DAL PANE, Luigi
Nacque a Castel Bolognese (provincia di Ravenna) il 19 giugno 1903 da Francesco e Clementina Zaccaria in una famiglia di medio ceto di professionisti e di agricoltori. Più che il padre, il quale era docente nel liceo "Torricelli" di Faenza e cattolico tradizionalista e intransigente, influì sulla prima formazione giovanile del D. il nonno materno Cesare Zaccaria, medico condotto e direttore dell'ospedale di Castel Bolognese.
Fu questi a stimolare nel D., fin da bambino, gli interessi per il mondo della natura e poi per le scienze naturali, educandolo a confidare nella forza del libero pensiero. Seguendo questo indirizzo, ancora negli anni del ginnasio, dalle letture di Darwin, Haeckel ed altri evoluzionisti il D. risalì via via a problemi più generali, sottoponendo ad una critica razionale la stessa fede religiosa ricevuta dalla famiglia, ma pur sempre nel tentativo di superare l'opposizione tra sentimento e ragione, fede e scienza.
I grandi sconvolgimenti dell'epoca: il problema della guerra e della pace, il dramma del primo conflitto mondiale, la vittoria della rivoluzione in Russia esercitarono un'influenza deterrninante nella formazione intellettuale del D., orientandolo verso il marxismo sul piano ideologico e verso il partito socialista su quello politico. Tra il 1919 e il 1922 il D. iniziò una nuova stagione di letture concentrandosi sui classici dei marxismo - talvolta procurati a fatica in un ambiente chiuso e provinciale - e avvantaggiandosi dei suggerimenti di un discepolo di Andrea Costa, il deputato socialista Umberto Brunelli, che per lunghi anni aveva diviso con il nonno le cure dell'assistenza sanitaria a Castel Bolognese.
Fu il Brunelli a far dono al D. di tre volumetti di saggi di Antonio Labriola determinando l'occasione per un incontro spirituale di portata eccezionale, destinato a condizionare la vita e tutta la produzione scientifica del D. "Antonio Labriola mi apparve subito a circa 17 anni -ebbe a ricordare il D. (Il valore della conoscenza storica, p. 379) - come un pensatore capace di schiudere gli orizzonti prossimi e lontani della realtà storico-sociale. Ma come si è intessuto il mio dialogo col Labriola? Fin dai miei primi anni Labriola passava le giornate con me in ispirito attraverso gli appunti delle sue lezioni che io avevo scoperto e salvato. Cosa significava ciò? Voleva dire imparare il metodo". Lo studio degli scritti del Labriola fu appunto per il D. principalmente una lezione di metodo che lo sollecitò in prosieguo di tempo ad abbandonare ogni dogmatismo materialistico, influendo sulla sua stessa militanza politica.
Nel 1920 il D. era entrato a far parte della sezione faentina della Federazione giovanile del Partito socialista italiano, parteggiando, in quel momento di aspre lotte interne, per la corrente comunista. Nell'agosto del 1920 il congresso della Federazione giovanile socialista di Ravenna votò unanime un ordine del giorno, predisposto dal D., in cui veniva chiesta l'espulsione dal partito della corrente riformista. Dopo la scissione di Livorno il D. aderì alla Federazione giovanile comunista.
L'attivismo politico del D., nel clima rovente di quegli anni, non mancò di suscitare la reazione dei fascisti: fu in pffi occasioni aggredito, e una volta, nel maggio del 1921, ferito alla testa, tanto che il padre, preoccupato ora per la sua stessa incolumità fisica, oltre che per i suoi orientamenti ideologici, gli impose di abbandonare la politica militante.
Dell'ispirazione leninista del pensiero del D. degli anni tra il 1920 e il 1922 è traccia negli articoli pubblicati sui giornali: Il Socialista di Faenza, la Lotta di classe di Cesenatico, l'Avanguardia di Roma.
