CUCCAGNI, Luigi
Nacque nel 1740 (tale data è ricavata sulla base dell'atto di morte: Jemolo, p. 29) nella diocesi di Città di Castello, probabilmente nella frazione di Selci, da Gaudenzio. La famiglia era di modeste origini (l'erudito G. C. Amaduzzi gli rinfaccerà questa nascita oscura, dicendolo "figlio di un macellaio, benché da altri si voglia figlio di un oste": lettera ad A. M. Bandini del 7 genn. 1791 in Bibl. Apost. Vat., Cod. Ferraioli 493, f. 267v) e di scarso patrimonio.
La scelta della vita ecclesiastica fu fatta dal C. in età avanzata: soltanto il 31 dic. 1762 egli ricevette la tonsura e negli anni seguenti gli ordini minori (1763-1764); frattanto frequentava il corso di filosofia a Città di Castello sotto il magistero di Francesco Bargiacchi, noto per le sue simpatie giansenistiche. Questo incontro fu decisivo per il C.: le amicizie romane del Bargiacchi gli fecero ottenere un posto gratuito nel collegio Fuccioli di Roma, ove completò gli studi filosofici e teologici.
Ordinato sacerdote, insegnò lettere presso il collegio Bandinelli di Roma, di cui era divenuto rettore il Bargiacchi stesso, il quale lo mise in contatto con gli ambienti filogiansenisti romani: in particolare il C. riuscì a farsi apprezzare da monsignor P. F. Foggini e dal cardinale M. Compagnoni Marefoschi. Per intervento di quest'ultimo, nel 1772 fu nominato rettore del Collegio Irlandese, la cui sorveglianza era stata tolta alla Compagnia di Gesù. Il posto ottenuto lo qualificava come una delle speranze del "partito" antigesuitico; ed è veramente difficile capire quali meriti gli avessero procurato l'occasione di recitare un tale ruolo. Probabilmente si trattò di dimostrazioni di zelo nello svolgimento dei suoi compiti di insegnante, in quanto fino ad allora il C. non poteva vantare alcuna pubblicazione né alcun altro riconoscimento per particolari attività nel mondo ecclesiastico; ma forse furono sufficienti le amicizie strette con gli uomini più noti del gruppo filogiansenista e agostiniano romano: M. Natali, G. B. Molinelli, A. A. Giorgi, F. S. Vazquez, C. Blasi, G. Massa, F. A. Cossali, M. Del Mare. Nel 1773 contribuì a far chiamare a Roma il giansenista P. Tamburini, affidandogli l'incarico di prefetto degli studi nel Collegio Irlandese. Fino al 1778 il C. subì l'influenza di quest'ultimo, ma in seguito contrasti personali e anche religiosi finirono per incrinare la loro amicizia, finché nel 1780 il Tamburini si trasferì a Pavia.
Senza dubbio un chiaro apporto tamburiniano è riscontrabile nella prima pubblicazione del C., la Vitadi s. Pietroprincipe degli apostoli (I, Roma 1777), soprattutto in una proposizione, che rimane unica in tutta la produzione del C., contro l'immunità ecclesiastica, in cui si sosteneva la liccità dell'assoggettamento dei chierici all'imposta al pari dei soggetti laici. Per il resto destarono vivaci discussioni e critiche negli ambienti filogesuiti (Roma, Bibl. naz. Vittorio Emanuele II, Fondo gesuitico, ms. 106, ff. 55-63: Alcuneosservazioni sopra la novella vita di s. Pietroprincipe degli apostoli ... ) varie proposizioni teologiche, tra cui una che affermava l'incapacità della natura umana di resistere al male senza l'aiuto della grazia divina "efficace" (Vita..., I, p. 218). Tale proposizione, ritenuta molto vicina alla prima proposizione condannata nell'Augustinus di Giansenio, provocò nel febbraio 1778un intervento del S. Uffizio, che esaminò l'opera (Bibl. Apost. Vat., Archivio Patetta, Lettere di G. C. Amaduzzi aGregorio Fontana, I, f. 15 v.: lettera del 14febbr. 1778). Nessuna condanna colpì lo scritto, che, dei resto, non usciva dai consueti binari dell'agostinianismo rigido. Ma l'attenzione che le autorità di Curia mostrarono nei suoi confronti testimonia bene la nuova fase che si apriva nella Chiesa con il pontificato di Pio VI, fase caratterizzata non da un'attiva revisione dei rapporti con un mondo che andava rapidamente cambiando ma da una energica reazione, non priva di arretramenti, al primo imponente processo di laicizzazione. Ciò che impressionava la S. Sede in quegli anni era soprattutto il tentativo, già iniziato dall'Honteim da oltre dieci anni, di fornire le basi dottrinali della disobbedienza a Roma: la messa in discussione dell'autorità del papa sulla Chiesa universale rischiava di divenire il punto di convergenza di quanti - giansenisti, antigesuiti, regalisti, giurisdizionalisti, ecc. - si ponevano in posizione critica nei confronti di Roma. In questa situazione i più avveduti difensori della S. Sede compresero la necessità di ribaltare questa impostazione: l'unità della Chiesa doveva nella coscienza dei cattolici identificarsi con l'unità con il papa, pena la distruzione della religione; ogni altra questione, teologica o morale, passava in secondo piano, almeno quando non fosse apertamente messo in discussione il dogma.
