ROSSI, Luigi
de’. – Nacque il 6 agosto 1474 a Lione da Lionetto, direttore del locale banco mediceo sin dal 1470, e da Maria de’ Medici, figlia naturale di Piero il Gottoso (in effetti di Lucrezia Tornabuoni e del conte Vernio de’ Bardi).
Nel 1479 rimase orfano della madre. Nel 1485, al rientro a Firenze del padre, imprigionato per malversazioni, fu probabilmente accolto nella casa di Lorenzo il Magnifico e cresciuto insieme al cugino coetaneo Giovanni de’ Medici. I primi documenti autografi conosciuti sono due lettere scritte nel luglio del 1494 all’allora cancelliere di Piero il Fatuo, Bernardo Dovizi da Bibbiena, per richiedergli con insistenza un pugnale (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, vol. CXXIV, 358, 359) per attività venatorie che praticava in compagnia del cardinale Giovanni.
Dopo l’espulsione dei Medici da Firenze (1494), risulta esule a Roma, ma è probabile che sia restato sempre al seguito del cugino. Lo ritroviamo alla battaglia di Ravenna (11 aprile 1512) al fianco del legato Giovanni de’ Medici, «sendo da messer Luigi di Lionetto de’ Rossi non mai abbandonato» (Cerretani, 1993, p. 266). Questa prova di lealtà al momento della cattura da parte dei francesi legò indissolubilmente il suo destino a quello del cardinale, rimasto «cum mancho di tre servitori de’ suoi, perché tuti, in tanto travaglio et periculo, attesono alla salute propria» (Sanuto, 1879-1902, XIV, p. 131). Da una lettera da Roma del Bibbiena a suo fratello Pietro a Venezia il 7 giugno 1512 (p. 317) si apprende che il cardinale de’ Medici lo inviò nella nativa Francia, ma la missione si rivelò inutile perché Giovanni riuscì a fuggire di lì a poco.
Dopo il sacco di Prato e il rientro dei Medici a Firenze nel settembre del 1512, Rossi fu presente alla restaurazione del regime. In una lettera dell’umanista Favorino Camerte a Leonardo Bartolini scritta da Roma il 16 ottobre 1512 (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I, f. 336, c. 162) a proposito delle predizioni astrologiche sulla fortuna medicea si legge una frase sibillina: «Voi sapete la guerra me ha facta M. Loigi Rossi», forse alludendo all’atteggiamento scettico di Rossi.
Il suo ruolo nelle faide familiari è difficile da determinare con precisione. Dopo l’elezione del cugino Giovanni al papato, si trasferì a Roma. Il 21 ottobre 1513 progettò un viaggio segreto a Firenze che non si realizzò a causa di una sua malattia, confermata da Alfonsina Orsini, che augurava il peggio al neocardinale Bibbiena (Mediceo avanti il principato, vol. CXIV, 23). In effetti, secondo Oreste Tommasini, esistevano due fazioni medicee: da una parte il cardinale Bibbiena, Rossi, Contessina Ridolfi, Lucrezia Salviati e il marito Iacopo, tutti per Giuliano; dall’altra il cardinale Giulio, Innocenzo Cibo e i suoi genitori Franceschetto e Maddalena, oltre alla prepotente madonna Alfonsina, tutti per Lorenzo. Le tensioni fra questi due schieramenti si sarebbero risolte con il prevalere del secondo, grazie alle insistenze della madre di Lorenzo presso Leone X.
Rossi non aveva una forte personalità e cercava in effetti di farsi ben volere da tutti. Approvava le manovre matrimoniali di Giuliano, ma allo stesso tempo cercava il favore di Lorenzo, come ci mostrano le lettere del suo agente Baldassarre Turini. Il 18 aprile 1514 scrisse che Rossi era «mezano ad tutte queste cose» e gli aveva detto che credeva che il papa si sarebbe alleato con il re di Francia (vol. CVII, 10). Lorenzo scrisse a Rossi da Firenze il 26 maggio che «ogni speranza et fede mia circa quelli che si truovono all’intorno di N.S. è in voi, parendomi haverla collocata in homo dove la stia bene et che può disporre il medesimo» (vol. CXLI, 33). Compiacendone la vanità, Lorenzo ottenne la sua fedeltà incondizionata. Turini si congratulò con Lorenzo il 30 maggio 1514 per aver tirato dalla sua parte lo zelante zio (vol. CVII, 30). Peraltro anche Rossi, nominato protonotario, come gli altri membri della famiglia cominciava a ricevere benefici dal cugino pontefice, come un’abbazia in Bretagna del valore di 3000 ducati annui, anche perché a causa delle sue simpatie galliche «se aiuta forte con questi franzesi» (vol. CVII, 31).
