DAMIANI, Luigi (Gigi)
Nato a Roma il 18 maggio 1876 da Sabatino e Anna Passeri, fu giornalista e saggista prolifico e brillante, fra i personaggi di maggior spicco dell'anarchismo italiano ed europeo, nella tradizione bakunista e malatestiana, della prima metà del XX secolo.
Di famiglia modesta (il padre gestiva una trattoria), orfano di madre e con una matrigna religiosissima e autoritaria, manifestò sin dall'infanzia uno spirito indipendente e ribelle; rinchiuso in riformatorio alla Cappuccinella di Napoli, organizzò una fuga ma, scoperto, finì nel carcere minorile. Scontata la pena e riaffidato alla famiglia, dovette mettersi a lavorare non potendo seguitare gli studi ma, insofferente della disciplina e della famiglia e avendo trovato nell'anarchismo risposta ad una serie di problemi esistenziali ed umani, abbandonò definitivamente la casa paterna.
"Avrei potuto finir male - scrisse nel suo testamento spirituale La mia bella anarchia (Cesena 1953) - se non avessi trovato dovunque la famiglia anarchica. Non era sempre una famiglia di eletti, ma era una famiglia umana ... La famiglia si allargava, si estendeva, si trovava dovunque. Sentivi sempre la presenza di Madre Anarchia". Una nota del 1894 della sua scheda personale della prefettura di Roma così descriveva il rivoluzionatio diciottenne: "... non ha affetti, per lui la famiglia non esiste, ogni sentimento onesto e buono è bandito dal suo cuore. Rifugge dal lavoro, non ha mezzi, dorme dove l'arriva la notte". È probabilmente riconducibile ai disastri familiari e infantili la sua disordinata, e intensa, vita affettiva.
La sua giovanile scelta libertaria si rivelerà irriducibile. In tutta la sua vita e in tutti i paesi che avrebbe visitato, si sarebbe adeguato alle nuove condizioni di lotta e avrebbe preso la penna in mano per spiegare, organizzare, incitare. Imprescindibilmente legato alle tematiche classiste dell'ala più radicale del movimento operaio - e mai perciò del tutto individualista - ebbe però sempre l'attenzione rivolta al problema della libertà e dell'individuo. "L'anarchismo che noi professiamo - scriveva nel 1925 su Vita libertaria - capisce, spiega e non esclude la lotta di classe, ma il problema che esso vuol risolvere è un problema esserizialmente umano e non di classi che si sostituiscono nell'uso e nell'abuso del potere".
In quegli anni il D. "andò randagio, sempre a scopo di propaganda, in parecchie città d'Italia" (dalla nota della Prefettura di Roma del 1894). Varie volte arrestato, nel settembre del 1894 fu condannato a due anni di domicilio coatto che scontò alle Tremiti. Lì si fece promotore di una protesta insieme con gli altri detenuti politici, socialisti e anarchici. Scontata la pena, iniziò l'apprendistato di giornalismo collaborando ai periodici anarchici di Messina Il Riscatto e L'Avvenire sociale e, dopo un breve soggiorno a Roma - ove nel marzo 1897 sostenne la candidatura di protesta dell'anarchico Luigi Galleani alla III circoscrizione -, si trasferì in Brasile nell'agosto dello stesso anno.
A San Paolo il D. sarebbe rimasto ininterrottamente - salvo un breve viaggio in Italia nel 1913 per rivedere il padre - per ventidue anni. Lì fece parte del movimento anarchico, particolarmente vivo fra gli emigrati italiani, e collaborò a varie riviste quali La Battaglia, La Guerra sociale e al quotidiano A Plebe - oltre al Libertario della Spezia, al Martello di New York e ad altri giornali europei, subendo varie volte le attenzioni della polizia e dei giudici. Arrestato a San Paolo nell'ottobre del 1919 per un tentativo insurrezionale, venne imbarcato ed espulso di fatto dal Brasile. Avrebbe raccontato la sua vicenda di emigrato in un opuscolo, I paesi nei quali non si deve emigrare. La questione sociale nel Brasile, Milano 1920.