Il C. sperimentò presto di persona la linea adottata da Pio VI, quando volle pubblicare il completamento della Vita di s. Pietro. Fu il papa stesso, all'inizio di agosto del 1780, a convocarlo per suggerirgli l'opportunità di rispondere, in una prefazione al secondo volume, alle critiche che gli erano state mosse in materia de auxiliis, accordandogli però ampia libertà nella scelta della scuola teologica a cui fare riferimento: "Ella prenda pure quel sistema che vuole, se non le piace il tomistico, scelga l'agostiniano; ed anche il gesuitico, ché non m'importa. Stia pur nei confini del dogma, e sfugga i sensi delle proposizioni condannate, del resto prenda il sistema che vuole, purché sia sistema di scuola cattolica" (lettera del C. al Molinelli, 12 ag. 1780). Il C. aderì scrupolosamente alle richieste del pontefice: rettificò la proposizione giudicata equivoca, affermando che Pietro per la sua condizione di giusto non poteva rimaner privo di ogni aiuto soprannaturale (Vita di s. Pietro ... , II, Roma 1781, Prefazione), e rimase soddisfatto della larghezza con cui il domenicano T. M. Mamachi, al quale Pio VI aveva affidato la censura dei due volumi, aveva lasciato passare alcune proposizioni improntate al più rigido agostinianismo. Da parte sua il C., nel terzo volume (Roma 1781), affrontava con piena soddisfazione degli ambienti filocuriali la questione del potere giurisdizionale nella Chiesa e, in particolare, del potere episcopale, distinguendo tra "apostolato interiore" ricevuto nella consacrazione ed "apostolato esteriore" che si manifesta nell'esercizio della giurisdizione episcopale nella diocesi affidata al vescovo dal papa. Ne nasceva una polemica con gli ambienti gallicani (veniva subito alla luce un Mémoire des differens genres de l'apostolat contre l'opinion de M. C. auteur de la Vie de Saint-Pierre..., s.n.t., che manifestava il malumore di alcuni teologi della Sorbona) e giansenisti (gli Annali ecclesiastici di Firenze del 4 ott. 1782, p. 157, deprecavano la debolezza del C. che sisarebbe piegato alle pressioni del Mamachi).
Fu questo un momento decisivo che portò il C. a una scelta definitiva, non a caso maturata in coincidenza con la pubblicazione dell'opuscolo di Valentin Eybel, Was ist der Papst, pubblicato a Vienna nel 1782, in occasione del viaggio di Pio VI.
La sua formazione culturale, fondata sulla lettura dei testi più tradizionali, lontana da ogni contatto con le nuove idee illuministiche o anche soltanto con un cattolicesimo più "illuminato", non gli permetteva di comprendere le ragioni dei riformismo religioso che a volta a volta si tingeva di venature regalistiche, episcopalistiche, giurisdizionalistiche a Pavia, a Pistoia, a Napoli. Abbracciò perciò senza esitare la tesi che soltanto nell'unione con il papa, rispettandone la suprema autorità, la religione cattolica poteva rimanere integra. Il libello dell'Eybel, che intendeva provare che il papa "non è se non vescovo di Roma; e che non ha altra giurisdizione che quella che ha ogni vescovo nella sua diocesi" gli sembrava "tutto piantato sopra i principi luterani" (al Molinelli, 23 marzo 1782); l'opera di un discepolo del Natali, Vincenzo Besozzi, Riflessioni sopra l'autorità de' vescovi e de' principi nella Chiesa (Pavia 1782), gli dispiaceva persino nel titolo "perché mi pare che i principi né abbiano né possano avere alcuna autorità nella Chiesa, almeno parlando rigorosamente" (al Molinelli, 31 agosto 1782).