L’intimità con il papa è documentata dai dispacci dettagliatissimi di Turini, che informò Lorenzo dell’imminente partenza per Firenze in compagnia di alcuni cardinali e di frate Mariano Fetti, il buffone di Leone X recentemente promosso a piombatore apostolico, per partecipare «stravestiti» alla festa di S. Giovanni (vol. CVII, 32). Partito «senza dire niente ad persona», il 7 luglio Rossi tornò a Roma lodando Lorenzo (vol. CIX, 14). Egli godeva della mondanità e il 20 agosto 1514 partecipò al banchetto di nozze per Emilia Appiani da Piombino; sedeva alla seconda tavola con le donne di famiglia. Teneva informato Lorenzo dei movimenti del papa e accolse il nipote quando si stabilì a Roma, dalla fine di settembre alla metà di maggio del 1515. Alla partenza di Lorenzo, gli scrisse: «io non ho persona in questo mondo quale amo et stimo più di voi et il quale possa più promettere di me» (vol. CXXIII, 64).
Era sinceramente affettuoso nei confronti di Contessima Ridolfi, che doveva essere una sorta di sorella acquisita per lui: quando si ammalò gravemente, era «disperato [...] come quello che ne ha grandissima passione et non ne può stare et ne ha gran dolore» (vol. CXVII, 99). Tuttavia non era tagliato per le missioni diplomatiche, e quando il suo nome fu proposto come inviato presso il re di Francia, che in agosto era già disceso in Italia con un forte esercito, «per essere lui commissario, e per essere notissimo e molto grato in quella corte» (vol. CV, 225), Filippo Strozzi non ne caldeggiò la candidatura a Francesco Vettori (vol. CVIII, 141).
Dopo la battaglia di Marignano (1515), Alfonsina riferiva a Giovanni da Poppi che Giulio de’ Medici aveva scritto a Rossi «che li basta essere buon leonino, et non si cura poi di essere franzese, o tedesco» (vol. CXXXVII, 701), dimostrando tutta la sua flessibilità politica nella situazione creata dalla schiacciante vittoria di Francesco I. Appose anche una timida firma alla lettera scritta dal Bibbiena a Giulio legato di Bologna il 5 dicembre 1515 (vol. CV, 23): «et io povero prothonotario de Rossi mi raccomando», il che dimostra che accompagnava il cardinale e andò a Bologna per l’incontro del papa con il re, e poi si trattenne a Firenze fino al febbraio del 1517.
Dopo la morte di Giuliano de’ Medici gli fu affidata la delicata missione di richiedere alla vedova Filiberta di Savoia «le gioie e argenti [...], quali si stimavano di grandissima valuta, e che lui le avessi alienate fino quando andò a Bologna per vicitare la Maestà del re di Francia» (Firenze, Biblioteca nazionale, II.IV.171, sub datam 17 marzo 1516). Nel gennaio del 1517 partecipò al convito per il matrimonio di Luigi Ridolfi con Anna Soderini, dal quale Alfonsina preferì astenersi.
Negli atti dei processi legati alla cosiddetta congiura dei cardinali il nome di Rossi fu menzionato più volte perché era amico di Marcantonio Nini, il maestro di casa del cardinale Alfonso Petrucci, e del chirurgo Battista da Vercelli, entrambi giustiziati il 27 giugno 1517 (Ferrajoli, 1920, p. 204). Il 1° luglio 1517 fu eletto cardinale insieme ad altri trenta nuovi porporati (Cerretani, 1993, p. 349). L’atmosfera di scanzonato cameratismo cortigiano viene evocata da varie lettere dell’ambasciatore di Ferrara, Beltrando Costabili. «Ho avuto audientia», scrisse il 14 dicembre 1517, «gè era presente il cardinale de Rossi sopra le spalle del quale S. S. teneva la mano» (Ferrajoli, 1920, p. 171).
Questo atteggiamento di grande familiarità ricorda, invertita, la posa per il celeberrimo ritratto di Raffaello, eseguito in quei mesi ed esposto a Firenze nel settembre 1518. Infatti Rossi si recò a Firenze in occasione del rientro di Lorenzo duca di Urbino dalla Francia con la sposa Maddalena d’Alvernia. Per la tanto bramata occasione Alfonsina volle festeggiare gli sposi mettendo il dipinto «sopra alla tavola, dove mangiava la Duchessa et li altri signori, in mezo, che veramente rallegrava ogni cosa». La versione più maliziosa di Bartolomeo Cerretani (1993) ci descrive invece una «fredda festa»: Alfonsina «era di continuo corteggiata da due cardinali, cioè Cibo e Rossi sui parenti. Tutti e signori malsatisfati si partirno, parlando pocho honorevole del ducha nostro» (p. 353).
