CONCATO, Luigi
- Nacque a Padova il 20 nov. 1825 da Pietro, un modesto sarto, e da Caterina Greno. Per difficoltà economiche, fu costretto per due volte a interrompere gli studi secondari; perduto il padre all'età di sedici anni, recò aiuto alla famiglia e contribuì al sostentamento dei sei fratelli sobbarcandosi la copiatura di manoscritti. Con l'appoggio economico di alcuni parenti di parte materna poté iscriversi alla facoltà di medicina dell'università di Padova. Nel 1848 prese parte alla prima guerra d'indipendenza nel battaglione degli studenti volontari distintosi a Curtatone e Montanara. Conseguita la laurea in medicina nel 1849, immediatamente, accogliendo l'invito della commissione provinciale di Padova, assunse un incarico gratuito allo ospedale di Stra, istituito dall'autorità militare per la cura dei colerosi, e fino all'ottobre dello stesso anno prestò tale servizio. Tornato a Padova, divenne assistente alla cattedra di fisiologia e anatomia sublime sotto la direzione di Vincenzo Fabeni, rimanendovi per quattro anni. In questo periodo ebbe modo di prendere contatto con gli aspetti pratici della medicina nelle divisioni ospedaliere.
Il C. aveva lucidi nella mente i suoi propositi di carriera e si rendeva conto al tempo stesso della confusione e della povertà di taluni insegnamenti nelle nostre università in relazione soprattutto alla pesante situazione politica del momento. Decise così di concorrere al posto di perfezionamento in chirurgia, messo a disposizione dal governo austriaco per i discepoli piùmeritevoli del Lombardo-Veneto. Lo ottenne e visse due anni a Vienna, come stabilito dai regolamenti, allievo del celebre chirurgo F. S. Schuh, che gli fece ottenere la nomina a chirurgo operatore nell'I. R. Ospedale della città. Nella capitale austriaca il C. poté formarsi a una severa scuola, oltre che chirurgica, medica, della quale erano esponenti personaggi come C. von Rokitansky, J. Skoda, F. von Hebra, J. R. von Oppolzer ed E. W. R. von Brücke: acquisì, pertanto, un'impostazione oggettiva, scientifica, anatomo-clinica tra le più invidiabili a quell'epoca. Fu lui stesso a riconoscere, nella prolusione padovana del 1876, che senza il soggiorno viennese non avrebbe raggiunto quella preparazione superiore, che gli consentiva di reggere con decoro una clinica medica. Durante il soggiorno viennese trovò anche il modo di frequentare, nella non lontana Praga, le lezioni teoriche e pratiche di A. Jaksch, allora direttore della prima clinica medica di quella università, che il C. doveva poi considerare il suo vero maestro.
Tornato in patria, sulla scorta dei brillanti certificati rilasciatigli da Rokitansky e da Skoda, gli venne assegnata la supplenza alla cattedra di clinica medica di Pavia e nel maggio del 1859 fu nominato professore straordinario di patologia generale, insegnamento che in quell'università era stato per l'innanzi affidato al professore di materia medica. Nel 1860 il C., ad appena trentacinque anni, fu chiamato alla cattedra di clinica medica a Bologna, che più e meglio poteva appagare i suoi specifici interessi scientifici. Il titolo, tuttavia, gli procurò invidie, opposizioni e perfino minacce: troppo evidente e intenso era, infatti, il contrasto tra gli orientamenti prevalentemente dottrinari e speculativi allora esistenti nell'università, derivati dall'incondizionata adesione al sistema rasoriano di G. Tommasini e del suo successore G. B. Comelli - peraltro in una certa misura aperti alla sperimentazione - cui per lunghi anni era stato affidato l'insegnamento della clinica medica, e quelli positivi del C. sostenuti dalla sua formazione clinica fondata essenzialmente sull'anatomia normale e patologica. Ben presto, però, prevalsero la ricca dottrina e la rettitudine profonda del giovane maestro sulle intenzioni malevole di colleghi e studenti, e si impose il suo metodo di insegnamento, basato sulla ricerca clinica, sul paziente e scrupolosissimo esame obiettivo.
L'attività scientifica del C. a Bologna fu rigogliosa, contrassegnata da interessanti e robusti contributi di casistica clinica. Si sentì perfino il bisogno di un giornale apposito per raccogliere tutte le memorie: nacque così l'Ebdomadario clinico, il cui primo numero uscì nel settembre del 1862 sotto la direzione dello stesso Concato. Il periodico prese più tardi il nome di Rivista clinica di Bologna e la direzione in seguito fu ceduta dal C. al professore E. Galvagni.