Sui temi ecclesiologici dei poteri scrisse perciò prima l'opuscolo Dell'apostolato e de' suoi diversi gradi (Roma 1782), quindi la Lettera... ai signori estensori del foglio periodico di Firenze che ha per titolo: Continuazione degli Annali ecclesiastici (Roma 1783), infine le Cinque lettere amichevoli al sig. ab. Vincenzo Besozzi milanese... (s.n.t., ma Roma 1783; un'edizione ampliata di questa ultima opera fu pubblicata con il titolo Dell'autorità e giurisdizione della Chiesa e del Romano Pontefice sull'erezione e distribuzione dei vescovadi e delle parrocchie, sull'elezione e consacrazione dei vescovi e sulla disciplina della Chiesa, Roma 1788), in cui difendeva il primato di giurisdizione del papa sulla Chiesa universale. Al C. riuscì anche di convincere l'amico Molinelli a fiancheggiarlo, scrivendo l'opuscolo Dell'apostolato e dell'episcopato. Lettera di un anonimo in difesa del signor abate L. C., agli estensori de' così detti Annali ecclesiastici di Firenze (Roma 1784). in un primo tempo destinata a comparire sulle Efemeridi letterarie di Roma, ma poi pubblicato a parte per volere del papa, il quale, dopo qualche diffidenza nei confronti del Molinelli per la sua fama di giansenista, gli affidò tramite il C. l'incarico di confutare il libello antipapale di F. S. Catani: nacque così il volume Del primato dell'apostolo s. Pietro e dei romani pontefici suoi successori in confutazione di varj scritti recenti e spezialmente di quello che ha per titolo: Il Papa o siano ricerche sul primato di questo sacerdote pubblicato colla data di Eleutheropoli (Roma 1784).
Il C., non senza ambiguità, si poneva ormai in una posizione di mediazione tra gli ambienti più legati alla tradizione teologica agostiniana venata di giansenismo e Roma: il terreno di incontro era costituito dalla difesa del primato della S. Sede contro il radicalismo di teologi come il Tamburini o il Puiati; in cambio intendeva dimostrare che la dottrina di s. Agostino e le idee morali più rigide non erano avversate da Roma e che il gesuitismo aveva perso il favore della Curia. Sul piano politico questa mediazione era importante, ma sul piano morale il punto debole era costituito dalla ricerca ossessiva dei compromesso e della dissimulazione, che portava il C. ad ammirare l'accomodantismo del mondano cardinale de Bernis: "Vi sono dei mezzi da poter cavare dei bene da tutti gli uomini, se non si ha l'impazienza di precipitare gli affari, come sogliono fare i Puiati, i Tamburini, e altri simili. Suaviter dice l'eminentissimo de Bernis, alias tutto si precipita. Non bisogna pretendere che qui si rinunzi a certe massime, ma basta che (dice il medesimo cardinale) si conservino come le antiche armature negli arsenali: per onore cioè del passato, senza l'idea di usarne per l'avvenire, ma insieme anche senza mostrar di supporre che non siano di verun uso" (lettera al Molinelli, 7 febbr. 1784).
Di conseguenza la strategia del C. non poteva riuscire fruttuosa nei rapporti personali con i vecchi amici allontanatisi da Roma (soltanto l'irenismo del Molinelli, pur nella diversità delle idee, poté consentire la sopravvivenza dell'antica amicizia fra i due); sarebbe stata, invece, molto efficace se adeguatamente sfruttata nei modi della propaganda.
La circolazione dei trattati teologici, dei saggi più voluminosi, non era più sufficiente: la diffusione delle idee attraverso la stampa aveva assunto negli ultimi decenni un'ampiezza e una rapidità prima sconosciute, attraverso opuscoli e giornali. La Curia romana constatava l'inefficacia dalle vecchie armi repressive costituite dalle condanne dell'Indice, spesso ormai neppure sostenute dal braccio secolare. Il favore accordato a una schiera sempre crescente di apologisti della religione cattolica era riuscito a creare soltanto una reazione disorganica e per lo più priva di quell'autorità morale che poteva provenire da un avallo esplicito o implicito dell'autorità pontificia: occorreva ormai raggiungere con continuitàunvasto pubblico costituito da migliaia di preti e frati, sovente culturalmente impreparati, più pronti ad assorbire stringate parole d'ordine e rozze argomentazioni che a leggere scrittì più profondi e ponderosi.