Rossi non poteva mancare alla famosa cena delle beffe organizzata da Lorenzo Strozzi a Roma il 13 marzo 1519 a cui presero parte quattro cardinali: Rossi, Cibo, Giovanni Salviati e Niccolò Ridolfi, tutti nipoti e parenti del papa, e due buffoni, tra cui fra Mariano, e tre cortigiane «qual fu de li belli conviti si stà fati in Roma; ma cosa spaurosa et che non piacete a li cardinali» (Sanuto, 1879-1902, XXVII, p. 74).
Il 28 aprile 1519, subito dopo la morte della duchessa di Urbino, il papa lo inviò a Firenze al capezzale del duca. Cerretani (1993) lo descrive intento «a giuchare intorno al suo letto con uno che si chiamava il Moro de’ Nobili, buffone del ducha» (p. 357). L’agonia di Lorenzo cominciò la sera del 2 maggio e il 4 era morto: «subito s’empié la chasa, e visitavano el chardinale de’ Rossi et offerivano, e stette la ciptà sollevata alquanto chon sparlare contro al ducha». Solo l’arrivo del cardinale Giulio quietò gli animi.
Rossi tornò a Roma, ma di lì a poco ebbe un violento attacco di gotta e morì il 19 agosto 1519.
La sua malattia e il lutto del papa sono descritti in diverse lettere di Baldassarre Castiglione ai marchesi di Mantova: scartando l’ipotesi allora frequente del veleno, rimpiangeva la sua prematura scomparsa con Francesco Maria della Rovere, perché si era assicurato (come scrisse in cifra il 17 agosto 1519) il sostegno «de questo poveretto de’ Rossi» (http:// aiter.unipv. it/lettura/BD/lettere/0.370 [17 gennaio 2017]). Il conte Alfonso Paolucci, ambasciatore di Ferrara in Roma, commentò in maniera ancora più significativa il 20 agosto 1519: «Ne la morte del card. Rossi N. S. ha lacrimato et demonstrato maggior doglia, per quanto mi è riferito, che non fece del fratello; et mi vien decto S. S. dire che gli è morto un omo più conforme alla sua natura et voluntà che mai altri dua se trovasse» (Ferrajoli, 1920, p. 171). Pierfrancesco Tosinghi annunciò: «Ècci la morte del R.mo Cardinale de Rossi; e n’è danno, che veramente è doluto a ciaschuno» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I, f. 229, c. 49).
In conclusione il ruolo politico di Rossi fu quasi nullo, nonostante l’onnipresenza nei momenti più importanti del cardinalato e del pontificato del cugino Giovanni de’ Medici. L’attività di mecenate pare altrettanto irrilevante, se si escludono delle tiepide raccomandazioni del 1514 per un Pietro Maria intagliatore fiorentino. La sua memoria resterà sempre legata al ritratto di Raffaello oggi agli Uffizi, in cui si staglia alle spalle di Leone X e accanto al cardinale Giulio de’ Medici, come una presenza discreta quanto ineffabile.
Fonti e Bibl.: Tra le fonti manoscritte, Firenze, Biblioteca nazionale, II.IV.171: P. Parenti, Storia fiorentina, e le varie lettere di, a e su Rossi presso l’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato. Inoltre C. Guasti, I Manoscritti Torrigiani donati al R. Archivio di Stato di Firenze. Descrizione e saggio, Firenze 1878, p. 109; Id., Le Carte Strozziane del R. Archivio di Stato in Firenze. Inventario. Serie prima, II, Firenze 1891, p. 378.
Si vedano poi ad ind.: M. Sanuto, I diarii, Venezia 1879-1902; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, Roma 1883; A. Ferrajoli, La congiura dei cardinali contro Leone X, Roma 1920; L. von Pastor, Storia dei Papi nel periodo del Rinascimento e dello scisma luterano dall’elezione di Leone X alla morte di Clemente VII (1513-1534), IV, 1, Leone X, Roma 1926; A. Rochon, La jeunesse de Laurent de Médicis (1449-1478), Paris 1963; B. Cerretani, Ricordi, a cura di G. Berti, Firenze 1993.