ISENGARD, Luigi d'
Nacque a La Spezia l'11 maggio 1843 da Teodoro e da Francesca Federici.
La famiglia paterna, d'origine tedesca e di tradizioni militari, si era stabilita nella città ligure da oltre un secolo imparentandosi con le casate più in vista e acquisendovi una posizione di rilievo anche in campo culturale e politico (suo bisnonno Luigi Teodoro, che si fregiava del titolo di barone del Sacro Romano Impero ed era un valente geografo-naturalista, aveva servito a lungo la Repubblica di Genova e poi la democratica Repubblica ligure, al tempo della quale aveva professato idee giacobineggianti). In particolare, erano da tempo stretti i rapporti tra gli Isengard e la famiglia della madre: Marco Federici, il più celebre dei giacobini spezzini, aveva sposato una sorella di Luigi senior.
Con queste tradizioni democratiche in casa, non c'è da stupirsi che nel 1860 il giovane I. tentasse la fuga per andare in Sicilia con Garibaldi. Per impedirgli altri colpi di testa, il padre pensò di mandarlo nel collegio militare di Asti, dove però fallì la prova di ammissione. Il 30 marzo 1861 si arruolò allora "per la ferma d'anni otto in servizio d'ordinanza" nel corpo dei bersaglieri, dove due mesi dopo venne promosso caporale e il 16 giugno 1862 sergente.
Con i bersaglieri venne spedito in Abruzzo a reprimere il brigantaggio, che egli in seguito avrebbe definito "una lotta infeconda", alimentata da fattori quali "la superstizione, l'ignoranza e la miseria" (Memorie autobiografiche, pp. 15 s.), non diversa da quelle insorgenze che avevano agitato il Regno meridionale ai tempi di Gioacchino Murat. Dall'Abruzzo il suo battaglione passò a Napoli, a combattervi la camorra, e nel 1863 in Lombardia, dove l'I. lasciò il reparto per frequentare la "scuola normale" dei bersaglieri a Livorno. Nel 1865 perse il padre e la madre ottenne di "mettergli il cambio", cioè di trovargli un sostituto, cosicché il 5 giugno venne congedato e tornò a La Spezia; ma nel 1866, in occasione della guerra per la liberazione del Veneto, si arruolò volontario e fu nuovamente inquadrato nei bersaglieri come soldato semplice, guadagnandosi tuttavia sul campo, nei combattimenti di Ponte Caffaro e Vezza d'Oglio, i gradi di sottotenente.
Terminata la campagna del Trentino il suo battaglione si sciolse a Edolo, ma nel novembre 1866, all'indomani dell'insurrezione di Candia, l'I. si imbarcò con una quarantina di camicie rosse alla volta di Corfù intenzionato a combattere contro i Turchi per l'indipendenza greca. Inquadrato tra i "palicari" del colonnello Bysantios, dopo un viaggio avventuroso sbarcò a Selimo, sulla costa occidentale di Creta. Nell'isola rimase oltre un mese, partecipò ad alcuni combattimenti sfortunati (avrebbe ricordato questa esperienza anni dopo in un lungo articolo, La camicia rossa in Candia nel 1866-67, in Rassegna nazionale, 1° genn. 1901, pp. 143-159), fu ferito a Paleocastro e venne quindi ricoverato nell'ospedale militare di Atene. Una volta guarito, da Atene si recò a Istanbul, dove rimase cinque anni, conducendo una vita da bohémien e guadagnandosi da vivere come insegnante di italiano e francese in vari istituti privati ("A Costantinopoli - avrebbe scritto nelle sue Memorieautobiografiche - è più facile aprire un collegio che una taverna"); nel giugno del '70 rischiò di finire bruciato nel grande incendio di Pera, poi per sopravvivere fece l'infermiere in un ospedale turco, infine ottenne dal console italiano un sussidio per tornare a casa.