Il C. aveva continuato a scrivere in difesa di Roma, pubblicando la Risposta di un teologo a un amico sopra il libro del sig. Don Pietro Tamburini che ha per titolo: Analisi del libro delle prescrizioni di Tertulliano (Bologna 1784), le tre lettere latine Ad Thaddeum S.R.I. Comitem de Trautmansdorf contra librum De tolerantia ecclesiastica et civili (Perusiae 1785) e il trattato De mutuis Ecclesiae et Imperii officiis... (Romae 1785), tutti e tre diretti contro le idee professate dal Tamburini all'università di Pavia.
Ma ormai era deciso a dar vita a un settimanale che contrastasse adeguatamente l'azione propagandistica svolta soprattutto dagli Annali ecclesiastici di Firenze, dopoché gli riuscì infruttuoso il tentativo di utilizzare a tale scopo le Efemeridi letterarie di Roma. L'iniziativa fu presa dal C. nella primavera del 1785 insieme con un gruppo di ecclesiastici: l'abate Giovanni Marchetti, già noto per le sue confutazioni del Fleury, allora segretario del duca Mattei; i camaldolesi Clemente Biagi, lettore di diritto canonico a Propaganda Fide, e Germano Beduschi, lettore di filosofia e teologia nelle scuole del suo Ordine; il padre Giuseppe Fontana, dellaCongregazione di S. Bernardo e abate di S. Pudenziana; l'abate Giuseppe M. Alvisini, prefetto degli studi nel Collegio Ibernese; Bartolomeo Cuccagni, fratello del C. e curiale di modesto rilievo; soltanto in seguito si aggiunsero a questi altri quattro redattori: l'abate Serafino Viviani, censore dell'Accademia teologica della Sapienza; i teologi Giovanni A. Barberi, dei preti secolari della Dottrina cristiana, e Michelangelo Toni, della Congregazione dei ministri degli infermi; e l'abate Domenico A. Marsella, professore di lettere all'università Gregoriana.
Il progetto fu approvato dal maestro del S. Palazzo, Mamachi, che "lo assistette con tutta la sua autorità, e con tutto l'impegno" (L. Cuccagni, Elogio del padre F. Tommaso Maria Mamachi, in Giorn. eccl. di Roma, 1° sett. 1792, p. 133) e dallo stesso Pio VI, che promise la sua "protezione". In pratica, per il loro lavoro i redattori furono compensati dalla Curia con "pensioni" annuali, mentre le spese di stampa furono a carico dello stampatore Zempel, a cui andarono gli utili non appena il bilancio del periodico divenne attivo. La direzione venne affidata al C.: questi compilava la "prefazione" di ciascuna annata, dedicata al commento dei più scottanti problemi di politica religiosa, manteneva i rapporti con il maestro del S. Palazzo e con il papa in regolari udienze settimanali, coordinava il lavoro redazionale, lasciando tuttavia ampia libertà ai colleghi che, del resto, ricevevano talvolta direttive dal papa stesso. Il C., tuttavia, soprattutto nei primi anni, intervenne più volte per impedire l'apparizione di articoli che fossero in contrasto con la linea del periodico, sia cercando l'appoggio del Mamachi sia facendo affidamento sulle proprie noncomunidoti diplomatiche. Da questo momento l'attività del C. fu interamente assorbita dalla direzione del settimanale, se si eccettua la pubblicazione delle Lettere pacifiche al signor abate don Pietro Tamburini... nelle quali si risponde alle Riflessioni sopra il trattato De mutuis Ecclesiae et Imperii officiis (Roma 1786).
Il primo numero del Giornale ecclesiastico di Roma vide la luce il 2 luglio 1785, e preceduto da un foglio introduttivo redatto interamente dal Cuccagni.
In esso si dichiarava l'intenzione di rimanere lontani da ogni settarismo e "spirito di partito", trattando di materie ecclesiastiche "come parleremmo in qualsivoglia città del mondo" per "chiudere la bocca a quei nemici della Santa Sede, e a quei libertini del secolo, i quali confondendo la libertà con l'abuso di essa, spacciano che in Roma non vi è libertà di pensare e di scrivere". L'obiettivo enunciato è quello di usare "un linguaggio che sia comune a tutti i Cattolici" e di tenersi "lontani da tutte quelle controversie, che senza taccia agitare si vedono in fra le diverse scuole, ed anche in fra le intere nazioni"; ma subito il richiamo all'unità dei cattolici nel pieno rispetto dell'autorità del papa è energico: i vescovi "per un obbligo d'istituzione Divina" debbono venerare "l'onore e la giurisdizione del Primato; per la cui autorità si conserva l'uniformità della dottrina, l'union delle membra, e l'unità di tutto il corpo".