Giunto in Italia, si stabilì a Milano dove prese a collaborare a Umanità nova, diretto da Errico Malatesta, dando al periodico anarchico un notevole contributo di impegno e di idee tanto da segname la fisionomia politica. Con il D., che supplì Malatesta alla direzione durante il suo ar resto, Umanità nova sostenne negli anni 1920-1921 una linea fortemente unitaria con l'ala più radicale del movimento socialista, espresse una decisa solidarietà con la rivoluzione russa ("Oggi quello che più ci sta a cuore - scriveva il D. - è che la rivoluzione russa si salvi, qualunque ne sia il suo svolgimento interno") e suscitò dibattiti rilevanti nell'area rivoluzionaria quale quello sull'ammutinamento di Ancona dell'estate del 1920. Il D. operò inoltre attivamente affinché il movimento anarchico divenisse il propulsore di un'azione insurrezionale partecipando personalmente ad alcune manifestazioni ed adoperandosi per l'unità d'azione soprattutto con i sindacalisti rivoluzionari. Sospettato per l'attentato al Diana del marzo 1921, per qualche tempo si fece latitante per trasferirsi poi a Roma insieme con la redazione di Umanità nova. È di questo periodo il suo racconto satirico Il di dietro del re, Milano 1921.
Nel 1923 diede vita al settimanale Fede che continuò le pubblicazioni finché il D. restò in Italia e che costitui per lui anche il maggior cespite di guadagno e nel 1925 ebbe modo di collaborare a Pagine libertarie, all'effimero Vita libertaria insieme con Camillo Berneri e Leonida Repaci, e diresse il foglio mensile Parole nostre.
Nell'opuscolo Il problema della libertà, Roma 1924, dinanzi alla dura sconfitta del proletariato, il D. traeva le somme di un quinquennio di lotte e polemizzava aspramente col tradimento socialista ("non tradimento di prezzolati, di venduti, ma di inetti e anche di onesti, cioè, di gente che capiva solo allora l'impreparazione idealistica... di quella massa che era stata educata essenzialmente a digerire meglio, a lavorare meno, a guadagnare di più: materialisticamente") e lo statalismo comunista ("il loro ideale è quello di abbattere la presente situazione sì, ma sostituendo tirannia a tirannia"). Veniva riproposta in termini volontaristici la risposta alla vittoria della reazione e si indicava una soluzione unitaria ai problemi della rivoluzione e della libertà: "Alla rivoluzione "per liberare" il popolo, o il proletariato o un proletariato, perché non anteporre, non preferire la rivoluzione degli individui, dei popoli, dei proletariati che "si liberano"?".Espatriato clandestinamente in Francia alla fine del 1926 per le insopportabili condizioni di esistenza cui erano sottoposti i militanti antifascisti, si stabilì a Marsiglia, iniziando il periodo più tormentato del suo esilio. A Marsiglia prese a collaborare a Le Réveil-Il Risveglio (bilingue di Ginevra) e all'Avanti!, auspicando nei suoi articoli la creazione di un'unità fra le diverse forze antifasciste almeno nell'intento del rovesciamento a breve termine del regime e, ove possibile, anche dell'unità d'azione. Visse in stretto contatto con l'ambiente antifascista, e soprattutto anarchico, italiano, e fece rappresentare le commedie satiriche antifasciste La bottega e La palla e il galeotto, da lui stesso scritte.
Espulso nel novembre 1927 dalla Francia per l'attività politica svolta, si rifugiò a Bruxelles dove visse in precarie condizioni di salute e finanziarie, industriandosi a fare il libraio ambulante. Entrò a far parte dell'organismo interpartitico Comitato di azione antifascista, ma fu arrestato nell'agosto 1928 su indicazione di un provocatore con l'accusa di tentato omicidio, accusa dalla quale venne prosciolto nel dicembre successivo. Espulso anche dal Belgio insieme con C. Berneri, riuscì a far perdere la proprie tracce alla polizia per oltre un anno vivendo clandestinamente in Francia e continuando a collaborare ai giornali radicali cui inviava la corrispondenza.
Venne arrestato insieme con l'anarchico Mario Mantovani a Parigi nel marzo del 1930 per infrazione al decreto di espulsione del 1927; fu condannato a venti giorni di prigione ed estradato in Belgio, dove ebbe un permesso di soggiorno per tre mesi. Gli venne incontro la solidarietà della Lega italiana diritti dell'uomo (L.I.D.U.) e si recò ad Amburgo per motivi di salute.
