DE ANDREIS, Luigi
Nacque a Milano nel 1857 da Giuseppe e da Teodolinda Gadda. Di famiglia modesta - fece, da ragazzo, il venditore ambulante di giornali - il D. poté proseguire gli studi grazie all'aiuto di benefattori, frequentando i corsi dell'istituto tecnico Ghisleri di Pavia.
Divenuto ingegnere, trovò impiego presso la società Edison di Milano. Da studente si avvicinò alle idee mazziniane impegnandosi nell'attività politica. Nel 1874 aderì al partito repubblicano; nel 1880 partecipò alla fondazione della Società democratica della gioventù, della Fratellanza repubblicana milanese e del circolo irredentista repubblicano XX dicembre. Nel 1881 il D. venne arrestato a seguito di una manifestazione, ma fu poi prosciolto. Fu promotore e partecipe di diversi sodalizi e comitati di carattere democratico e collaboratore assiduo della stampa repubblicana. Come membro della Società di propaganda educativa nelle campagne tenne varie conferenze soprattutto in Lombardia. Nel 1885 il D. fondò l'associazione La nuova Italia.
Oltre che per l'attività politica il D. si segnalò tra i pionieri dell'industria elettrotecnica italiana. Fu collaboratore di G. Colombo nella realizzazione della centrale elettrica di Santa Radegonda, la seconda nel mondo costruita con il sistema Edison, entrata in funzione il 28 giugno 1883. Fu anche autore di pubblicazioni scientifiche come il Manualetto di elettricità (Milano 1898) e Iraggi X (ibid. 1899).
Fautore dell'associazionismo in alternativa al collettivismo, il D. partecipò, nel 1886, alla fondazione della Lega nazionale delle cooperative. Al XVII congresso delle Società operaie affratellate, svoltosi a Napoli nel 1889, votò con la maggioranza un ordine del giorno che respingeva la formula collettivistica.
Oltre che sul programma economico-sociale, il D. mantenne una posizione repubblicana intransigente contro qualsiasi atto che potesse apparire cedimento nei confronti dell'istituzione monarchica.Nel 1882 si era perciò dichiarato contrario alla partecipazione alle elezioni, mentre nel 1886, pur continuando a proclamarsi "astensionista ieri, oggi, sempre", invitò il XV congresso operaio ad ammettere l'intervento nella lotta elettorale. Il D. si riconosceva nella tendenza detta dei repubblicani puri in conflitto con quella dei collettivisti di F. Albani, mentre in posizione mediana c'era la tendenza conciliativa di A. Fratti.
Dopo la crisi del patto di fratellanza, tra il 1892 ed il 1894, fu soprattutto per iniziativa di A. Ghisleri, D. Papa, E. Chiesa, G. Chiesi, P. Taroni e del D. che il partito repubblicano avviò un processo di rinnovamento e di potenziamento organizzativo. In particolare a Milano i repubblicani puntavano a raccogliere adesioni tra gli impiegati (lo stesso D. partecipò nel 1892ad un affollato congresso di impiegati delle amministrazioni industriali e commerciali della città) e, più in generale, in quei settori radicali che non si riconoscevano più nei democratici governativi e non giungevano fino al socialismo.
Nei confronti di radicali e socialisti il D. riteneva necessario marcare un più netto distacco in ragione del loro supposto possibilismo e agnosticismo. sul problema costituzionale. Il D. fu candidato per il collegio di Milano nelle elezioni del 1892 e del 1895, ma non riuscì eletto. Nel 1897 venne chiamato a far parte della direzione del partito, la cui sede fu proprio allora trasferita da Forlì a Milano, iniziando anche un'attiva collaborazione con L'Italiadel popolo. Nel medesimo anno fu eletto deputato per il collegio di Ravenna I.
In seguito ai disordini verificatisi nel capoluogo lombardo il 7 maggio 1898 ed alla proclamazione dello stato d'assedio, il D. fu arrestato come uno degli istigatori del "moto rivoluzionario" insieme ai repubblicani G. Chiesi e B. Federici, al radicale C. Romussi, al socialista F. Turati e al cattolico don Albertario.
Contro il D. fu rivolta l'accusa più grave, poiché al momento dell'arresto era stato trovato in possesso di una mappa dei luoghi della rivolta. Fu poi chiarito che la mappa serviva per l'esecuzione dei lavori da parte della Edison, ma il D. venne lo stesso condannato. Il 10 agosto il tribunale militare di Milano gli comminò la pena di 12 anni di reclusione e di 3 anni di vigilanza speciale con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Dichiarato perciò decaduto dal mandato parlamentare, il D. venne rinchiuso nel carcere di Alessandria. La sua candidatura, come quella degli altri reclusi, venne presentata per protesta nei collegi di Forlì, Ravenna e Milano, ma l'elezione ritenuta sempre nulla.
Il 5 giugno 1899, in seguito ad indulto, il D. ebbe condonata la rimanentepena e fu ricondotto a Milano, mantenuto sotto vigilanza speciale. Con l'amnistia del 31 dic. 1899 gli furono cancellate tutte le condanne inflittegli e poté così riprendere il suo posto di deputato. Nel marzo 1900, fu chiamato a far parte della speciale commissione costituita dal gruppo parlamentare dell'estrema Sinistra per la difesa delle pubbliche libertà. Nelle elezioni del 3 giugno 1900 il D. fu rieletto sia a Milano sia a Ravenna, optando per Milano.
Fu assiduo ai lavori parlamentari intervenendo particolarmente su questioni attinenti le condizioni di vita e di lavoro delle masse operaie. Censurò il comportamento del gruppo consiliare repubblicano che aveva approvato un programma di onoranze del comune di Milano in memoria di Umberto I.
Dal dicembre 1900 all'aprile 1901 fu direttore dell'Italiadel popolo. Nelle elezioni del novembre 1904 fu il candidato repubblicano opposto al socialista E. Ferri nel II collegio di Ravenna in un contesto di esasperate polemiche tra i due partiti, riuscendo infine eletto. Il D. ebbe in seguito contrasti con i dirigenti repubblicani ravermati, che gli rimproveravano disinteresse per la vita locale, rinunciando per questo motivo a ripresentarsi candidato nelle elezioni del 1909. Nell'ottobre 1911 fu chiamato a far parte della commissione esecutiva del partito. Espresse una posizione di dissenso rispetto all'adesione di molti repubblicani all'impresa libica.
Nel 1914, allo scoppio della guerra mondiale, il D. fu tra i più convinti interventisti nel solco della tradizione risorgimentale. Nel 1915 si arruolò volontario e fu assegnato, su sua richiesta, al comando del genio di un corpo d'armata al fronte.
Nel 1919 tornò alla Camera, eletto nel collegio di Ancona. Nelle elezioni del maggio 1921 fu riconfermato, mentre non si ripresentò nelle elezioni dell'aprile 1924, indette dal governo fascista e svoltesi secondo la legge Acerbo.
Nel marzo 1927, in una lettera ad A. Ghisleri, il D. espresse il proprio sconforto per il "boicottaggio del silenzio... più terribile quasi della proibizione austriaca" imposto dal fascismo alla libera circolazione delle idee.
Il D. morì a Milano il 22 luglio 1929.
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