Nei primi anni lo sforzo del C. per mantenere una posizione moderata riuscì abbastanza fruttuoso: il periodico fu impostato con abilità su una linea estremamente critica nei confronti della dommatica e della morale gesuitiche. Sul piano dottrinale si sostennero le opinioni della scuola agostiniana e il rigorismo morale, pur sottolineando che ogni opinione aveva scarsa importanza di fronte alle decisioni dogmatiche prese dalla Chiesa. La propaganda era diretta quasi esclusivamente al clero: in particolare a quella parte di esso che aveva mostrato qualche propensione per le idee di riforma interna della Chiesa, subendo il fascino del mitico ritorno alla purezza delle origini, caratterizzato dalla comunione dei fedeli e dalla povertà evangelica; o a quella parte che, sostenitrice dell'agostinianismo più rigido, si era legata al destino dei giansenisti temendo il prevalere delle opinioni molinistiche; a quegli ecclesiastici, quindi, che in fondo erano alieni da uno spirito di ribellione contro Roma ed erano scossi dall'alleanza che si vedeva ormai stretta tra alcuni gruppi giansenistici e governi riformatori, scorgendo dietro ad essa lo spettro dell'illuminismo nei suoi aspetti anticlericali e irreligiosi. Ma particolare cautela fu mostrata sul terreno dei rapporti fra Stato e Chiesa, evidentemente per non compromettere le relazioni diplomatiche della S. Sede con le corti europee. Non restringendo il campo di osservazione alla penisola, notevole fu lo sforzo di prestare attenzione alla pubblicistica e ai problemi religiosi degli altri paesi europei (Francia, Germania e territori dell'Impero, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Irlanda, Inghilterra) e all'attività missionaria in America e in Asia. Il Giornale ecclesiastico ebbe presto una larga diffusione anche all'estero, tanto da consentire la stampa di alcune edizioni locali: alla fine del 1787 ebbe inizio una ristampa in lingua francese a Maastricht; nel febbraio 1788 nacque una ristampa in lingua tedesca ad Augusta; una ristampa italiana fu promossa all'inizio del 1790 a Bergamo e, soppressa questa nel 1794 dal governo della Serenissima che temeva ogni scritto che trattasse gli avvenimenti rivoluzionari francesi, essa venne sostituita dalla ristampa fatta a Trento in territorio soggetto all'Impero.
La polemica del Giornale ecclesiastico nei primi anni è generalmente impersonale (se si eccettua quella diretta contro il Tamburini e i suoi seguaci dell'università pavese), volta a colpire gli organi di stampa (come gli Annali ecclesiastici di Firenze, la Raccolta di opuscoli interessanti la Religione di Pistoia) o gli scritti di contenuto più radicale. Persino dopo l'effettuazione dei sinodo di Pistoia (settembre 1786), che segnava il punto di svolta del giansenismo toscano alla ribellione aperta contro Roma, la prudenza continuò inalterata. E C. riuscì a mantenere estraneo il Giornale ecclesiastico alla violenta polemica che oppose al vescovo di Pistoia uno dei più attivi e brillanti redattori del periodico romano, il Marchetti (l'unico ad avere marcate simpatie per i gesuiti), autore di un sarcastico opuscolo antiricciano, le Annotazioni pacifiche di un parroco cattolico..., s.n.t. (ma Roma 1788). In privato, anzi, il C. disapprovò nettamente il tono provocatorio usato dal collega (lettera a monsignor Nani, 12 luglio 1788). Ma l'ulteriore radicalizzazione della situazione, provocata nell'autunno del 1788da un nuovo inasprimento della politica ecclesiastica di Pietro Leopoldo (abolizione dei tribunale della nunziaturaaFirenze, dichiarazione di autonomia dei regolari toscani dai loro superiori residenti fuori dal granducato e la pubblicazione degli Atti dei sinodo pistoiese), costrinse il C. a scendere per la prima volta apertamente in campo contro il de' Ricci (vedi l'articolo., siglato G. H., nel Giorn. eccl., 27 dic. 1788, pp. 99s.), pur limitandosi egli a sottolinearne la disobbedienza alla S. Sede e le simpatie parrochiste ed episcopaliste, tacendo sui punti controversi in materia dogmatica, morale, rituale, ecc. Ma la posizione del C. era ormai indebolita. Una sua sostanziale sconfitta fu il modo in cui venne realizzato il Supplemento, al Giornale ecclesiastico di Roma, la cui stesura in volumetti bimestrali fu affidata con eguali responsabilità a lui e al Marchetti. Questi poté quindi pubblicare in questa sede, senza più il controllo del C., lunghe recensioni o addirittura interi opuscoli, facendo del Supplemento uno strumento di eccezionale vis polemica, che raggiungerà il suo acrne durante la campagna propagandistica controrivoluzionaria; tagliato fuori era il resto della redazione, composta di teologi di scuola agostiniana e più vicini al Cuccagni. Ciononostante il C. cercò ancora di perseguire una linea moderata, ignorando sistematicamente la pubblicistica antigiansenista dei gesuiti, con l'obiettivo di offrire agli avversari di "buona fede", che si erano incautamente legati al vescovo di Pistoia, la possibilità di rientrare onorevolmente nei ranghi.