Nel novembre del 1922 il D. si trasferì a Roma per frequentare i corsi della facoltà di giurisprudenza. A determinare la scelta dell'ateneo romano avevano contribuito sia il desiderio del D. di consultare le carte e la biblioteca di Antonio Labriola, sia la sollecitudine della famiglia di provocare una soluzione di continuità in una troppo vistosa militanza politica. Già nella primavera del 1922 il D. era infatti riuscito a venire a Roma per fare la conoscenza dei familiari di Antonio Labriola e ottenere il permesso di vedere e studiare quanto rimaneva delle carte del suo "maestro", in particolare di quelle riguardanti gli appunti per i corsi universitari.
"La facoltà giuridica di Roma - ebbe a ricordare il D. (Alla ricerca di Antonio Labriola, pp. 38 s.) - attraversava allora un periodo di grande splendore. Vi insegnavano, fra gli altri, Vittorio Scialoja e Pietro Bonfante, Maffeo Pantaleoni e Rodolfo Benini, De Viti De Marco, Chiovenda, Vivante, Orlando, Salandra, Ferri, Ascoli, Del Vecchio... insomma una schiera di nomi illustri. Io cominciai col frequentare quotidianamente le lezioni, in seguito la mia diligenza si limitò alla preparazione accuratissima degli esami. Finii col passare gran parte della giornata nella biblioteca di Antonio Labriola o sulle traccie degli amici e scolari di lui".
Frutto degli studi e delle ricerche compiute nella biblioteca del Labriola furono la stampa di un saggio su La concezione marxistica dello Stato, edito a Faenza nel 1924 con una lunga prefazione di Teresa Labriola, e la pubblicazione nella Biblioteca di studi sociali diretta da Rodolfo Mondolfo, sulla base di un'ardita ricostruzione, di un corso di lezioni universitarie del "maestro" (A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia, IV, Da un secolo all'altro, Bologna 1925). Negli anni immediatamente successivi il D. continuò a coltivare il filone degli studi marxiani e labriolani pubblicando vari articoli su la Critica sociale e la Nuova Rivista storica e offrendo un generoso contributo alla conoscenza e alla rivalutazione del pensiero dei Labriola, non esitando anche a polemizzare - dalle stesse colonne della Critica sociale (Antonio Labriola e il marxismo in Italia, XXXVI [1926], 4, pp. 56 ss.) - contro le fragili basi teoriche e metodologiche dei socialismo italiano.
Trasferitosi nell'ateneo bolognese per il compimento degli studi, si rivolse per l'assegnazione della tesi di laurea a Gustavo Del Vecchio che era stato allievo del Labriola e che gli propose di scegliere come tema della dissertazione il pensiero di Marx, ovvero un confronto fra le dottrine del Galiani e del Verri a proposito della questione della libertà di commercio dei grani. Il D. prescelse quest'ultimo argomento.
Dopo aver studiato il materialismo storico e la filosofia della storia, il D. avvertiva la necessità di cimentarsi sul nuovo terreno del fare la storia, per verificare ed affinare le stesse impostazioni metodologiche ormai acquisite: "Per diversi anni io mi occupai quasi esclusivamente di indagini storiche, uscendo di proposito dall'ambito degli studi di marxismo e di socialismo, che erano stati fino allora i miei prediletti. Bisognava impadronirsi della tecnica della ricerca e dell'uso delle fonti" (Alla ricerca di Antorzio Labriola, p. 52).
Il D. conseguì la laurea nel 1931 e la tesi venne premiata con medaglia d'oro e data alle stampe l'anno successivo sotto il titolo La questione del commercio dei grani nel Settecento in Italia, 1, Partegenerale. Toscana (Milano 1932). Lo studio, che a seguito dell'esame delle fonti risultava in parte modificato rispetto a quello originariamente assegnato, costituì un contributo di notevole rilievo, oltre che per l'accuratezza dell'analisi e la luce che gettava su un secolo ancora marginale negli studi storico-economici, anche per la novità dell'impostazione metodologica tesa a sottolineare il rapporto di reciproca dipendenza tra storia dei fatti economici e storia delle idee, e valse al D. il conseguimento della libera docenza in storia economica nel 1933.
