorn. arcadico di scienze, lettere ed arti, CXV(1848), pp. 81-88;G. B. Prunai, L. C. e la storia del risorg. della Grecia, in Rass. nazionale, 1° ag. 1897, pp. 405-413;M. Vitti, Giudizi di L. C. e di G. Montani su D. Solomòs, Roma 1960.