Soltanto gli avvenimenti rivoluzionari francesi indussero il C. ad abbracciare posizioni più rigide, che lo portarono a coinvolgere in un giudizio di condanna tutto il movimento giansenista: egli metteva in evidenza che gli stessi opuscoli da questo prodotti per appoggiare le riforme di Giuseppe II e di Pietro Leopoldo venissero ora utilizzati per giustificare la politica ecclesiastica codificata nella costituzione civile del clero "che un'Assemblea per la maggior parte composta di Deisti, Frammassoni, d'Ugonotti, di Ebrei, e di Appellanti, o sia Giansenisti, ha preteso di dare alla Chiesa cattolica, obbligando il Clero, e specialmente i Vescovi ad accettarla" (L. Cuccagni, Della libertà delle Chiese particolari, e dei vescovi nei primi otto secoli dell'Era Cristiana, e del loro rispetto e loro obbedienza alla Chiesa Romana loro madre e maestra. Breve trattato... in risposta agli apologisti dell'Assemblea Nazionale di Francia, in Supplemento al Giorn. eccl., IV [1792], p. 100). Pur noncondividendola tesi estrema - molto diffusa tra i cattolici e poi cara al Maistre - dell'esistenza di un complotto teso alla distruzione della religione cattolica, come primo passo per il rovesciamento dell'ordine costituito e. il trionfo dell'anarchia, anche il C., che in passato si era mostrato molto restio ad attaccare il gallicanismo, ormai considerava questa dottrina un espediente usato dai nemici dei cattolicesimo per giustificare "l'usurpazion più nefanda", giudicando necessari, per il mantenimento della religione nella sua tradizionale integrità, il più rigido accentramento gerarchico sotto l'autorità del papa e la scomparsa di ogni autònomia, delle Chiese locali (Giornale ecclesiastico, Prefazione al tomo VIII, 1793, P. V).
Incapace di staccare ancora la causa della Chiesa da quella dei governi assoluti, il C. fondava tuttavia il suo reazionarismo su basi esclusivamente religiose: "A me poco importa alla fine, che la Francia torni o non torni ad essere una Monarchia, ma desidero che torni a dominare la Religione Cattolica; e quando unico mezzo esser ne dovesse il ristabilimento della monarchia, vorrei che anch'essa fosse ristabilita"; e rimproverava i sovrani ora coalizzati contro la Francia di avere nel recente passato perseguitato anch'essi la Chiesa e di combattere "non per la gloria di Dio, ma per privato interesse" (lettera al Molinelli, 8 ag. 1795). Indulgendo sempre più a uno schema teocratico, egli - di fronte all'espansione rivoluzionaria che minacciava di imporre agli altri popoli una visione "integrale" della vita "animata dall'odio contro la religione, e dall'idea di una fantastica libertà" - si mostrò favorevole alla promozione di una crociata controrivoluzionaria indetta dal papa e fiancheggiata dall'azione di mobilitazione delle masse da parte del clero (vedi la recensione al Saggiostorico sulle crociate di F. Gustà, apparsa nel Giornale ecclesiastico, 6 e 13 sett. 1794, pp. 137 s., 141 s.). Questa illusione circa la realizzabilità di una simile crociata fu dura a morire e ispirò al Giornale ecclesiastico fino al trattato di Tolentino una linea sensibilmente divergente da quella dei governo pontificio, accusato di pensare più alla difesa degli interessi territoriali che di quelli religiosi: si sostenne a lungo l'inevitabilità della guerra di religione, considerando inaffidabili i Francesi. Il C., sopravvalutando le capacità di resistenza delle truppe pontificie e l'azione delle masse contadine, giudicò un grave errore l'armistizio di Bologna del 23 giugno 1796 ("La Marca era già quasi armata tutta, e a fronte di tutti gli ordini mandati di qua, stenta a deporre le armi. Han messo la morte nel braccio sinistro, e la Madonna di Loreto nel destro, e nel cappello; e quindi andavano a giurar colà sull'Altare della Madonna di morire per la difesa del Santuario, e dello Stato": lettera al Molinelli, 2 luglio 1796).