La ricerca, in aderenza agli impegni programmaticamente fissati nello stesso titolo del volume, venne negli anni successivi ripresa ed ampliata con la pubblicazione di saggi su Venezia (La questione del commercio dei grani nel Settecento in Italia, II, pt. I, Venezia, Bagnacavallo 1936), sul Piemonte (La questione del commercio dei grani in Piemonte nel secolo XVIII, in Studi in onore di C. Calisse, Milano 1939, 111, pp. 39-76) e sullo Stato ponficio (Il commercio dei grani nello Stato pontificio nei secoli XVII e XVIII, in Annali della facoltà di economia e commercio dell'Università di Bari, II [1939], pp. 61-150) che, nel loro insieme, formano un ampio affresco delle origini e dei caratteri del movimento riformatore settecentesco.
Conseguita la laurea, il D. ritornava tuttavia, sul finire del 1931, agli studi sul Labriola, coll'intento di redigerne un'ampia biografia. Il volume apparve nel 1935 (Antonio Labriola: la vita e il pensiero) pei tipi delle edizioni Roma grazie ai buoni uffici di Gioacchino Volpe, che era stato suo commissario in occasione della docenza e con il quale da allora intrattenne nel tempo un rapporto di devota amicizia.
Il prestigioso sostegno del Volpe, che stilò anche una prefazione alla monografia tendente ad enfatizzare le divergenze tra il Labriola e il Partito socialista, fu decisivo non solo per la pubblicazione del volume ma soprattutto nell'evitare al D. l'ostracismo degli ambienti accademici e culturali. Singolare deve infatti considerarsi sia la circostanza della pubblicazione, in pieno regime fascista, di un'opera che, nonostante alcuni aspetti discutibili, illumina pagine fondamentali della storia e della cultura del movimento operaio e socialista - tanto che il D., ben quaranta anni dopo, poté validamente ripubblicarla apportandovi soltanto modeste modifiche ed integrazioni (Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino 1975) -, sia il fatto che nel novembre del 1936, un anno dopo, il D. saliva la cattedra nell'università di Bari come straordinario di storia economica, grazie alla vincita di un discusso concorso di cui presidente era stato Giacomo Acerbo e relatore Gino Arias.
Fin dall'anno accademico 1935-36 il D. aveva ottenuto l'incarico di storia economica presso l'ateneo pugliese e del soggiorno a Bari aveva profittato per compiere un originale studio di storia agraria (Studi sui catasti onciari del Regno di Napoli, I, Mirtervino Murge, 1743, Bari 1936) utilizzando appunto come fonte i catasti con fruttuose indicazioni metodologiche. Ma questo campo di ricerche venne poi accantonato dal D. sia per il trasferimento nell'università di Perugia (anno accademico 1940-41), sia per la sollecitazione avuta dalla Confederazione fascista dei lavoratori del commercio di offrire alcuni contributi in materia di storia del lavoro.
Del 1940 è la pubblicazione, in una collezione diretta da Gioacchino Volpe, di una raccolta di fonti (Il tramonto delle corporazioni in Italia, secoli XVII e XIX, Milano) cui seguirà nel 1944 il grosso volume sulla Storia del lavoro in Italia: Dagli inizi del secolo XVIII al 1815, edito nell'ambito dell'ambizioso progetto di una Storia del lavoro in Italia, diretto da Riccardo Del Giudice, e poi da Amintore Fanfani, di cui tuttavia erano destinati a vedere la luce solo l'opera del D. e quella del Fanfani stesso (Storia del lavoro in Italia. Dalla fine del secolo XV agli inizi del XVIII, Milano 1943). La Storia del lavoro del D. - di cui uscì nel 1958 una seconda edizione con limitate integrazioni e i dovuti aggiornamenti bibliografici - si segnala verosimilmente come il suo contributo più importante agli studi storico-economici. Opera di sintesi, si avvale innanzitutto della sicura conoscenza della bibliografia sul Settecento italianoi su cui il D. aveva ormai una consuetudine di studio ultradecennale, oltre che di specifiche ricerche di archivio, specie per Venezia e la Toscana.