Durante il soggiorno bolognese, pure nell'insieme trionfale sul piano professionale e scientifico, il C. patì non poche sciagure familiari, come la perdita di alcuni fratelli dapprima e successivamente quelle della moglie nel 1871 e di ben tre figlie nel 1874. Provato duramente negli affetti, l'ormai celebre clinico pensò di ritornare nella città natale: l'occasione gliene fu offerta nel febbraio 1876 dalla morte di V. Pinali. A Padova, tuttavia, egli trovò un ambiente ben diverso da quello atteso, sleale e tutt'altro che accogliente: le condizioni di disagio in cui si era venuto a trovare furono ben presto di pubblico dominio e tra l'agosto e il settembre del 1876 gli pervennero da Bologna numerosi inviti al ritorno da colleghi, amici, letterati, artigiani, operai. Prevalse l'orgoglio e da ciò il rifiuto.
Dopo la prematura scomparsa di C. L. Rovida nel 1877, cedendo alle insistenze di C. Lombroso, il C. si trasferì alla direzione della clinica medica dell'università di Torino: in questa sede in poco tempo riacquistò stima e rispetto e riprese in pieno la sua brillante attività, fondando anche un periodico mensile di medicina clinica, l'Archivio medico italiano, che vide la luce nel 1881.
Nell'agosto del 1882, durante un soggiorno a Riolo Bagni (Ravenna) del cui stabilimento termale era direttore, si ammalò di polmonite e morì il 13 per una sopravvenuta complicazione: un edema acuto della glottide. Fu sepolto per sua disposizione testamentaria alla certosa di Bologna.
L'impostazione scientifica del C. si delinea con tratti incisivi nella prolusione bolognese del 1860 Indirizzo della patologia moderna (in Annali universali di medicina, XLV [1860], 1171, pp. 434-542; 172, pp. 3-164). La fisiologia, svincolata dal vitalismo e fondata sulla sperimentazione, è il piedistallo della patologia. Quest'ultima disciplina, se vuole avanzare, deve studiare l'organismo malato con le stesse modalità usate dal fisiologo nell'analisi dei processi normali. Anatomia microscopica, chimica, fisica, esperimenti e osservazioni sono altrettanto indispensabili al patologo che al fisiologo. La proposta di un programma di siffatta natura incontrava nel 1860 non poche resistenze in certa parte del nostro mondo accademico. Basti pensare che il programma del C. era sostanziato tra l'altro dalle teorie sui neoplasmi, sul processo infiammatorio e sull'embolismo dell'ormai celebre R. Virchow. E a proposito del sussidio essenziale dell'anatomia patologica alla clinica, il C., pur pienamente convinto di tale esigenza, riconosceva nel corso Sull'asma esulle cure che meglio gli convengono per G. Franceschi. Considerazioni fisio-patologiche del dott. L. Concato, ibid., 174, pp. 92-177, 293-365) la necessità di non soffermare l'attenzione soltanto su singoli organi, ma di aver sempre presente la visione olistica dell'organismo vivente.
Era naturale che un clinico d'avanguardia come il C. rivolgesse buona parte dei suoi interessi scientifici, nell'epoca in cui si trovava a operare, al perfezionamento delle indagini di semeiologia fisica e ai primi concreti contatti con la medicina di laboratorio. Nel suo studio Sulla atrofia gialla acuta del fegato (Ann. univ. di medic., XLVI[1861], 177, pp. 3-36, 414-492) sottolineava, infatti, l'apporto sostanzioso e chiarificatore sul piano diagnostico derivato dalle esperienze necroscopiche e dai contributi delle scienze di base in contrasto con la medicina aprioristica e speculativa. Ma più spesso ritornava ai temi della ricerca semeiologica, come appare da una serie di lavori: Disegni diagnostici fisici nella tubercolosi polmonare incipiente (ibid., I, [1865], 1911, pp. 201-215), argomento di spiccata e drammatica attualità in un'epoca in cui la malattia era particolarmente diffusa e la semeiotica non si era ancora arricchita del sussidio roentgendiagnostico: Perdita della loquela nelle malattie cerebrali..., in Riv. Clinica di Bologna, V [1866], 9, pp. 270 ss.); Partizione dei tuoni cardiaci..., Bologna 1867. Di particolare importanza appare il lavoro La pressione digitale sui triangoli carotici, la diminuzione numerica del polso e l'ateromasia delle carotidi - Osservazioni e studi (in Rivista clinica di Bologna, s. 2, 11 [1872], 6, pp. 161 177; 7, pp. 193-208), in cui illustrò i risultati delle osservazioni compiute su un gruppo di quattordici pazienti affetti da aterosclerosi e su un gruppo di controllo di quindici soggetti sani: il C. descrisse accuratamente le alterazioni del polso conseguenti alla pressione esercitata sulle carotidi, mettendole in relazione a una stimolazione del vago e alla conseguente azione cardioinibitoria esercitata da questo nervo, stimolazione più intensa nei soggetti malati per l'ispessimento e la sclerosi delle pareti delle arterie compresse. Il C., in sostanza, estese e ampliò le prime osservazioni relative all'azione inibitoria del vago eseguite da E. F. W. e E. H. Weber (Experimenta, quibus probatur nervos rotatione machinea galvano-magneticae irritatos, motum cordis retardare et adeo intercipare, in Ann. univ. di med., XXX[1845], pp. 227-233, e in Handwörterbuch der Physiologie, III[1846], pp. 45-51) e di J. N. Czermak, che aveva sperimentato su se stesso (Über mechanische Vagus Reizung beim Menschen, in Jenaische Zeitschrift für Naturwissenschaft, II[1865-1866], pp. 384 ss.); ma non intuì l'essenza del fenomeno, consistente in realtà nella sensibilità della parete arteriosa, che è all'origine del riflesso carotideo, che solo molti anni più tardi avrebbero scoperto T. H. Solimann ed E. D. Brown (The blood pressure fall produced by traction on the carotid artery, in Amer. Journal of Physiol., XXX [1912], pp. 88-104).