Tra il luglio e il gennaio successivo, il C. fu, sul Giornale ecclesiastico di Roma, tra i sapienti organizzatori di quello stato di tensione popolare mantenuto vivo con la divulgazione di notizie di fenomeni miracolosi (cfr. ad esempio, Giorn. eccl., 17 sett. 1796, p. 147; 14 genn. 1797, pp. 2-4; Supplemento, fasc. 4 del 1797, pp. 333-390). Ma le vittorie militari dei Francesi fecero presto svanire ogni illusione: il C., alla vigilia di Tolentino, era ormai rassegnato: "Prego Dio che si faccia il trattato, e la pace: e purché non ne soffra la Religione, io non mi affliggerò punto della perdita del temporale, al quale non sono attaccato. Quello che si può salvare, non biasimo che si procuri di salvarlo, ma quando non si possa far altrimenti, senza maggiori rovine, il mio voto è che si sacrifichi tutto il temporale per salvare il decoro della Chiesa e l'integrità della Religione: su di cui non si può venir a composizione" (lettera al Molinelli, 18 febbr. 1797); ma aspre critiche erano rivolte a Pio VI, che aveva "trascurato di far il Papa per la vanagloria e ambizione di far il Principe" e pensato soltanto "a smungere i sudditi" (al Molinelli, 4 marzo 1797). Positivo fu giudicato dal C. il fatto che il trattato non imponesse alla S. Sede l'obbligo di sconfessare la politica religiosa seguita nei confronti della costituzione civile dei clero francese. Nacque così in lui, come testimoniano vari articoli del Giornale ecclesiastico, un interesse inedito per i problemi dei cattolici nei territori occupati dalle armate francesi.
Già dal marzo 1797 il C. pronunciava espressioni di rispetto per i governi democratici, accompagnati però da profonda avversione non solo per i giansenisti ma soprattutto per i gruppi cristiano-rivoluzionari (dure accuse contro G. A. Ranza ed E. M. L'Aurora), nella convinzione che una fruttuosa collaborazione con le autorità contro il radicalismo in materia di religione fosse possibile soltanto in presenza di una grande compattezza dello schieramento cattolico. Egli seguì attentamente l'azione dei cattolici nella Repubblica ligure, congratulandosi più volte con il Molinelli per il loro successo nell'ottenere sostanziali modifiche costituzionali a favore della religione cattolica (lettera del 25 nov. 1797); come pure approvò gli scritti di Scipione Bonifacio che, nella democratica Repubblica veneta, propugnava un regime democratico moderato e subordinato ai principi religiosi in opposizione al giacobinismo e alle teorie rousseauviane (Giorn. eccl., 28 ott. 1797, pp. 165 s.; 25 nov. 1797, pp. 181-184).