La Storia non è una storia del lavoro come fattore della produzione, ma la storia dei lavoratori e delle loro condizioni. Non manca certo all'opera, nell'organicità della sua costruzione architettonica, il respiro dello sviluppo delle vicende economiche del secolo, ma dai tipi di produzione il D. risale o agli aggruppamenti sociali, dallo stato materiale di esistenza alle forme idologiche, dalle antitesi economiche alle lotte di classi" (Storia del lavoro, p. XII) con una perspicace attenzione all'evoluzione del rapporto tra campagna e città.
La caduta del fascismo e, poi, il nuovo quadro istituzionale non furono sufficienti a sollecitare nel D. una ripresa dell'appassionato impegno politico della giovinezza: la maturazione di una revisione di alcune impostazioni ideologiche, la riconversione religiosa, l'amore per gli studi, un'incipiente malattia della vista - che doveva condurlo già negli anni Cinquanta alla cecità - determinarono questa scelta; e tuttavia egli rimase sempre fedele al messaggio socialista (Esame di coscienza. Problemi, miti e paradossi del socialismo italiano contemporaneo, in Esperienze e studi socialisti in onore di U. G. Mondolfo, Firenze 1957, pp. 51-64) pure cercando, in una rigorosa visione laica, i punti di contatto e di superiore sintesi tra socialismo e cristianesimo (Cristianesimo e socialismo, in Critica sociale, LVII [1965], 21, pp. 538-50).
Negli anni del dopoguerra riprese gli studi sul Labriola pubblicando una nuova breve monografia (Profilo di Antonio Labriola, Milano 1948), e nel 1955 stipulò con Gian Giacomo Feltrinelli un contratto per l'edizione critica - secondo rigorosi criteri filologici - delle opere complete del Labriola, di cui tra il 1959 ed il 1962 videro la luce i primi tre volumi.
Un insanabile contrasto intervenuto con il Feltrinelli, che pretendeva di condividere la direzione scientifica dell'opera, impedì la pubblicazione dei volumi successivi per i quali, tra l'altro, il D. si sarebbe dovuto valere dell'archivio del "maestro" entrato in parte cospicua in suo.diretto possesso nel 1938 per cessione degli eredi.
Nel 1951 ottenne il trasferimento alla cattedra di storia economica dell'università di Bologna, ove il suo insegnamento lasciò un'impronta indelebile non solo per l'infaticabile e sempre fertile attività scientifica ma anche per l'eccezionale capacità di formare nel giro. di un quindicennio un'affermata scuola di storia economica, avendo per allievi Renato Zangheri, Carlo Poni, Giorgio Porisini, Claudio Rotelli ed altri valenti studiosi. Profondamente inserito nella vita culturale e scientifica di Bologna, oltre a fondare l'Istituto di storia economica e sociale dell'ateneo bolognese, diresse il Museo del Risorgimento e il relativo Bollettino periodico, promosse collane di pubblicazioni di fonti e ricerche per uno studio sistematico dell'evoluzione della realtà economico-sociale a livello regionale, fu membro dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna e della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna. Nel 1974 venne chiamato a far parte dell'Accademia nazionale dei Lincei.
Morì a Faenza (Ravenna) il 9 ott. 1979.
La lezione di metodo del D. traeva sì ispirazione dall'assorbimento del materialismo storico del Labriola e dal suo innesto con il metodo logico-sperimentale del Pareto, ma scaturiva limpida nel concreto articolarsi della sua produzione scientifica dalla piena padronanza delle tecniche dell'indagine storiografica, dalla rigorosa impostazione e dal sapiente impiego di sistemi classificatori per lo svolgimento delle ricerche, dalla pratica di uno stretto rapporto tra attività didattica e attività scientifica, dalla felice intuizione - e positiva sperimentazione nella sua scuola bolognese - della necessità di organizzare in modo nuovo la ricerca scientifica in campo storiografico. Al di là di alcuni scritti specificatamente di carattere metodologico, poi raccolti nel volume La storia come storia dei lavoro (Bologna 1968), è proprio da alcune delle sue opere di maggiore impegno che emergono nel concreto le più stimolanti indicazioni di metodo: vuoi per l'organicità dell'impianto, per l'originalità dell'approccio, per la novità nell'utilizzazione di fonti e strumenti, per il disegno di nuovi percorsi e nuove mete alla ricerca storica. Al miraggio di una storia innalzata a scienza esatta piegò anche le convinzioni ideologiche giungendo a teorizzare la riduzione del materialismo storico a puro canone metodologico.