Nel 1931 si stabilì a Barcellona, fu presente alla proclamazione della Repubblica, e divenne parte integrante del gruppo dirigente del movimento spagnolo. Di lì continuò a collaborare con L'Adunata dei refrattari di New York, Il Risveglio, Germinal di Chicago e Lotta umana e Fede di Parigi. Fallì sul nascere, per la prematura diffusione della notizia, un tentativo per la liberazione di Malatesta dal confino, tentativo cui lo stesso vecchio rivoluzionario aveva dato l'assenso.
Alla morte di Malatesta (luglio 1932) - con cui il D. era stato in, tutti quegli anni in, fitto rapporto epistolare -divenuto il più noto punto di riferimento dell'anarchismo europeo, fece un ampio giro per l'Europa per la ricostruzione dei movimento anarchico; secondo un rapporto di polizia egli andò a Rotterdam, Parigi, Bruxelles, Zurigo, Varsavia. Tenne soprattutto i contatti con gli esuli italiani dando l'indicazione di "tenersi pronti in ogni momento a partire per l'Italia". L'anno stesso si trasferì a Tunisi, allora protettorato francese, dove sarebbe rimasto fino al suo rientro in Italia nel 1946.
A Tunisi, non più giovane e malfermo in salute, visse facendo il decoratore di stoffe - professione alla quale aveva più volte fatto ricorso nei suoi pellegrinaggi -, attivando la L.I.D.U. e continuando l'incessante opera di propaganda libertaria e antifascista con una serie di piccole iniziative rivolte soprattutto alla colonia italiana di Tunisi, che dettero spesso luogo a vivaci scontri con i fascisti locali. Lì conobbe e divenne amico dell'anarchico Niccolò Converti del quale nel 1940 avrebbe pubblicato la biografia (Attorno a una vita. Biografia di N. Converti, Newark, New Jersey). Diede vita al giornale libertario Domani nel 1935 e nel 1936 partecipò alle iniziative antifasciste unitarie organizzate dal comunista Maurizio Valenzi.
Nel 1939 fu incaricato dai suoi compagni di trarre le somme dalla guerra di Spagna; ne uscì un volumetto edito dall'Adunata dei refrattari, Carlo Marx e Bakunin in Spagna, New York 1939. Sempre per la stessa collana pubblicò in quegli anni vari saggi a carattere ideologico e morale.
Rientrato in Italia solo nel febbraio del 1946 - il ritardo era dovuto a motivi burocratici -, gli venne affidata la direzione del settimanale Umanità nova, ma l'incipiente cecità e le generali condizioni di salute lo costrinsero ad abbandonare il lavoro.
Senza perdere né lucidità né ironia, circondato da amici cui dettava i suoi ultimi saggi - alla ricerca di nuove possibilità di sviluppo per il pensiero e per il movimento anarchici -, il D. si spense nella città natale il 16 novembre del 1953.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centr., b. 1601, ad nomen; Avanti!, 16 e 17 marzo 1897 (rubrica "Roma"); E. Malatesta, Scritti scelti, a cura di C. Zaccaria-G. Bernieri, Napoli 1947, pp. 389 ss. e passim; U. Fedeli, G. D. Note biografiche. Il suo posto nell'anarchismo, Cesena 1954; A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli 1954, pp. 208 s.; Ente per la storia del socialismo e dei movimento operaio italiano, Bibl. del social. e del movim. op., I, Periodici, Roma-Torino 1956, ad Ind.; Ibid., II, Libri A-D, ibid. 1962, ad nomen; Biblioteca G. Feltrinelli, I periodici di Milano, II (1905-1926), Milano 1961, ad Indicem; Id., I periodici di Messina, ibid. 1961, ad Indicem; P. C. Masini, Gli anarchici e la rivoluzione russa, in Rivista stor. del social., V (1962), pp. 135-169; L. Bettini, Bibliografia dell'anarchismo, I, Firenze 1972-1976, ad Indicem; E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, Milano 1973, ad Indicem; M. G. Rosada, D. G., in Il movimento operaio ital. Dizionario biografico, II, Roma 1976, ad nomen; I. Rossi, La ripresa dei movimento anarchico italiano..., Pistoia 1981, ad Indicem; A. Dadà, L'anarchismo in Italia fra movimento e partito, Milano 1984, ad Indicem.