Con la creazione della Repubblica romana e l'espulsione del papa, il C. mantenne il Giornaleecclesiastico sulla medesima linea, mostrando concretamente come fosse possibile - pur nella mutata situazione politica - continuare ad operare sul piano ideologico, con un comportamento - come al solito, molto più duttile e produttivo di quello tenuto dal collega di redazione Marchetti, arrestato il 26 febbr. 1798 e poi espulso dallo Stato il 7 aprile perché accusato di aver aizzato alla rivolta il popolo di Trastevere. Con un corpo redazionale ridotto a cinque persone, pochi giorni prima che venisse approvata la costituzione della Repubblica, ammonì che "l'uomo dee adattarsi alla Religione e non questa dee modularsi ad arbitrio e capriccio dell'uomo" e che qualsiasi governo "volesse arbitrare e riformare la Religione dataci da Dio, sarebbe subito abusivo, violento, e tirannico" (Giorn. eccl., 10 marzo 1798, pp. 33 s.). Nella Prefazione al tomo XIII 0 798), pubblicata nella tarda primavera, il C. teorizzava con lucidità, precorrendo di oltre mezzo secolo gli scritti della Civiltà cattolica, l'assoluta indifferenza della Chiesa nei confronti di qualsiasi forma di governo (affermando che la religione cattolica ammette anche "le monarchie, come ammette colla stessa indifferenza ogn'altra forma di governo, perciocché detta religione a tutte si adatta"), precisando le condizioni e i limiti entro cui poteva attuarsi la collaborazione dei cattolici con il nuovo regime; essendo convinto della forte pressione che l'opinione pubblica cattolica poteva esercitare, moderando gli attacchi più radicali mossi alla Chiesa anche con l'opposizione ad atti legislativi lesivi dei principi della religione.
Sopravvennero però per il C. difficoltà finanziarie. Soppresso nel marzo il Collegio Irlandese, di cui furono venduti all'asta i beni, egli fu costretto a ritirarsi senza alcun provento presso il parroco dei SS. Quirico e Giulitta. Venuti meno gli abbonamenti, l'ultimo numero del Giornaleecclesiastico uscì il 30 giugno; il Supplemento, che si vendeva a fascicoli separati, visse fino al numero di settembre-ottobre.
Ma ormai seriamente malato, il C. morì a Roma il 7 nov. 1798.
Fonti e Bibl.: Fondamentali per la ricostruzione della biografia e dell'attività del C. sono i due folti epistolari con G. B. Molinelli (conservato nell'Arch. prov. degli scolopi a Genova Cornigliano) e con Giovanni Nani, vescovo di Brescia (in Bibl. naz. Vittorio Emanuele II di Roma, Fondi minori, buste 718-719). Altre lettere del C. in: Venezia, Bibl. del Civico museo Correr, Fondo Moschini, ad vocem; Udine, Bibl. della Curia arcivescovile, Fondo Bartolini 157, Lettere varie, vol. II. Utile è la consultazione della Continuazione degli Annali ecclesiastici di Firenze, anni 1780-1791. A. C. Jemolo, L'abate L. C. e due Polemiche eccles. nel primo decennio del pontificato di Pio VI, in Atti dell'Acc. delle scienze di Torino, ci. di scienze morali, LXVII (1931-32), pp. 25-52; P. Savio, Devoz. di mgr. A. Turchi alla S. Sede..., Roma 1938, ad Indicem; G. Gasperoni, Settecento italiano. Contr. alla storia della cultura, I, L'ab. G. C. Amaduzzi, Padova 1941, pp. 207-210, 213, 324; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I-III, Firenze 1941-42, ad Indicem; N. Ferrini, L'abate L. C. da Città di Castello polemista cattolico del sec. XVIII, in Boll. della R. Deput. di storia patria per l'Umbria, XL, (1943). pp. 5-139; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, ad Indicem; P. Alatri. Profilo stor. del cattolicesimo liberale in Italia, I, Il Settecento. Giansenismo, filogiansenismo e illuminismo cattolico, Palermo1950, pp. 34, 77 s. e passim; P. Savio, Giansenizzanti e giurisdizionalisti, in Italia francescana, XXX (1955), p. 105; E. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholique au XVIIIe siècle, Paris 1960, pp. 406-410 e ad Indicem; A. Minciotti, La polemica di L. C. con P. Tamburini, Città di Castello 1962; G. Alberigo, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale. Momenti essenziali tra il XVI e il XIX sec., Roma-Freiburg-Basel-Barcelona-Wien 1964, pp. 259, 276 s., 286, 303, 313; V. E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna 1971, ad Indicem;G.Pignatelli, Le origini settecentesche del cattolicesimo reazionario: la polemica antigiansenista del "Giornale ecclesiastico di Roma", in Studi stor., XI (1970), pp. 755-782; Id., Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, ad Indicem; M. Trincia Caffiero, G. C. Amaduzzi e Scipione de' Ricci, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXVIII (1974), pp. 107 ss.; C. Falconi, Il giovane Mastai. Il futuro Pio IX dall'infanzia a Senigallia alla Roma della Restaurazione 1792-1827. Milano 1981, pp. 443, 446-449, 483 ss., 644, 648-651, 723, 748-752.