Per un'elencazione completa della ricchissima produzione scientifica del D. si rimanda a B. Farolfi, Bibliografia degli scritti di L. D., in Studi in memoria di L. D., Bologna 1982, pp. 21-48. Oltre alle opere già citate, fra gli scritti principali si segnalano: Orientamenti e problemi della storia dell'agricoltura italiana del Seicento e Settecento, comunicazione al X Congresso internazionale di scienze storiche, in Riv. stor. ital., LXVIII (1956), 2, pp. 165-185; Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del Settecento, Milano 1959; La finanza toscana dagli inizi del sec. XVIII alla caduta del Granducato, ibid. 1965; La cooperazione e la scienza economica ital., in Nullo Baldini nella storia della cooperazione, ibid. 1966, pp. 593-758; Economia e società a Bologna nell'età del Risorgimento, Bologna 1969; Industria e commercio nel Granducato di Toscana nell'età del Risorgimento, ibid. 1971-73, 2 voll.; Il problema dello sviluppo capitalistico, ibid. 1974.
Fonti e Bibl.: Ministero dell'Educaz. nazionale, Bollettino ufficiale, II, Atti di amministrazione, LX (1933), 38, pp. 2977 s.; LXII (1935), 11, pp. 1513 ss.; LXIV (1937), 19, pp. 1283-1290. Importanti riferimenti autobiografici si trovano in alcuni scritti del D.: Alla ricerca di A. Labriola, in Fatti e teorie, III (1948), pp. 30-58; Sedici anni di ricerche nell'Istituio di storia economica e sociale dell'università di Bologna, in Quaderni stor. delle Marche, III (1908), 2, pp. 181-212; Il valore della conoscenza storica, in Giornale degli economisti e Annali di economia, XXXIII (1974), 5-6, pp. 377-383; 1910-1924. Esperienze giovanili di vita e di pensiero a Faenza. in La Piè, XLIII (1974), 6, pp. 271-280. Per un giudizio storiografico: L. De Rosa, Vent'anni di storiografia economica ital. (1945-1965), in La storiografia economica italiana degli ultimi vent'anni in alcuni recenti contributi, a cura di S. Zaninelli, Milano 1972, pp. 13-49; A. Casali, Profilo di L. D., in Studi storici, XXI (1980), pp. 877-902; C. Rotelli, L. D. storico e maestro, in IlPensiero economico moderno, II (1982), 2, pp. 157-167; R. Zangheri, L'opera storica di L. D., in Studi in memoria di L. D., Bologna 1982, pp. 1-19; cfr. inoltre: G. Grilli, Dalla Settimana Rossa alla fondazione del P. C. d'I., in Movimento operaio, IV (1952), 3, p. 469; G. Volpe, Dalle memorie di uno storico. Un 'libretto' di Labriola, in Il Tempo, 30 giugno 1963, poi riprodotto come A. Labriola, L. D. suo studioso e interprete, in Id., Storici e maestri, Firenze 1967, pp. 114-121; A.Montevecchi, Vita delle idee e dialettica culturale, in Politica e società a Faenza tra '800 e '900, Imola 1977, pp. 220, 227; B. Nediani, Momenti dell'antifascismo e della lotta di liberazione, ibid., p. 247; A.Bertondini, Criteri metodologici negli scritti di L. D., in Nuova Rivista storica, LXII (1978), 3-4, pp. 375-382; Morto a Faenza il Prof. D., in Il Resto del Carlino, 11 ott. 1979; La scomparsa del prof. L. D., in Economia e storia, n. s., I (1980), 2, p. 291; La scomparsa del Prof. L. D., in Riv. di storia dell'agricoltura, XX (1980), 1, pp. 3 s.; G. Borelli, Su alcune tendenze della storiografia italiana, in Economia e storia, n. s., Il (1981), pp. 242-251.