Con la prolusione ai corsi clinici di medicina interna presso l'università di Padova Sulle fonti del sapere clinico e sul miglior metodo di usarne, del 1876, il C. condensò a grandi linee quel metodo storico-genetico da lui formulato, la cui adozione nella città veneta gli fu motivo di non poche amarezze. Considerato che "è biasimevole tanto chi apprezza soverchiamente, quanto chi soverchiamente deprezza la sapienza dei nostri predecessori", egli conclude: "noi studieremo i medici antichi, ma più per imitarli come artisti, che meditarli quali scienziati e soprattutto per apprendervi quel criterio clinico che l'ignoranza della diagnosi fisica sistematica dovea in loro innalzare di tanto, di quanto l'abuso di essa lo abbassava a dì nostri". La clinica attinge a due fonti: alla fonte dei fatti naturali o artificialmente imitati e prodotti, e a quella dei fatti acquisiti per tradizione attraverso la ricerca anamnestica e l'esame oggettivo. Il dato tradizionale è d'importanza essenziale e in nessun caso, fin dove è possibile, trascurabile. Il C. anzi traccia un parallelo ingegnoso e sottile tra il lavoro dello storico, e quello del clinico: come lo storico non s'appaga di fronte alla pura conferma del principio di causa ed effetto, ma ricerca pure un nesso logico nella relazione tra i fatti, così il medico deve indagare e scoprire un rapporto fisio-patologico concretamente dimostrabile. Talora la ricerca anamnestica può ridurre il valore dell'esame delle alterazioni materiali, delle organopatie; talora, invece, la tradizione è insufficiente e l'esame oggettivo è in grado di risolvere il quesito. Di particolare importanza appare un magistrale lavoro del C., Sulla poliorromennite scrofolosa, o tisi delle sierose (in Giorn. intern. d. scienze med., n. s., III [1881], pp. 1037-1053), in cui dette una accurata descrizione della polisierosite tubercolare, che fu poi chiamata malattia di Concato. Tra i suoi scritti meritano ancora di essere ricordati: Sulle vicende delle teorie mediche, in Annali univ. di med., XLIV (1859), 62, pp. 456-485; La medicina clinica moderna, ibid., XLV (1860), 174, pp. 561-583; Peritonite letale da perforazione dell'utero, ibid., XLVI (1861), 176, pp. 283-308; Emiplegia da oligoemia, in Bull. delle scienze mediche di Bologna, s. 4, XV (1861), pp. 243-250; Aneurisma del tronco della celiaca, in Annali univ. di med., XLVII (1862), 181, pp. 343-376; La diagnosi generale dei tumori addominali, I-II, Milano 1881.
Fonti e Bibl.: G. Bozzolo, L. C. - Discorso commemorativo, Torino 1883; L. Premuda, Profonde pagine di L. C.: "Sulle fonti del sapere clinico e sul miglior metodo di usarne", in Riv. stor. d. scienze med. e nat., XXXV-XXXVII(1946), 7-12, pp. 66-71; A. Simili, L. C. e la cattedra torinese di clinica medica, in Minerva medica, LIII (1962), pp. 3069-3089; G. Gentili, Il contr. di L. C. alla patologia ed alla clinica del cuore e dei vasi, in Scritti in onore del professore V. Busacchi..., Torino 1969, pp. 167-194; V. Busacchi-G. Dagnini, La cardiologia in Italia nell'800, in Il cuore nella storia della medicina, Milano s. d., pp. 127, 129, 131; Enc. Ital., XI, p. 40; A. Hirsch, Biograph. Lexicon der hervorragenden Arzte..., II, pp. 88 s.