Spinto probabilmente dall'esempio del fratello Giuseppe, membro influente della Congregazione della Missione (il quale al momento della morte, nel 1913, era procuratore generale della Congregazione stessa presso la S. Sede, consultore della congregazione dei Riti e direttore dell'Accademia liturgica di Roma), nel 1877 l'I. fu consacrato sacerdote e divenne anch'egli un missionario di S. Vincenzo de' Paoli, dedicandosi in seguito all'insegnamento in vari collegi tenuti da quell'Ordine. Nel 1884, mentre era a La Spezia per le vacanze estive, scoppiò nella città un'epidemia di colera e l'I. andò coraggiosamente a fare per due mesi il cappellano e l'infermiere nel lazzaretto del Poggio, esperienza che ripeté durante il contagio del 1886.
Nel 1885 si imbarcò come cappellano militare sulla nave "Garibaldi" e andò a Massaua, da dove rimpatriò circa un anno dopo per motivi di salute: frutto di questa esperienza fu il volume Reminiscenze africane (dedicato all'abate A. Stoppani, "che in tempi di petulante razionalismo […] ha saputo cristianamente conciliare la scienza colla fede"), nel quale descrisse con acume e simpatia l'Eritrea e i costumi del suo popolo. Durante l'anno scolastico 1886-87 fu professore nella Scuola macchinisti di Venezia. Tornato a La Spezia, vi creò la Scuola normale femminile e per un certo tempo la diresse; successivamente insegnò per un ventennio lettere alla Scuola semaforisti del Varignano, sempre a La Spezia, ed ebbe un incarico temporaneo nel liceo della città. Intanto, uscito dalla Congregazione della Missione e divenuto sacerdote secolare, aveva iniziato un'attività di giornalista, narratore e drammaturgo che l'avrebbe portato a collaborare con alcune testate prestigiose: Il Baretti di Torino, Il Rosmini di Milano, la Rassegna nazionale di Firenze. In quest'ultimo periodico (1° ott. 1892, pp. 594-621) pubblicò - in occasione del quarto centenario della scoperta dell'America - il dramma in versi Cristoforo Colombo, che dieci anni dopo venne rappresentato da E. Zacconi e Virginia Marini, e che fu anche messo in musica da C. Mussinelli. Negli anni seguenti, sino al 1909, la collaborazione con la rivista fiorentina fu costante, con articoli di memorie e di varia umanità che sarebbero poi stati raccolti in volume nel 1907 e (postumi) nel 1915, nonché con una nuova opera teatrale, il dramma in un atto Agar (1° ag. 1900, pp. 525-534).
A La Spezia l'I. contribuì a fondare il locale comitato della Società Dante Alighieri e la prima università popolare, ricoprendo in entrambe le istituzioni la carica di vicepresidente, e fu membro della commissione della biblioteca comunale. La monarchia compensò i suoi meriti con numerose medaglie (per la guerra di indipendenza, per la campagna d'Africa, per l'attività a favore dei colerosi) e con la croce di cavaliere della Corona d'Italia, ma non gli accordò mai una pensione. Divenuto cieco negli ultimi anni, l'I. morì a La Spezia, nella sua "villetta dei Vici", il 17 nov. 1915.
Tra le principali opere dell'I., contenenti notizie utili per ricostruirne la biografia, ricordiamo: Poesie con prefazione di Lodovico Selenio [pseudonimo dello stesso I.], Livorno 1884; Reminiscenze africane, 2ª ed. riv. dall'autore e con un'appendice, Milano 1889; Pagine vissute e cose letterarie, Città di Castello 1907; Nuove pagine vissute e cose letterarie, La Spezia 1915; Memorie autobiografiche [pubblicate dalla sorella Maria Teresa], ibid. 1933.
Fonti e Bibl.: La Spezia, Biblioteca comunale U. Mazzini, Mss., II.13 (16), II.14 (13), V.57; Corriere della Spezia, 20 nov. 1915; Il Popolo [La Spezia, settimanale], 20 nov. 1915; G. Pascoli, Lettere agli amici lucchesi, a cura di F. Del Beccaro, Firenze 1960, pp. 129-132, 165; C. Tivegna, L. d'I., in La Spezia. Rivista del Comune, I (1962-63), pp. 85-87; Diz. del Risorgimento nazionale, II, p. 940 (s.v.D'Isengard, Luigi).