D'AMELIO, Luigi
Nacque a Napoli il 1° giugno 1893 da Raffaele e da Emma Flotes. Conseguita la maturità classica, nel 1911 si iscrisse alla facoltà di ingegneria civile della città natale. Richiamato alle armi per partecipare alla guerra 1915-18, nella quale ottenne una croce al merito e perse due fratelli, il D. interruppe gli studi. Ripresili, conseguì la laurea nel 1919. Svolse poi, per breve periodo, attività di assistente alla. cattedra di costruzioni in legno, ferro e cemento armato dell'università di Napoli; successivamente, su invito del prof. E. Brunelli, passò a quella di macchine termiche e idrauliche, della quale divenne professore incaricato nel 1931, in seguito al trasferimento del Brunelli al Politecnico di Torino, e ordinario nel 1936; da questo stesso anno'assunse anche la direzione del corrispondente istituto, dapprima denominato di "macchine termiche, idrauliche e agricole" e poi, più estensivamente, di "macchine". Tenne ininterrottamente la cattedra e la direzione dell'istituto fino al 1963, quando fu posto fuori ruolo per raggiunti limiti di età.
Il D. morì a Napoli il 1° dic. 1967.
Tra le più importanti cariche da lui ricoperte si ricordano: preside della facoltà di ingegneria dell'università di Napoli dal 1946 al '49, membro ordinario dell'Accademia Pontaniana di Napoli, vicepresidente nazionale dell'Associazione termotecnica italiana (A.T.I.), ammiffistratore delegato dell'Ente autonomo Voltumo (E.A.V.) dal 1948 al '60 (durante la gestione del D., l'ente, società elettrica municipale, costruì e mise in funzione quasi tutte le sue centrali idroelettriche).
L'attività scientifica del D. si indirizzò prevalentemente verso la ricerca e la realizzazione di congegni per migliorare il rendimento delle macchine e degli impianti per l'utilizzazione delle energie rinnovabili (solare, eolica, geotermale).
Per quanto riguarda il miglioramento del rendimento delle macchine termiche, il D. studiò il problema dell'utilizzazione dell'energia residua dei gas combusti nel motore a scoppio, alla fine della fase di espansione (cfr. Il motore a scoppio a espansione prolungata, Napoli 1936). Dopo aver scartato la soluzione del motore a espansione prolungata nello stesso cilindro (con rapporto di espansione pari a circa 3,2 volte quello di compressione) perché, pur essendo in tal modo possibile, sotto certe condizioni, un incremento del rendimento del 25% circa, tale soluzione avrebbe richiesto un ingombro notevole rispetto a un normale motore (cilindrata all'incirca tripla), il D. nella sua opera proponeva un motore d'automobile a 4 cilindri in linea a duplice espansione, con due cilindri ad alta pressione e due, quelli intemi, a bassa.
Ciascuno dei due cilindri ad alta pressione, alla fine della fase di scarico, immetteva i gas nei due cilindri a bassa, in cui si completava l'espansione utilizzando l'energia residua dei gas. Questo motore, nei confronti di uno a due cilindri senza recupero, presentava, a parità dipotenza, una riduzione del 16% circa nel consumo di combustibile. Un semplice meccanismo a camma e bilanciere consentiva di ripristinare il funzionamento normale a semplice espansione.
Nel campo dell'utilizzazione delle energie rinnovabili è da ricordare l'opera del D. Impiego di vapori ad alto peso molecolare in piccole turbine e utilizzazione del calore solare per energia motrice (Napoli 1935), che vinse il primo premio di L. 10.000 nel concorso bandito dal governatorato italiano in Libia e dall'Associazione nazionale controllo della combustione (A.N.C.C.). Dopo un cenno iniziale sulla scarsa convenienza dell'utilizzazione dell'energia del vento, perché troppo variabile e con resa troppo bassa (nella stessa opera, tuttavia, il D. studiò un interessante tipo di pompa di irrigazione a stantuffo a corsa variabile, collegata con un motore a vento, capace di mantenere in equilibrio il momento resistente e quello motore in un ampio intervallo di variazione della velocità del vento, al fine di permettere un rendimento accettabile), il D. illustrò dettagliatamente un tipo di motore ad energia solare funzionante con i vapori di un fluido ad alto peso molecolare, il cloruro di etile. L'impianto era composto da una serie di vasche piene di acqua (radiatori) aventi una base di m 2 × 1 e un'altezza di 3 cm, disposte inclinate sul piano orizzontale per ricevere più efficacemente la radiazione solare, da una caldaia cilindrica contenente moltissimi tubi di piccolo diametro, in cui circolava il cloruro di etile, e da una piccola turbina. L'acqua dei radiatori, riscaldata dalla radiazione solare, passava m caldaia, ove cedeva calore al cloruro di etile provocandone la vaporizzazione alla temperatura di 40° C; i vapori del fluido venivano inviati sulle pale della turbina che, ponendosi in rotazione, rendeva disponibile sul suo albero energia meccanica. I vapori di scarico della turbina passavano poi in un refrigerante, ove condensavano alla temperatura di circa 23° C e ad una pressione leggermente superiore a quella atmosferica; il condensato ritornava infine in caldaia mediante pompa. Questo impianto - un mezzo vantaggioso di utilizzazione del calore solare per scopi irrigui - aveva le seguenti caratteristiche: superficie di captazione del calore solare (radiatori), 270 mq; superficie di scambio acqua-cloruro di etile in caldaia, 20,6 mq; potenza effettiva sull'albero della turbina, 5,4 CV; rendimento globale, 3,6% circa.
Sempre sull'utilizzazione del cloruro di etile è basato il progetto del D. sullo sfruttamento del calore contenuto nelle acque termali, da lui esposto in una memoria presentata nel 1939 alla R. Accademia delle scienze di Torino (Le acque termali come fonte di energia in I combustibili nazionali e il loro impiego, Torino 1939, pp. 293-307). Secondo il D., per sfruttare in modo conveniente i modesti salti termici disponibili (al massimo da 90° C a 15° C), non sarebbe convenuto un'impianto a vapor d'acqua (che avrebbe richiesto un alto vuoto nel condensatore e un elevato dispendio di energia per riportare in caldaia il condensato), ma uno a cloruro di etile. Il progetto descritto nella memoria già citata era stato realizzato dal D. presso il laboratorio dell'istituto di macchine della facoltà di ingegneria dell'università di Napoli. L'impianto aveva una potenza nominale di 10 CV: in una caldaia ad acqua calda (che simulava l'acqua termale), con temperatura di entrata di 600 Ce di uscita di 43° C, era immersa una serie di piccoli tubi contenenti il cloruro di etile che, passato allo stato di vapore a 40° C, veniva inviato sulle pale di una turbina; sull'albero di questa si otteneva così una potenza di 3,54 CV per ogni litro al secondo di acqua calda utilizzata, con un rendimento globale del 3,4%.
In un secondo tempo il D., al fine di migliorarne il rendimento, decise di apportare alcune modifiche all'impianto. Eliminò dalla caldaia le superfici di separazione acqua calda-fluido (infatti il cioruro di etile fu posto in sospensione nell'acqua consentendo, data la sua immiscibilità con essa, la trasmissione diretta del calore) e collocò la turbina immediatamente sul condensatore. Sulla base di queste innovazionì fece costruire, verso il 1940, - sull'isola di Ischia, per utilizzare il calore delle locali acque termali, un impianto pilota da 11 kW che diede buoni risultati. A questo fece se: guito un secondo impianto da 250 kW, costruito, sempre ad Ischia, con l'appoggio di alcune società napoletane, tra cui la Società meridionale di elettricità; quest'ultimo impianto, ultimato nel 1943, non entrò però mai in funzione. Il D. illustrò ampiamente, suscitando vasto interesse, tali impianti alla Conferenza sull'energia solare tenuta nel 1955 a Tucson (Arizona), con la relazione A steam engine using a mixture of vapoursfrom non-miscible fluids as a solar engine with flat plate collectors, e nella Conferenza sulle nuove fonti di energia, (tenuta a Roma nel 1961), in cui presentò unaielazione sul tema: Thermal machines for the conversion of solar energy into mechanical power.
Anche se non strettamente attinenti ai settori di attività sopra menzionati, sono parimenti da ricordare lo studio del D. sull'utilizzazione delle pompe di calore per impieghi civili e industriali (Il riscaldamento meccanico con ciclo a vapor d'acqua e con cicli binari, memoria presentata il 14nov. 1930 alla sez. di Napoli dell'Associazione elettrotecnica italiana) e un progetto su un impianto termico a due fluidi (La turbina a vapore ed i cicli binari con fluidi diversi dall'acqua fra le isoterme inferiori, in L'Elettrotecnica, XXIII [1936], 9, pp. 250-57; 10, pp. 286-92). Questo impianto era formato da una normale caldaia in cui si produceva del vapor d'acqua che, dopo aver agito sulle. pale della turbina, veniva scaricato, alla pressione di 1,1 at. ass., in uno scambiatore di calore in cui circolava del cloruro di etile, il cui vapore si espandeva in una seconda turbina coassiale alla prima. Per pressioni di vaporizzazione, nella caldaia ad acqua, non superiori a 30 ata, l'impianto a due fluidi, pur avendo un rendimento globale circa uguale a uno a sola acqua, presentava i seguenti vantaggi: assenza di vuoto e delle relative apparecchiature nello scambiatore di calore in cui avveniva la condensazione del vapor d'acqua e la vaporizzazione del cloruro di etile; titolo del vapor d'acqua, all'uscita dalla prima turbina, molto prossimo all'unità, con riduzione delle perdite per attrito e dei pericoli di corrosione delle pale.
Bibl.: Un'ampia documentazione è stata gentilmente messa a disposizione dal figlio del D., prof. Carlo. Sono di utile consultazione: Necrol., in La Termotecnica, XXII (1968), 3, p. 98; M. Dornig, Macchine termiche e idrauliche, Milano 1959, II, p. 246; G. Righini-G. Nebbia, L'energia solare, Milano 1966, p. 172; G. Russo, La scuola d'ingegneria in Napoli, 1811-1967, Napoli 1967.